Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA RICHIESTA DI CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE PRESENTATA ALLA CAMERA PREVEDE IL PARERE DELLA GIUNTA PER LE AUTORIZZAZIONI, POI LA PRATICA RITORNA ALL’UFFICIO DI PRESIDENZA CHE DECIDE SE SOTTOPORLA O MENO AL VOTO DEI DEPUTATI… IN QUATTRO OCCASIONI I CONFLITTI SI SONO FERMATI PRIMA
E adesso che succede? È l’interrogativo che arrovella Montecitorio.
La prassi per i conflitti di attribuzioni è già scritta.
I capigruppo della maggioranza hanno presentato la lettera, peraltro senza alcuna indicazione di un oggetto, al presidente della Camera.
Il quale, per un parere, la invia alla giunta per le autorizzazioni.
Lì la questione viene delibata e ci si esprime con un voto.
La pratica torna al presidente e all’ufficio di presidenza. Che deve decidere se passare il conflitto all’aula.
Perchè un conflitto possa giungere alla Consulta esso deve necessariamente passare per l’aula di Montecitorio che deve votare.
Altrimenti il conflitto non esiste.
Qui sorge un problema.
I berlusconiani ritengono che quello di Fini sia un “atto dovuto”.
Ma i precedenti della Camera, già studiati attentamente dagli uffici, dimostrano che non è affatto così.
Ci sono ben quattro casi in cui i conflitti si sono fermati prima.
Quello Faggiano-Sardelli del 2003, per via di un conteggio di voti in Puglia, che pur con un parere positivo della giunta perle elezioni, non approdò in aula perchè bloccato dall’ufficio di presidenza.
Lo stesso è accaduto per il caso di Sergio D’Elia, contestato dalla Regione Toscana per il suo ruolo di segretario di presidenza. I radicali volevano il conflitto, l’ufficio di presidenza a maggioranza lo fermò.
E siamo al caso Mancini che contestava di aver subito intercettazioni telefoniche non autorizzate, dove sia la giunta che l’ufficio di presidenza bocciarono il conflitto.
Infine il caso Evangelisti-Brunetta del giugno 2010, quando il primo voleva sollevare conflitto contro il secondo per la risposta a un’interrogazione, ma il caso si è fermato prima dell’aula.
La materia è caldissima.
Qualora il conflitto arrivi comunque alla Consulta essa valuterà prima l’ammissibilità e poi, in caso di risposta positiva, si esprimerà nel merito. Il processo comunque non si blocca fino alla sentenza.
Sollevare il conflitto di attribuzione alla Camera significa, in caso di accoglimento del ricorso da parte della Corte Costituzionale, riportare il processo in questione all’autorizzazione a procedere per il caso di reato ministeriale.
Si può sintetizzare così l’obiettivo che la maggioranza si propone, attivando la procedura per il processo che riguarda Silvio Berlusconi per il caso Ruby. Ma come funziona il conflitto?
LA LEGGE
La legge costituzionale 1 del 1989 attribuisce alla Camera il potere di dare l’autorizzazione a procedere di fronte a reati ministeriali, commessi da ministri e presidente del Consiglio, secondo quanto disciplinato dall’articolo 96 della Costituzione. Nel caso in cui, dunque, la Camera ritenesse lesa questa sua prerogativa, la Camera può sollevare il conflitto di attribuzione tra poteri davanti
alla Corte Costituzionale.
I passaggi parlamentari previsti chiamano rispettivamente in causa Ufficio di presidenza, Giunta per le autorizzazioni e quindi voto dell’assemblea.
Sul caso Ruby che vede il presidente del Consiglio a processo il 6 aprile, si è dunque aperta la prospettiva di un conflitto davanti alla Corte Costituzionale,
paventata fin dall’inizio dal Pdl, posta la competenza del Tribunale dei ministri «rivendicata» da subito da parte della maggioranza, che in tal modo si era già espressa negando l’autorizzazione alla perquisizione chiesta dai pm di Milano.
I TEMPI
Ad ogni modo, non si sospende da subito il procedimento ormai avviato davanti ai magistrati.
