GUERRA RUSSIA-UCRAINA, IL PREZZO DELL’INVASIONE
QUANTO E’ COSTATA IN VITE E SOLDI
Dopo più di due mesi concentrati su Gaza, s’è tornati a parlare di Ucraina. Ma a che punto è la guerra? Quanto è costata in vite e soldi? Fino al 2022, oltre alla Crimea annessa nel 2014, in mano ai separatisti filorussi c’erano solo le province di Donetsk e di Lugansk, ovvero il Donbass: il 7,04% del Paese, circa 42 mila km quadrati.
Il 24 febbraio 2022 doveva essere un’invasione lampo: Putin voleva arrivare fino a Kiev e dopo un mese era già riuscito a conquistare il confine bielorusso, Sumy, Kharkiv, aveva preso Mariupol. L’obbiettivo iniziale di «denazificare» il governo di Kiev era però fallito quasi subito, gli ucraini avevano resistito e a fine 2022 erano riusciti a riprendersi l’area della capitale e di Kharkiv, Kherson e la sponda orientale del fiume Dnipro: in totale 60 mila km quadrati, una regione più grande della Sicilia e della Sardegna messe insieme.
Lo stallo
Il 2023 doveva essere l’anno della controffensiva di Zelensky. La grande rivincita. Invece poco è cambiato e dopo ventidue mesi la guerra s’è congelata. Siamo allo stallo. Oggi Mosca controlla più o meno lo stesso territorio di fine 2022: 100 mila km quadrati, il 17,48%, una porzione che corrisponde all’intera Estonia. Putin s’è tenuto Lugansk, parte del Donetsk, il sud di Kherson e la centrale nucleare di Zaporizhzhia, gran parte del Mar Nero: punta a trasformare il fiume Dnipro in un confine di fatto. Gli ucraini hanno ripreso a fatica Bakhmut e la sponda orientale del Dnipro, combattono per Avdiivka e vogliono fortificare una testa di ponte per arrivare al Mare d’Azov e sfondare in Crimea, riprendendo il controllo del Mar Nero e delle esportazioni di grano bloccate dai russi. La controffensiva però è stata un disastro militare. Negli ultimi sei mesi l’esercito ucraino è avanzato solo di 12 km e ha riconquistato 518 km quadrati, meno della provincia di Lodi.
Il conto delle vittime
Non ci sono cifre attendibili. Mosca minimizza i caduti che sarebbero da 35 a 43 mila, per il Pentagono sono 315 mila con l’80% delle perdite solo nel Donetsk. Kiev copre le cifre col segreto di Stato e fa passare il dato di 17.500 soldati morti, ma per il Pentagono sono almeno 120 mila. Secondo il New York Times, che incrocia diverse fonti incluse quelle Onu e d’intelligence Usa, la guerra sui due fronti, a fine agosto, aveva fatto già più di mezzo milione fra soldati morti, feriti, e vittime civili. Il doppio che nelle tre guerre balcaniche degli anni ’90. E tutto questo per avere una mappa di territori conquistati e difesi pressoché identica a quella di un anno fa.
Le forze russe in campo
Putin ha firmato due decreti di mobilitazione popolare parziale. Dispone di 2,2 milioni di arruolati, ne ha mobilitati 1,320 e ha comunque pronti altri 880 mila riservisti. Combattere in Ucraina conviene economicamente, e non solo ai mercenari di Wagner: un soldato russo guadagna in media 2.135 euro al mese, contro i 560 di un professore universitario. Se il soldato muore alla famiglia arriva l’equivalente di 55.000 dollari (32.500 in caso di ferimento grave). Non si sa con esattezza quanti russi siano fuggiti all’estero per evitare l’arruolamento: il governo ne ammette 155 mila, ma lo scorso maggio per il governo inglese erano 1,3 milioni. Scappano soprattutto in Georgia, Armenia, Serbia e dove non serve il visto. Il Kazakistan, dopo una prima invasione di disertori, ha ridotto i permessi. La Ue ha ricevuto 17 mila richieste d’asilo politico, ma ne ha accettati solo duemila. Fino al 17 marzo, quando verrà rieletto presidente per la quinta volta, Putin eviterà nuovi reclutamenti ed eventuali proteste: dall’inizio della guerra 5.844 contestatori sono stati arrestati in 60 città. La legge permette allo Zar di farsi rieleggere fino al 2036, quando avrà compiuto 83 anni. Non ha oppositori: il più pericoloso, Aleksej Navalny, è stato imprigionato in Siberia dopo un tentativo di avvelenamento. Dal gennaio 2022 sono almeno 20 gli oligarchi e i manager di Stato morti misteriosamente, dopo essersi messi contro lo Zar: il più famoso è Evgeny Prigohzin, il capo di Wagner. L’ultimo è il presidente di Lukoil Vladimir Nekrasov.
Le forze di Kiev
Gli ucraini sono un terzo dei russi e dispongono di 700 mila soldati. All’inizio della guerra avevano 10 milioni d’arruolabili, anche se l’esercito era fatto solo di 250 mila uomini. Pure qui s’affronta la questione di chi scappa dalla guerra: fra gli 8 milioni di profughi in Europa, ci sono anche 650mila richiamabili. È aumentata la renitenza alla leva, con 200 mila «imboscati» e fenomeni di corruzione. Per questo Zelensky ha cambiato le regole di reclutamento e ha aperto ancora di più alle donne: oggi sono 43 mila (più 40% rispetto al 2021) e sono state ammesse ai ruoli di mitragliere, cecchino e comandante di tank.
