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“PIANGEVO, IL MEDICO URLAVA CHE SE VOLEVO ABORTIRE DOVEVO GUARDARE”

COSTRETTE AD ASCOLTARE IL BATTITO DEL FETO, INSULTATE E OFFESE DAL PERSONALE MEDICO: LE STORIE DI OTTO DONNE LA CUI INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA E’ STATA RESA UN INCUBO

Le storie che leggerete sono state raccolte da Non Una di Meno Rimini, che ringraziamo.
“Ho abortito il 23 dicembre. Quando siamo scese un’infermiera disse ‘tra due giorni nasce il Bambino Gesù e qui i bambini li uccidiamo’. Alcune di noi piansero”. Queste sono le storie di otto donne che hanno abortito in Italia, più precisamente nella regione dell’Emilia Romagna, negli ultimi tre anni.
Un percorso che, nonostante siano passati 46 anni dall’approvazione della legge 194, è fatto di difficoltà, insulti, umiliazioni. Donne che hanno dovuto percorrere 75 chilometri per trovare un ospedale disposto a praticare l’Ivg, che sono state offese e chiamate assassine, e che ancora oggi ricordano con rabbia quei momenti.
I loro racconti sono stati affidati a Non Una di Meno Rimini. I nomi che useremo sono ovviamente di fantasia per tutelare la loro privacy.
“L’ingresso degli anti-abortisti nei consultori non solo mina la rappresentazione che queste strutture dovrebbero avere per legge, ma ci rimanda anche a una indiretta e mascherata delegittimazione dellə operatorə – dichiara Non Una di Meno Rimini in una nota – Per quale motivo, bisognerebbe favorire l’ingresso di altre figure per svolgere compiti che già competono a operatorə? Siamo stanchə di questa strategia di governo volta a svuotare il diritto di aborto. Difenderemo i nostri consultori e il nostro diritto alla salute, sempre”.
Carla
C’è Carla che è andata al consultorio, indecisa se abortire o meno, e ha trovato operatori sanitari che l’hanno accolta e le hanno spiegato come funzionava la procedura. Le cose sono cambiate quando si è sentita male ed è finita al pronto soccorso. “Ho trovato una ginecologa che al mio ‘forse voglio interrompere la gravidanza‘, ha iniziato a dirmi di non farlo perché me ne sarei pentita, avrei fatto la fine delle sue pazienti che dopo vent’anni ancora piangono per aver abortito… così, per mezz’ora! Sono andata a casa distrutta. Poi ho deciso comunque di abortire e l’ho fatto a Cesena, credo sia l’unico ospedale che accoglie questo genere di operazioni”.
Giulia
“Non ostruzionismo per accesso all’Ivg, ma al consultorio di Rimini mi sono trovata davanti una ginecologa che durante una visita ha più volte fatto commenti e domande invasive del mio privato – racconta Giulia -. Soprattutto mi ha detto, parlando del fatto che volessi togliere la spirale senza rimetterla, ma non fossi ancora certa di cercare o meno un figlio, testuali parole: ‘basta che se poi rimani incinta lo tieni, perché nessuno ti fa l’interruzione perché non sei stata attenta’. Obiezione preventiva, aggressiva e informazioni totalmente sbagliate sull’accesso all’Ivg. E meno male che questa cosa l’ha detta a me, che so benissimo che non è così e come stanno realmente le cose. Ma se dice cose del genere a ragazze adolescenti nello Spazio Giovani? Se lo dice a donne migranti che non conoscono bene la legge italiana? L’ho trovato davvero vomitevole, ho fatto una segnalazione, ma non c’è stata alcuna conseguenza”.
Lorenza
Quando sul test di gravidanza compare la seconda linea rossa, Lorenza prenota immediatamente un appuntamento al consultorio per avere il certificato dell’Ivg. Doveva essere protetta, prendeva la pillola, ma la contraccezione non ha funzionato. “Ci va bene, hanno posto dopo tre giorni. Prima di andare a fare l’ecografia siamo obbligati ad andare dall’ assistente sociale che ci chiede il motivo di tale decisione. Se ti dicessi che ho paura, ti andrebbe bene come risposta? Passerei il tuo esame? E invece se ti dicessi che voglio godermi la mia vita per come è adesso? Andrebbe comunque bene? Tutte queste motivazioni erano vere, ma abbiamo alzato l’asticella, giusto per essere sicuri di passare l’ esame. Diciamo di avere già un altro figlio e che nessuno dei due ha un lavoro stabile”.
