L’ADDIO DI PRANDELLI ALLA FIORENTINA: “QUESTO CALCIO NON FA PIU’ PER ME, MI FERMO PER RITROVARE ME STESSO”
UNA PERSONA PERBENE CHE SI FA DA PARTE A CAUSA DI STRESS E TENSIONI, UN GESTO D’AMORE PER EVITARE CHE IL SUO MALESSERE POSSA CONDIZIONARE LA SQUADRA
Il vuoto all’improvviso. Magari all’inizio non ci fai caso, ma poi un giorno ti accorgi che dentro di te qualcosa si è rotto. Forse per sempre. E capisci che è arrivato il momento di fermarsi. Di dire basta. Di chiudere dentro di te i ricordi e lasciare tutto il resto fuori. Cesare Prandelli non si è licenziato, si è solo fatto da parte per lasciare andare via la Fiorentina. Un gesto d’amore per evitare che il suo malessere potesse condizionare la squadra in un momento così complicato della stagione. Una fuga da se stesso. Un dribbling disperato a quella cosa che gli sta succhiando la vita. “È la seconda volta che lascio la Fiorentina. La prima per volere di altri, oggi per una mia decisione. Nella vita di ciascuno, oltre alle cose belle, si accumulano scorie, veleni che talvolta ti presentano il conto tutto assieme. In questo momento della mia vita mi trovo in un assurdo disagio che non mi permette di essere ciò che sono”.
Un attacco di panico e il tuo mondo si capovolge. Rimani senza fiato, stordito, impaurito. Dopo la sconfitta con il Milan Prandelli ha capito che non aveva altra scelta. Il suo addio alla Fiorentina (“So che Firenze sarà capace di capire”) è, probabilmente, anche il suo addio al calcio. Era successo a Sacchi prima di lui. Un peso che diventa angoscia. E che, forse, nel caso di Prandelli ha radici profonde e lontane.
Dopo l’addio alla Nazionale nella sua testa è cambiato qualcosa. Turchia, Spagna, di nuovo in Italia ma sempre prigioniero di se stesso e di quel male oscuro che lentamente si stava prendendo tutto. Un morso alla volta. E il ritorno alla Fiorentina non lo ha certo aiutato.
Cesare è rimasto da solo a gestire le difficoltà . C’era sempre lui al centro di tutto. Delle scelte di mercato, di quelle tecniche, dei successi e, soprattutto, delle sconfitte. Se la società avesse capito, se lo avesse aiutato, forse sarebbe andata diversamente. Invece lo hanno lasciato lì, seduto da solo in panchina, a fare i conti con lo stress e la fatica. Con una squadra costruita male a cui aveva faticosamente provato a dare un senso, con alcuni giocatori scontenti da cui non è mai stato protetto, con le voci di un addio a fine stagione.
“Ho intrapreso questa nuova esperienza con gioia e amore, trascinato anche dall’entusiasmo della nuova proprietà – scrive ancora Prandelli nella sua lettera di addio -. Ed è probabilmente il troppo amore per la città , per il ricordo dei bei momenti di sport che ci ho vissuto che sono stato cieco davanti ai primi segnali che qualcosa non andava, qualcosa non era esattamente al suo posto dentro di me. La mia decisione è dettata dalla responsabilità enorme che prima di tutto ho per i calciatori e per la società , ma non ultimo per il rispetto che devo ai tifosi della Fiorentina. Chi va in campo a questo livello, ha senza dubbio un talento specifico, chi ha talento è sensibile e mai vorrei che il mio disagio fosse percepito e condizionasse le prestazioni della squadra”.
E’ un addio. Doloroso, sofferto, forse inevitabile. Un passo indietro per non intralciare, per non essere di troppo. Per fermarsi e provare ad azzerare tutto. Per cercare se stesso dentro l’angoscia di quel vuoto interiore. “In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose. Sono consapevole che la mia carriera di allenatore possa finire qui, ma non ho rimpianti e non voglio averne. Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più. Sicuramente sarò cambiato io e il mondo va più veloce di quanto pensassi. Per questo credo che adesso sia arrivato il momento di non farmi più trascinare da questa velocità e di fermarmi per ritrovare chi veramente sono”.
(da “La Repubblica”)
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