RENZI E BERLUSCONI SI SONO RISENTITI, ACCORDO FATTO
IMBULLONATO SISTEMA TEDESCO E TEMPI… E SILVIO: “PERCHE’ NON CI VEDIAMO A PALAZZO GRAZIOLI?”
Certo, non è “profonda sintonia” come ai tempi del primo Nazareno. Però, ancora una volta, Silvio Berlusconi e Matteo Renzi si sono sentiti per telefono, per “chiudere” di fatto l’accordo sul modello tedesco. Appena dopo pranzo. E dopo pochi giorni dalla telefonata del disgelo.
Chi conosce il Cavaliere sa bene che, in questi casi, il contatto serve a trovare una quadra politica e certo non a esaminare tecnicalità , emendamenti e dimensione dei collegi, tutti temi — tanto cruciali quanto noiosi — di cui si occuperanno i capigruppo di Pd e Forza Italia, quando martedì pomeriggio si incontreranno alla Camera.
E la quadra politica consiste, dopo il grande freddo degli ultimi mesi, innanzitutto in un impegno da parte di entrambi sui cardini dell’accordo: “Presidente, tu garantisci che la reggi fino in fondo? Tutto il percorso parlamentare?”, il primo cardine. “Io sono un uomo di parola, che tiene sempre fede alla parola data. Sono certo che tu farai altrettanto”.
Ed è per questo che, in Transatlantico, i capigruppo dei principali partiti, neanche avessero già in tasca il decreto di scioglimento, assicurano che “ormai è fatta, si vota il 24 settembre e comunque in una delle tre domeniche che vanno dal 24 settembre all’8 ottobre”.
In questo clima di disgelo, mancherebbe solo una bella stretta di mano, con annesse due chiacchiere che solo a quattr’occhi si possono fare. Il Cav, che è uno all’antica, l’ha anche proposto, una volta che il ghiaccio si è sciolto: “Perchè non mi vieni a trovare a palazzo Grazioli?”.
Invito che è apparso eccessivo anche per lo spregiudicato segretario che, da sindaco di Firenze, non esitò ad andare ad Arcore, luogo simbolo — ai tempi — del potere diurno e della perversione notturna.
Proprio attorno all’incontro — la location eventuale sarebbe il Parlamento — si è sviluppato un clima degno di un giallo, alimentato di “non so” e non detti. Perchè è chiaro che servirebbe, in una trattativa del genere, pensa il Cavaliere: certe cose, che riguardano il futuro, si possono dire solo guardandosi negli occhi, non a telefono su linee infide, dove in parecchi ascoltano, per poi magari riferire agli odiati giornali.
Al momento, però, entrambi hanno convenuto che una roba del genere sarebbe percepita come un inciucio, dannoso per entrambi e dannoso anche per il percorso parlamentare di una legge che, con i voti dei Cinque Stelle, può davvero essere approvata in tempi rapidi. Entro il 10 giugno alla Camera. Entro il 10 luglio al Senato.
È certo che Berlusconi è tornato a pensare in grande, tanto che, racconta Yoda sul Giornale, ha affidato ad Antonio Tajiani un messaggio alla Merkel: “La legge elettorale tedesca è la premessa per dare al paese stabilità “.
Tanta ritrovata vitalità ha le radici in un dato di fatto. Il Cavaliere è in una posizione di forza, rispetto all’altra volta.
Allora, ai tempi dell’elezione del capo dello Stato, pagò subito moneta (votando l’Italicum), ma non vide mai cammello (un candidato condiviso al Colle). Anzi, fu “tradito” all’ultimo miglio. Qui è il contrario. È Renzi che paga subito moneta (legge elettorale proporzionale) prima di vedere cammello, le elezioni anticipate che più che dal Cavaliere dipendono dal capo dello Stato e anche dal contesto generale.
E, soprattutto, al momento non ha garanzie che sul prossimo governo si possa consumare la grande vendetta. “Chi guiderà le larghe intese che sono lo sbocco naturale di un sistema come quello tedesco?”: questa è la domanda più ripetuta nelle stanze che contano in questo rapido finale di legislatura.
L’ambizioso segretario del Pd considera tanto superfluo il quesito, quanto scontata la risposta, perchè si sa che in Germania il governo, anche di larghe intese, lo forma il leader del partito che ha preso più voti.
È la Merkel che guida la grande coalizione, mica il corrispettivo teutonico di Gentiloni o Franceschini.
Ecco, ciò che è scontato per l’uno, per l’altro (Berlusconi) tanto scontato non è, a sentire quelli che gli stanno attorno: “Non farà mai il nome di Renzi a palazzo Chigi”. E comunque il bello di questa storia è che può permettersi di non porsi il problema in questa fase.
O meglio, può permettersi di tutto: di dire, non dire, illudere per vendicarsi, fissare una onerosissima contropartita. Senza, fretta.
Che, si sa, non è propriamente la virtù dei forti.
(da “Huffingtonpost”)
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