SPAGNA DOMENICA AL VOTO, IL SOCIALISTA SANCHEZ FAVORITO MA SARANNO FONDAMENTALI LE ALLEANZE
SOCIALISTI, POPOLARI, PODEMOS E CIUDADANOS SI DIVIDERANNO I CONSENSI, MA LA MAGGIORANZA ASSOLUTA E’ LONTANA
La destra ha bisogno dei secessionisti catalani, per presentarsi come la salvatrice della Spagna. E ai secessionisti catalani sotto sotto non dispiacerebbe che vincesse la destra.
Il premier uscente Pedro Sà¡nchez (Madrid, 1972), socialista, offre il dialogo. Ma loro non vogliono il dialogo; vogliono la rottura. Lo strappo. L’indipendenza: un sogno forse impossibile, certo pericoloso.
Si vota domenica. Sono le terze elezioni generali in tre anni e mezzo.
Arriverà primo il Psoe di Sà¡nchez, cui il re dovrebbe affidare l’incarico di formare il governo; ma resterà lontano dalla maggioranza assoluta, anche sommando i seggi di Podemos, sempre in mano a Pablo Iglesias (Madrid, 1978), passato dalla rivoluzione chavista all’appoggio esterno.
Sarebbero allora i catalani – e i baschi – a consentire la nascita di un esecutivo di sinistra, più morbido nella gestione della crisi indipendentista.
La destra è divisa in tre partiti. I popolari escono stremati da sette anni di governo, finiti il primo giugno scorso con la caduta di Mariano Rajoy (Santiago de Compostela, 1955), tornato a fare il notaio nella sua Galizia.
Il Pp non si è rivelato incorruttibile: otto ex presidenti di Regione, dodici ex ministri sono finiti in galera. Alle primarie ha prevalso il candidato dell’ala dura del partito, Pablo Casado (Palencia, 1981), uno scialbo figuro con bella moglie bionda e padrino illustre: l’ex primo ministro Josè Maria Aznar (Madrid, 1953).
Aznar è il vero regista dell’alleanza di destra. Anzichè tingersi i baffi ha preferito tagliarli e passa da un comizio all’altro, talora indossando un vezzoso maglioncino rosa.
Parla spesso con il fondatore di Ciudadanos, Albert Rivera (Barcellona, 1979). E ha incluso nel gioco i populisti di Vox, che saranno la rivelazione del voto. I sondaggi li danno sopra il 10%; ma potrebbero salire ancora.
Rappresentano la rottura di un tabù: mai, da quando esiste la democrazia spagnola, è entrato in Parlamento un partito di estrema destra. Vox non è franchista; semmai è anti-antifranchista.
La guida un ex dirigente del Pp, Santiago Abascal (Bilbao, 1976), che gira con la pistola in tasca e la bandiera spagnola nel pugno. Accusa i popolari di non aver manganellato abbastanza i separatisti catalani. E fa campagna contro gli sbarchi dei migranti, in aumento negli ultimi mesi.
Nei due dibattiti tv, Abascal non è stato ammesso. Un’arma in meno per Sà¡nchez, impegnato a evocare il fantasma del franchismo.
Va detto che Sà¡nchez è riuscito a rivitalizzare un partito morto, sottraendolo ai baroni corrottissimi e al Grande Vecchio Felipe Gonzà¡lez (Siviglia, 1942), che lo detesta.
Albert Rivera – che sarebbe l’alleato naturale di Sà¡nchez, in un centrosinistra di stampo europeo – lo ha attaccato senza pietà , additandolo come complice di coloro che vogliono dividere la Spagna, e mostrando sull’iPad una foto in cui il premier conversa amabilmente con Quim Torra (Blanes, 1962), il capo della Generalitat, sullo sfondo della Senyera, il vessillo catalano.
Figlio di un pescatore di Barceloneta e di un’immigrata andalusa, Rivera difende però l’unità nazionale. Il Nobel Mario Vargas-Llosa e in genere l’intellighentsia lo adorano; in tv è brillante, nei sondaggi sempre altissimo; poi però arriva il voto vero.
Per smarcarsi dall’estrema destra, Rivera ha proposto di legalizzare l’eutanasia e l’utero in affitto, affinchè gli omosessuali – oltre ad adottare – possano avere «un figlio tutto loro».
Modestissima la prova tv di Pablo Casado. Iglesias con il codone da tanguero e la felpa pareva il tecnico del suono (secondo El Mundo).
In Catalogna la situazione è sospesa. I due leader separatisti hanno fatto scelte diverse. Carle
Puigdemont (Amer, 1962) è in comodo esilio a Bruxelles; Oriol Junqueras (Barcellona, 1969) è in galera.
Non a caso, il partito di Puigdemont sta crollando, quello di Junqueras è ai massimi storici.
Si chiama Erc: Esquerra (sinistra) republicana de Catalunya. Fu fondato da Lluàs Companys, il primo presidente a proclamare l’indipendenza: fuggito in Francia dopo la sconfitta nella guerra civile, catturato dalla Gestapo, consegnato a Franco, che si affrettò a farlo fucilare. Lo stadio olimpico di Barcellona porta il suo nome. Il palazzetto di fronte è stato affittato dal postfranchista Abascal per un grande comizio: all’ultimo momento il Comune gliel’ha negato, il malcapitato ha dovuto sgolarsi per strada con il megafono.
I catalani si distinguono dai turisti perchè portano all’occhiello il nastrino giallo, segno di solidarietà con i «prigionieri politici».
Per Junqueras il procuratore ha chiesto 25 anni di carcere, con l’accusa di sedizione («Seditio» era scritto sulla croce di Gesù, è stato fatto notare nell’infuocata settimana santa elettorale). Vox, cui è stato curiosamente consentito di costituirsi parte civile, ha rilanciato: Junqueras dovrebbe stare in cella 74 anni, in quanto «capo di un’organizzazione criminale». Sà¡nchez ha lasciato intendere che, se si fa l’accordo sul federalismo, subito dopo ci sarà l’indulto.
Il processo prosegue al Tribunale supremo di Madrid con rituale borbonico, tra tappezzerie rosse e toghe nere. Il re Felipe VI (Madrid, 1968) tace, dopo essersi molto esposto contro la secessione.
Nel Valle de los Caàdos, l’abate franchista si batte come un leone per evitare l’esumazione delle spoglie del Caudillo, che qui si fece costruire dai prigionieri repubblicani una tomba degna di Achille. Domenica si vota anche sulla guerra della memoria, che ha infranto il patto dell’oblio.
Ci sono luoghi e momenti in cui il passato ritorna; eppure non riesce ad affievolire la forza dello slancio vitale della gente di Spagna, e neanche a consolare la profondità della sua malinconia.
(da “Il Corriere della Sera”)
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