LA DENUNCIA DI KESSLER: “IO, MAGISTRATO ANTI-FRODE, SACRIFICATO IN UN’OPERAZIONE DI “PULIZIA” POLITICA”
IL DIRETTORE DELL’AGENZIA DOGANE E MONOPOLI: “PER DI MAIO SONO UN TROMBATO DELLA POLITICA? NON SA DI COSA PARLA”… “HO GUIDATO L’UFFICIO EUROPEO CHE HA PERSEGUITO ILLECITI COMMESSI DA PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA E LEADER COME LA LE PEN, TRUFFE PER MILIARDI”
Con una storia professionale come la sua, Giovanni Kessler tutto si sarebbe aspettato tranne un benservito come quello che gli ha riservato Luigi Di Maio: «Quando ho sentito che mi definiva un trombato della politica, tra me e me ho pensato: ma il ministro sa di cosa parla? Sa di chi parla? Non mi lamento dell’avvicendamento che rientra tra gli eventi possibili, ma quella definizione sembra rispondere al bisogno di fabbricarsi delle ragioni, di urlare anzichè spiegare. Una vicenda deludente e anche un po’ preoccupante…».
La sera dell’8 agosto Giovanni Kessler è stato rimosso dall’incarico di Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, incarico al quale era arrivato a conclusione di un lungo percorso nel quale la politica è entrata, ma in modo marginale.
Sessantadue anni, nato a Trento ma sempre in giro per il mondo per effetto di un’attività da magistrato e da manager pubblico, italiano ed europeo, che lo ha visto trasferirsi volontariamente a Caltanissetta come pm antimafia e successivamente diventare vice-capo della missione Osce in Kosovo, Alto Commissario per la lotta alla contraffazione, Direttore generale dell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode e dall’ottobre 2017 Direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli su nomina del governo Gentiloni. Una storia professionale e politica, quella di Kessler, interessante perchè aiuta a capire vizi e virtù delle nomine politiche.
Ci sono degli incarichi nei quali a decidere è la politica, nel bene e nel male. Di Maio è l’ultimo di una lunga sequenza…
«Di Maio fa il Di Maio, ma il suo modo di commentare l’avvicendamento è deludente. Un vicepresidente del Consiglio dovrebbe conoscere la storia delle persone. Definirmi un ex deputato è riduttivo, mentre definirmi trombato della politica semplicemente non è vero».
Nel 2010 lei assume l’incarico di direttore generale dell’Ufficio europeo anti-frode: la politica in che modo pesò?
«Neanche un po’. In Italia al governo c’era Silvio Berlusconi, che come primo atto aveva deciso la cancellazione dell’Alto Commissariato per la lotta alla contraffazione da me guidato e dove ero stato nominato dal governo precedente. A Bruxelles era stato indetto un concorso internazionale per l’Ufficio anti-frode e al quale potevano partecipare magistrati, giuristi, dirigenti delle Polizie dei 28 Paesi. Il concorso durò 9 mesi: alla fine restammo in sei. Fummo sottoposti a panel, colloqui, audizioni, valutazioni delle società specializzate e a tre distinte valutazioni da parte della Commissione, del Consiglio, del Parlamento europeo. Il tutto in una lingua che non è la tua. Ok?».
Ok, ma come finì?
«L’unico ritenuto idoneo da tutte e tre le istituzioni fu il sottoscritto. Divenni direttore e per anni abbiamo lavorato sodo».
Avete pestato i piedi a qualcuno?
«Abbiamo fatto il nostro dovere di cane da guardia delle istituzioni europee. L’Ufficio antifrode è un organismo investigativo indipendente, composto da 500 persone di 28 Paesi, che indaga sui casi di corruzione, di illeciti di tutti i membri delle istituzioni europee. La truffa di Marine La Pen l’abbiamo scoperta noi, abbiamo fatto dimettere un commissario maltese, il presidente della Repubblica ceca è sotto accusa nel suo Paese per un rapporto che abbiamo mandato noi. Per non parlare dell’Ungheria. O della truffa scoperta alle dogane inglesi, dove avevano chiuso gli occhi su merce cinese. Dopo un’indagine di due anni abbiamo calcolato 9 miliardi di dazi evasi in 4 anni. La Commissione li ha richiesti al governo inglese».
In un organismo del genere, quale è il ruolo del direttore?
«Per 7 anni è il sottoscritto che ha deciso di aprire e chiudere centinaia di indagini, spesso recuperando i fondi illecitamente accumulati».
Poi le è tornato in Italia ed è il governo di centro-sinistra che la nomina alle Agenzia Dogane e Monopoli. Sempre politica è…
«Stava scadendo il terzo mandato del mio predecessore (che era stato confermato da governi di diverso orientamento), ho mandato il mio curriculum e una lettera di interessamento. Non era previsto un concorso, era una nomina politica, il ministro Padoan mi ha voluto incontrare. Sono stato indicato dal Consiglio dei ministri, non dagli amici».
Avrà pesato il suo passato da parlamentare dell’Ulivo?
«Immagino che abbia pesato il mio curriculum. Naturalmente ho le mie idee, amo la politica e la legalità . Per una legislatura sono stato deputato, eletto come indipendente nelle liste dell’Ulivo. Nel 2006, con Porcellum non sono stato ricandidato. Nel 2010 ero presidente del Consiglio provinciale di Trento, eletto nelle liste Pd, ma ho lasciato io. prima della scadenza, per andare a Bruxelles. Trombato, non direi…».
Prima di essere stato rimosso, ha imbastito riforme che possono avere dato fastidio all’attuale governo?
«Non credo. Nel 2012 Monti decise la fusione tra strutture distinte e parallele come Dogane e Monopoli. Un matrimonio “combinato” e non consumato che noi stavamo completando. E abbiamo investito sul ruolo securitario delle dogane, dalle quali passano troppe cose diverse dalle merci».
Nello spoil system del nuovo governo sembra prevalere una vocazione da piazza pulita, che non distingue meritevoli e non. Lei è stato con l’Osce in Kosovo: si sente vittima di un’operazione di pulizia etnico-politica?
«La legge non obbligava a mandarmi via. Ma aver compreso nello spoil system le Agenzie, soggetti per definizione indipendenti dalla politica, è un doppio errore. Induce i prescelti a privilegiare conformismo, opportunismo, inerzia. E favorisce operazione da “pulizia” politica».
(da “La Stampa”)
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