ISRAELE E’ RIUSCITO A FAR INCAZZARE ANCHE GLI STATI UNITI
WASHINGTON TEME L’ESPLOSIONE DELLA RABBIA DI TUTTO IL MONDO ARABO… CRIMINI DI GUERRA: 11.000 MORTI E IL 50% DELLA CASE DISTRUTTE INDIGNANO IL MONDO AL PARI DEI TERRORISTI DI HAMAS
“Finora troppi palestinesi sono stati uccisi, troppi hanno sofferto in queste ultime settimane”. È in queste parole, pronunciate dal segretario di Stato Usa Antony Blinken, che è racchiuso il cambio di passo dell’America rispetto alla narrazione della guerra a Gaza: gli Usa continuano sì a sostenere Israele nel suo diritto a difendersi, ma la strage tra i civili palestinesi non può proseguire in questo modo.
A cinque settimane dall’attacco di Hamas contro Israele, la campagna militare israeliana per “sradicare” dalla Striscia di Gaza l’organizzazione palestinese si conferma per quel che è: una missione difficile dal punto di vista militare, costosissima sul piano umanitario ed estremamente rischiosa a livello internazionale e diplomatico.
Ne è consapevole la Casa Bianca, sempre più preoccupata per il rischio di un’escalation del conflitto, nonché per gli effetti della guerra sulla reputazione americana nel mondo.
Per entrambi i Paesi, la variabile tempo inizia a farsi sentire con una certa urgenza: Israele, dopo il trauma subito, ha fretta di raggiungere e soprattutto comunicare alla sua opinione pubblica dei risultati in qualche modo rassicuranti; gli Stati Uniti, a meno di un anno dalle elezioni presidenziali e con due guerre complicatissime da gestire, hanno fretta di raffreddare il conflitto e – non meno importante – di rimarcare il proprio impegno per tutelare i palestinesi innocenti.
Allarmati dal progressivo aumento della rabbia del mondo arabo per Gaza – non solo nelle strade, ma anche negli uffici governativi, nelle redazioni dei giornali e in altri ambienti a cui si affidano i diplomatici Usa per sondare gli umori dei Paesi ospitanti – gli Stati Uniti sono impegnati in un’offensiva mediatica – oltre quella diplomatica per convincere Israele a implementare le pause umanitarie – per cercare di cambiare il messaggio con cui spiegare la loro posizione al fianco di Tel Aviv.
Il capofila di questa strategia è, ancora una volta, il segretario di Stato Blinken, che alla Cnn ha dichiarato: “Troppi palestinesi sono stati uccisi, troppi hanno sofferto nelle ultime settimane. Vogliamo fare tutto il possibile per evitare danni e aumentare l’assistenza per loro”, motivo per cui “continueremo a parlare con Israele dei passi concreti da fare per questi obiettivi”.
Il segretario di Stato ha lodato Israele per l’annuncio di pause umanitarie quotidiane di quattro ore a Gaza, ma – ha detto – “si può e si deve fare di più per ridurre i danni per i civili palestinesi”.
Malgrado gli annunci delle scorse ore, infatti, non è chiaro quanto queste pause – che il governo israeliano ha definito “tattiche e locali” – stiano davvero consentendo la fuga dei civili dal nord di Gaza e un ingresso più consistente degli aiuti umanitari, mentre si moltiplicano le denunce di attacchi aerei su o nelle vicinanze di almeno tre ospedali.
Parlando ad Al-Jazeera, il direttore dell’ospedale Al-Shifa ha definito quella odierna come una “giornata di guerra contro gli ospedali”, aggiungendo che si tratta di una situazione tragica “nel vero senso della parola”. A dirlo sono anche le organizzazioni sanitarie presenti.
A cominciare dalla Croce rossa internazionale, secondo cui ormai il sistema sanitario nella Striscia ha toccato “un punto di non ritorno”, mettendo a rischio la vita di migliaia di persone: “civili, pazienti e membri del personale medico sono in pericolo”, ha dichiarato il capo della subdelegazione del Cicr a Gaza, William Schomburg.
Venti dei 36 ospedali della Striscia non sono più operativi a causa dei pesanti bombardamenti, della distruzione e della mancanza di forniture mediche, ha riferito l’Organizzazione mondiale della sanità. Anche le strutture ancora in funzione sono attive solo in caso di emergenza, perché molte non dispongono di disinfettanti, anestetici o elettricità sufficienti per fornire un’assistenza regolare ai pazienti, ha spiegato la portavoce dell’Oms Margaret Harris, sottolineando che alcuni ospedali ancora operativi hanno un numero di pazienti doppio rispetto ai posti letto.