A quel punto inizia la trafila con i numeri da chiamare, rigorosamente cercati su Google perché nessuno, quando si tratta di aborto, ti indirizza in modo professionale presso una struttura. “Finalmente ce la fai. A 75 km, ma nell’ospedale più vicino sono tutti obiettori e non le fanno le IVG. Chiami per prenotare e, invece di fornire nome e prestazione richiesta seguita da giorno e ora dell’ appuntamento l’ostetrica si sente di metterci del suo. Dice che ci devo pensare bene. Che, proprio perché ho già un figlio, conosco la gioia che si prova e non capisce come potrei volermene privare. Cerca di giocare la carta empatia, lo sa che ho paura, che proprio per questo non devo prendere la decisione da sola ma parlarne con il mio compagno, con le amiche. Magari anche con lei, se voglio. Non capisco se sia un’ ostetrica o una psicologa o cosa. Io intanto non riesco a fare altro che piangere, e piangendo dico che voglio l’appuntamento. 21 giugno alle 11, non lo scorderò mai. Mi dice che mi lei prende l’appuntamento, ma che tanto se lo sente che io non andrò, perché mi sente che sto soffrendo, che in realtà questo figlio lo voglio. Avevo solo la nausea e tanta, tanta rabbia. Ma non sono riuscita a dire nulla. Va bene, ci vediamo il 21. Lei dice ‘spero di non vederti’. Io sono solo colma di rabbia e purtroppo non riesco a risponderle nulla. Vorrei spaccare tutto. La cazzo di pillola che non ha funzionato. La mia fottuta sfiga. Me stessa. La violenza inaudita di questa persona nei confronti di una sconosciuta, nascondendosi dietro ad un telefono per giunta. Vorrei spaccare tutto. Non dimenticherò mai quella rabbia, quella violenza subita”. Lorenza, alla fine, non ha abortito. Ma non perdona quello che le è accaduto. “L’aborto deve essere garantito sempre, sicuro ma anche dignitoso. Non dimentichiamolo. Spero che mia figlia, e nessuna persona con l’ utero, debba mai vivere quella violenza che hanno fatto a me”.
Teresa
“Ho abortito a febbraio 2021 a Rimini, alla 7a settimana di gravidanza – la storia di Teresa – Scoprirmi incinta è stato per me un vero e proprio shock, vivevo un periodo parecchio difficile e psicologicamente mi sentivo molto fragile. Non ci volle molto a maturare la scelta di voler interrompere la gravidanza, nonostante dentro di me in alcuni momenti della vita fossi riuscita a immaginarmi madre. Quando capitò, però, la situazione era totalmente diversa da come avrei desiderato potesse succedere. Sapevo che non avrei voluto un figlio in quel modo, né in quel momento di vita, ma vissi comunque il percorso con grande agitazione e difficoltà. Al consultorio delle Celle feci la prima visita con un’ostetrica molto brava, ci arrivai molto turbata ma lei subito mi fece sentire a mio agio.
Ricordo mi spiegò con delicatezza e precisione tutte le opzioni e mi aiutò a scegliere il percorso da intraprendere, le sue domande non mi sembrarono mai invadenti o inquisitorie, anzi, il colloquio mi rese più tranquilla. Successivamente dovetti fare la visita con la ginecologa. Nell’ambulatorio lei non mi degnò di uno sguardo né ricambiò il mio saluto, prese solo in mano la cartella con i documenti medici e quelli compilati dall’ostetrica e mi indicò la poltrona dove mi avrebbe fatto la visita. In pochi secondi, senza parlare, lei aveva spalmato il gel sulla mia pancia e preso l’ecografo, poi senza avvisare aveva passato la sonda sul ventre facendomi sentire il battito cardiaco del feto. Non saprei dire con esattezza quanto è durato, ma a me è sembrato un momento lunghissimo. Ricordo di non aver avuto la forza di dire niente, non me l’aspettavo e fu un colpo che mi lasciò quasi senza fiato. Finita la visita me ne andai con gli occhi pieni di lacrime. Ci misi giorni a riprendermi psicologicamente e ancora oggi lo ricordo come la cosa più traumatica e spiacevole dell’intera esperienza. Quel gesto fu di una violenza indescrivibile”.
Ilaria
“A vent’anni sono rimasta incinta e la paura mi ha spinta dritta in ospedale, alla ricerca di risposte. Il medico che mi ha ricevuto era scortese, e bastò spiegare i motivi della mia visita per sentirmi subito giudicata. Durante l’ecografia, ero così sconvolta che i ricordi sono un po’ confusi. Ricordo solo il gel freddo sulla pancia e il muro davanti a me. Ero paralizzata dalla paura, incapace di muovermi. Ho cercato di mantenere la calma per rispondere alle allusioni del medico, ma le lacrime continuavano a scendere. Il dottore ha cominciato a chiedermi di guardare il monitor dell’ecografo. La mia risposta, tra le lacrime, fu: ‘No, grazie’. Ma lui non ha accettato il mio rifiuto, si è imposto nel mio campo visivo e ha cominciato a urlare, accusandoci tutte di divertirci ma di non avere il coraggio di guardare”.
Cecilia
“Avevo 23 anni appena compiuti e stavo con un ragazzo da quando ne avevo 18. Sono rimasta incinta e avrei voluto tenerlo ma lui non lo voleva, i miei genitori non erano d’accordo che io crescessi un figlio da sola,. Senza il loro aiuto e senza l’aiuto di quello che era il mio compagno non avrei potuto crescerlo perché non ero ancora indipendente. Vivevo con la mia famiglia e studiavo per diventare insegnante, cosa che desideravo tantissimo. Quindi ho deciso di abortire con tanta sofferenza. È stata una decisione difficilissima e mi aspettavo aiuto e comprensione. Poi in consultorio a Riccione mi hanno preso appuntamento per parlare della mia decisione… Io che ero arrivata fin lì con tantissima fatica, tantissimi pianti e tantissima sofferenza, avrei dovuto parlare della mia decisione?
