IN TRAPPOLA A GAZA, SENZA RIPARO: “NON HO CIBO PER MIA FIGLIA, SE ANCHE CI SPOSTIAMO DOVE ANDIAMO?”
“GAZA E’ FINITA, TUTTO QUELLO CHE CI GARANTIVA ALMENO UNA VITA DECENTE ORA NON C’E’ PIU'”
“Oggi è venerdì. È passata una settimana dall’inizio della guerra. La gente sta evacuando Gaza, stanno andando a sud. Si muovono tutti a piedi, non ci sono auto disponibili. La mia famiglia è già scappata, io e mio fratello stiamo aspettando una macchina che venga a prenderci. Ho detto addio alla mia famiglia, perché non so se li rivedrò”.
Karam parla ad Huffpost dalle strade di Gaza. Ci invia un video. Si interrompe, perché spesso si sentono esplosioni. Cammina in mezzo ai palazzi distrutti dai bombardamenti, mentre dietro di lui si vedono decine di persone, tra cui bambini, donne, anziani, scappare per le strade, a piedi. Fuggono verso Sud, prima che l’esercito israeliano cominci la sua operazione nel nord, prevista tra poche ore.
Sono momenti di attesa per Gaza, che si dilatano e si restringono, a seconda delle notizie che arrivano, spesso discordanti tra loro. Attesa di una distruzione ancora più vasta di quella che già c’è. Se la Striscia, già prima di questa guerra, era una prigione a cielo aperto, oggi lo è ancor di più. L’esercito israeliano ha ordinato a 1milione e 100 mila abitanti del nord di Gaza di trasferirsi nel sud dell’enclave entro le 20 di stasera (le 19 in Italia). Dal cielo, attraverso i droni, piovono volantini raccolti dalle persone: sono diffusi dall’esercito, che chiede di andare via il prima possibile. Hamas, invece, esorta a restare, sostenendo che l’avviso di ricollocazione da parte di Israele è stato un tentativo da parte israeliana “di trasmettere e diffondere falsa propaganda, con l’obiettivo di seminare confusione tra i cittadini e danneggiare la nostra coesione interna”. I miliziani erigono posti di blocco e barriere per impedire agli abitanti di lasciare Gaza City.
Stretti tra gli ordini delle due parti in conflitto, nella prigione senza aria, come sempre, ci sono loro, i civili, le persone. Un corrispondente di Al Jazeera racconta che sono migliaia le persone che si stanno dirigendo verso sud. ”Lungo la strada – racconta il giornalista – ho visto migliaia di persone portare con sé i propri figli. Alcuni portavano materassi o piccole borse con dentro tutto ciò che potevano portare con sé, cose essenziali come vestiti per i loro figli e i documenti necessari”. Una cooperante italiana di “Azione Contro la Fame”, che si trova nella striscia di Gaza insieme a 19 colleghi, sta seguendo l’esodo. “Stanno scappando tutti a piedi” afferma. Le organizzazioni umanitarie presenti a Gaza si sono già spostate a sud della Striscia per monitorare la situazione. “Abbiamo fatto ‘una ibernazione’, cioè le varie organizzazioni si sono riunite nello stesso posto e poi è stato organizzato un convoglio con macchine che si sono mosse tutte insieme” racconta Chiara Saccardi, responsabile Medio Oriente di “Azione contro la Fame”. “Ci sono tante voci che dicono che Hamas non lascia passare per fuggire a sud, io non so cosa stia succedendo. Ma so che Gaza è finita” commenta con Huffpost Karam.
Gaza è finita, perché anche le possibilità di fuggire, che già prima di questo conflitto e dell’assedio di Israele erano remote, ora sono praticamente assenti. Israele chiede alle persone di evacuare, ma non ci sono macchine e non c’è benzina. “Ordinare a un milione di persone a Gaza di evacuare, quando non c’è un posto sicuro dove andare, non è un avvertimento efficace. Le strade sono macerie, il carburante scarseggia e l’ospedale principale si trova nella zona di evacuazione” spiega Clive Baldwin, di Human Rights Watch. Critica sull’ordine di evacuazione dato da Israele anche l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa). ”Ciò porterà solo a livelli di miseria senza precedenti e spingerà ulteriormente la popolazione di Gaza nell’abisso” ha detto il commissario dell’agenzia Onu, Philippe Lazzarini. Più di 423mila persone sono già state sfollate, ha affermato Lazzarini. L’Onu condanna la decisione di Israele, considerando “impossibile un tale movimento senza devastanti conseguenze umanitarie”.
