NESSUNO PUO’ VIETARE A UN UOMO DI SOCCORRERNE UN ALTRO: IL DECRETO ONG DI MELONI E’ SOLO PROPAGANDA
L’EX SENATORE GREGORIO DE FALCO ANALIZZA GLI EFFETTI DELLE NUOVE REGOLE
Finché non ha raggiunto la soglia di palazzo Chigi, Giorgia Meloni come un disco rotto ha chiesto ossessivamente che fosse imposto un blocco navale, per fermare i migranti.
In realtà, nonostante qualche cattivo consiglio, lei ben sapeva che si trattava solo di propaganda e che lo Stato non può imporre un blocco navale. Per attuarlo, infatti, occorrerebbe essere disposti anche all’uso della forza, nei confronti di persone inermi ed inoffensive. Era solo propaganda, utile da usare, dai banchi dell’opposizione.
Una volta al governo, Meloni è intervenuta sulla materia in modo differente. Dopo le “dolorose” censure politiche e giuridiche, internazionali e nazionali, alla normativa che parte dai decreti sicurezza di Salvini – volti ad interdire la navigazione delle Ong nelle acque territoriali e a sanzionare il Comandante della nave che effettuava un soccorso in mare -, il decreto legge n. 1 del 3 gennaio 2023 ha portato innovazioni piuttosto rilevanti, sia politicamente, che giuridicamente.
Meloni smentisce Salvini
Ai tempi del cosiddetto decreto Salvini bis, l’allora ministro degli Interni sostenne davanti al Senato, di aver trattenuto per giorni e giorni, anche con 40 gradi all’ombra, centinaia di persone a bordo delle varie navi soccorritrici (bloccando anche unità navali della Guardia Costiera), per difendere le coste nazionali. Il nuovo decreto di Meloni contraddice l’impostazione difensiva di Salvini
Viene infatti sgomberato il campo da ogni ipotetico dubbio e si conferma che il fine della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica non regge alla comparazione con la esigenza immediata di assicurare l’incolumità dei naufraghi. Infatti, qualunque pubblica finalità cede dinanzi al preminente diritto alla vita ed alla integrità fisica ed al correlativo dovere dello Stato stesso di assicurare tutela a quei beni.
D’altro lato, però, il governo Meloni ha ritenuto di avere la potestà di estendere, per decreto, la giurisdizione nazionale alle navi straniere nel mare internazionale. In linea con i precedenti governi, l’esecutivo ha perpetuato in materia una tradizione di errori goffi ed imbarazzanti e la norma, evidentemente, non può trovare applicazione.
I nuovi limiti ai soccorsi
Molti autorevoli commentatori ritengono che il nuovo decreto metta un limite astratto e preventivo al numero dei soccorsi effettuabili, quale condizione per considerare “inoffensiva” e quindi ammissibile, la navigazione nelle acque territoriali delle navi ONG. Insomma si ritiene che il testo istituisca l’obbligo del “mono-soccorso”, cioè che il soccorso debba essere occasionale e che una nave che ne abbia effettuato uno, non possa trarre in salvo altri naufraghi.
Una regola siffatta sarebbe giuridicamente aberrante (e quindi da disapplicare), ma soprattutto sarebbe umanamente indecente. Personalmente però nutro qualche dubbio sul fatto che sia questo il reale effetto giuridico della nuova norma. Infatti, nell’imporre alla nave soccorritrice di fare rotta “senza ritardo” verso il porto di sbarco, il decreto non sembra in realtà dire nulla di nuovo, se non confermare come l’esigenza di completare celermente il soccorso sia prioritaria.
Viceversa, non sarebbe ammissibile che si ponesse una deroga implicita, all’obbligo giuridico, sanzionato da norma penale, che vincola gli Stati ad imporre ai comandanti delle proprie navi di prestare soccorso alla vita umana in pericolo in mare. Una normativa convenzionale e quindi di rango superiore alla legge nella gerarchia delle fonti. Il soccorso in mare è un obbligo che non può soffrire alcun limite giuridico predeterminato in astratto, potendo il Comandante fermare la possibile azione di soccorso, solo in caso di grave rischio per la nave soccorritrice, l’equipaggio o per i suoi passeggeri.
Mi conforta che nemmeno il presidente della Repubblica sembra aver ritenuto che effetto del decreto sia l’obbligo del “mono-soccorso”, poiché altrimenti siffatta norma si sarebbe posta in un insanabile ed evidente contrasto con l’articolo 117 della Costituzione ed il Presidente non avrebbe promulgato il decreto o comunque sarebbe intervenuto a riguardo.
