IL PROGETTO DI DRAGHI, ENTRIAMO NEL MERITO: ASPETTI POSITIVI, NEGATIVI E SILENZI
PANDEMIA, RECOVERY E RIFORME, COSA HA IN MENTE IL PREMIER
Il lungo silenzio di Mario Draghi si rompe alle 10.16. Quando nell’aula del Senato inizia ad illustrare le linee programmatiche di quello che battezza come “il governo del Paese”
Eccola l’agenda.
PANDEMIA
Il perno è il cambio di passo sui vaccini perchè “combattere con ogni mezzo la pandemia” – dice – è “il principale dovere”. Ecco cosa ha detto il presidente del Consiglio. E quali scenari si aprono con le sue parole.
La spinta alla campagna di vaccinazione. Così cambierà il modello Arcuri
La prima priorità per ripartire indicata da Draghi è voltare pagina sul piano di vaccinazione. Il passaggio clou: “La nostra prima sfida è, ottenutene le quantità sufficienti, distribuirlo rapidamente ed efficientemente. Abbiamo bisogno di mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare, ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari. Non dobbiamo limitare le vaccinazioni all’interno di luoghi specifici, spesso ancora non pronti: abbiamo il dovere di renderle possibili in tutte le strutture disponibili, pubbliche e private”. La direzione politica è l’accelerazione. Alle 7 di oggi, secondo quanto riporta il contatore online della struttura commissariale per l’emergenza guidata da Domenico Arcuri, sono stati somministrati poco più di 3 milioni di vaccini (3.122.631). Il metodo apre a una revisione profonda del modello Arcuri.
La priorità per Draghi non è la testa della macchina (almeno ad oggi), ma come funziona. Quindi un ruolo più forte dell’esercito e delle forze armate, ma anche dei volontari.
I luoghi “spesso ancora non pronti” rimandano alle primule incompiute di Arcuri, i grandi padiglioni da installare nelle piazze per “fare rinascere l’Italia come un fiore” (il copyright dello slogan è di Arcuri, avallato da Conte). Il nuovo modello di Draghi guarda a una vaccinazione a tappeto. In questo senso si apre a un coinvolgimento maggiore della Protezione civile. Più operatori e più luoghi dove fare i vaccini. Quindi palestre, fiere, camioncini per strada.
Un altro indizio del cambio di contenuto del piano di vaccinazione lo dà sempre Draghi quando dice che bisogna fare “tesoro dell’esperienza fatta con i tamponi che, dopo un ritardo iniziale, sono stati permessi anche al di fuori della ristretta cerchia di ospedali autorizzati”. Fine della logica esclusiva dell’ospedalizzazione dei vaccini, che si tira dietro intasamenti e ritardi nel sistema delle prenotazioni.
Cosa non quadra
Giusto accelerare coinvolgendo protezione civile, esercito e volontari, ma il problema di fondo è un altro: procurarsi i vaccini da chi li produce, dando per scontato che la richiesta è ad oggi superiore all’offerta. Possiamo avere 10.000 militari, 5.000 tende da campo, migliaia di addetti alla vaccinazione con la siringa pronta in mano ma se mancano le dosi di vaccino sono tutte chiacchiere. E su questo Draghi non ha detto nulla su come intende procedere. Fino ad oggi non sono stati con le mani in mano, visto che quasi tutti i vaccini sono stati iniettati alle categorie previste, ovvio che senza i vaccini non si può procedere. L’accenno alla “strutture private” è pericoloso perchè c’e’ il rischio di aprire a un mercato parallelo e in Italia si sa come va a finire.
RIFORMA DELLA SANITA’
Dice Draghi: “Il punto centrale è rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale, realizzando una forte rete di servizi di base (case della comunità , ospedali di comunità , consultori, centri di salute mentale, centri di prossimità contro la povertà sanitaria)”. Queste considerazioni guardano a un’evoluzione del sistema sanitario nazionale ancora largamente incompiuta. Il Ssn è fortemente centralizzato sulle strutture ospedaliere e sulle Asl. La spinta di Draghi guarda alla telemedicina per non intasare pronti soccorso e più in generale i reparti degli ospedali e all’assistenza domiciliare integrata. Quest’ultima altro non è che la “filiera” che tiene insieme l’Asl, il medico di famiglia e il paziente. Spesso soggetta a problemi di comunicazione e organizzazione. La scommessa, ora, è renderla più fluida ed efficiente. La base sociale di questo disegno è “rendere finalmente esigibili i livelli essenziali di assistenza”.
