VI RICORDATE QUANDO EDI RAMA, A MAGGIO SCORSO, DICEVA CHE LA DECISIONE DEL GOVERNO INGLESE DI “DEPORTARE” I MIGRANTI IN RUANDA ERA UNA STRONZATA?
ECCO COSA DICEVA POCHI MESI FA: “LE PARE UNA SOLUZIONE INTELLIGENTE, DEPORTARE CHI VIENE A OFFRIRE MANODOPERA? GLI INGLESI SI SONO UN PO’ PERSI”
Estratto dell’articolo di Francesco Battistini per il “Corriere della Sera – La Lettura” – Articolo del 14 maggio 2023
Parla e dipinge. Dipinge e parla.
«Dipingo mentre telefono, dipingo quando riunisco i miei collaboratori, dipingo ogni volta che devo concentrarmi… Nel mio ufficio, io dipingo sempre».
Anche adesso…
«Sì, se non le spiace: lei mi fa le domande e io continuo la tempera».
Negli ultimi trent’anni, l’Albania s’è salvata dal disastro. Una modernizzazione che però ha avuto dei costi: dov’è finita l’anima?
«Non credo che l’Albania abbia perso l’anima. Prima, era sepolta nell’isolamento più totale del comunismo. Poi è resuscitata ed è diventata più aperta. Sì, forse avremo perso l’usanza d’andare a vedere la tv dal vicino, perché oggi la tv ce l’abbiamo tutti. O forse siamo diventati un po’ più individualisti, egoisti. Magari anche le nostre tradizioni, i nostri costumi si manifestano in modo diverso. Ma sono ancora lì».
Di sicuro, è cambiata la vostra percezione dell’Italia. Molti albanesi tornano in patria delusi…
«Non è delusione. Una volta c’era l’attrazione enorme dell’amore impossibile, della mela che non si poteva cogliere. Veniva dal piccolo schermo in bianco e nero: da quella finestra, guardavamo mondi che per noi erano sogni. Quando hanno aperto le porte dell’inferno e sono arrivati da voi, gli albanesi han capito che non eravate solo Rai e Mediaset, Canzonissima e Carosello.
Ma non hanno mai perso l’amore. L’Italia ora è molto più presente di prima, è considerata una parte di noi. Gli albanesi da voi si sentono in Albania, l’Italia è un pezzo d’Albania. È successo come in un matrimonio, coi sogni che ci portano a sposarci finché non subentra la realtà: si continua a coltivare l’amore reciproco, ma in una maniera diversa».Non c’invidiate proprio più nulla?
«Un tempo ci sentivamo degli italiani nudi e vedevamo voi come degli albanesi ben vestiti. Poi il percorso ci ha omologati, siamo diventati tutti albanesi e tutti italiani. Prenda la cucina: tanti ragazzi han fatto gavetta nei vostri ristoranti, qui adesso fanno gli chef e il risultato è che a Tirana ormai si mangia come in Italia. In questa contaminazione, sì, c’è una cosa che mi piacerebbe importare: quei bellissimi quadri che da secoli giacciono chiusi nei sotterranei dei musei italiani. Nessuno li può ammirare. Sarebbe bello farli uscire e prestarli all’Albania, naturalmente senza alcun diritto di proprietà».
Al contrario che in altri luoghi, il passato della guerra non ha lasciato rancori anti-italiani.
«È vero. Nell’architettura e nell’urbanistica, il fascismo fece opere delle quali siamo sempre stati fieri. E non ci fu una sola vendetta. Del resto, gli albanesi sono l’unico popolo che non consegnò nemmeno un ebreo ai nazisti. Dopo la capitolazione dell’Italia arrivarono i tedeschi, ma i soldati italiani vennero nascosti: trattati come cugini da sistemare in casa».
E dire che vent’anni fa, in Italia, c’erano le ronde leghiste in cui si gridava «albanesi tutti appesi»..
«Non credo esista più un solo italiano che abbia un sentimento di rifiuto verso gli albanesi. C’è chi s’è legato alla criminalità, chi eccede, ma oggi tutti gli emigrati osservano le regole italiane. Mi sembra siano stati accettati completamente, un po’ come accadde per i vostri meridionali al Nord».
Che segni ha lasciato l’emigrazione nella coscienza albanese?
«Non la considero una tragedia. L’emigrazione è un percorso per nutrirsi d’esperienze e culture diverse. Centinaia di migliaia d’albanesi in Italia non sono un dramma. Tutti i più grandi popoli ci sono passati. Se voi italiani non aveste avuto l’emigrazione dei vostri nonni, non avreste le conoscenze e lo sviluppo di oggi».
Qui non la pensano tutti così. E il governo italiano plaude alla scelta inglese di deportare gli immigrati in Ruanda…
«Gli inglesi si sono un po’ persi. La loro politica mi pare lost in translation, perché alla fine soffrono anche loro il processo irreversibile d’invecchiamento di tutti i Paesi sviluppati: avranno sempre più bisogno d’una manodopera che non nasce e che dev’essere importata. Bisogna regolare i flussi, certo. Ma le pare una soluzione intelligente, deportare chi viene a offrire manodopera?».
(da Il Corriere della Sera)
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