“SE VIENE A DIRCI CHE STACCA LA SPINA GLI FACCIAMO UNA PERNACCHIA”: PEONES IN RIVOLTA NEL M5S CONTRO DI MAIO
LO SCONTRO TRA CONTE E IL CAPO POLITICO TERREMOTA IL MOVIMENTO… E’ IL PREZZO CHE SI PAGA A NON AVER CACCIATO UN ARROGANTE INCAPACE A TEMPO DEBITO
Scena numero uno. Da Londra Giuseppe Conte, impegnato al vertice Nato, assicura: “Con gli altri leader europei abbiamo parlato di molte cose, e senza entrare nei dettagli, posso dire che quando c’è da difendere gli interessi dell’Italia non mi distraggo mai”. Scena numero due. A Palazzo Chigi si incontrano i 5 stelle sul Mes e cominciano a preparare, in solitaria, una risoluzione in vista del 10 dicembre, quando la maggioranza dovrà dare un mandato al premier per il Consiglio europeo della prossima settimana. Scena numero tre. A Palazzo Madama Nicola Morra, influentissimo presidente della commissione Antimafia, da mesi su una linea fortemente critica nei confronti della leadership esercitata da Luigi Di Maio, convoca i senatori per fare il punto della situazione sullo stato di salute del Movimento.
Scena numero quattro. La Camera è una pentola a pressione nei confronti del capo politico M5s, sul suo modo di esasperare la comunicazione, su un logorante tirare la corda senza senso. Un deputato di peso tenta una sdrammatizzazione che è, nei fatti, una bordata: “L’unico modo che ha Luigi per entrare qui e uscirne indenne è presentarsi con Ale. Perchè lui davvero lo assaltano, non ne viene fuori vivo”. Ride. “Ale” è Alessandro Di Battista, con il quale il leader ha rinsaldato l’asse proprio in questi ultimi giorni.
Una situazione che si muove costantemente sul filo del rasoio. Il bug, che al momento sembra irrisolvibile, è il rapporto fra i due leader pentastellati. Che non viene risolto, e che pian piano nei suoi effetti si allarga, iniziando a tirare dentro l’intera discussione dei 5 stelle, mai come oggi una maionese impazzita.
A poco servono le rassicurazioni del presidente del Consiglio. Per il quale no, non c’è nessuna tensione con il ministro degli Esteri. E per il quale ancora no, nessuna crisi di governo è in vista.
Il capo politico M5s tuona: “Sul Mes, siamo molto determinati. Per noi bisogna rinviare: così com’è non va bene”.
Da Bruxelles arriva una secchiata di acqua gelata. A tirarla è Mario Centeno, presidente dell’Eurogruppo: “Non vediamo ragione per cambiare testo”, dice parlando del Fondo salva stati. Nessuno spazio per le modifiche chieste dai 5 stelle, qualche residua speranza sulla “logica a pacchetto” invocata dal capo del governo come ultima trincea.
“Ma il punto non è il Mes — si sfoga un parlamentare di rango — Ieri avevamo un altro Mes, domani ne avremo un altro ancora”. È come gridare che il re è nudo. E a indicare la nudità del sovrano è ormai un coro di parlamentari 5 stelle, alla Camera come anche al Senato, che intercettano i cronisti quasi per vuotare il sacco e si riuniscono in capannelli sempre più gremiti.
Uno di loro mette in fila i post della comunicazione del gruppo negli ultimi giorni. Scorre sul suo smartphone screenshoot che sono girati nelle chat con i colleghi, sotto i quali si è sollevato un peana di critiche.
Il primo riporta l’oscura immagine di un anziano benestante, sciarpa al collo e bicchiere di champagne in mano, che guarda con aria truce l’obiettivo. Lo slogan: “Con il carcere ai grandi evasori i ladri milionari non hanno più scampo”.
Nel secondo c’è il viadotto di un’autostrada, incastonato in uno scenario fantasy desaturato, con draghi e castelli e la scritta: “I signori dei caselli, coperti d’oro da una politica sottomessa”.
Nel terzo, riferito alla prescrizione, un vasetto ricolmo affiancato dall’invettiva: “I processi non possono scadere come uno yogurt”.
“Ma ti pare possibile tutto questo? — la conclusione — Facciamo i meme su internet attaccando a tutto spiano in maniera sguaiata. Ma chi stiamo attaccando? Siamo noi al governo”.
Il sentiment del gruppo sta piegando sempre più su un crinale periglioso per Di Maio. “Se viene qui a dirci che si deve staccare la spina — è la valutazione di uno degli eletti all’uninominale — gli facciamo una grande pernacchia”.
La critica è a un’alzata di toni che per gli strateghi della comunicazione è funzionale a far riprendere al capo politico il pallino dell’agenda politica in mano e a ricompattare dietro di sè le truppe.
Con il paradossale effetto che in scia si è messa la pattuglia di chi fino a qualche settimana fa picconava il ministro degli Esteri, da Gianluigi Paragone a Elio Lannutti, fino a proprio a quel Di Battista che per mesi è stato tra gli elementi di destabilizzazione della sua leadership.
Ma perdendosi sempre di più per strada il corpaccione dei peones che fino a ieri si trinceravano dietro l’uomo solo al comando come unico in grado di garantire il futuro della legislatura, e che oggi sempre meno lo vedono come tale.
L’azzardo del capo politico sta nella valutazione che nè al Pd nè a Italia viva convenga andare al voto. E che il suo gioco al rialzo verrà assorbito dalla maggioranza consentendogli al contempo di recuperare la centralità nell’universo giallorosso.
Una strategia la cui bontà è messa alla prova dei fatti, ma che nel frattempo sta destabilizzando il gruppo, che sempre più vede in Conte l’appiglio per la propria sopravvivenza.
Sommergendo il leader di veleni: “Vuole tornare con Salvini — si dice in un capannello — e magari dare a Dibba un ministero”.
Domani mattina Laura Agea, incaricata di stendere il testo sul Mes per conto dei 5 stelle, riunirà gli interessati al Senato “per la risoluzione da presentare per le comunicazioni del presidente del Consiglio”.
La sera si concluderà con un Consiglio dei ministri che potrebbe, di fatto, trasformarsi in un vertice sulla prescrizione. L’ennesima delle “giornate decisive” della pur breve vita del Conte-bis.
(da “Huffingtonpost”)
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