GRILLO VUOLE GENTE FRESCA PER IL PARTITO DI CONTE
CON LA REGOLA DEI DUE MANDATI PUNTA SUL RICAMBIO GENERAZIONALE… GLI STRALI DI DI BATTISTA
Chi pensava che con il partito di Giuseppe Conte Beppe Grillo cogliesse l’occasione per andare in pensione si dovrà ricredere.
La “carta bianca” che è stata concessa all’ex premier è appuntata dai paletti del fondatore, che ha affidato le chiavi di una macchina che continua a considerare sua a quello che ritiene il miglior conducente possibile, ma che non ha nessuna intenzione di mollare: “Vorrei vedere un po’ di gente nuova, gente fresca, che ci dia un po’ di energia, abbiamo fatto quella regola proprio perché la politica non diventasse una professione per i nostri”, il senso del ragionamento sul limite dei due mandati che in queste settimane e in questi giorni ha fatto a chi lo ha sentito. Con la consegna dei dati degli iscritti da parte di Rousseau la nuova creatura disegnata dal professore pugliese è pronta a levare gli ormeggi, ma i nodi sul tavolo sono tanti e la strada ancora più difficoltosa del previsto.
Si prenda l’aprire o meno alla possibilità del terzo mandato, la questione potenzialmente più esplosiva per gli equilibri interni.
Il premier ha spiegato che la questione verrà affrontata più in là, che non sarà nel nuovo Statuto. C’è bisogno di tempo per far decantare le tensioni, e far esplodere il tema adesso significherebbe inimicarsi l’altra metà del cielo, a seconda della scelta presa.
L’ex premier vorrebbe una mediazione, un punto di caduta a metà tra il mantenimento della regola tout court e l’abolizione, un sistema di deroghe per salvaguardare meriti e competenze.
Ma è proprio il fondatore, che mantiene salda la golden share sul partito, a non voler fare un passo indietro sulla questione. Parlando con le persone che gli sono più vicine in questo momento di travaglio personale, Grillo avrebbe manifestato la voglia di “cambiare” la classe dirigente, di procedere a un rinnovamento profondo dei vertici di un Movimento che per quanto continui a guidare ad intermittenza non sente più suo.
“Beppe si è man mano scollato da quello che succede a Roma”, racconta uno dei pochi ad avere cognizione di quel che succede a Genova.
E continua: “Lui non ha mai capito le logiche del Palazzo, e per quanto abbia indirizzato il Movimento nei momenti decisivi non capisce fino in fondo la trasformazione che hanno subito tanti dei nostri maneggiando il potere”.
Rimane fisso sull’idea che la politica non debba diventare una professione, ritiene che per tanti, troppi, lo sia diventata, lo raccontano infastidito dalla valanga di messaggi che gli arrivano da Roma, tutti incentrati su questioni che lo appassionano poco e che ritiene lontanissime dallo spirito originale del Movimento.
“Con qualcuno ha mantenuto un buon rapporto – ci spiegano – ma per la maggior parte si è stancato dei professoroni che lo tirano per la giacca a destra o a sinistra”.
Mantenere scampoli di identità e fare un repulisti della vecchia guardia sono le motivazioni di una posizione che sta scatenando una ridda di commenti al vetriolo in Parlamento.
Gli onorevoli si danno di gomito e si scrivono: “Ma allora se è già tutto deciso e non possiamo influire minimamente su quel che diventeremo, che senso ha restare?”, la domanda che serpeggia soprattutto fra chi è al secondo mandato.
“Basta che non si vada più andare avanti con deroghe ad personam, creano solo indecisioni, confusione e malumori”, chiede Sergio Battelli.
È una sfilza di dichiarazioni per scoperchiare il vaso e spingere in direzione contraria. “Bisogna valorizzare le esperienze”, spiega Gianluca Castaldi, ex sottosegretario considerato molto vicino a Conte.
“Le competenze acquisite non vanno disperse”, dice Paolo Parentela, “Decidano gli iscritti” è la proposta di Filippo Gallinella, “È arrivato il momento di superare quel limite”, tira giù dritto Giancarlo Cancelleri.
È una rivolta in piena regola, il tema è così scottante che interviene anche Alessandro Di Battista dal Sudamerica: ”È avvilente leggere le dichiarazioni di moltissimi parlamentari del M5s che oggi, a pandemia non ancora finita, con la classe media al collasso, con Confindustria che fa il bello ed il cattivo tempo e con una crisi sociale fuori dal comune, preferiscono metter bocca sulla regola del doppio mandato ovviamente con l’obiettivo di cancellarla e poter continuare a vivacchiare nelle istituzioni”.
In mezzo Conte, che fatica a divincolarsi tra le intemerate del fondatore e il malumore dei gruppi: “A lui di chi c’è o non c’è importa poco, lui e Rocco (Casalino) pensano che il brand vincente sia il suo e basta”, spiega un deputato lasciando intendere che in fondo, se rimanesse lo stop al terzo mandato, l’ex premier avrebbe più margine di manovra per costruire il nuovo Movimento a propria immagine e somiglianza. Dall’entourage del premier smentiscono recisamente che il nuovo capo politico voglia inserire un riferimento al suo nome nel simbolo, raccontano di un Grillo contrarissimo a questa eventualità, ma il solo fatto che se ne parli dà l’idea del campo che Conte si ritroverà a dover sminare. Garante permettendo.
(da Huffingtonpost)
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