IL DESTINO DI TUTTI I PADRI-PADRONI: RESTANO AL COMANDO DELLA LORO “CREATURA” FINO A UCCIDERLA
L’AFFONDO DI DI BATTISTA CONTRO BEPPE GRILLO DIMOSTRA L’INCAPACITA’ DEL COMICO DI CREARE UNA VERA SUCCESSIONE
Erano in 339, erano giovani e forti e sono (politicamente) morti. O comunque non si sentono granché bene perché, a distanza di soli quattro anni dallo sbarco trionfale in Parlamento, il Movimento si è sfasciato, è esploso in mille frammenti, con il pianeta più importante che resiste ancora, sotto il dominio post-populista e «laburista» di Giuseppe Conte, ma ormai acefalo di buona parte della classe dirigente storica.
Tutt’ intorno, satelliti impazziti e polvere di stelle che hanno brillato per pochi anni, risucchiate fuori dall’atmosfera terrestre. Il parallelo con l’impresa tentata da Carlo Pisacane nel 1857, che da Sapri provò a innescare il processo rivoluzionario in tutto il Meridione, può sembrare azzardato, ma provare ad aprire come una scatoletta di tonno il Parlamento era già una piccola rivoluzione.
Fallita, visto che il Movimento aveva grandi prospettive palingenetiche per l’Italia e si ritrova ridotto ai minimi termini (10 per cento nei sondaggi), con alle spalle una grave sconfitta alle amministrative, una scissione dolorosa e l’idolo delle folle Alessandro «Attila» Di Battista che, chiuso nel non luogo di un’auto parcheggiata, lancia strali contro Di Maio «ducetto», contro il «sinistro» Fico e perfino contro l’«elevato», l’uomo che l’ha creato e che ha abbracciato mille volte in lacrime sul palco. Quel Beppe Grillo diventato «padre padrone», una divinità iraconda, modello Crono, che divora i suoi figli.
Ricostruire l’albero genealogico di un Movimento che non c’è più mette i brividi. In principio erano Grillo con Gianroberto Casaleggio, scomparso nel 2016. La successione con Davide, come spesso accade in queste vicende dinastiche, non ha funzionato. Tanto che l’informatico se n’è andato a giugno, sbattendo la porta: «Mio padre non riconoscerebbe questo Movimento». Sotto i due fondatori, brillavano le stelle di Di Maio e Di Battista.
Coppia perfetta perché complementare: l’incravattato con un grande futuro da democristiano e lo scamiciato, barricadero ma allergico alla pugna. Ora il primo ha fondato «Insieme per l’Italia», coccola il Pd, che accusava di orrori inenarrabili, tratta con il partito animalista per raggiungere il 3 per cento e viene chiamato da Grillo «Giggino ‘a cartelletta» («aspetta di essere archiviato in qualche ministero»). Il secondo, reduce dalla Russia, prosegue in un fuoco sempre meno amico e spara veleno contro i poltronari che hanno il sedere «flaccido come la loro etica».
Poi c’era la «classe dirigente» del Movimento. Una combriccola molto eterogenea, che ci ha fatto compagnia per anni.
La mannaia del tetto del secondo mandato, fatta calare da un irremovibile Beppe Grillo, ha annientato molti di loro.
Il «padano» Stefano Buffagni, gran tessitore di rapporti nell’imprenditoria del nord, tornerà a fare il commercialista. L’«orsacchiotto» Vito Crimi, rimasto abbarbicato al suo ruolo di capo pro tempore per un’eternità, sarà probabilmente costretto a tornare a fare l’assistente giudiziario. E Paola Taverna? Dal suo monolocale di Torre Maura ancora lavora alla campagna elettorale, dice che si «sentirà a lungo l’eco delle mie urla» in Parlamento, ma presto potrebbe vedersi avverare il celebre sfogo di Tor Sapienza: «Io nun so’ politica».
Roberto Fico prepara gli scatoloni, anche se difficilmente tornerà a commerciare in tappeti orientali, dopo Montecitorio. Danilo Toninelli non si vedrà più in Parlamento, con i pettorali a mettere a dura prova la tenuta delle camicie: lo troverete a torso nudo, mentre fa jogging lungo le sponde del Tevere, o su TikTok, dove si è trasferito a tempo pieno per fare l’influencer (14 mila follower, non male, ma deve vedersela con Khaby Lame che ne ha 142 milioni). Addio a Carlo Sibilia, che considerava «una farsa» lo sbarco sulla luna.
E ancora, a Fabiana Dadone, Davide Crippa, Federico D’Incà, Nunzia Catalfo, Riccardo Fraccaro. Perfino Alfonso Bonafede, l’avvocato che andò a pescare un ignoto Giuseppe Conte: perfidia della sorte, è stato fatto fuori proprio dal suo pupillo.
Tutti a casa, tutti disarcionati per volere di Crono-Grillo, nel nome del dilettantismo in politica (ancora l’altro giorno Conte se n’è vantato: «Non siamo professionisti della politica»). Un’ecatombe.
Tutti «zombie», inchiodati come farfalle morte nell’album digitale del loro creatore. Altri si erano già persi per strada. Il filosofo calabrese Nicola Morra, che è ancora incollato alla poltrona dell’Antimafia. Paolo Bernini, complottista e animalista, che licenziò l’assistente, colpevole di non essere vegano. Il funambolico Gianluigi Paragone, no vax e no euro, che alle elezioni potrebbe superare il 3 per cento con la sua Italexit.
Grillo l’aveva già detto nel 2012, durante il «massacrotour»: «Il futuro del Movimento è sciogliersi».
Futuro vicino: qualcuno pensa che il fondatore da un momento all’altro potrebbe andarsene, portandosi via la palla e il simbolo.
Ingenuità: da poco ha firmato un contratto come consulente e riceve 300 mila euro dal Movimento. La dissipatio grillina è quasi compiuta, anche se nel Paese non si è dissolto l’humus del populismo. Ci sono ancora gli scontenti, i frustrati, i malpagati. La società del rancore è ancora qui. Solo che troverà altri sfoghi, altre vie di fuga. Di Battista e Raggi, dicono, sono pronti a riprendersi il Movimento, dopo le elezioni. Bisogna vedere cosa ne resterà.
(da il Corriere della Sera)
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