ILVA, IL RICATTO DI ACELOR E IL GRANDE SUCCESSO DEL M5S: 5.000 LAVORATORI A CASA
LA PRODUZIONE MONDIALE VEDE UN ECCESSO DI OFFERTA E LE AZIENDE DEVONO NECESSARIAMENTE RIDURLA… ILVA TARANTO: DA 8 A 4 MILIONI DI TONNELLATE
Nei giorni scorsi l’ILVA era stata al centro di un piccolo caso tra il governo M5S-PD e la maggioranza che lo sostiene in Parlamento con l’abolizione dello scudo penale che era legato all’esecuzione del Piano ambientale fino all’agosto 2023, che erano state concesse lo scorso agosto ad ArcelorMittal con il decreto “salva imprese”.
Nell’occasione stupiva il silenzio di ArcelorMittal che aveva sostenuto di essere intenzionata a chiudere lo stabilimento di Taranto a giugno senza scudo ma adesso, anche dopo il cambio al timone della struttura italiana, si era chiusa in uno strano silenzio.
Spiega oggi infatti Repubblica che il colosso franco-indiano che a settembre dello scorso anno, al termine di una lunghissima trattativa, aveva acquistato l’azienda, sta per chiedere di rivedere il contratto.
E a testimoniare il nuovo corso c’è stato anche il cambio di management: la scorsa settimana è finito il tempo di Matthieu Jehl, che aveva pensato il piano di rilancio di Ilva. Ed è cominciato quello di Lucia Morselli, la lady di ferro che, per far capire a tutti quanto l’aria fosse cambiata, ha subito detto ai sindacati: «Va ridisegnata l’azienda. Qui bisogna cercare di guadagnare i soldi per gli stipendi».
Cosa sta succedendo?
Sta succedendo che l’eccesso di produzione di acciaio in Europa sta portando Arcelor Mittal a prevedere un dimezzamento degli obiettivi produttivi a Taranto: da 8 milioni a circa 4 milioni.
Ma in tutto il mondo c’è un eccesso di offerta: circa 550 milioni di tonnellate. Con una riduzione drastica dell’attività appare inevitabile un taglio anche della forza lavoro: sono previsti dai 4 mila ai 5 mila esuberi.
«Volete lo stop alla produzione a caldo? Significa mandare a casa cinquemila persone»
L’azienda ha in mano un accordo assai oneroso: sono previsti investimenti per 2,4 miliardi. Investimenti che dovevano essere garantiti da una produzione da 6 milioni di tonnellate annue, che dovevano arrivare fino a otto.
Oggi Ilva non riesce ad andare oltre le quattro, anche perchè due degli altoforni sono chiusi per i lavori di ambientalizzazione (e un terzo era stato fermato dalla Procura).
Così, hanno detto ieri i vertici di Arcelor al ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli, non si può andare avanti. Il ministro aveva capito perfettamente quanto la questione fosse delicata.
Tanto che poche ore prima era andato in Aula al Senato a dire: «Bisogna tenere insieme la capacità produttiva, la capacità di dare risposte occupazionali e l’impossibilità di continuare in una strada che ha ammalato una popolazione. Sono elementi dovranno stare insieme in un ragionamento complessivo che dovremo fare e che faremo insieme all’azienda». Potrebbe non bastare.
Secondo il Messaggero per l’azienda resta necessario anche trovare un paracadute che metta al sicuro da incursioni giudiziarie e legali i manager che attuano il piano ambientale.
Al governo Arcelor Mittal ha dato anche un termine per trovare una soluzione definitiva: due settimane, massimo tre. Dopo di che la prospettiva del “fine avventura” (con tanto di strascichi legali per danni) potrebbe essere più vicina.
(da “NextQuotidiano”)
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