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L’ACCORDO SUL NUOVO PATTO DI STABILITA’, DECISO DA GERMANIA E FRANCIA, PUO’ METTERE L’ITALIA IN DIFFICOLTA’: CHI SFORA IL TETTO DEL 3% NEL RAPPORTO DEFICIT-PIL DOVRÀ ASSICURARE UN AGGIUSTAMENTO DEI CONTI PARI ALLO 0,5% DEL PIL IN TERMINI STRUTTURALI

PER I PAESI CON DEBITO OLTRE IL 90% (CIOE’ L’ITALIA) NON BASTERÀ PORTARE IL DISAVANZO AL 3%: SI DOVRA’ SCENDERE ALL’1,5%… BISOGNERÀ ASSICURARE UNA CORREZIONE ANNUA DEI CONTI IN TERMINI STRUTTURALI (0,3% DEL PIL PER PIANI DI AGGIUSTAMENTO QUADRIENNALI, 0,2% PER QUELLI SETTENNALI)

Francia e Germania hanno trovato l’intesa sulla riforma del Patto di Stabilità. I rispettivi ministri delle Finanze, Bruno Le Maire e Christian Lindner, l’hanno sancita ieri sera durante una cena a Parigi e hanno assicurato che il loro collega Giancarlo Giorgetti, con il quale sono rimasti in contatto, «è sulla stessa linea». Ci sarebbe dunque un accordo a tre. Dal Tesoro, però, ieri sera non sono arrivati commenti ufficiali, segno che Giorgetti deve ancora ottenere il mandato dal governo per dare il via libera definitivo durante la riunione straordinaria dell’Ecofin prevista per oggi pomeriggio alle 16.
I 27 ministri delle Finanze non saranno a Bruxelles, ma si collegheranno per una videocall. Venerdì scorso Giorgetti aveva messo le mani avanti, dicendo che non avrebbe firmato un accordo in videoconferenza. Oggi si troverà davanti a un bivio: rimangiarsi quanto annunciato oppure mettersi di traverso e bloccare un’intesa raggiunta da Parigi e Berlino «al 100%» (Le Maire dixit, ndr), rovinando così la festa alla ministra Nadia Calviño.
Le Maire e Lindner hanno invece preferito vedersi di persona, con il tedesco che ieri è volato a Parigi.I due hanno spiegato che le ultimissime questioni da chiudere riguardavano «il braccio preventivo» del Patto di Stabilità (vale a dire il regolamento che definisce i vincoli di bilancio nei periodi normali) perché tutti i nodi sul «braccio correttivo» (ossia i vincoli da rispettare quando un Paese è sotto procedura) sono stati ormai sciolti: chi sfora il tetto del 3% nel rapporto deficit/Pil dovrà assicurare un aggiustamento dei conti pari allo 0,5% del Pil in termini strutturali, ma è stata introdotta una flessibilità «temporanea» al fine di tenere in considerazione l’aumento del costo degli interessi sul debito.
All’Ecofin dell’8 dicembre, i ministri di Francia, Germania e Italia avevano concordato un periodo transitorio di tre anni (2025-2027), ma potrebbero esserci dei cambiamenti. Berlino insisteva per scendere a due anni.
Le ultime questioni che saranno discusse oggi dai ventisette ministri […] riguardano due soli punti. Il primo è legato alle salvaguardie sul deficit: per i Paesi con debito oltre il 90% non basterà portare il disavanzo al 3%, ma dovranno scendere all’1,5%.Per farlo sarà necessario assicurare una correzione annua dei conti in termini strutturali: nell’ultima versione si parlava dello 0,3% del Pil in caso di piani di aggiustamento quadriennali (0,2% per quelli settennali). Il numero, però, non è ancora definitivo.
L’altro punto riguarda invece lo scostamento annuale massimo dalla traiettoria di aggiustamento della spesa (0,5% l’anno o 0,75% nell’intero periodo secondo la bozza precedente), oltre il quale scatterà il rapporto della Commissione e poi eventualmente l’apertura di una procedura. Per il resto, verrà confermata la disposizione che prevede un taglio minimo dell’1% del debito per i Paesi che superano la soglia del 90% del Pil (0,5% per gli altri).
