LA MAXI-AUTOBOMBA ERA PRONTA PER DI MATTEO: 150 CHILI DI TRITOLO
LE RIVELAZIONI DEL PENTITO GALATOLO: “PROCURATO IL TRITOLO, IL DOPPIO DI QUELLO USATO PER BORSELLINO”
Quasi il doppio rispetto a quello utilizzato per imbottire l’autobomba di via D’Amelio.
Un po’ meno della metà di quello agganciato agli skateboard e piazzato sotto l’autostrada di Capaci.
Per far saltare in aria il pm della trattativa Stato-mafia Nino Di Matteo, il mafioso dell’Acquasanta Vito Galatolo aveva procurato 150 chili di tritolo.
L’esplosivo, nascosto in un bidone, sarebbe stato sotterrato in una delle campagne della zona di Monreale, sopra Palermo, che da alcuni giorni vengono battute metro per metro dagli uomini della Dia sguinzagliati con cani artificieri, metal detector e geo-radar all’interno di fondi agricoli e casolari ritenuti nella disponibilità di Cosa Nostra.
A raccontare nei dettagli la fase dell’acquisto e della raccolta dell’esplosivo è sempre Galatolo che da cinque giorni è ufficialmente un collaboratore di giustizia dopo aver confidato prima a Di Matteo e poi al procuratore di Caltanissetta Sergio Lari, il primo a verbalizzare le dichiarazioni del neo-pentito, il piano di morte che avrebbe dovuto rilanciare lo stragismo a Palermo.
E se i 400 chili di esplosivo utilizzati per l’attentatuni di Capaci sventrarono l’asfalto dell’autostrada sulla quale viaggiava la macchina blindata di Giovanni Falcone, uccidendo il giudice, sua moglie e tre uomini della scorta, in via D’Amelio bastarono 90 chili di Semtex, detonante al plastico, nascosti nel cofano di una Fiat 126, per massacrare Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta, per ferire 24 persone, squarciando la facciata del palazzo dove abitava la madre del magistrato.
Antonino Vullo, l’unico agente sopravvissuto perchè rimasto all’interno della macchina blindata, ricorda così la scena: “Improvvisamente è stato l’inferno, ho visto una grossa fiammata, ho sentito sobbalzare la blindata. L’onda d’urto mi ha sbalzato dal sellino e non so come ho fatto a scendere dalla macchina. Attorno a me c’erano brandelli di carne umana sparsi dappertutto”.
Ora, a sentire Galatolo, Cosa Nostra con “entità esterne che sono interessate all’attentato” sarebbe pronta a fare il bis con un quantitativo di tritolo che è quasi il doppio rispetto a quello usato il 19 luglio del 1992.
E proprio come in via D’Amelio, il pentito ha raccontato che a vent’anni di distanza, per eliminare Di Matteo, i boss avrebbero intenzione di utilizzare ancora una volta lo stesso piano di morte: un’autobomba piazzata su un punto cruciale del percorso che il pm compie tutti i giorni a bordo della jeep blindata per spostarsi dalla sua residenza al lavoro.
È anche per questo motivo che lunedì scorso il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato urgentemente una riunione straordinaria del comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica alla presenza dei capi delle forze dell’ordine e dei servizi: le modalità della strage annunciata nel racconto di Galatolo hanno mandato in fibrillazione gli apparati di intelligence per una situazione ad alto rischio che minaccia la vita del magistrato ma anche la sicurezza pubblica.
Ora si indaga sulla provenienza dei 150 chili di tritolo che probabilmente, dopo l’arresto di Galatolo (nel giugno scorso) qualcuno ha provveduto a spostare e a occultare in un nascondiglio più sicuro.
Il boss dell’Acquasanta ha spiegato di essersi occupato in prima persona dell’acquisto dell’esplosivo e ha fornito ai pm dettagli sull’origine e le fonti dell’approvvigionamento.
Le sue rivelazioni, ovviamente, sono top secret, ma è un fatto che Galatolo da due anni viveva a Mestre, vicino Venezia, dove aveva preso la residenza dopo l’applicazione del divieto di soggiorno a Palermo.
Storicamente la zona del Nord-Est italico è sempre stata crocevia del traffico d’armi e di esplosivo militare proveniente dagli armamenti dell’ex Jugoslavia.
Nei suoi frequenti spostamenti a Palermo, dove aveva il permesso di recarsi per assistere ai suoi processi, il mafioso dell’Acquasanta incontrava i boss delle altre famiglie cittadine.
Nelle carte del blitz denominato “Apocalisse”, che il 23 giugno scorso fece scattare l’arresto di Galatolo e di altri 90 uomini d’onore, è emerso che il neo-pentito incontrava i boss emergenti del clan di Resuttana e San Lorenzo.
Dopo aver deciso di “togliersi un peso dalla coscienza”, il mafioso ha spiegato che alla fine del 2012, partecipò a Palermo a una serie di summit per verificare lo stato di avanzamento del piano di morte per Di Matteo.
Pipitone e Rizza
(da “il Fatto Quotidiano”)
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