SALVINI E MELONI NON SI PARLANO PIU’, SI SONO MESSI IL MUSO
LA COMPETIZIONE SOVRANISTA E’ DIVENTATA FEROCE… “STA FUORI A PROTESTARE INVECE DI SPORCARSI LE MANI”… “FA SOLO CHIACCHIERE E NON MOLLA LE POLTRONE”
Gli inguaribili ottimisti, quelli che “l’importante è vincere”, si consolano col vecchio refrain che, in fondo, è sempre stato così, sin dai tempi di Monti fino al Conte 1.
E cioè che, quando si arriva al dunque, con un occhio ai sondaggi e uno al potere da spartirsi, il centrodestra, che pure ha marciato diviso, come d’incanto si unisce senza tanti sofismi.
E che così accadrà stavolta anche se ci sono, nell’ambito della coalizione che fu o che è, tre posizioni diverse e competitive sulle riaperture, tre su Draghi – quella di lotta della Meloni, quella di governo di Forza Italia, quella di lotta e di governo di Salvini – mentre sulle prossime amministrative, che valgono come un’elezione politica, ognuno recita a soggetto. Chissà. Perché le novità, da quelle parti, non sono banali.
Salvini, ad esempio, ha deciso che è arrivata l’ora di esplicitare, e di personalizzare, una polemica finora rimasta sulle cose – aperture, chiusure, coprifuoco – dove l’uno chiedeva una cosa, l’altra chiedeva di più ma senza incrociare le lame direttamente. E, a freddo, se l’è presa con chi, come “la Meloni ha deciso di star fuori a protestare invece che a sporcarsi le mani”.
Parole che non hanno certo favorito, anzi, una ripresa dei contatti che, tra alleati, è fisiologica anche nei momenti di tensione. Insomma, i due non si parlano, né al momento hanno in programma di farlo né c’è il classico lavorio delle solite diplomazie, perché, la politica è anche questo, si è acuito un elemento di fastidio anche personale. Destinato a rimanere tale se, come spiegano dalle parti di Salvini, “il fair play è finito e Matteo ha deciso di reagire”.
Gli episodi, per ricostruire questa freddezza, sono buoni per un romanzo perché, insomma, signora mia, non è neanche troppo garbato che se un alleato, in questo caso la Meloni, ti scrive una lettera aperta sui giornali per affrontare la questione del Copasir, neanche rispondi con un “ne parleremo” di circostanza.
O che ti ritrovi spiattellati i nomi di possibili candidati alle amministrative, senza che se ne sia parlato in una riunione convocata ad hoc.
È accaduto con Gabriele Albertini, ex sindaco di Milano che, ai tempi, si era lasciato anche con una certa freddezza con Silvio Berlusconi e non scaldava più di tanto i cuori leghisti, almeno quando comandava Umberto Bossi che lo chiamava “la Albertina”. Salvini lo ha proposto, ottenendo un sì non troppo entusiasta dal Cavaliere che, in questo momento, tra acciacchi e processi, ha la testa altrove.
E ha chiesto alla Ghisleri di sondarlo. Figurarsi se Giorgia poteva farlo passare così, senza una discussione complessiva su tutte le città, a partire da Roma dove ha sondato, in alternativa a Guido Bertolaso, Andrea Abodi, il presidente dell’Istituto di credito sportivo e consigliere dell’Abi, non si sa se in modo tattico o convinto.
E basterebbe questo per aprire tutto un capitolo non tanto sulle dinamiche interne quanto sul tema più generale della penuria della classe dirigente di centrodestra nell’era delle leadership populiste – sia Albertini sia Bertolaso non sono proprio due novità – proprio sul territorio, mentre a Roma, nel frattempo, mondi produttivi e categorie non ostili hanno cominciato a guardare con attenzione Calenda che, almeno una proposta seria di governo ce l’ha, come nel caso del presidente dell’Ance Niccolò Rebecchini.
La questione di fondo è ben più grande dell’elenco dei singoli episodi (e dei dispetti), in cui annoverare anche la battaglia del Copasir che Salvini non vuole mollare nonostante per prassi spetti all’opposizione – recentemente c’è stato un appello anche di una quarantina di costituzionalisti, e non di Fratelli d’Italia – per motivi che le solite malelingue attribuiscono ai suoi rapporti internazionali.
O la mozione di sfiducia a Speranza presentata da Fratelli d’Italia: mozione che, in Parlamento, riguarda il ministro della Salute ma agli occhi dell’opinione pubblica è di fatto una mozione contro Salvini, come a dire “fai tante chiacchere, ma al dunque lì lo tieni perché sei prigioniero del governo”.
La questione è che, per la prima volta, si è aperta, nell’ambito della destra-destra, una competizione reale e feroce per l’egemonia, puntualmente registrata dai sondaggi che lasciano intravedere, se si va avanti così, il possibile “sorpasso” della Meloni.
Anche sui territori sta accadendo a Fratelli d’Italia quel che accadde alla Lega nella fase della vorticosa crescita ai tempi del Conte 1.
C’è la fila di gente che arriva dagli altri partiti, qualcuno anche dalla Lega. Solo negli ultimi tempi è arrivato un gruppo di consiglieri regionali in Trentino e in Basilicata e diversi amministratori in Sicilia, Piemonte, Emilia al punto che il responsabile dell’organizzazione Giovanni Donzelli passe le giornate a filtrare i possibili ingressi, verificando provenienza, affidabilità, eventuali coinvolgimenti in inchieste.
E questa competizione si è aperta non su un terreno qualunque, ma sul terreno del governo Draghi che, per europeismo e per tutto quel che interpreta, è la negazione di una certa retorica sovranista.
Salvini non può che scommettere sul successo di questa esperienza e sul suo, che si misura nei risultati che riuscirà a portare a casa, graditi al suo blocco sociale di riferimento, capo dello Stato compreso.
La Meloni non può che scommettere sul fallimento di questa esperienza e, con essa, dell’alleato, intercettando quei bisogni vecchi e nuovo che restano insoddisfatti.
La portata dell’operazione Draghi la rende una competizione destinata a crescere con l’aggravarsi della questione sociale, al termine della quale è complicato immaginare un assetto come quello con quale si è partiti, complice anche l’assenza di un partito capace di fare coalizione come Forza Italia ai tempi che furono, forte di un leader riconosciuto tutti.
Qui è in ballo proprio la leadership, mica un dettaglio.
(da “Huffingtonpost”)
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