TFR IN BUSTA PAGA, SERVE SOLO ALLO STATO PER INCASSARE PIU’ TASSE E A RENZI PER SPACCIARSI DA BENEFATTORE
RENZI PROMETTE I SOLDI DEGLI ALTRI, DUBBI SU TASSE E SOSTENIBILITA’… PER L’INPS UN BUCO DA TRE MILIARDI
Per il premier Matteo Renzi è deciso. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan frena, a dir poco, spiegando che “è un tema in discussione, siamo soltanto a questo livello”.
Certo è che l’ipotesi di mettere nelle buste paga dei lavoratori dipendenti del settore privato il 50% del Tfr maturato, con il risultato di appesantirle di 50-100 euro al mese a seconda dello stipendio lordo iniziale, suscita più di un interrogativo.
A parte i dubbi sulla natura dell’intervento (“Sono soldi dei lavoratori, nessuno racconti che siamo di fronte a degli aumenti salariali”, ammonisce la leader Cgil Susanna Camusso) e sulla sua lungimiranza (riassunti dalla efficace metafora del giuslavorista ex Pdl e oggi Ncd Giuliano Cazzola, secondo il quale ”sarebbe come usare delle banconote da 100 euro al posto della carta igienica“) e le proteste delle imprese, che dovrebbero dire addio a risorse preziose con cui oggi finanziano investimenti, le perplessità riguardano soprattutto la sostenibilità della trovata per il sistema della previdenza pubblica e privata e il trattamento fiscale.
L’ostacolo dei conti Inps
Sul primo fronte, come ricorda un editoriale di Massimo Fracaro e Nicola Saldutti sul Corriere della Sera, “mettendo il Tfr in busta paga all’Inps verrebbero a mancare tre miliardi l’anno”.
Ovvero la metà dei 6 miliardi che l’istituto incassa ogni anno sotto forma di flussi di Tfr dei dipendenti privati.
In più “i fondi pensione potrebbero contare su meno risorse e la previdenza integrativa continuerebbe ad avere vita stentata”.
Infatti altri 5,2 miliardi finiscono proprio nelle casse dei fondi (mentre circa 14 si fermano nelle casse delle piccole e medie imprese).
Tradotto: le pensioni, sia quelle garantite dal sistema pubblico sia quelle complementari, il famoso “secondo pilastro”, sarebbero a rischio.
L’ipotesi di un intervento delle banche
A meno che, come propone l’economista Stefano Patriarca su lavoce.info, non intervengano le banche a finanziare l’anticipo.
Renzi ha ipotizzato che ”l’Abi, l’associazione delle banche, possa dare i soldi che arrivano dall’Europa, quelli che chiamiamo i soldi di Draghi, alle piccole imprese per garantire liquidità “ (ma la sola ipotesi di dover ricorrere al credito ha già fatto insorgere le pmi).
Secondo Patriarca, che evidenzia anche l’opportunità di rendere facoltativa la scelta se ricevere o meno l’anticipo, un meccanismo simile si potrebbe mettere in campo per evitare il “buco” nei conti dell’istituto di previdenza: “L’anticipo verrebbe operato dal soggetto finanziario e nulla muterebbe per l’Inps”.
Tutto però si fonda sull’ipotesi che gli istituti siano disponibili a concedere prestiti a un tasso di interesse calmierato, pur senza rischi perchè la potenziale insolvenza dei destinatari sarebbe coperta da un apposito fondo assicurativo presso l’Inps.
Il nodo del fisco e le entrate aggiuntive per lo Stato
Ma passiamo al fisco. Quando viene erogato alla cessazione del rapporto di lavoro, come avviene normalmente, il Tfr è soggetto a tassazione separata e agevolata.
Se quei soldi verranno dati subito, anzichè alla fine del percorso professionale, a quale aliquota saranno soggetti?
Cumularli con il resto dello stipendio equivale a dire che il lavoratore dovrà versare al fisco l’aliquota Irpef corrispondente al suo scaglione di reddito.
Superiore alla tassa agevolata. Ma su questo aspetto basterebbe un intervento tecnico che stabilisca lo scorporo della quota.
Che potrebbe arrivare in tasca al lavoratore anche in un’unica tranche annuale, come una specie di quattordicesima, tassata di meno rispetto alla normale busta paga.
Quel che è sicuro, in ogni caso, è che il risultato sarà un aumento immediato delle entrate per lo Stato, che incasserà subito le imposte sul Tfr anzichè dover attendere che i dipendenti, di anno in anno, concludano i loro rapporti di lavoro.
“Nell’ipotesi di un’adesione all’anticipo in busta paga del 50 per cento dei lavoratori il gettito sarebbe di quasi 3 miliardi”, scrive Patriarca. (Non) pochi, maledetti e subito. Anche qui, tutta questione di lungimiranza.
La beffa del bonus
Ultimo appunto: chi ha un reddito annuo poco sotto i 26mila euro, attuale tetto massimo per ricevere il bonus Irpef di 80 euro introdotto dal governo lo scorso aprile, sommando anche il Tfr rischia di superare la soglia e ricevere solo l’anticipo ma non più il bonus.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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