LA CASCINA COMASCA CHE ACCOGLIE I BIMBI DEL MONDO
UNA RETE PER I BAMBINI IN AFFIDO… CI SONO SCUOLA, BAR , RISTORANTE E CENTRO PER L’AFFIDO
È uno dei primi pomeriggi di neve dell’inverno lombardo, i quattro bambini scendono dalla macchina non appena parcheggia e si buttano zaini in spalla nel cortile per fare a palle.
Una raggiunge in pieno Maria Grazia Figini che non aspetta altro, agguanta un po’ di neve e si mette a giocare con loro.
I bambini portano sul viso i tratti di tutti i continenti del mondo ed è impossibile capire chi sia figlio di chi.
Poi, con la stessa velocità con cui sono arrivati, si dileguano nelle case intorno.
Cometa, l’associazione di famiglie affidatarie nata a Como intorno ai fratelli Figini (oltre a Maria Grazia ci sono Erasmo e Innocente), è così: un caos disciplinatissimo e allegro di volti e storie che si incontrano in uno spazio comune, sotto le parole del Vangelo dipinte in rosso sulle pareti di ogni stanza e con al centro i bambini.
La chiamata di don Giussani
Nel tempo questo spazio di accoglienza, nato su impulso del fondatore di Comunione e Liberazione don Luigi Giussani che a fine anni 80 chiamò Erasmo stilista di tessuti per l’arredamento oggi 69enne chiedendogli di prendersi cura di un bimbo sieropositivo abbandonato da tutti, è diventato così tante cose che è difficile definirlo in un modo solo. «Non ci siamo sviluppati seguendo un progetto organico, ma rispondendo di volta in volta a delle richieste» dice Erasmo.
L’isolamento
«Aprire la nostra casa a quel ragazzo ci ha cambiato. All’inizio è stato difficilissimo – spiega -, all’epoca la gente aveva paura e ci avevano isolati. Mi ha dato una mano solo mio fratello, che è oculista: prima dal punto di vista medico e poi su tutto il resto».
Quel bimbo, che adesso ha 35 anni e una vita «normale», è rientrato dopo qualche anno nella famiglia di origine, ma i fratelli Figini grazie all’esperienza con lui hanno deciso di fare dell’accoglienza una scelta di vita.
Hanno costruito sulle colline che guardano il lago di Como una grande casa dove sono andati a vivere con le loro famiglie: i figli naturali e quelli che via via hanno preso in affido. Tutti indistintamente chiamano i genitori «mamma» e «papà ».
Unire le esperienze
Nella cascina con loro adesso ci sono altre tre comunità familiari (ogni coppia può prendere in affido massimo sei bambini) unite dalla stessa fede, accanto c’è la grande scuola professionale, un bar e un ristorante gestiti dai ragazzi che fanno formazione-lavoro, una struttura per l’affido diurno.
E poi ancora, in città , un centro per i bimbi con difficoltà evolutive; lo spazio per le famiglie che sostiene i genitori in difficoltà con psicologi e mediatori; la falegnameria e il centro tessile dover i ragazzi e le ragazze imparano un mestiere.
Sono 130 i minori dati dai servizi sociali in affido diurno a Cometa: bimbi e ragazzi che affollano, divisi per età e le teste di tutti i colori chine sui libri, gli stanzoni del centro.
Il liceo del Lavoro
«Dopo la scuola pranzano qui – dice Erasmo – e dopo li assistiamo nello studio con volontari ed educatori». Lui sta per andare a dare le «commesse» agli studenti del «Liceo del lavoro»: incarichi in cui devono produrre veri lavori di falegnameria tessili.
«Abbiamo capito che per questi ragazzi fare era essenziale – racconta -: negli stage nelle aziende erano bravissimi, a scuola indisciplinati. Uno di loro mi spiegò perchè: “Lì è per davvero, in classe per finta”. Abbiamo deciso di fare sul serio anche qui».
La scuola è curata e progettata nei minimi dettagli proprio da Erasmo: «Essere circondati dalla bellezza fa sentire a questi ragazzi che hanno un valore» dice.
L’”adozione mite”
E restituire un valore centrale ai minori è la missione dichiarata di tutto il progetto Cometa. «È il punto che non dobbiamo mai perdere di vista, neppure nel dibattito su come migliorare le leggi – chiarisce il direttore di Cometa Alessandro Mele -. Spesso ci si divide tra i fautori dell’affido in famiglia e di quello in comunità : è sbagliato, bambini diversi hanno bisogno di soluzioni diverse in momenti diversi della loro vita». L’esperienza sul campo gli ha insegnato che non funziona neppure la distinzione netta tra affido e adozione: «Oggi possono essere adottati solo i bimbi in stato di abbandono. Ma spesso – dice – ci sono bambini che non sono soli ma hanno scarsissime probabilità di rientrare in famiglia perchè i genitori sono in situazioni troppo compromesse. Per loro ci vorrebbe un’adozione mite, che mantenga un legame con la famiglia d’origine ma anche di avere dei genitori adottivi con cui crescere. Nella vita non bisogna mai tagliare i legami, è meglio aggiungerne».
L’importanza di far rete
Cometa è tra le associazioni che in Lombardia hanno spinto per una legge che riconosca le Reti di famiglie affidatarie, su cui sta lavorando la Regione. «Le reti sono fondamentali», dice Pasquale Addesso 37 anni, avvocato, che con la moglie Annalisa, anche lei 37enne è una delle 60 coppie affidatarie di Cometa (non ci sono single). «Negli affidi hai tante complicazioni pratiche che sembrano insormontabili se le affronti da solo ma superi se hai accanto qualcuno che ci è già passato».
Progetto educativo
Fare rete – spiegano a Cometa – significa anche avere fondi comuni e poter pagare psicologi e specialisti che aiutino nel progetto educativo. Pasquale e Annalisa hanno preso in affido un 15enne straniero arrivato in Italia da solo, poi un neonato in pre-adozione e ora una coppia di fratellini. Nel frattempo hanno avuto due figli insieme. «Se c’è una cosa che questa esperienza ci ha insegnato – dice lui –- è che anche i bimbi che hai generato non sono “tuoi”. Ti sono affidati proprio come gli altri: devi accompagnarli tutti alla vita».
(da “il Corriere della Sera”)
Leave a Reply