LO SPOTTONE DI SALVINI SULL’ESTRADIZIONE DAL NICARAGUA DELL’EX BR CASIMIRRI ARMA DI DISTRAZIONE DI MASSA (CHE NON SERVE A UNA MAZZA)
COME SE FACENDO VOTARE UN EMENDAMENTO AL PARLAMENTO EUROPEO IL NICARAGUA CAMBIASSE IDEA DOPO AVER GIA’ RESPINTO DUE VOLTE LA RICHIESTA DELL’ITALIA NEGLI ANNI PASSATI… L’EX TERRORISTA DELLE BR GESTISCE UN RISTORANTE DI LUSSO, E’ AMICO DEL GOVERNO, E’ CITTADINO DEL NICARAGUA E SI FARA’ DUE RISATE
La Lega ha presentato all’Europarlamento un emendamento alla risoluzione sul Nicaragua per chiedere l’immediata estradizione dell’ex brigatista Alessio Casimirri, domani sarà ai voti di Strasburgo. L’auspicio di Matteo Salvini è che “tutta Europa dia ragione” al Carroccio e “condivida la battaglia” del Governo.
Cosa rappresenterà questo spottone? Il nulla, solo prepaganda, visto che il governo del Nicaragua ha già respinto due volte in passato la richiesta.
Casimirri, nome di battaglia “Camillo”, nato a Roma il 2 agosto 1951 e brigatista rosso, condannato tra le altre cose per aver partecipato al sequestro Moro, da anni vive a Managua e gode di protezioni eccellenti.
Oltre il caso Moro e l’omicidio della sua scorta, ha partecipato agli attentati mortali dei giudici Palma e Tartaglione e all’assalto alla sede della Dc di piazza Nicosia a Roma. Condannato all’ergastolo, ora è titolare di un ristorante in Nicaragua, La Cueva del Buzo a Managua.
Alessio Casimirri, 67 anni ottimamente portati è blindato da un intreccio di poteri che, di fatto, lo rendono un intoccabile.
Figlio di un alto funzionario del Vaticano, Casimirri sarà il solo brigatista, tra quelli identificati del commando di via Fani, a sottrarsi all’arresto: con l’aiuto dei servizi segreti, espatriò in Nicaragua, da dove non verrà mai estradato.
Il combattente “Camillo”, infatti, ha radici saldamente piantate nel microuniverso della Santa Sede: la madre era una cittadina vaticana, il padre, Luciano Casimirri, diresse la Sala stampa vaticana sotto tre pontefici: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI (che battezzò e comunicò il piccolo Alessio).
Il giovane Alessio, ex militante di Potere operaio, segnalato nel 1975 in un rapporto dei carabinieri come soggetto «fazioso e violento», confluisce nelle Br nel 1976 e vi resta almeno fino 1980 prendendo parte all’azione più eclatante, quella in cui viene annientata la scorta del presidente Dc Aldo Moro, prigioniero senza ritorno.
Subito la sua figura risulta al centro di parecchie stranezze, come una immediata perquisizione ancora nel pieno del sequestro di Moro, il 3 aprile 1978, nella sua casa di via del Cenacolo, 56 a La Storta, con contestuale perquisizione anche dell’abitazione dei genitori in via Germanico, 42, a ridosso del Vaticano: segno che gli inquirenti avevano già un quadro piuttosto chiaro della sua rilevanza in seno alle Br.
Ma siamo solo all’inizio. Casimirri, più volte segnalato, denunciato, perquisito, trova modo di recarsi nel 1980 in una stazione dei carabinieri ai quali consegna armi senza per questo destare giustificati sospetti; ancora due anni dopo, da ricercato, può ritirare quanto a lui dovuto dal datore di lavoro prima di darsi alla latitanza ed espatriare, verosimilmente con un passaporto rozzamente contraffatto a nome Guido Di Giambattista: entra in Francia, e, passando per Mosca, approda finalmente, e definitivamente, in Nicaragua.
Secondo plurime risultanze di indagine, tra le quali la già citata II Commissione Moro, Casimirri ha potuto usufruire di «costante e ripetuta protezione nel nostro Paese, di cui […] godere in molte fasi della sua vita con modalità e intensità diverse e in molteplici ambiti». Non solo, come è ovvio, grazie alla potente influenza dei familiari, ma anche «con analoghi percorsi, elementi di collaborazione, più o meno ufficiale, con strutture dello Stato».
L’ex compagno di militanza brigatista Raimondo Etro riferì alla Commissione una voce che voleva Luciano Casimirri, padre di Alessio, in rapporti di confidenza con il generale Giuseppe Santovito, capo del Sismi e affiliato alla loggia massonica coperta P2. Non è tutto.
Sempre circa le ambigue protezioni in grado di sottrarre Casimirri alla cattura, è ancora la stessa II Commissione Moro a ipotizzare «un quadro inquietante di protezioni… [che contemplano] l’esistenza di un rapporto tra il generale dei carabinieri Francesco Delfino e Casimirri, il quale sarebbe stato dunque una sorta di infiltrato dell’Arma nelle Brigate Rosse»; ipotesi «valorizzata [dal giudice Antonio Marini e che], trova fondamento nelle dichiarazioni rese da Bou Ghebi Ghassan», un cristiano maronita libanese implicato in traffici di droga, alle autorità giudiziarie prima di Brescia e poi di Roma.
Sta di fatto che l’ex bambino vaticano resta intoccato ed è l’unico fra tutti i suoi compagni di militanza.
In Nicaragua ha dapprima collaborato col regime sandinista di Ortega contro i Contras, addestrando le truppe speciali in attività militari subacquee, delle quali è sempre stato esperto fin da giovane (altra circostanza che ha indotto qualcuno a ricondurlo più ad un ruolo da militare infiltrato che da terrorista); quindi, ottenuta nel 1988 la cittadinanza nicaraguense e messa su famiglia, ha aperto un ristorante rinomato e assai frequentato, oltre che gravido di richiami, più o meno criptici, al suo torbido passato.
Ma per tutti egli è lo chef, un amico, uno che a tavola ti ridà la vita, seppure a prezzi non esattamente proletari.
Due richieste italiane di estradizione, nel 2004 e nel 2015, sono cadute come foglie morte.
La sua vicenda è a suo modo esemplare di quella zona grigia di connessioni e protezioni statali e poliziesche che ha avvolto tanti terroristi, di destra e di sinistra, lui più di ogni altro. Oggi i Contras hanno problemi in Nicaragua, forse passeranno anche loro, ma Casimirri resterà .
Alla luce del sole, senza doversi nascondere.
(da agenzie)
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