SALVINI GIRA A VUOTO E SPROLOQUIA SU TUTTO, STRETTO TRA GIORGETTI DI GOVERNO E MELONI D’OPPOSIZIONE
GARAVAGLIA DICE UNA COSA E LUI L’OPPOSTO
Ieri, per usare un ossimoro, la Lega è stata illuminata da un cortocircuito: Salvini che bocciava le “liste di proscrizione” sul passaporto vaccinale considerato invece “fondamentale” dal ministro per il Turismo Garavaglia. Oggi, dopo aver incontrato le Regioni al Mise, Giorgetti ha dato manforte al leader: attenti alle “discriminazioni”.
Un bel confronto, e un discreto paradosso per il Capitano: in mezzo come la sottiletta, tra l’attivismo della Lega “moderata e governativa” e l’opposizione dura di Fdi.
“Matteo è in un limbo — ragiona un parlamentare — I ministri gli tolgono spazio sul versante operativo, Meloni lo incalza da destra. Non ha spazio politico”.
Salvini, da vecchia volpe, ha fiutato il rischio da tempo. Sapeva che la “generosità ” della sua “svolta europeista” lo avrebbe penalizzato, e nota che, al di là delle rilevazioni, FdI da sola all’opposizione ha ridotto la visibilità anzichè aumentarla.
Uscire dal guado però non è facile. La reazione immediata è la solita. Gira come una trottola, spazia su tutto, vuole chiamare Draghi sulla diplomazia vaccinale, gli sbarchi, le misure economiche. Incontra Conte: Mario però, il sindaco di Treviso.
Negli ultimi giorni — al netto di punti stampa e tv – ha esternato sul carcere per i boss, sull’industria nel Mantovano, sulla povera ragazza accoltellata nel Trevigiano, su Netanyahu, sullo stabilimento AstraZeneca di Anagni, sul futuro dell’azienda Leonardo, sul codice degli appalti, sulle infrastrutture nel Senese, sulla crisi Alitalia, e ovviamente sulle riaperture scolastiche.
Un interventismo che non trova riscontro sulle pagine dei giornali.
Dove campeggia, piuttosto, una sequela di cattive notizie. Il disastro sanitario e logistico in Lombardia, ultra-decennale feudo ciellino-leghista, dove sul banco degli imputati siede la gestione salviniania: suo il (traballante) governatore Fontana, suo l’assessore al Bilancio Caparini, padre politico della società Aria incapace di gestire le prenotazioni della campagna vaccinale.
Nè il commissariamento da parte dell’asse Esercito-Protezione Civile, invocato dalle opposizioni e minacciato dall’esecutivo, risulterebbe il miglior biglietto da visita per il Pirellone o per l’”uomo del fare” Bertolaso (che nel frattempo si è gelidamente chiamato fuori dalla gara per il Campidoglio).
Ma se lo spauracchio dello sbarco del generale Figliolo per “prendere in mano la situazione” non fa esultare nessun governatore, in cima alle Regioni sotto la media nazionale come vaccinazioni ci sono quelle in quota leghista: la Lombardia, il Veneto di Zaia, il Friuli di Max Fedriga, la Sardegna, la Liguria di Toti, l’Umbria, la Calabria di Spirlì. In quest’ultima quest’anno si vota: il vice-presidente ad interim (dopo la morte di Jole Santelli) punta a ricandidarsi, forte del sostegno di Salvini che volò subito da lui. Peccato che quella poltrona faccia gola anche al forzista Roberto Occhiuto, e che il flop dei sieri non aiuterà in campagna elettorale.
Neppure sul versante della moral suasion programmatica su Draghi, avviata durante le consultazioni, si può brindare. Da Via Bellerio giurano che i rapporti con il premier sono ottimi, e chissà con chi ce l’aveva quando ha invitato ad ammainare le “bandierine” di partito. Fatto sta che il condono delle cartelle esattoriali, ridimensionato dal Pd, più che una bandiera pare un fazzoletto.
E i nuovi sostegni per gli autonomi — cavallo di battaglia del centrodestra durante il crepuscolo del Conte Due — hanno lasciato insoddisfatti parecchi ristoratori, albergatori, commercianti.
Bilancio magro. Se a rimpinguarlo non provvedesse l’attività ministeriale. Giorgetti sta gestendo il piano della rete unica, con i ministri Franco e Colao. Garavaglia ha strappato sostegni aggiuntivi per il mondo dello sci e si occupa della “competitività ” italiana in vista dell’estate.
Comprensibile che in questa situazione il Capitano frema. E tuttavia, il tempo è una variabile non secondaria. Fuori dal governo, la politica è cristallizzata in attesa di un segnale: la legge elettorale. Se sarà maggioritaria, come vuole il neo-segretario Dem Letta, il prossimo candidato premier del centrodestra sarà “il leader del partito con più voti”.
Sempre che nel frattempo sia sempre lui.
(da Huffingtonpost=
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