L’AUTARCHIA DEI VACCINI E’ UNA SOLUZIONE? NO, PERCHE’ PRIMA DI PRODURLI IN ITALIA SU LICENZA CI VORREBBE TRA 10 MESI E UN ANNO
ECCO QUALI SONO GLI INTOPPI
L’idea del nuovo governo Draghi di aumentare la produzione dei vaccini mettendo a frutto le possibilità industriali italiane è una prima prova del livello stretto di coordinamento europeo che il nuovo premier vuole seguire quale bussola del suo operato a Palazzo Chigi.
C’è infatti anche l’Italia tra i paesi europei che hanno contattato la Commissione Ue per partecipare allo sforzo collettivo per produrre più vaccini.
Ed è questo il piano europeo per uscire dal tunnel di una campagna vaccinale ancora troppo lenta. Ne discuteranno i leader europei nel summit virtuale di giovedì, il primo per Draghi nella sua nuova veste di presidente del Consiglio (venerdì si terrà un’altra videoconferenza dei 27 su difesa e sicurezza).
Ma è un piano che non sembra offrire soluzioni immediate alla carenza di fiale per combattere la pandemia.
E’ un piano che ha i suoi tempi, “mediamente 6-7 mesi” per abilitare impianti già esistenti alla produzione di vaccini, secondo il parere di esperti del settore sentiti da Huffpost.
Ma ne servono anche di più, “un anno”, se lo stabilimento in questione non è già dotato di bioreattore.
Però, per come la vedono a Bruxelles in stretto coordinamento con Berlino, Roma, Parigi e le altre capitali, non c’è una soluzione che dia effetti più immediati. Per parte sua, Draghi, ha anche in mente di puntare molto sullo sviluppo del vaccino italiano Reithera, anche se in questo caso i tempi sono pure più lunghi.
“Un certo numero di Stati membri ci ha contattato per offrire le proprie capacità industriali” in uno sforzo di partecipazione collettiva alla produzione dei vaccini anti-covid, dice il vicepresidente della Commissione Europea Maros Sefcovic al termine del Consiglio Affari Generali dell’Ue tenutosi oggi in videoconferenza. Tra questi paesi c’è appunto l’Italia.
Giovedì, mentre Draghi sarà riunito con gli altri leader europei in videoconferenza, il ministro per lo Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti incontrerà i responsabili delle aziende farmaceutiche per avviare il lavoro sulla parte italiana del piano europeo. Primo obiettivo: stringere accordi tra le aziende farmaceutiche e le aziende che hanno i brevetti per produrre in Italia.
Quest’ultimo è il punto più debole di tutto il piano europeo, non solo della parte italiana naturalmente.
Le aziende che detengono i brevetti dovranno cedere la tecnologia per la produzione di vaccini in stabilimenti che non appartengono alla loro catena industriale. Lo faranno?
Il piano non prevede obblighi, anche se la Commissione Europea avrebbe potuto far ricorso allo strumento delle licenze obbligatorie previsto dall’Organizzazione Mondiale del Commercio in caso di emergenze sanitarie gravi. Non lo ha fatto, preferendo la via della trattativa a livello nazionale e anche europeo. E trattativa sia.
Dopo il braccio di ferro con Astrazeneca e gli intoppi con le aziende che hanno ridotto le forniture delle dosi senza molte spiegazioni, Ursula von der Leyen ha istituito una apposita task force guidata dal Commissario all’Industria Thierry Breton con il compito di tirare fuori l’Ue dal pantano dei vaccini.
Il nuovo piano europeo ha dunque anche un volto: Breton, appunto, francese, ex amministratore di France Telecom ed ex presidente del gruppo Atos specializzato in servizi digitali. Il Commissario ha intrapreso un vero e proprio tour per gli stabilimenti farmaceutici del continente per verificare standard e livelli di produzione.
Ha iniziato il 10 febbraio con la Thermo Fisher Scientific, subappaltata da AstraZeneca per la produzione di componenti per i vaccini in Belgio, poi ha visitato la fabbrica della Lonza, che sta facendo lo stesso per Moderna in Svizzera. E ieri, accompagnato da uno stuolo di giornalisti, Breton è stato allo stabilimento della Pfizer a Puurs in Belgio, dove si producono 50 milioni di dosi al mese che dovrebbero essere raddoppiate per giugno.
In totale, “ci aspettiamo 300 milioni di dosi per il secondo trimestre di quest’anno”, è la previsione di Sefcovic, finora ne sono state consegnate solo “40,7 milioni”. Previsione troppo ottimistica?
Non ce n’è una migliore, ti rispondono fonti europee. “E’ una lotta”, ammette Breton. E a chi gli chiede se l’Ue non avrebbe dovuto muoversi prima per accelerare la produzione dei vaccini, il francese scrolla le spalle e risponde: “Beh io sono qui ora”.
Della serie, lasciamo gli errori al passato, dopo l’autocritica di von der Leyen al Parlamento Europeo, e cerchiamo di programmare meglio il futuro. “A metà marzo – annuncia Sefcovic – l’Ema dovrebbe autorizzare anche il vaccino Johnson&Johnson”. E poi “il primo appuntamento importante dell’anno sarà il Summit globale sulla sanità a maggio in cui sarò accanto al premier Mario Draghi a Roma – annuncia von der Leyen – Sarà un momento per riflettere sulle lezioni imparate ma anche per concordare un piano comune di preparazione in modo che il mondo non venga mai più colto alla sprovvista. Tutti, governi, organizzazioni internazionali, scienziati, società civile, aziende, tutti vi devono contribuire”.
Intanto però la ‘pratica Sputnik’ sembrerebbe in alto mare, dopo il raffreddamento dei rapporti tra Bruxelles e Mosca sull’onda delle pressioni della nuova amministrazione Biden negli Usa. “I russi sono bravi in matematica, fisica, biologia e tanto altro ma non hanno la capacità industriale per garantire una produzione di massa dello Sputnik”, dice Breton.
In vista della videoconferenza di giovedì sul piano europeo per accelerare la produzione dei vaccini, il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel ha tenuto colloqui con i leader europei. Oggi è stato il turno di Draghi, in gruppo con Angela Merkel, il primo ministro portoghese Antonio Costa, il greco Kyriakos Mitsotakis e la presidente von der Leyen.
Con la cancelliera tedesca Draghi ha stabilito un filo diretto, è la prima e finora l’unica leader Ue con cui abbia avuto un colloquio telefonico da quando si è insediato a Palazzo Chigi. E proprio Merkel è particolarmente allarmata sulla pandemia. “Siamo nella terza ondata”, ha detto oggi in un incontro di partito, la Cdu, mentre tra i Land tedeschi è il caos, molti governatori hanno deciso di riaprire alcune attività a partire dalla prossima settimana nonostante la nuova minaccia delle varianti del virus, al 30 per cento tra i contagi in Germania.
(da “Huffingtonpost”)
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