Cosa non quadra
In teoria quadra tutto, ma lo sentiamo dire da anni mentre contestualmente si è andati nella direzione opposta, smantellando le strutture sanitarie territoriali, favorendo la sanità privata ( e nel governo Draghi sappiamo bene chi rappresenta le speculazioni dei privati). Manca una dichiarazione chiara da parte di Draghi sul ruolo prioritario della sanità pubblica rispetto agli interessi dei grandi gruppi della Sanità privata (privata negli utili e finanziata dalle Regioni). Non è questione solo di maggiore organizzazione ma di scelte di politica sanitaria.
SCUOLA
La scuola in presenza (anche in estate), lezioni pomeridiane. La formazione dei docenti per spingere gli istituti tecnici
“Non solo dobbiamo tornare rapidamente a un orario scolastico normale, anche distribuendolo su diverse fasce orarie, ma dobbiamo fare il possibile, con le modalità più adatte, per recuperare le ore di didattica in presenza perse lo scorso anno, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno in cui la didattica a distanza ha incontrato maggiori difficoltà ”. Per Draghi la didattica a distanza ha sostanzialmente fallito. Nella prima settimana di febbraio, con un meccanismo quindi a pieno regime, solo il 61,2% degli studenti delle superiori (i numeri li dà lo stesso premier) ne ha usufruito. La direzione è quella di un’intensificazione del ritorno degli studenti nelle aule. Ma anche di un allungamento del calendario scolastico. L’orizzonte, al di là della data precisa, è tenere dentro anche l’estate, quantomeno una parte. Anche con lezioni pomeridiane.
Come la sanità , anche la scuola ha una doppia prospettiva. In quella più larga, Draghi contempla “una transizione culturale a partire dal patrimonio identitario umanistico riconosciuto a livello internazionale”. Nel menù delle materie potrebbero arrivare nuove materie di studio. Ma è sugli istituti tecnici che Draghi mette l’accento. I modelli sono la Germania e la Francia. La stima che motiva la direzione: nel quinquennio 2019-2023 serviranno circa 3 milioni di diplomati di istituti tecnici per il digitale e per l’ambiente. Nel Recovery plan ci sono a disposizione 1,5 miliardi, uno stanziamento superiore di venti volte al finanziamento di un anno normale, pre-pandemia. Qui per Draghi la questione non è economica (considerando che le risorse ci sono), ma di metodo. Va bene calare soldi negli istituti tecnici, ma il personale docente deve essere formato adeguatamente. Il digitale corre, le politiche sull’ambiente si fanno più integrate e molto più evolute rispetto all’ambientalismo tout court degli ultimi dieci anni. Anche la scuola – è il ragionamento del premier – deve tenere il passo. Stessa logica per l’università .
Cosa non quadra
La didattica a distanza era e rimane l’unica possibilità per poter insegnare in tempi di pandemia. Draghi non dice che, a causa della riapertura delle scuole, il numero dei contagi è aumentato (basta leggere i dati delle riviste scientifiche europee) persino nelle scuole di primo grado, la scuola non ha bisogno di demagogia. Come si fa dire in questo momento, con l’aumento previsto dalla variante inglese, che bisogna prolungare i tempi (fino a luglio e agosto?) quando non sappiamo che situazione avremo tra qualche mese?
Poi finiamola con la storia dei “ragazzi che vogliono tornare a scuola”: i giovani vanno a scuola per socializzare, per vedere gli amici, perchè i genitori li vogliono a scuola così sono liberi di andare al lavoro o avere qualche ora di respiro, nessuno muore se non va a scuola, qaulcuno rischia di morire se ci vanno.
Condividiamo la parte che riguarda preparazione e indirizzo degli istituti professionali, alla luce delle nuove specializzazioni del futuro.
LAVORO, LICENZIAMENTI E POLITICHE ATTIVE
Draghi non dà indicazioni dettagliate sul blocco dei licenziamenti che scadrà il 31 marzo. Dà però una lettura dell’impatto che avrà lo sblocco: “La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento”. Insomma, il colpo sarà durissimo. In linea con un’economia che tornerà ai livelli pre-pandemia non prima della fine del 2022. I danni sono già tanti. I nuovi poveri, secondo i dati dei centri di ascolto Caritas, sono passati dal 31% al 45%. Quasi una persona su due si rivolge a questi centri per la prima volta. I 444mila posti di lavoro persi, il peso della “disoccupazione selettiva” su giovani, donne. Quasi tutto sui precari. Sugli autonomi se l’ottica è quella della tipologia di lavoro. L’impennata delle disuguaglianze.