Cosa rimane sotto la propaganda
Invece, con la innovazione normativa rimane esplicitamente confermato che, contrariamente a quanto sosteneva il ministro Salvini, il nostro Paese ha la responsabilità del soccorso e del coordinamento in quella zona di mare libero in cui oggi operano le navi umanitarie e si rafforza anche l’obbligo di indicare (senza ritardo) un porto di sbarco, in Italia, e consentire il completamento a terra delle operazioni di soccorso.
I porti della Libia e della Tunisia, ma anche di Malta vanno esclusi, perché, come è noto, i Paesi del Nord Africa non sono in grado di garantire tempestivamente luoghi sicuri di sbarco, mentre Malta non ha mai ratificato gli emendamenti IMO alle Convenzioni Sar e Solas del 2004.
Il governo Meloni aveva già dovuto precipitosamente abbandonare la recente ed imbarazzante tattica degli “sbarchi selettivi”, ideata dal ministro degli Interni, nonché la pretesa di far presentare la domanda di asilo allo Stato di bandiera della nave soccorritrice, tramite lo stesso equipaggio dell’imbarcazione, poiché il Regolamento di Dublino non si applica in mare. La Giurisprudenza ha ben chiarito da tempo che la richiesta d’asilo va presentata dopo lo sbarco nel più vicino “porto sicuro”
Come si vede, anche in questa materia, la complessiva azione politica del Governo si caratterizza per approssimazione, incertezza e contraddittorietà, poiché tenta di nascondere la necessità di doversi adeguare alle censure ricevute in materia, in particolare dalle Corti nazionali ed europee (rivolte anche ai precedenti governi Conte e Draghi), sotto la coltre della solita pervicace e miserevole propaganda politica, fatta sulla pelle di pochi e disgraziati naufraghi.
Al riguardo, è stato ribadito in giudizio che, quando si ha a che fare con persone in pericolo in mare, si tratta di naufraghi, anche qualora la situazione di soccorso sia eventualmente connessa con un fatto migratorio. Inoltre, è il Comandante della nave soccorritrice, l’unica autorità titolata a qualificare la situazione in atto dinnanzi ai suoi occhi in mare, come situazione di pericolo o meno.
Ed è il Comandante che, caso per caso, ha la potestà per stabilire preventivamente, tenendo conto di tutte le circostanze concrete esistenti (condizioni di efficienza della nave, stabilità, carico a bordo, stato e previsioni meteo marine, etc..) quale sia il “numero massimo di naufraghi imbarcabili”, poiché l’obbligo di soccorso alla vita umana in mare prevale sulla normativa tecnica.
Il decreto legge n. 1 del 2023 modificando il c.d. decreto Salvini bis, sembra stabilire le condizioni a cui sottoporre il transito della nave nelle acque territoriali, per considerare quella navigazione inoffensiva ed autorizzare la nave a sbarcare i naufraghi. Ma in realtà è solo fumo negli occhi, è propaganda, in quanto la navigazione di una nave che ha operato un soccorso in mare verso un “posto sicuro” è sempre legittima e deve essere sempre considerata inoffensiva, essendo parte dell’adempimento dell’obbligo (di diritto internazionale, oltre che interno) di salvare la vita umana in mare. Per questo non può considerarsi come attività compiuta in violazione delle leggi nazionali sull’immigrazione.
L’eccesso di poteri nelle mani del prefetto
Ciò che desta preoccupazione nella nuova normativa è il pregiudizio insito nella circostanza che si individua nel prefetto, l’autorità che dovrebbe verificare, se nell’evento marittimo ricorrano o meno le circostanze che integrano una fattispecie di soccorso alla vita umana in mare. Ma quale competenza, giuridica, tecnica o amministrativa ha il prefetto in ambito marittimo?
E in ogni caso, è un rovesciamento gerarchico assurdo attribuire ad una autorità amministrativa, peraltro assolutamente incompetente per materia, la potestà di limitare diritti ed obblighi, previsti da norme giuridiche di rango costituzionale, che hanno la forza di vincolare lo stesso legislatore e quindi, a maggior ragione le autorità amministrative.
In definitiva, un governo che impedisse il soccorso alla vita di un uomo in pericolo in mare (perché questi non ha avuto la “fortuna” di essere vittima del primo naufragio, su cui interviene la nave soccorritrice), se non assumesse direttamente ed efficacemente la responsabilità del coordinamento o anche dell’esecuzione del soccorso in mare, violerebbe i principi umani e giuridici su cui si basa la stessa delega politica e travalicherebbe quindi i limiti del mandato ricevuto.
Nessuno infatti ha l’autorità per vietare ad un uomo di soccorrerne un altro, tantomeno lo Stato, perché in tal modo, esso giunge al paradosso di rinnegare il proprio fondamento costitutivo, ovvero il principio – umano, prima che giuridico – di solidarietà.
Gregorio De Falco
(da Fanpage)
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