L’AFFARONE CHE HANNO FATTO I PESCATORI SCOZZESI CON LA BREXIT
AUMENTATA LA BUROCRAZIA, I TEMPI NECESSATI IN DOGANA SALGONO A 8-10 ORE E FANNO ANDARE A MALE IL PESCE
Il 90 per cento dei pescatori scozzesi era a favore della Brexit al referendum del 2016, ma da dieci giorni protestano contro il primo ministro inglese Boris Johnson: “Questo governo incompetente sta distruggendo il settore della pesca dei crostacei”, e anche: “Boris ci ha traditi”.
Sono arrabbiati perchè la burocrazia doganale fa ritardare la filiera anche di 8-10 ore, con l’inevitabile conseguenze che il pescato — spesso e volentieri — vada a male.
“La colpa è anche del covid, abbiamo pronto un fondo da 23 milioni di sterline — ha replicato Boris Johnson — risarciremo i lavoratori del settore ittico coinvolti fino a quando la situazione sarà tornata alla normalità ”.
Ma il problema — per i pescatori britannici (per la maggior parte scozzesi, ma anche inglesi) — è un altro. L’accordo raggiunto in “zona Cesarini” per evitare il No deal. Ovvero: un accordo commerciale di libero scambio, zero dazi e tariffe.
Molto favorevole a prima vista, ma non con gli stessi vantaggi del mercato unico europeo. E più precisamente, la fluidità . Quella burocrazie che, appunto, inceppa il meccanismo e rallenta le cose. Tanto che non solo il pesce rischia di andare a male, ma ora alcuni clienti hanno annullato gli ordini per timore di ritardi nelle consegne. Un effetto della Brexit, da loro tanto desiderata.
Credevano infatti che con l’uscita dall’Unione europea potessero pescare — e quindi lavorare — di più. Questo perchè i limiti del mercato comune europeo impongono un sistema di quote per la pesche nelle acque “sovrane”, che nel caso degli inglesi e scozzesi equivaleva a un 30-40 per cento dei pesci del loro mari.
La promessa di quelli che la Brexit l’hanno ideata e portata a termine era quella di acquisire il controllo totale delle loro acque. Obiettivo, peraltro, non raggiunto. Il risultato, ora, è che alcune aziende ittiche in Scozia e nell’Inghilterra del nord hanno avuto perdite per migliaia di euro e ora rischiano di chiudere.
(da “NextQuotidiano”)
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