Draghi punta tutto sulle politiche attive. Sono quelle che servono per reinserire i disoccupati nel mondo del lavoro. E questo è un primo indizio che spinge a pensare che il blocco dei licenziamenti non sarà prorogato. Quantomeno non per tutte le aziende e i lavoratori. È qui uno dei punti di maggiore discontinuità rispetto al governo Conte. La logica del vecchio governo è stata quella di blindare il lavoro con il blocco dei licenziamenti per un anno (caso unico in Europa). Il colpo della crisi è stato fortissimo con il lockdown nazionale della scorsa primavera, ma questo schema è stato mantenuto anche dopo che il virus ha contenuto la sua corsa e con l’allentamento delle restrizioni. Le politiche attive sono state declamate da tutti, dai 5 stelle al Pd, ma mai spinte davvero. Anzi. La pandemia non solo non ha costituito un’occasione per potenziare le politiche attive, ma ha affossato anche il disegno partito già con il Conte 1, quando le stesse politiche sono state riformulate con la nascita dei navigator e la gestione dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, affidata a Mimmo Parisi.
Draghi prova a tirare fuori le politiche attive da questa secca. Fa un riferimento esplicito a un cambio di passo. Qui le prospettive sono due. La prima è ridisegnare l’assegno di riallocazione. Quindi cambiare il sistema dei voucher per i disoccupati, in linea con una nuova prospettiva delle azioni che devono aiutare i lavoratori senza impiego a cercarne uno. La seconda è rafforzare le dotazioni di personale dei centri per l’impiego. Il premier non nomina i navigator. Anzi parla di più personale “in accordo con le Regioni”. Una differenza sostanziale, che guarda al sistema delle politiche attive precedente all’innesto dei navigator. È anche una questione di tempi. Le politiche attive devono partire subito: verranno tirate fuori dal Recovery plan e anticipate.
La prospettiva più larga guarda a un possibile scambio. Politiche attive che funzionano e una riforma degli ammortizzatori sociali per allargare e potenziare il periodo non lavorativo possono controbilanciare lo stop al blocco dei licenziamenti.
Cosa non quadra
Anche qui pare che il problema sia “come ricollocare i lavoratori”, se “i voucher funzionao o no”, se “gli uffici del lavoro sono efficienti o meno”, quando il problema è a monte; il lavoro non c’e’! E dove c’è in teoria, non c’è manodopera specializzata. Allora Draghi dovrebbe spiegare: a) come intende sostenere i “nuovi poveri” in aumento b) come intende creare nuovi posti di lavoro. Altrimenti facciamo solo filosofia.
Intanto il reddito di cittadinanza va riformulato, inutile collegarlo alla ricerca del lavoro che non esiste. Diventi un sussidio vero e proprio da destinare a chi ne ha veramente bisogno. Fuori tutte le pratiche e accertamenti a tappeto. Poi si toglie ai truffatori e si aumenta ai veri bisognosi. Ma di questo nel discorso di Draghi non c’e’ traccia.
AIUTI SELETTIVI ALLE IMPRESE
Il passaggio chiave è questo: “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche”. La logica della selettività . Gli aiuti alle imprese non più a pioggia, ma a chi ha avuto perdite effettive a causa della crisi provocata dal virus. I prossimi ristori non andranno a tutti. Una linea che combacia perfettamente con quella dell’Europa e che in tal senso segna una continuità con l’ultima fase del governo Conte. Dopo una lunga stagione di aiuti a tutti, il decreto Ristori 5 messo in cantiere al Tesoro guidato da Roberto Gualtieri era incentrato sul criterio della selettività . Draghi seguirà questa strada. La visione: alcune aziende non ce la faranno, inutile dare soldi ad attività che non hanno futuro. Ancora di più a quelle che erano in crisi già prima della pandemia.
