SÌ, LA CORTE POTEVA DECIDERE DIVERSAMENTE
SI SONO SCONTRATE DUE DIVERSE INTEPRETAZIONI, MA IL GIUDICE E’ LIBERO DI SCEGLIERE COME MEGLIO PERSEGUIRE GLI SCOPI DI GIUSTIZIA
L’epilogo della vicenda giudiziaria Eternit è sicuramente una vergogna.
Condotte delittuose gravissime, accertate giudizialmente in modo certo, che avevano dato luogo a condanne di primo e di secondo grado pesanti, sono improvvisamente svanite dissolvendosi nel nulla.
Liberi tutti, dunque, o quantomeno libero l’unico soggetto condannato dal giudice di appello.
Com’era inevitabile, ieri sono esplose le polemiche, che hanno investito — nelle parole dello stesso Presidente del Consiglio — soprattutto l’istituto della prescrizione, che ancora una volta avrebbe fatto irruzione nel processo penale producendo guasti dirompenti.
Di qui l’urgente necessità , si è ribadito, di cambiare le regole penali del decorso del tempo
Nella vicenda Eternit, tuttavia, la disciplina della prescrizione non è, forse, la responsabile principale dello sconcertante esito giudiziale.
La cassazione ben avrebbe potuto infatti eludere, con un’interpretazione diversa della legge penale, gli effetti perversi dello scorrere degli anni.
Nel processo Eternit la procura di Torino aveva contestato il delitto di disastro, reato che si realizza quando viene cagionato un evento dirompente di vaste proporzioni che crea una situazione di pericolo per la vita o l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone.
E’ pacifico che a realizzare tale delitto non è necessario che si verifichi la morte o la lesione personale di qualcuno, ma è sufficiente che taluno, cagionando l’evento distruttivo — il crollo di un edificio, il naufragio di una nave, l’inquinamento di un ambiente — faccia sorgere il rischio che un numero indeterminato di persone rimanga ucciso o sia menomato nell’integrità fisica.
Se per effetto del disastro si verifica la morte o la malattia di qualcuno, con il delitto di disastro concorreranno quelli di omicidio e di lesioni personali, tanti quante sono le persone uccise o comunque offese.
Il problema è sorto quando ci si è domandati in quale momento il reato di disastro si consumi.
Secondo l’interpretazione maggioritaria della cassazione, ciò si verificherebbe quando le condotte che cagionano la situazione di pericolo (ad esempio l’inquinamento di un ambiente) vengono a cessare (ad esempio, perchè l’ambiente viene bonificato o l’attività produttiva nociva viene interrotta).
Secondo un’interpretazione minoritaria, la persistenza dell’insorgere di malattie o del verificarsi di decessi impedirebbe invece di considerare concluso il fatto disastroso, che rimarrebbe vivo fino a che tutte le patologie o gli eventi collegati al disastro si siano esauriti.
In questa prospettiva il delitto di disastro verrebbe meno soltanto quando si sia verificato l’ultimo decesso o l’ultima malattia collegata alla situazione di pericolo.
La spiegazione tecnica di quanto è avvenuto nella vicenda Eternit risiede tutta in questa divergenza d’interpretazione.
Tribunale e Corte di Appello di Torino, per non considerare prescritto il reato contestato dalla Procura, avevano fatto affidamento sulla nozione di disastro «allargata» agli eventi di morte e di lesione personale.
La cassazione, ribadendo quanto aveva già più volte stabilito, ha invece individuato il momento consumativo del reato in quello in cui la «fabbrica delle polveri» aveva cessato di produrre.
Così individuato il «tempo del commesso reato», dichiarare la prescrizione era giocoforza sulla base di un semplice calcolo di anni, mesi e giorni trascorsi.
Avrebbe potuto tuttavia, la cassazione, decidere diversamente?
Certo che sì: considerata l’eccezionalità della situazione, la particolare gravità della vicenda delittuosa e le ragioni di giustizia sostanziale inevitabilmente sottese al caso sottoposto al suo giudizio avrebbe potuto optare per l’interpretazione contrapposta del momento consumativo del reato di disastro.
Non lo ha fatto perchè, tecnicamente, sarebbe stato sbagliato farlo?
E’ difficile rispondere, perchè in diritto non è frequente poter discernere con sicurezza ciò che è tecnicamente corretto e ciò che è tecnicamente scorretto.
Quando la lettera della legge non è vincolante e si apre alla possibilità d’interpretazioni differenti, il giudice, purchè motivi adeguatamente la sua decisione, è tutto sommato libero di orientare le proprie scelte tecniche sulla base degli scopi di giustizia che intende perseguire.
Stabilito che il giudice di legittimità , nella vicenda giudiziaria Eternit, non era costretto dall’assoluta ineluttabilità della legge penale ad optare per l’interpretazione prescelta del momento consumativo del reato, la «responsabilità » della disciplina attuale della prescrizione per l’esito abnorme di tale vicenda inevitabilmente si stempera.
Anche in pendenza della disciplina vigente, l’effetto estintivo del decorso del tempo avrebbe potuto essere evitato; dato il lungo periodo trascorso dalla chiusura dell’Eternit, a fronte dell’interpretazione «rigorosa» seguita dalla cassazione anche una più ragionevole disciplina della prescrizione non avrebbe d’altronde potuto, verosimilmente, evitare l’estinzione del reato di disastro.
Ben venga comunque, ora, l’indignazione (tardiva) dei politici per gli effetti dirompenti della prescrizione (come è stata delineata qualche anno fa dalla c.d. riforma ex Cirielli) sul sistema di giustizia italiano.
Se tale indignazione dovesse condurre a riformare finalmente l’istituto in modo da renderlo adeguato ai tempi necessari a portare a termine i processi penali, l’esito della vicenda giudiziaria Eternit, al di là dello sconcerto che inevitabilmente suscita, avrebbe quantomeno prodotto un risultato positivo.
Purchè ovviamente, sull’onda dell’indignazione, non si finisca per cadere nell’eccesso opposto: eliminare cioè pressochè del tutto, o ridurre inmodo spropositato, gli effetti estintivi del decorso del tempo.
La ratio della prescrizione — e cioè non punire il delinquente che, a distanza di anni dalla commissione del reato, magari si è redento o si è rifatto una vita — mantiene infatti, intatta, la sua efficacia persuasiva.
Carlo Federico Grosso
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