L’OBIETTIVO DI MONTI: “DOBBIAMO ARRIVARE AL 20%. SOLO COSI’ I VOTI DI VENDOLA NON SARANNO PIU’ NECESSARI”
POSSIBILE SUGGELLO DEL PATTO: MONTI NON ESCLUDE PIU’ IL QUIRINALE
Attaccare Bersani per polarizzare la campagna elettorale, trasformandola in una competizione tra il centro e il Pd.
E in questo modo oscurare Berlusconi.
Questi sono i consigli che gli spin doctor (americani e non) hanno dato a Mario Monti e che il premier sta mettendo in pratica.
«Conviene a noi — ha osservato Monti provando a convincere un esponente Pd che si lamentava per gli attacchi — e conviene anche a voi».
A questo si deve l’apparente recrudescenza tra le due formazioni, compreso lo scambio di “carezze” sulle tasse tra Monti e Bersani. Ma l’apparenza non deve ingannare.
Perchè i numeri della politica sono noti a tutti.
E Monti è il primo a essere consapevole che sarà con il centrosinistra e non con Berlusconi che dovrà provare a mettere in piedi quella «grande coalizione per le riforme» di cui ha parlato a Omnibus.
Del resto è stato il Professore, in una riunione al suo quartier generale, a spiegare la strategia in vista della trattativa sul governo: «Dobbiamo arrivare al 20% per rendere Vendola non necessario. Poi può accadere di tutto».
Insomma, un conto è presentarsi al Pd con un progetto arenato sul 10-12 per cento.
Altro è veleggiare sul 18 per cento e oltre.
«Noi vogliamo aggregare i riformisti — spiega Andrea Romano — e diventare il baricentro riformatore della prossima legislatura. Bersani dice che non si separerà mai da Vendola? Vedremo… sulle riforme necessarie vedremo chi ci starà oppure no».
È comunque sul possibile accordo con il centrosinistra che Monti si gioca la sua partita. Il premier ne è consapevole.
«Ai poteri forti il Pd piace», ha confidato ieri ammettendo la centralità di Bersani, «mentre Berlusconi è del tutto screditato».
Il problema che si aprirà un minuto dopo aver conosciuto il risultato delle urne sarà invece quello della collocazione del Professore in un possibile governo a guida Bersani.
Mentre nei primi giorni di campagna elettorale i montiani escludevano sdegnati che il loro leader potesse accettare un incarico ministeriale con il centrosinistra, ora nessuna ipotesi viene preclusa. La Farnesina? L’Economia? Inutile almanaccare oggi.
La novità semmai riguarda la nuova disponibilità di Monti per il Quirinale.
Il premier infatti non rifiuta più come prima l’idea di poter “salire” fino al Colle più alto. Solo, precisa, «dipende da altri, non da me».
Un piccolo scivolamento semantico che segnala un’apertura inattesa. E così l’eventuale elezione di Monti a capo dello Stato potrebbe essere il suggello finale della «grande coalizione» prospettata ieri.
Del resto alcuni giorni fa, nel corso di una riunione centrista, un navigato democristiano ha fatto a Monti un discorso chiaro: «Presidente ascolta, la sinistra non ti regalerà nulla, men che meno il Quirinale. Se vuoi qualcosa te lo devi conquistare con la tua forza».
Per questo è ancora più vitale per il premier agguantare un risultato convincente.
Vista dalla parte del Pd la prospettiva di un’intesa, la cui necessità Bersani è tornato ancora ieri a prospettare nell’intervista a Les Echos, offre un’opportunità in più.
Non sono sfuggiti infatti a Largo del Nazareno gli accenti differenti tra Pier Ferdinando Casini e Mario Monti.
Con il primo che ha lasciato nel limbo dell’indeterminatezza la possibilità di un partito unico insieme a Scelta Civica.
E che, soprattutto, ha gettato sul premier la responsabilità di aver candidato in Toscana Alfredo Monaci, il manager ai vertici di Mps nell’era Mussari («Monaci? Chiedete a Monti non certo a me»).
Ecco, nel Pd questa “dialettica” interna a Scelta Civica è stata notata, eccome.
Anche perchè, come ha spieato Roberto D’Alimonte sul Sole24ore, grazie al gioco della candidature multiple, Casini riuscirà a far eleggere almeno dieci senatori di provenienza Udc nella lista unica.
Una garanzia per poter costituire un gruppo parlamentare autonomo (insieme magari ai tre finiani sicuri) a palazzo Madama, dove si giocherà la partita.
«Se Monti tirerà troppo la corda — ragionano quindi nel Pd — c’è sempre Casini disponibile a trovare un accordo per tirare fuori il paese dalla secche nel segno della responsabilità nazionale».
Francesco Bei
(da “La Repubblica”)
Leave a Reply