Cosa non quadra
Finalmente un cambio di linea, peraltro previsto da Gualtieri e dall’Europa. Basta ristori a tutti i questuanti, basta 25.000 di prestiti a tutti senza garanzie, basta 200.000/500.000 euro di prestiti garantiti dalo Stato che se uno non paga alla fine pagheranno tutti i contribuenti italiani. Chi vuole fare impresa sa i rischi che corre, nessuno l’ha obbligato. Abbiamo sputtanato almeno 50 miliardi per finanziare soggetti che hanno decine di migliaia di euro in banca, vogliamo dirlo? Quello che va verificato è un altro aspetto: chi decide se una azienda va ancora aiutata e chi no? Draghi pensa veramente che in un sistema come quello italiano attuale i quattrini non finiscano nelle tasche dei soliti raccomandati con appoggi politici? Quando avrà creato una struttura affidabile sui controlli siamo pronti a dargliene atto, ma senza quello le perplessità restano.
E ancora: perchè non finanziare progetti imprenditoriali di giovani piuttosto che certe aziende obsolete? Se vogliamo aiutare i giovani si dia loro la possiblità di mettersi in gioco: basterebbe qualche decina di migliaia di euro di aiuto iniziale e nascerebbero tante attività nuove nei più svariati campi, dalle partite Iva al turismo, dal commercio alle nuove tecnologie, imprese fresche con voglia di lavorare e non di mendicare sussidi.
FISCO
La riforma fiscale. No alla flat tax, semplificazione delle aliquote per l’Irpef
Innanzitutto bisogna coinvolgere gli esperti. La critica rimanda a chi nella politica si è avventurato. Gli 80 euro di Matteo Renzi sono un esempio. Ma anche tanti altri interventi spot di altri governi. Per quel che verrà alcune prospettive si possono delineare chiaramente. Niente flat tax: la bandiera dei leghisti non vedrà la luce. Ci sarà invece una “revisione profonda dell’Irpef”. La direzione ipotizzabile è quella di una modifica dell’assetto che oggi poggia su cinque scaglioni e altrettante aliquote. Chi pagherà meno tasse potrebbe essere il ceto medio. Gli interventi possibili, quindi, sul terzo scaglione, quello che oggi ha un’aliquota del 38% per i redditi compresi tra 28.001 e 55.000 euro. Accento di Draghi anche sulla necessità di potenziare l’azione di contrasto all’evasione fiscale.
Cosa non quadra
Giusto il No alla flat tax che favorisce solo i ricchi, giusta l’imposta progressiva ma inutile illudersi che in tempi brevi si possano ridurre le tasse se non attraverso il gioco delle rimoludazioni minime (un 2% in meno al ceto medio, un 2% in più a più abbienti). Draghi avrebbe dovuto avere il coraggio di dichiarare che l’obiettivo primario è far entrare nelle casse dello Stato almeno il 50% delle imposte evase, ovvero 50 miliardi. E con questi allora sì che si possono ridurre le tasse. Dando un segnale semplice: chi evade tradisce il Paese e da domani non avremo pietà . Dopo di che creare una struttura che compia almeno tre milioni di accertamenti l’anno e la galera per chi evade più di 50.000 euro l’anno. Agli evasori andrebbe sempre meglio che in certi Paesi dove finiscono con una corda al collo.
PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E GIUSTIZIA
La novità più importante è un piano di smaltimento dell’arretrato che si è accumulato negli uffici a causa della pandemia. Dovranno farlo gli uffici pubblici e i cittadini dovranno conoscerlo. Poi più tecnologia e assunzioni sprint, intervenendo con l’accetta sulle attese di decine di migliaia di candidati. Resta coperto invece l’indirizzo sullo smart working. Oggi lavora da casa circa il 40% dei dipendenti pubblici. E le regole snelle per il lavoro agile sono state prolungate fino al 30 aprile. Bisognerà qui capire come e se si ritornerà verso una metodologia di lavoro pre Covid.
La riforma della giustizia civile punta su più personale e sullo smaltimento degli arretrati
Bisognerà “aumentare l’efficienza del sistema giudiziario civile, attuando e favorendo l’applicazione dei decreti di riforma in materia di insolvenza, garantendo un funzionamento più efficiente dei tribunali, favorendo lo smaltimento dell’arretrato e una migliore gestione dei carichi di lavoro, adottando norme procedurali più semplici, coprendo i posti vacanti del personale amministrativo, riducendo le differenze che sussistono nella gestione dei casi da tribunale a tribunale e infine favorendo la repressione della corruzione”.
Quello che non torna
Sono 40 anni che sentiamo questi discorsi, ma se poi non si assume restano solo le chiacchiere. Come fai a smaltire l’arretrato con lo stesso personale?
IL SUD
Fa specie che al Sud Draghi non abbia dedicato una parola, aspettiamo che affronti il problema con proposte concrete.
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