L’ipotesi di sospensiva del procedimento, infatti, nella legge del 1953 che regola il funzionamento della Corte Costituzionale, viene disciplinata dall’articoli 35 e 40 e riguarda il giudizio di legittimità costituzionale delle leggi sollevato in via principale ed il conflitto fra enti e non fra poteri dello Stato: «L’esecuzione degli atti che hanno dato luogo al conflitto di attribuzione fra Stato e Regione ovvero fra Regioni – si legge nell’articolo 40 – può essere in pendenza del giudizio, sospesa per gravi ragioni, con ordinanza motivata, dalla Corte».
LE FASI
Sollevato il conflitto di attribuzione, il giudizio della Consulta si articola invece in due fasi.
In una prima fase i giudici costituzionali sono chiamati a conoscere il ricorso del ricorrente, in camera di consiglio e senza contraddittorio.
Se giudicano ammissibile il ricorso, la Corte dispone la notificazione alle parti che ha individuato e dà un termine al ricorrente perchè ridepositi il ricorso notificato.
Per le notifiche in genere il termine è di 60 giorni, 30 o 15 in alcuni casi più urgenti. La Corte dà quindi un termine giorni anche alla parte resistente per decidere di costituirsi in giudizio.
Dal momento, dunque dell’eventuale dichiarazione di ammissibilità passerebbero alcuni mesi per giungere alla trattazione nel merito del conflitto sollevato.
GLI EFFETTI
Se la Consulta dovesse riconoscere il ricorso fondato, il giudizio penale verrebbe travolto e il procedimento ripartirebbe secondo la legge costituzionale, che prevede l’autorizzazione a procedere in caso di reato ministeriale .
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
SE NON VUOLE ESSERE ASCOLTATO, AL PREMIER BASTEREBBE SELEZIONARE MEGLIO I SUOI INTERLOCUTORI, EVITANDO MAFIOSI, CORRUTTORI, PAPPONI E MIGNOTTE… L’ALTERNATIVA E’ STARE ZITTO ( E NON SAREBBE UNA CATTIVA IDEA) O USARE I PIZZINI…IN FONDO PARLARE CON GENTE ONESTA NON E’ COSI’ TRAUMATICO
Gentile Cavaliere, scusi l’insistenza, ma abbiamo come l’impressione che Lei continui a farsi del male.
Non per colpa Sua, ci mancherebbe: Lei non ha colpe, mai.
Ma per colpa di chi La circonda e, se ci consente, La mal consiglia.
L’altro giorno, per esempio, lei ha annunciato a una scelta platea di somari, fra i quali numerosi ministri, che Lei ha “rinunciato da tempo ad avere un telefonino perchè il mio era esposto a ogni tipo di intercettazione”.
Ora, non sappiamo chi Le abbia consigliato una simile scempiaggine, ma possiamo assicurarLe che costui L’ha ingannata.
Anzitutto il Suo telefonino non è mai stato intercettato (dal 1994 Lei è un parlamentare e come tale non può essere ascoltato; prima, per quanto più volte indagato, non risulta che i giudici Le abbiano mai messo sotto controllo i telefoni, salvo una volta, nel 1983, quand’era sospettato di traffico di droga, accusa poi archiviata).
Ogni qual volta è stata captata la Sua voce in conversazioni telefoniche, è perchè i giudici stavano intercettando i telefoni dei Suoi interlocutori: personaggi indagati (l’immobiliarista Della Valle, Dell’Utri, Saccà , Cuffaro) o possibili vittime di Suoi reati (Ruby-Karima e altre Papi-girls).
Il che significa, signor Presidente, che per non essere più ascoltato non le basterà rinunciare al telefonino personale e usare quello del suo caposcorta (come per la telefonata in Questura per Ruby) o di qualcun altro, o magari un’utenza fissa: se un giudice intercetta l’altro interlocutore, Lei può pure parlare da una cabina telefonica, sempre che arrivi all’apparecchio, ma la sua voce sarà registrata lo stesso.