In serata arrivano le testimonianze di Medici senza frontiere, dopo il raid ad al-Shifa: “La struttura è stata colpita. Tutti noi eravamo inorriditi, alcuni si sono buttati a terra. Ho visto cadaveri, anche di donne e bambini. Una scena orribile che ci ha fatto piangere tutti” racconta Maher Sharif, infermiere. “La popolazione ha paura di andare negli ospedali” dichiara Mohammad Abu Mughaiseb, vice coordinatore medico di Msf a Gaza.
Come sottolinea il New York Times, la condotta convulsa di Israele è sintomatica del fatto che il tempo per sconfiggere Hamas sta per scadere. Israele ha rallentato il suo assalto su Gaza City per sviluppare un piano che possa raggiungere due obiettivi difficili e contrastanti: eliminare Hamas e proteggere la posizione internazionale di Israele, mantenendo il sostegno degli alleati. Man mano che il tempo passa e i morti aumentano, i funzionari statunitensi stanno diventando sempre più impazienti: vogliono che Israele completi la sua missione riducendo l’impatto sui civili, prima che la rabbia per la guerra destabilizzi il Medio Oriente e aumenti il sentimento anti-americano nel mondo.
In apparente contraddizione con quanto affermato giorni fa dal presidente Joe Biden e da altri funzionari, che avevano messo in dubbio il bilancio delle vittime fornito dalle autorità sanitarie di Gaza, l’assistente segretaria di Stato Barbara Leaf ha detto questa settimana ai legislatori americani che era “molto probabile” che i numeri fossero addirittura più alti rispetto ai 10mila morti citati da Hamas, che nel frattempo ha aggiornato il suo bilancio a oltre 11mila vittime.
È la Cnn oggi a rivelare come al Dipartimento di Stato stiano arrivando cablogrammi di ambasciatori della regione che raccontano come quello che appare come il sostegno pubblico e incondizionato degli Stati Uniti alla campagna israeliana a Gaza “ci stia facendo perdere il sostegno dell’opinione pubblica araba per generazioni”.
Così recita il messaggio scritto mercoledì dal numero due dell’ambasciata americana nell’Oman – inviato anche a Casa Bianca, Cia e Fbi – in cui si avvisa che gli Usa stanno “malamente perdendo la battaglia sul piano del messaggio” e a loro viene addebitata una sorta di complicità “materiale e morale di quelli che vengono considerati crimini di guerra” commessi dagli israeliani a Gaza.
La cosa che allarma di più l’alto diplomatico Usa a Muscat è che questi commenti arrivino non dalle piazze, ma “da molti dei fidati e moderati contatti” dell’ambasciata. Ed un messaggio analogo arriva da un altro cablogramma, rivelato sempre dalla Cnn, dell’ambasciata americana al Cairo in cui si cita un editoriale di un giornale governativo in cui si afferma che “la crudeltà e il disprezzo di Biden per i palestinesi supera quello di tutti i precedenti presidenti americani”.
Parole che non possono non riferirsi alle dichiarazioni con cui Biden ha messo in dubbio la veridicità del bilancio delle vittime di Gaza, perché fornito dal ministero della Sanità controllato da Hamas.
Nelle sue dichiarazioni alla Cnn, Blinken ha sottolineato che Washington è assolutamente contraria al “ricollocamento forzato dei palestinesi da Gaza”, così come a una riduzione del suo territorio.
Un concetto ribadito anche da David Satterfield, l’inviato speciale per le questioni umanitarie in Medio Oriente, che durante una conferenza stampa a Dubai ha dichiarato: “Il futuro degli abitanti di Gaza è a Gaza e in nessun altro posto. Noi non sosteniamo, come principio, il ricollocamento della popolazione di Gaza, anche all’interno della Striscia: quelli che ora sono nel sud devono avere la possibilità di tornare al nord quando sarà sicuro”.
Quanto al dopo-Hamas, gli Usa restano convinti che “il futuro di Gaza debba essere determinato dai palestinesi. Vediamo assolutamente la necessità di avere un indirizzo comune per Cisgiordania e Gaza, senza alcuna separazione tra le due”.
E ancora: “Crediamo che la soluzione dei due Stati sia l’unica garanzia definitiva di un futuro pacifico per Israele, così come per i palestinesi”. Il diplomatico americano ha ammesso che il modo in cui arrivare a questo obiettivo “dipenderà dalle circostanze”, in particolare “da come finirà la campagna”, se Hamas sarà “eliminata come minaccia”.
La grande domanda – a cui nessuno sa rispondere – è quando tutto questo sarà considerato sufficiente. E, soprattutto, se lo sarà davvero.
(da Huffingtonpost)
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