QUANDO L’OSTRUZIONISMO PER IL PD ERA “DEMOCRATICO”
PROMEMORIA PER ZANDA SU COSTITUZIONE, EMENDAMENTI E NORMA CANGURO
Riforma costituzionale, ostruzionismo, applicazione della «norma-canguro» per accorpare migliaia di emendamenti, proteste dell’opposizione, appelli al Quirinale.
Sembra la cronaca parlamentare degli ultimi giorni, in realtà è quella di quasi dodici anni fa. Copione analogo, ruoli invertiti con il centrosinistra dall’altra parte della barricata.
Era l’autunno 2002 e il governo Berlusconi, che schierava come ministro delle Riforme Umberto Bossi, aveva presentato un disegno di legge costituzionale di «devolution» di poteri su scuola, sanità e polizia dallo Stato alle Regioni.
La maggioranza di centrodestra marciava con passo deciso e senza dialogare con l’opposizione; l’Ulivo, progenitore del Pd, contestava con tutte le forze.
Alla fine di novembre la riforma Bossi approdava in Senato per la prima lettura.
E l’Ulivo rispondeva esattamente come fa oggi chi si oppone al Pd: ostruzionismo. Anzi, per usare l’espressione coniata dal centrosinistra dell’epoca, «ostruzionismo scientifico».
A deciderlo all’unanimità , l’assemblea dei senatori di centrosinistra.
A orchestrarlo, una task force di esperti senatori: Bassanini, Villone, Vitali per i Ds; Mancino e Petrini per la Margherita; Dentamaro per l’Udeur; Turroni per i Verdi.
I quali accolsero la «devolution» sommergendola con 1300 emendamenti.
In valore assoluto, meno degli ottomila che le opposizione hanno presentato oggi in Senato; in realtà , molti di più se si considera che il testo Bossi contava solo 2 articoli e 149 parole, mentre il ddl Boschi 35 articoli e 4323 parole.
L’obiettivo di Bossi era ottenere il primo sì del Senato entro il 9 dicembre, quando cominciava inderogabilmente la discussione della legge Finanziaria.
Quello dell’Ulivo era impedirlo, in modo da allungare i tempi di diversi mesi.
Non solo: per raddoppiare l’ostruzionismo ingolfando il Parlamento, l’Ulivo aveva già pronti altri settemila emendamenti sulla legge Finanziaria.
La battaglia parlamentare fu molto animata e ricorda quella attuale. L’Ulivo non mancò di alzare i toni («Scempio della Costituzione», «Violata la dignità del Parlamento»), di appellarsi al Capo dello Stato, di convocare proteste di piazza, di prolungare in ogni modo i lavori: contestazioni sul resoconto verbale, denuncia dei «pianisti», iscrizione in massa per parlare, pioggia di questioni pregiudiziali.
Stesse pratiche messe in atto in questi giorni da Sel e M5S.
Sotto accusa finì anche il presidente del Senato Marcello Pera, che applicò per la prima volta la regola del «canguro» per cancellare migliaia di emendamenti.
«Solo la tecnica del canguro – scriveva l’agenzia Ansa il 4 dicembre – ha potuto salvare governo e maggioranza da un ritardo inaccettabile sul traguardo finale».
Oggi che lo fa Piero Grasso, il Pd applaude.
Ma allora l’Ulivo gridava alla democrazia parlamentare violata.
E fu proprio grazie al contingentamento dei tempi dell’opposizione (che coniò lo slogan «undici ore per sfasciare l’Italia») e al «canguro» che la devolution fu approvata il 5 dicembre, nei tempi voluti dal governo.
Il testo passò alla Camera, che lo votò quattro mesi dopo, ma lì si fermò.
La riforma costituzionale prese un’altra strada, quella della baita di Lorenzago da cui uscì una riforma molto più ampia.
L’iter parlamentare ripartì con la stessa sceneggiatura: ostruzionismo e denuncia della «dittatura della maggioranza» da parte del centrosinistra.
Ancora una volta Pera applicò la norma-canguro per cancellare gli emendamenti.
Alla fine, la riforma fu approvata in doppia lettura dal Parlamento ma ebbe vita effimera: cancellata per fortuna con il referendum del 2006.
Giuseppe Salvaggiulo
(da “il Tempo“)
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