IMMIGRAZIONE, ACCISE E ALTRI GUAI: FINITA LA LUNA DI MIELE DELLA PREMIER
AL PROSSIMO CONSIGLIO DEI MINISTRI LA MELONI CHIEDERA’ AI MINISTRI DI PARLARE MENO
Al primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva, il 28 agosto, alla premier toccherà alzare la voce e sperare che stavolta i ministri la ascoltino. Le sparate dai componenti dell’esecutivo sono praticamente quotidiane e non aiutano l’indice di gradimento, in una estate in cui la destra è alle prese con alcuni boomerang niente male in termini di consenso: sicurezza, caro-vita, mancati ristori per gli alluvionati dell’Emilia-Romagna.
Premesse pessime per chi, in autunno, dovrà preparare una manovra con la cassa vuota e quindi ad alto rischio di nuove proteste. Da qui il diktat: “Cari ministri, parlate di meno”.
Il consenso preoccupa Palazzo Chigi, insomma, anche perché ai tempi dell’opposizione era facile soffiare sul fuoco di alcuni temi popolari, perciò adesso Fratelli d’Italia e Lega si vedono rinfacciate come per contrappasso quelle antiche crociate.
Su tutte l’immigrazione, con Giorgia Meloni convinta sostenitrice del “blocco navale” e Matteo Salvini che ha costruito una fortuna con le clip social sui “35 euro al giorno a immigrato” e sulla retorica contro le “risorse della Boldrini”.
Adesso sono i sindaci di centrodestra del Nord a essere infuriati con il governo: lamentano che non si possa scaricare sui Comuni la responsabilità di non sapere come gestire i flussi, la cui colpa viene attribuita da Roma ora ai mercenari della Wagner ora all’opinione pubblica italiana troppo buona con chi arriva. La rivolta dei sindaci, senza una lira e con le palestre destinate da un giorno all’altro all’accoglienza, è una dura crepa nella maggioranza, anche perché i numeri degli sbarchi (più di 100 mila da inizio anno, più che doppiati i valori rilevati ad agosto 2022, triplicati i dati del 2021) fanno a pugni con gli sbandierati successi di Meloni nei rapporti con il Nord Africa, a partire da Libia e Tunisia.
Non va meglio con la benzina, uno di quei temi (vale per le bollette e poco altro) che hanno impatto immediato nella quotidianità. Il problema non è tanto l’incremento, giustificabile in vario modo e anche con qualche ragione. Il problema il pregresso dei protagonisti, visto che sia Meloni che Salvini per anni si sono concessi show in favore di telecamere promettendo decisi tagli delle accise non appena fossero stati al governo. Nulla è successo, nonostante la cesoiata alle odiate imposte fosse anche nel programma elettorale della coalizione alle ultime elezioni, e così i prezzi salgono da 17 settimane consecutive. Una prateria per le proteste dell’opposizione, che ieri con la dem Debora Serracchiani ha ricordato al governo che “le conseguenze del caro-carburanti si riflettono sui prezzi di tutte le filiere dei beni essenziali e i redditi fissi ne soffrono di più”. Come a dire: con la benzina sopra i 2 euro al litro non ci vorrà molto per vedere prezzi gonfiati anche al supermercato. Eppure niente, “le accise non si toccano”, ribadisce il ministro Adolfo Urso, e quando Mario Draghi intervenne “era un momento eccezionale”. Sarà, ma anche nel febbraio di quest’anno Salvini assicurava che il governo avrebbe messo una toppa se la situazione fosse peggiorata: “Se si arrivasse sopra i 2 euro al litro, il governo interverrà, come è stato già fatto l’anno scorso”. Oggi siamo su quelle cifre, ma non c’è alcun provvedimento all’ordine del giorno.
Il guaio di immagine sul caro-carburante si unisce poi a un disastro forse ancora sottovalutato fuori dall’Emilia-Romagna, eppure gravissimo: le vittime dell’alluvione di maggio non soltanto lamentano i ritardi nei risarcimenti (come si legge nell’articolo accanto), ma si sentono anche abbandonati da un esecutivo che ha impiegato settimane per scegliere un commissario per la ricostruzione (Francesco Paolo Figliuolo, peraltro strappato alla crisi militare in Niger) dovendo districarsi tra paletti e veti politici.
Quanto basta per agitare fin d’ora il pensiero dell’autunno, dato che una legge di bilancio con pochi fondi a disposizione costringerà il governo ad altre scelte dolorose in termini di gradimento, senza neanche più poter contare sulla consueta “luna di miele” di consensi che lo scorso anno attenuò gli effetti delle misure più impopolari.
(da editorialedomani.it)
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