Per di più avevo fatto negli ultimi tre mesi un ciclo di antibiotici molto pesanti per un batterio che avevo scoperto con un tampone vaginale, e i ginecologi mi avevano detto che portare avanti una gravidanza non sarebbe stato sicuro per il feto. Questa è stata un’altra delle cose che mi ha fatto desistere. Ma loro hanno voluto fare quella ‘chiacchierata’ con me, che dopo tanti anni ho letteralmente rimosso per fortuna. È stato tutto faticosissimo. Mi ha provocato delle ferite assurde, e a distanza di tempo mi rendo conto che queste ferite sono state provocate da tutto ciò che c’è intorno all’aborto. Dal fatto che la nostra società cristiana lo considera un omicidio. Ed è così che io mi sono sentita per tanti anni. Mi sono sentita di aver ucciso mio figlio. Perché loro e la società in cui viviamo mi hanno fatto sentire così. Ma diversamente come avrei potuto fare? Ovviamente è una domanda retorica, perché io ora so, dopo tanta psicoterapia fatta per questo e altri motivi, che ho fatto la cosa giusta”.
Sara
“Mi sono sentita molto a disagio, colpevole e fuori posto. Dopo avere più o meno capito quello che mi stava succedendo, dopo la fase di shock paralizzante, la prima cosa che ho pensato di fare è stata quella di rivolgermi al medico di base per chiedere informazioni o un qualsiasi tipo di indirizzamento sul cosa fare. Prima di riuscire a parlare direttamente con il medico ho dovuto dire alla centralinista il motivo della telefonata (il disagio), dopo di che esposto al medico di base il mio problema, lei mi rispose non rispondendomi, dicendomi che non si faceva cosi, che c’erano altri modi, dovevo fare visite, analisi, rispettare delle procedure e poi non si sa cosa, perché non mi è mai stato chiarito.
Capito l’ostacolo, decido di andare tramite privati, faccio la prima visita ginecologica che conferma la gravidanza e il medico senza chiedermi nulla mi fa sentire il battito del feto, non so neanche come descrivere la sensazione che provo tuttora a ripensarci. Mi dissero di andare in ospedale e così feci, anche se tra le visite e i tempi di attesa i giorni passavano e l’ansia aumentava. Ogni visita fatta in ospedale ero messa di fianco a una donna incinta, non c’era un posto per me, non c’era un posto per noi. Tanto che più di una volta mi sono trovata a vagare non sapendo se fossi nel posto giusto.
Le domande di protocollo (forse) dei medici mi spiazzarono, non so quante volte mi sia stato chiesto ‘quali erano i motivi dell’interruzione’, ‘se fossi informata delle conseguenze’, ‘perché scegliere il raschiamento e non i farmaci’, ‘se ne fossi convinta’, addirittura che ‘tipo di rapporti avevo’. Il problema è che no, purtroppo non si è informati, non sai a chi rivolgerti, cosa fare, come farlo, se non per passa parola. Non trovi supporto ma tanti ostacoli. Si viene informate quando ormai è già troppo tardi, quando la tua privacy, i tuoi diritti e le tue emozioni sono già state violate”.
Elisa
“Ho abortito il 23 dicembre di un po’ di anni fa. Sono arrivata oltre il limite a causa di questioni personali alle quali si sono aggiunti i cinque giorni di riflessione obbligatoria. Perché ti devono dire loro quando pensare e quanto, mica ci hai già pensato due mesi. Eravamo una decina, ci portarono nel seminterrato senza alcuna spiegazione e ci inserirono un ovulo. A ogni richiesta di spiegazione rispondevano tutte acidamente che avevamo saputo arrivare fin lì, come potevamo non sapere cosa fosse quel medicinale?
Il mio embrione era grosso, quindi fui lasciata per tutto il tempo necessario allo svolgimento delle precedenti pratiche su di una barella fredda, senza coperte e senza spiegazioni. Finalmente arrivò dopo più di un’ora un’infermiera compassionevole a portarmi una coperta e a spiegarmi che le contrazioni erano necessarie per il mio bene, essendo l’embrione grande in questo modo ci si assicurava la pulizia totale. Il resto dei sanitari alle mie richieste di aiuto mi rispondeva che avrei dovuto pensarci prima.
Quando siamo scese un’infermiera disse: ‘tra due giorni nasce il bambino Gesù e qui i bambini li uccidiamo’. Alcune di noi piansero. Mi svegliai col pannolone e nella totale solitudine, mi alzai, vomitai. Arrivò l’infermiera e mi rimproverò di non essere arrivata al cesso per vomitare. Arrivò mia sorella e chiedemmo se sarei potuta uscire. Mi dissero ‘hai fatto quello che dovevi fare, sei libera’. Quasi mai mi hanno dato del lei. Non mi hanno mai spiegato se avessi dovuto fare una visita successiva, l’ho richiesta io per scrupolo”.
(da Fanpage)

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