Chi sta pagando il conto?
La Commissione europea sostiene che «le sanzioni stanno funzionando». Alla Banca centrale russa sono stati congelati 400 miliardi in riserve valutarie all’estero e, nella sola Ue, i patrimoni sequestrati agli oligarchi amici del Cremlino valgono 228 miliardi di dollari.
L’isolamento economico è evidente quanto quello politico: la Russia è esclusa dal sistema Swift che regola i pagamenti bancari internazionali, quasi tutti gli investitori occidentali hanno chiuso le rappresentanze a Mosca, i Paesi europei hanno ridotto drasticamente le importazioni russe di gas e carbone. Embargo sull’export di beni e servizi strategici e all’import di petrolio. E la produzione petrolifera è precipitata: da due milioni di barili al giorno, in ottobre s’è passati a 300 mila. In quasi due anni l’inflazione è rimasta al 6%, ma il rublo ha perso un quarto del suo valore sul dollaro e la Banca centrale di Mosca ha innalzato di due punti (al 15%) il tasso d’interesse. L’economia di Mosca però sembra tenere: grandi Paesi come Cina, India, Turchia, Messico, Brasile e Sudafrica non hanno aderito al boicottaggio, sostenendo Putin attraverso le triangolazioni. Su Mosca, San Pietroburgo, Kazan e Sochi si può ancora volare da Serbia, Turchia, Bielorussia, Cina, Israele, Emirati arabi, India, Arabia Saudita, Uzbekistan, Dubai, oltre che da quattro Paesi africani: Egitto, Algeria, Marocco e Sudafrica. A perderci però sono anche le economie occidentali: con le sanzioni, dice il Financial Times, la guerra ha bruciato più di cento miliardi di 600 grandi e medie imprese europee che facevano affari a Mosca, senza contare i costi derivanti dall’aumento dell’energia e delle materie prime.
Spesa militare russa
Secondo l’Economist, la spesa militare annua è di 60 miliardi di dollari, mentre la spesa pubblica è aumentata del 40% e ai russi la guerra costa 67 miliardi di dollari l’anno di deficit pubblico – un 3% di Pil che se ne va per sostenere la produzione, reggere il welfare, mantenere le famiglie che mandano gli uomini al fronte –. Una stima della rivista militare Sofrep, però, parlava già nel 2022 d’un costo complessivo ben più alto: 900 milioni di dollari al giorno. E d’un aggravio per i russi, secondo l’ucraina Kyiv School of Economics, che varrebbe fra l’8 e il 10% del Pil.
Ucraina: quanto costa difendersi
Per Kiev la guerra costa 10 miliardi di dollari al mese. Bisogna però aggiungere tutto quello che è arrivato in aiuti. L’Ue ha finora versato agli ucraini 85 miliardi così ripartiti: 25 in attrezzature tecniche e militari, 60 in finanziamenti. Stando ai tedeschi del Kiel Institute for the World Economy, gli Usa hanno dato 47 miliardi in armamenti e la Gran Bretagna 18. Secondo i conti di Banca mondiale dall’Occidente sono arrivati in totale 17 miliardi mensili, fra armi e sostegno a un’economia che non produce più reddito e in quasi due anni ha bruciato 200 miliardi tra industrie collassate e grandi investitori stranieri che sono scappati. La spesa pubblica ucraina per pagare la pubblica amministrazione, per tenere aperti scuole e ospedali, per far funzionare i trasporti, solo nel 2022 è stata di 75 miliardi: i prestiti occidentali ne hanno coperti 32.
Il prezzo della ricostruzione
Una futura ricostruzione, dice l’Economist, è già stimata oltre i 500 miliardi: Borodyanka, Bakhmut, Ochtyrka, Kupyansk, Kyrylivka sono alcune delle città più distrutte. Oltre alla grande diga di Kakhovka, vanno rimessi in piedi 18 aeroporti, 344 ponti, 25mila km di strade, 426 stabilimenti industriali. Mentre i danni ambientali fin qui prodotti nel suolo, nell’acqua e in emissioni di CO2 sono incalcolabili.
Nuovi aiuti: chi frena e chi ricatta
Negli ultimi due mesi, da quando è riesplosa la crisi di Gaza, le forniture americane a Kiev sono calate del 30%. Il Senato americano sta bloccando una seconda tranche di 61 miliardi e Biden, se dovrà vedersela in campagna elettorale con l’isolazionista Donald Trump, faticherà sempre più a ottenere altri soldi. Zelensky ripete ogni giorno che senza munizioni, missili e F-16 sarà impossibile resistere a lungo. E anche lui, finora leader indiscusso, è criticato in patria per avere ritardato troppo la controffensiva. Gli aiuti europei, dice il Kiel Institute, da agosto sono calati del 90% rispetto al 2022.
Per sbloccare la nuova rata Ue di 50 miliardi invece bisogna fare i conti con i ricatti di Orban che, per ora, ha ceduto sull’adesione dell’Ucraina all’Unione in cambio dei 10 miliardi di Pnrr congelati un anno fa da Bruxelles per violazione dello Stato di diritto. «Di questo Paese – dice – non sappiamo nemmeno quanto sia grande e quanta gente ci viva». Proviamo a ricordarglielo: ha un’estensione di 600 mila km quadrati (quasi il doppio della Germania), 47 milioni di abitanti ed è uno Stato sovrano europeo. Questa mappa è stata deturpata dall’invasione russa.
Francesco Battistini e Milena Gabanelli
(da corriere.it)
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