Quindi, se non vuol essere ascoltato, delle due l’una: o smette proprio di parlare (rendendo, fra l’altro, un gran servigio ai nostri timpani e alla nazione tutta), magari passando al più sicuro sistema dei pizzini molto in voga in ambienti a Lei vicini; oppure cerca di selezionare meglio i Suoi interlocutori, evitando mafiosi, corruttori, papponi e mignotte.
Ogni anno, in tutta Italia, vengono intercettate dalle 5 alle 10 mila persone, perlopiù delinquenti matricolati: ecco, Lei tenti, per quanto possibile, di parlare con le altre (sono parecchie, circa 60 milioni).
Vedrà che parlare con gente onesta non è poi così traumatico.
Ci riescono in tanti.
Sempre l’altroieri, Lei ha allietato la giuliva platea con la contabilità al dettaglio dei Suoi processi: “Oggi si celebra la 2.952esima udienza a mio carico. Io sono l’uomo più processato d’Italia, ho avuto 103 procedimenti, oltre 50 andati a dibattimento”.
Scusi l’indiscrezione, ma chi Le scrive i testi?
Chi le ha messo in testa queste baggianate? Olindo Sallusti? Filippo Mèches? Mutanda Ferrara o Mutandino Ostellino?
Dia retta a noi, che i Suoi processi li seguiamo amorevolmente fin dall’inizio: i procedimenti sono una trentina in tutto, di cui 19 andati a dibattimento e gli altri archiviati.
Anche ammettendo che ciascun dibattimento abbia prodotto cento udienze, cifra iperbolica, saremmo ben sotto le 2.000. A questo punto però, siccome Lei sostiene di avere “speso 600 miliardi di lire” (300 milioni di euro) in avvocati in 17 anni, ci sorge un sospetto: che i suoi avvocati non Gliela raccontino giusta.
Del resto, sono gli stessi che Le avevano garantito la sopraffina costituzionalità del lodo Schifani, del lodo Alfano, del legittimo impedimento, dell’abolizione dell’appello ma solo per il pm, tutta robaccia regolarmente bocciata dalla Consulta (e non perchè la Consulta sia di sinistra, ma perchè la robaccia era incostituzionale).
Già ci pare di vederli mentre s’inventano anche i processi che Lei non ha, per poter dire di averne vinto qualcuno: la mattina escono dicendo “Presidente, stamane c’è il processo Spectre”, “Oggi abbiamo il dibattimento del caso Supercazzola Brematurata”, “Domani non ci siamo, c’è ludienza sullo scandalo Comefosseantani”, “Veniamo dal tribunale, grazie a noi Lei è stato assolto dall’accusa di abigeato”. Poi vanno in camporella, o al biliardo, o al circo.
E Lei paga.
Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
LA DECISIONE MOTIVATA ANCHE “DALL’INCAPACITA’ DI MANTENERE GLI IMPEGNI PRESI” OLTRE CHE DAL SUO ISOLAMENTO NELL’AMBITO DEL CENTRODESTRA… ORA SI POTRA’ DEDICARE ALLA FAMIGLIA ALLARGATA E AL TEATRO DELL’OPERA DI NOVI
Giorni contati per la permanenza di Sandro Bondi nel governo.
Il ministro della Cultura, con una lettera al Giornale, organo dei soviet, ha annunciato che rassegnerà “presto” le dimissioni.
Decisione della quale ha già informato il premier che “se ne occuperà non appena sarà possibile”.
“La decisione di dimettermi – scrive Bondi, ribadendo un concetto che va ormai ripetendo da diverso tempo – è innanzitutto una piena e consapevole scelta di vita maturata, in secondo luogo dalle difficoltà incontrate”.
Nel ruolo di ministro, dice, “posso avere fatto degli errori, ma ho realizzato delle riforme importanti e ho imposto una linea alternativa, in senso compiutamente liberale e riformatore, alla politica culturale della sinistra”.
Uno “sforzo” però nel quale non è si è sentito “sostenuto con la necessaria consapevolezza dalla stessa maggioranza di governo e da quei colleghi che avrebbero potuto imprimere insieme a me una svolta nel modo di concepire il rapporto tra Stato e cultura”.