Intervistata da HuffPost, la direttrice Unrwa Marta Lorenzo Rodriguez racconta della tragedia in corso spiegando che “l’agenzia affronta una crisi senza precedenti. Ad ora, abbiamo oltre 230mila sfollati che risiedono nei nostri centri, tra scuole, presidi medici e il nostro Hedquarters. Nelle zone dove è stata ordinata l’evacuazione ci sono molte persone del nostro staff, impiegate nell’aiuto dei civili, che stanno rischiando ogni momento la propria vita. Fornire supporto umanitario in questo momento è impossibile, non veniamo ascoltati: abbiamo sottolineato al governo israeliano che non ha alcun senso logico pensare di poter trasferire un milione e mezzo di abitanti a sud in 24 ore. Come possiamo farcela? È diventata una scelta che dipende dalle persone, noi non possiamo fare niente se non avvisare”.
Una situazione che mette in pericolo tutti, anche i funzionari umanitari impiegati nella gestione della crisi: “Il nostro staff rischia la vita costantemente. Abbiamo perso 11 dei nostri dipendenti a causa dei bombardamenti. Ciò che è assurdo è che abbiamo sempre segnalato alle autorità israeliane della presenza di persone all’interno delle strutture. Oggi in un attacco ad un altro edificio sono rimasti feriti due dei nostri volontari, uno dei quali è in gravi condizioni. I danni possono essere causati da bombardamenti diretti o da crolli collaterali, ma comunque il numero di vittime cresce e ne hanno responsabilità. Il nostro Headquarters nel quartiere di Rimal, a Gaza City, ha subito danni irreparabili. Sembra quasi che non ci prendano in considerazione. È necessario ricordare che deve essere garantita, per legge internazionale, la sicurezza dei civili e l’accesso al supporto umanitario”. Secondo il presidente palestinese Abu Mazen, “lo sfollamento dalla Striscia di Gaza equivarrebbe ad una seconda ‘Nakba’ per il nostro popolo”, la catastrofe che i palestinesi hanno affrontato nel 1948, quando circa 760mila palestinesi sono fuggiti o sono stati espulsi dalle loro case durante la guerra che ha coinciso con la creazione di Israele.
“Hanno mandato un messaggio nelle scuole dove va anche nostra figlia, dicendo che i bambini devono lasciare la scuola e andare verso il sud della striscia. Ma come facciamo? È una situazione disastrosa e paradossale. Nel nord di Gaza abitano 1 milione e 100 mila persone. Come possono riuscire a scappare? Non c’è luce, non c’è il cibo, non c’è l’acqua, non c’è benzina. Non ci sono le macchine” racconta ad Huffpost Mohammed, anche lui intrappolato.
Il problema maggiore, poi, è evacuare le persone fragili, i malati, i bambini, o le persone che si trovano negli ospedali. “Gaza è una delle aree più densamente popolate nel mondo. Uno spostamento così rapido di una quantità così ingente di persone causerà la separazione di intere famiglie e le persone più vulnerabili saranno lasciate indietro. Come faranno a scappare le donne incinta? O le persone con i bambini?” si chiede Wisam Shweiki – Responsabile dei Programmi per ActionAid Palestine. È la stessa Oms a lanciare l’allarme sui pazienti gravi. “Lo spostamento di persone gravemente malate da Gaza equivale a una condanna a morte” afferma l’Organizzazione. Le autorità sanitarie locali di Gaza fanno sapere che é impossibile evacuare i pazienti ospedalieri: ”Ci sono persone gravemente malate le cui ferite significano che la loro unica possibilità di sopravvivenza è l’uso di dispositivi di supporto vitale, come i ventilatori meccanici”.
Senza dimenticare che neanche il sud della striscia di Gaza è sicuro. Una massa così grande di persone sarà un fardello pesante per le infrastrutture del sud, che non sono in grado di sopportare tale pressione. “Se un milione e 100 mila persone si trasferiscono tutte insieme nel sud sarà il caos totale” commenta con Huffpost Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia. “Anche là mancano acqua, energia elettrica e risorse di cibo. Dove staranno le persone? Che cosa mangeranno? Come sopravviveranno? I confini sono chiusi e non ci è ancora stato permesso di portare aiuto o medicinali per le emergenze. La situazione è disumana e disperata” continua ActionAid.