Da un lato la tenaglia franco-tedesca ormai salda, dall’altra una maggioranza da convincere. «Abbiamo parlato entrambi con Giorgetti», dicono dopo l’ennesimo incontro a due il duro Christian Lindner e il mediatore Bruno Le Maire. Oggi pomeriggio il ministro leghista del Tesoro siederà al tavolo di Quintino Sella a via XX settembre per partecipare con altri ventisei colleghi europei alla riunione dell’Ecofin in videoconferenza.
L’impressione è che l’accordo sia a portata di mano, ma il silenzio dell’italiano segnala che la partita non è chiusa. […] «Le probabilità di un accordo sono aumentate», dice una fonte della Commissione di Bruxelles. Giorgetti ieri ha passato gran parte della giornata al telefono. Ha sentito i due colleghi di Parigi e Berlino, il commissario italiano all’Economia Paolo Gentiloni, anche lui impegnato nella mediazione, e Giorgia Meloni.
L’impressione è che Giorgetti abbia ottenuto ciò che era in grado di ottenere, e a questo punto prima di porre il veto ad un accordo fra Berlino e Parigi meglio dormirci sopra. Allo stesso tempo occorre far digerire alla maggioranza di centrodestra ed euroscettica un sì che porterebbe con sé la ratifica della riforma del fondo salva-Stati, sul quale resta il no della Lega. […] Dalle parole secche di Le Maire a favore di un accordo si intuisce invece che Emmanuel Macron voglia chiudere, a costo di mettere alle strette la premier italiana.
Da Palazzo Chigi filtra lo stupore per il metodo franco-tedesco. L’unica certezza è che la riunione a distanza dei ministri oggi non potrà chiudere formalmente l’accordo. A Bruxelles sono pronti a convocare una successiva riunione degli ambasciatori per formalizzare il sì. La presidenza spagnola dell’Unione ha già convocato una conferenza stampa alle 18 di oggi, due ore dopo l’inizio della videconferenza dei ministri. Se così fosse, subito dopo partirebbe la trattativa fra Consiglio europeo e Parlamento per concludere la riforma.
La questione più delicata, oggetto ancora di discussione telefoniche fra i tecnici, è quella che riguarda il cosiddetto «braccio preventivo», ovvero le probabilità che l’Italia possa subire una procedura di infrazione laddove non fosse in linea con le indicazioni del nuovo Patto. Nell’ultima riunione dei ministri Le Maire aveva convinto i tedeschi ad accettare una fase transitoria nei percorsi di aggiustamento del deficit dello 0,5 per cento annuo, circa dieci miliardi.
L’ipotesi, trascritta in un incontro a quattro fra Germania, Francia, Italia e Spagna era di tenere conto degli interessi pagati per le spese nei settori ritenuti strategici dall’Unione, ovvero difesa, transizione verde e digitale, per un periodo di tre anni, quindi 2025, 2026 e 2027. Nella conferenza stampa dopo il vertice Giorgetti disse che era un passo avanti, ma non sufficiente. Allora la richiesta era di ottenere una deroga al 2028, ovvero alla fine naturale della legislatura.
Secondo il Tesoro fino ad allora i conti italiani resteranno zavorrati dai bonus edilizi per venti miliardi l’anno, e dunque sarebbe impossibile garantire il rispetto dell’impegno. […] Sullo sfondo dell’insoddisfazione italiana c’è poi la questione del nuovo bilancio europeo, e il taglio ai (nuovi) fondi inizialmente stanziati per la gestione dell’emergenza migranti, su cui in queste ore è in corso una trattativa parallela. Per tutte queste ragioni Meloni e Giorgetti potrebbero decidere di prendere ancora tempo, magari facendo leva sull’insoddisfazione degli altri partner. Al tavolo, fino a prova contraria, ci vuole il sì di tutti e ventisette.+
(da Huffingtonpost)

This entry was posted on mercoledì, Dicembre 20th, 2023 at 17:52 and is filed under Politica. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.

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