Sostegno che peraltro è mancato, lamenta ancora Bondi, “nel momento in cui più mi sono trovato in difficolta”, dopo il crollo di Pompei, quando era “più colpito dalla sinistra”, accusato tra l’altro “della mancanza di fondi”, per la quale, aggiunge, “io non ho mai scaricato la responsabilità su altri”.
“Le vicende del Milleproroghe hanno ulteriormente evidenziato la mia
incapacità di mantenere gli impegni che avevo preso, e nel richiedere un minimo di coerenza nell’ambito dei provvedimenti riguardanti la cultura”.
“Il presidente Berlusconi – chiarisce infine Bondi – sa anche che non sono mai stato in cerca di incarichi nè di mostrine, sia politiche che ministeriali” e che “voglio avere più tempo da dedicare alla mia famiglia”, che “voglio svolgere bene l’incarico di senatore e che desidero più di ogni altra cosa continuare a lavorare al suo fianco per cambiare questo paese”.
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
IL GIOVANE LOVAT SI OPPONE A UNA SPECULAZIONE EDILIZIA A VICENZA E VIENE CACCIATO DAL CARROCCIO… LA SUA DENUNCIA: “IN VENETO LA SITUAZIONE E’ ORMAI SFUGGITA DI MANO: CI SONO INTERESSI LOBBISTICI E MASSONICI”
Vietato parlare di argomenti come la questione morale.
Tantomeno pronunciare la parola rottamazione. Pena l’espulsione.
Non appellabile.
Chiedere al vicentino Davide Lovat, quarant’anni, militante della Lega da nove anni, una laurea in scienze politiche e un’altra in teologia, considerato il capo della corrente dei rottamatori in salsa padana, quelli che vorrebbero o, meglio, avrebbero voluto, rinnovare la classe dirigente leghista.
In quattro e quattrotto è stato cacciato dal partito e la comunicazione l’ha avuta via Sms.
Tanti saluti, arrivederci. Firmato Giampaolo Gobbo, segretario nazionale della Liga Veneta.
Controfirmato Alberto Filippi, senatore veneto del Carroccio, proprietario insieme alla sua famiglia, di un terreno acquistato come agricolo e oggi diventato edificabile, uno spazio di 80.000 metri quadri sul quale dovrebbe sorgere uno dei centri commerciali (l’ennesimo) più grandi della provincia con annesso un affare milionario per il senatore e la sua famiglia.
Un affare sul quale Lovat si era permesso più volte di sottolineare e richiamare i dirigenti del partito alla questione morale.
Ma la sua colpa principale è stata soprattutto quella di aver chiesto ai colonnelli, lui che nella Lega era considerato integralista, di tornare ai vecchi valori, di pensare meno alle banche e più alla “nostra gente”, qualle delle valli.
Certo, i problemi li ha sbattuti sul tavolo senza prudenza.
A fine anno ha scritto un libro nel quale ha spiegato che, da leghista, non ha mai amato una parte dell’establishment del Carroccio.
“Prima c’erano i presunti guerriglieri che spacciavano le valli bergamasche per la Sierra Maestra e ora pensano a scalare banche. Prima, c’erano sedicenti Spartacus pronti a guidare la rivolta degli schiavi contro Roma, e ora sono finiti a banchettare nelle lussuose taverne di Trastevere”.
E questa gliela fecero passare, ma giusto perchè il ragazzo si è sempre portato dietro una larga parte della base.
Poi ha fatto riferimento più volte alle proprietà del senatore Filippi chiedendogli pubblicamente delle spiegazioni.
Un limite giudicato invalicabile.
Così due giorni fa, al termine di una riunione tra i mammasantissima della Lega in Veneto, il giovane Lovat è stato espulso.
“Questo non è in linea con noi”, hanno detto Stefano Stefani e Manuela Dal Lago ai colleghi, “non ci resta che rimandarlo da dove è venuto: a casa sua”.
Lovat non l’ha preso presa per niente bene.
Raggiunto al telefono, si scusa per non aver risposto tempestivamente, ma “al contrario di altri io sono uno che lavora, non mangio con la politica”.
“Io sono un intellettuale, un leghista atipico”, spiega.