C’erano poche cose che ancora si potevano fare a Gaza prima di questa guerra. Usare il proprio telefono, comunicare, mangiare, bere. Quando si riusciva, prima, si sopravviveva. Ora non è più possibile neanche fare quello. Due giorni fa l’unica centrale elettrica di Gaza ha smesso di funzionare dopo aver esaurito il carburante a disposizione, lasciando milioni di persone senza corrente. È impossibile caricare i dispositivi elettronici, la rete internet non funziona e comunicare con i propri cari è quindi diventato molto difficile. “Ci manca l’acqua, ci mancano le medicine, ci manca tutto, non abbiamo il cibo da dare ai nostri bambini” ci dice Mohammed. “Non posso neanche uscire per strada a cercare il poco cibo disponibile, perché ho paura che mi succeda qualcosa” continua. “Tutte le poche infrastrutture che ci garantivano prima una vita quanto meno decente, ora non esistono più” aggiunge Karam. Almeno sei pozzi d’acqua, tre stazioni di pompaggio, un serbatoio d’acqua e un impianto di desalinizzazione che serve più di un milione di persone sono stati danneggiati dagli attacchi aerei. In alcuni video pubblicati sui social network dalla reporter Plestia Alaqad si vedono file lunghissime di persone in coda davanti ai pochi negozi che ancora hanno dell’acqua.
La situazione peggiore negli ospedali. L’Oms fa sapere che “il sistema sanitario a Gaza è sul punto di rottura dopo 34 attacchi da sabato. Il tempo sta scadendo per prevenire una catastrofe umanitaria”. Gli attacchi, continua l’Oms, hanno provocato la morte di 11 operatori sanitari, 16 feriti e danni a 19 strutture sanitarie e 20 ambulanze. “A Gaza gli ospedali sono al collasso – afferma Noury – le incubatrici non funzionano, gli interventi di chirurgia urgente, la terapia intensiva che già prima del conflitto erano qualcosa di estremamente precario, ora sono impossibili”. “Hanno bombardato l’ospedale che c’è qui vicino a noi. Gli ospedali non hanno abbastanza posti per tutti i feriti e poi mancano le medicine” dichiara Mohammed.
E poi le scuole, le università, anche quelle, raccontano Mohammed e Karam sono state bombardate. Alcune di queste, fino ad ora, erano il rifugio da possibili raid aerei. Un video pubblicato dal giornalista Motaz Azaiza mostra donne in lacrime coi bambini piccoli in braccio e altre persone che cercano rifugio nelle scuole. “Ieri sono state bombardate diverse scuole, ci sono centinaia di bambini morti” afferma Karam. Ora l’esercito israeliano fa sapere che controllerà i bombardamenti per rendere più sicura l’evacuazione richiesta ai civili. Il portavoce militare israeliano Daniel Hagari ha affermato che l’Idf “cercherà di evitare di colpire luoghi sensibili come gli ospedali in caso di raid aerei”. “Ma Gaza è già morta” sostiene Karam. Il ministero della Salute palestinese ha riferito che è il bilancio è salito a 1.799 vittime palestinesi e 6.388 feriti nella striscia.
“Prima del problema dell’acqua, c’è quello dell’elettricità – spiega ad Huffpost Lorenzo Rodriguez – Nelle nostre strutture non possiamo più pompare acqua per renderla potabile, perché i generatori sono fuori uso, non abbiamo corrente o carburante. A gaza è impossibile mantenere una adeguata fornitura d’acqua senza carburante. Alcuni dei nostri centri sono ancora attivi, ma non durerà a lungo di questo passo. Siamo molto preoccupati, con un flusso sempre maggiore di persone che sta arrivando nelle strutture non reggeremo. In un’intervista qualche giorno fa dicevamo che si stava profilando una catastrofe umanitaria. Oggi posso dirti che è la catastrofe è arrivata. ب necessario che si attivino i corridoi umanitari immediatamente, o la gente morirà”.
Riusciamo a rimetterci in contatto con Karam. ب arrivato a sud. Ci parla da una casa dalle mure bianche. Fuori dalla finestra si sentono urla e lo scoppio delle bombe. “Sono lanciate dagli aerei” commenta Karam. “Abbiamo bisogno di aiuti umanitari. La gente sta morendo. Anche la gente che evacua al sud poi si trova senza nulla” dice. Al suo grido si aggiunge quello di Mohammed: “Vogliamo un futuro per la nostra figlia, vogliamo uscire di qui, vogliamo solo vedere il sole”.
(da Huffingtonpost)
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