IRAN, IL MEDICO DISSIDENTE: “SPARANO AGLI OCCHI DEI MANIFESTANTI, MA QUESTA VOLTA IL REGIME CADRA’, IL POPOLO LO SPAZZERA’ VIA'”
“MI RACCONTANO COSE ORRIBILI, UNA REPRESSIONE MAI VISTA”
Questa volta sì, ci crede davvero, «il regime può cadere, ma, come tutti gli animali morenti, è di una ferocia mai vista».
Dal suo amato Iran gli arrivano racconti di crudeltà orribili, come mai era accaduto nelle rivolte precedenti sotto la Repubblica degli ayatollah. Soprattutto dai suoi colleghi medici, rimasti là, nel «Paese più bello del mondo, assieme all’Italia naturalmente», e che adesso sono in prima linea, perseguitati per aver curato i manifestanti, arrestati, condannati a morte.
Negli occhi di Madjid Bazeli c’è rabbia, nostalgia, cristallizzata nel tempo, ma anche speranza. È fuggito trent’anni fa, dopo essersi specializzato in cardiologia tra Milano e Torino, si è rifatto una vita ma non rinuncia all’idea di un Iran libero e democratico.
Che succede, perché questa ferocia nella repressione?
«Mi è arrivata la notizia della condanna a morte del dottor Hamid Garehassslu, specialista in radiologia. La sua colpa? Denunciava le condizioni orribili dei manifestanti che arrivano negli ambulatori, e di quelli che vengono torturati nelle stazioni di polizia o nelle prigioni. Sono cose mai viste, in quarant’anni di regime. Per questo dico che loro hanno paura, sanno che adesso il popolo ha deciso di spazzarli via e solo con il terrore possono cercare di sopravvivere».
Che cosa le raccontato i suoi colleghi?
«Le notizie arrivano frammentate, c’è un controllo ferreo su Internet e i social ma quello che filtra è da brividi. Le forze di sicurezza usano armi da guerra contro i manifestanti oppure proiettili di plastica, mirati però alle parti più vulnerabili, soprattutto gli occhi. Gli oculisti di tre ospedali, Farabi, Labafinejad, Rasul Akram, confermano di aver già visitato oltre 500 feriti con casi di distruzione della retina, dell’iride, interruzione del nervo ottico. Molti pazienti avevano frammenti di proiettile nella testa e non erano operabili. Il tutto mentre Pasdaran e Basiji ostacolano in ogni modo il loro lavoro. Non vogliono che la gente venga curata. È un crimine».
Sembra uno scenario siriano.
«È in corso una guerra anche contro i medici e gli ospedali. C’è una lettera di 230 oculisti che denunciano la presenza di guardiani nei reparti. Mi hanno raccontato di pazienti sul letto operatorio, portati via a forza dai Pasdaran con la scusa che dovevano essere arrestati. Ma stavano morendo. Come si può compiere un atto così? E adesso anche i miei colleghi rischiano sempre di più».
Cioè?
«L’elenco è lungo. Il dottor Ebrahim Beighi è stato rapito mentre tornava a casa, perché curava i feriti di nascosto. Rischia anche lui la condanna a morte. Alireza Madadi, arrestato perché ha denunciato l’uso improprio delle ambulanze da parte dei Pasdaran: le usano per portar via di nascosto i feriti dagli ospedali, i famigliari fanno la guardia alle entrate, ma in questo modo le eludono. E poi la dottoressa Parisa Brahmani, uccisa davanti all’ordine dei medici duranti un sit-in. E con lei Ilar Haghi, studente di medicina al terzo anno. È un massacro».
Ma crede sul serio che il regime possa cadere? Come vede i segnali contradditori sull’obbligo del velo e sulla polizia religiosa degli ultimi giorni?
«È vero, il regime è sopravvissuto a molte rivolte, come la grande Onda verde del 2009. Ma questa volta è diverso. La rivoluzione nasce dalle donne, dal comportamento disumano nei confronti delle donne, da una politica di apartheid di genere che prende di mira metà della popolazione. Le donne sono il motore formidabile di questa rivoluzione. Ma le loro richieste vanno oltre questione del velo o della polizia morale. La loro principale richiesta è di sbarazzarsi del regime dittatoriale religioso nella sua interezza. Perché le donne iraniane sanno bene che il loro obiettivo di uguaglianza non sarà raggiunto finché gli ayatollah saranno al potere. E tutto l’Iran lotta assieme a loro. Per quanto feroce possa essere la repressione, nessun tiranno riesce a resistere contro un intero popolo».
(da La Stampa)
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