“Ma una cosa la voglio dire: alcuni leghisti di potere in Veneto prendono vie lobbistiche e, soprattutto, massoniche. E lo stanno mettendo nel sedere a Bossi“, spiega. “Forse lui non si accorge di quello che sta accadendo, ma oggi hanno espulso il leghismo dalla Lega. Per prendere altre strade. Sono stato giudicato senza contraddittorio e in contumacia. La mia colpa? Il libro che ho scritto, direbbe Stefani che ha la quinta elementare. Le mie posizioni su Filippi, spiega Dal Lago. Ma ufficialmente non hanno avuto neppure il coraggio di comunicarmi la decisione. Gobbo? Non a quanto mi risulta non è lui il fautore della mia espulsione. Anzi, si sarebbe espresso contro”.
Comunque a Lovat non è restato altro che rassegnarsi alla decisione. D’altronde di questi tempi Gobbo non poteva occuparsi della vicenda più di tanto, ha già un problema con il sindaco di Verona, Flavio Tosi, il suo sfidante nella corsa per la segreteria, e non può permettersi di trovare lungo la strada anche un rottamatore.
Già Tosi è di per sè un concorrente pericoloso, uno che sul popolo di Pontida ha presa anche se festeggia i 150 anni della Repubblica.
Uno che sulla questione immigrati riesce a infiammare la sua gente.
E’ vero che Gobbo è dato in vantaggio (secondo le previsioni si attesterebbe sul 65 per cento dei consensi) rispetto a Tosi, ma è una Lega che non mostra più il suo aspetto monolitico.
Un presunto rottamatore, Diego Vello, 22 anni, si è conquistato la segreteria di Belluno contro il più blasonato Franco Gidoni.
Ed è stato un colpo di scena che si può ripetere altrove, con tutta la bile di Gobbo che vorrebbe mantenere la mappa del potere così come è oggi. Anche a costo di provvedimenti drastici.
Ma in casa Lega le espulsioni non sono un grande problema.
Dal 1994 a oggi la classe dirigente del partito è stata cambiata più volte.
Chi nel tempo non si è adeguato al Bossi-pensiero, l’unico riconosciuto, è stato cacciato dal partito senza troppi complimenti.
Personaggi importanti (venne in qualche modo costretto ad andarse pure Gianfranco Miglio, l’uomo che era considerato l’ideologo della Lega) e parlamentari di tutte le circoscrizioni.
Una parola di troppo e via a casa.
Qualche anno fa ha rischiato serio anche Roberto Maroni, il numero due del Carroccio, finito per quaslche tempo nel congelatore e poi riabbracciato da papà Umberto come il compagno che ha sbagliato, ma non lo farà più.
Lungo la strada, invece, si sono persi parlamentari come Luca Basso, Pier Corrado Salino, Luigi Negri, Paolo Bambo, solo per citarne alcuni.
Sono usciti personaggi del calibro di Franco Rocchetta (fondatore della Liga Veneta, la madre di tutte le leghe), Marilena Marin e Fabrizio Comencini, entrambi predecessori di Gobbo.
E a volte basta poco per essere cacciati.
Una parola di troppo.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
IL PADRE DI BARBARA GUERRA PROPOSE AL PREMIER, TRAMITE LA FIGLIA, DI METTERE UNA CIMICE NELLA SEDE DI FUTURO E LIBERTA’ A MILANO… “MI HA DETTO CHE FORSE E’ MEGLIO DI NO, HA PAURA CHE SE POI ESCE QUALCOSA…MA MI HA CHIESTO DOVE E’ LA SEDE”
C’è anche la proposta fatta a Silvio Berlusconi di mettere una microspia nelle sede milanese di Futuro e Libertà nelle intercettazioni depositate dai pm di Milano.
E’ l’idea, che non ha avuto seguito in quanto il capo del Governo ha ritenuto “meglio non farlo”, di Innocenzo Guerra, padre della show girl Barbara, una delle ragazze ospiti delle serate ad Arcore.
