VELTRONI ALLA RAI: SI’, NO, FORSE. MA IL PROGRAMMA C’E’ GIA’
“PUO’ DIVENTARE IL MIGLIOR SERVIZIO PUBBLICO IN EUROPA”
Interviste non ne rilascia più, perchè Walter Veltroni – parole sue – si sta «disintossicando».
Non guarda neanche i talk show, «perchè tanto so già come vanno a finire», scherza l’ex segretario del Pd con Paolo Mieli, che lo intervista a Spoleto, al Festival dei due Mondi.
Non si riesce a tirar fuori un solo commento politico, da Veltroni, che è tutto preso dal suo documentario: «Sono in giro con il film su Berlinguer», dice, come fosse una tournèe rock.
Non parla di politica, Veltroni, ma la politica parla di lui, ancora.
Ne parlano i giornali, che ciclicamente riportano voci che lo vorrebbero l’uomo sempre buono per la poltrona sempre giusta, che sia la presidenza della Fgci (intesa come quella del calcio), quella della Repubblica, o la presidenza della Rai.
Già , la Rai. È la voce più insistente.
E «quelle tre lettere» racconta Veltroni a Mieli, senza timore di alimentare retroscena e indiscrezioni, «sono iscritte nel mio dna».
Sono l’eredità del padre, Vittorio, primo direttore del telegiornale, «di cui non ho alcun ricordo, neanche fotografico».
«Una volta però Ettore Scola, amico di mio padre» continua Veltroni, ospite delle Conversazioni di Paolo Mieli, organizzate da Aleteia Communication, «mi fece notare che quando sono seduto muovo sempre le gambe, così». «Lo fai perchè così faceva tuo papà », spiegò Scola a Veltroni.
Non c’è una foto che li ritrae insieme, Veltroni e suo padre Vittorio, morto quando il futuro sindaco di Roma aveva solo un anno.
«C’è però una foto di mio padre» continua Veltroni, «una delle prime che ho visto: con la tuta della Rai, su una moto, mentre faceva la radiocronaca del Tour de France».
Sulla tuta, tre lettere, appunto, «quelle tre lettere che, come il movimento delle gambe, sono impresse nel mio dna»: Rai.
Tra dna e destino c’è di mezzo un incarico complicato, ovviamente.
C’è il veto dei 5 Stelle («Renzi smentisca l’inquietante indiscrezione» ha detto Roberto Fico, presidente della commissione di vigilanza, la prima volta che il Tempo scrisse del possibile incarico), e c’è il rapporto con Matteo Renzi.
Poi, chissà se c’è la voglia, in fondo. Il programma, quello sì, c’è: «Il mio sguardo sulla Rai è lo sguardo di chi pensa che quell’azienda può tornare a rivestire una funzione decisiva».
C’è da tempo, soprattutto sapendo che Veltroni giù venti anni fa, alla Rai e ai suoi programmi, dedicava impegno politico e alcune fatiche saggistiche, firmando per Feltrinelli «I programmi che hanno cambiato l’Italia», e che ovviamente sono quelli televisivi, e non quelli dell’Unione nè del Pd. E, nel 1990, «Io, Berlusconi (e la Rai)».
«Il punto non sono i 150 milioni», non sono i soldi che Renzi ha chiesto alla tv pubblica, no: «La Rai può tornare a essere quello che era, sinonimo di apertura, coraggio, modernità . Può tornare ad essere il miglior servizio pubblico europeo. Però deve tenere un profilo editoriale industriale». La qualità deve «giustificare» il canone, e anzi «la Rai deve ridistribuire al Paese le risorse del canone in termini di prodotti».
Fiction, film, e anche «mini serie per youtube», possono esser prodotti in Italia, programma Veltroni: «facendo come quando ero ministro e misi l’obbligo di investire in produzioni nazionali».
«La gente paga il canone per avere servizio pubblico, non un rete privata travestita da servizio pubblico» dice ancora Veltroni, e dite voi se non è un proclama.
«Per il servizio pubblico l’Auditel non può essere l’unico metro di giudizio» e «se sei la Rai, con i soldi dei cittadini, non devi pensare al punto in più o in meno, alle puntate sbagliate». No. «Bisogna avere il coraggio di investire nei programmi, credendoci». «Se si sbagliano le prime puntate, la prima stagione, non è un problema se quel programma si fa perchè fa parte di un piano editoriale».
Il Veltroni, in modalità presidente Rai, si porta avanti col lavoro e disegna le reti del futuro, «non più differenziate per orientamento politico» («che peraltro è andato progressivamente sfumandosi», precisa), ma per «vocazione editoriale».
Una televisione moderna, pubblica, ma che sia la televisione di un paese che non si più «un “Paese di guelfi e ghibellini” dove il nemico resta nemico e non una persona da coinvolgere». Perchè il principio vale per la politica, vale per la tv, e viceversa.
Vale per Renzi, a cui l’ex segretario riserva parole di apprezzamento. Sempre parlando di se, che viene meglio, ma Veltroni difende pure il Renzi-Fonzie, col chiodo in visita ad Amici di Maria De Filippi: «Io accompagnai Natta da Raffaella Carrà » ricorda Veltorni, «e quando fui direttore del giornale fondato da Gramsci, lo feci uscire in edicola con le figurine Panini». Figurarsi quindi se non aprrezza il giubbotto di pelle del premier.
L’importante è aumentare il pubblico, per la tv come in politica: «allora io pensai fosse giusto allargare il pubblico dell’Unità , oggi Renzi va ad “Amici” perchè vuole parlare a un pubblico più vasto».
Ed è giusto così, perchè «se l’obiettivo è conquistare i tuoi, devi rassicurare», e quindi niente figurine, niente Carrà , niente chiodo. Ma se «l’obiettivo è conquistare anche chi è diverso» allora «devi cercarlo là , dove sai di trovarlo».
Luca Sappino
(da “L’Espresso“)
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