L’uomo, impegnato nei lavori di risistemazione dei locali della sede di Fli in via Terraggio (inaugurati ufficialmente lo scorso 24 gennaio), e che definisce “tana dei cospiratori”, l’11 gennaio, parlando all’ora di cena al telefono con la figlia le dice: “Io gli volevo proporre se vuole mettere una microspia (ride)…” . Poco più avanti: “io..c’ho le chiavi io dell’ufficio (…) ieri è venuto anche il senatore Valditara”.
La figlia: “e si può fare?”. Il padre le ripete: “io c’ho le chiavi”.
La show girl: ‘allora glielo dico sub… cacchiarola. Non e’ qui sennò cazzo andavamo a casa sua subito”.
Innocenzo Guerra: “annuisce. Perchè già ieri parlava di La Russa questo qui, io son stato dentro 10 minuti…”.
E ancora: “eran dentro in sei che parlavano: ‘allora ti devi occupare dei palazzinari perche’ dobbiamo tirare fuori i 200.000 appartamenti della gente che gli manca la casà (…) Sto senatore parlava così adesso La Russa non ho capito cosa diceva di La Russa”.
Barbara Guerra riferisce, poi, al padre di aver cercato di contattare il premier: “ho detto di chiamarmi subito, m’ha richiamato poi alle quattro, ho chiamato alle due alle quattro m’ha richiamato…”.
Il padre: “E tu digli cheee… (…) che mio papà non è abituato a queste cose qui, perchè, ma però, gli devi dire, per l’amore e il rispetto che (…) che ho nei suoi confronti, se gli interessa si può fare”.
Barbara: (con tono di voce bassa) “eee glielo dico, adesso appena mi richiama (…) ee sì. Dai, facciamo così, adesso lo presso per un’ora intera gli dico, ma si libera perchè domani c’è una cosa da fare gli dico”.
Il padre: “eee, almeno sente le puttanate che dicono e di quello che fanno”.
L’uomo spiega alla figlia che “dopodomani arriva il camion con i mobili” e che il locale “domani è ancora vuoto, se lui ha una persona che può farlo (…) io c’ho le chiavi”.
Barbara: “e mo lo chiamo di nuovo, tanto che ore sono finirà sta cazzo di riunione”. Il padre: “eee, digli, è proprio la tana del…”.
Barbara: “del lupo”. Padre: “dei cospiratori”.
Poco dopo, in un’altra telefonata intercettata, Barbara dice al padre di aver “appena parlato” con Berlusconi che le ha detto ”’cheeee..mm. per … forse è meglio non farlo, però vuole sapere dove è la sede….”.
Il padre quasi al termine della conversazione: “mmm e perchè non è da fare?”, Barbara: “ee boh… Forse ha paura che se esce qualcosa”.
Durissima la presa di posizione del Fli dopo aver appreso della proposta fatta al premier di mettere microspie nella sede del partito: ” veramente impensabile che lo scontro politico possa raggiungere livelli così bassi al punto tale da ipotizzare pedinamenti e istallazioni di cimici all’interno delle sedi di partito”.dice il vicepresidente di Fli, Italo Bocchino.
“Una ‘proposta’ che condanniamo con forza e che ci conferma la bassezza del livello della contrapposizione politica che dovrebbe fermarsi al confronto sui programmi”, conclude Bocchino.
Ha aggiunto il sen. Valditara: “Si sono intrufolati mentre parlavamo dell’inchiesta sull’affittopoli milanese che stavamo preparando e che ha proseguito Barbara Ciabò. Ci hanno sentito mentre parlavamo di appartamenti concessi a prezzo di favore e lo riferiscono. E’ impensabile che un capo d governo neanche si indigni, oggi vado in Procura a fare denuncia”
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
DA NOVE NUOVE INTERCETTAZIONI EMERGE IL BALLETTO DELLE CIFRE PROMESSE A RUBY… DIETRO UNA IMPROVVISA ED ENORME DISPONIBILITA’ DI DENARO SI NASCONDE FORSE IL PREZZO DEL SILENZIO?
AAA Ruby cerca casa da 350.000 euro, «tanto me la regala zietto».
A Natale la neomaggiorenne marocchina Karima “Ruby” el Mahroug, ora al centro del processo che imputa a Silvio Berlusconi i reati di prostituzione minorile e di concussione, trattava con una agenzia immobiliare milanese l’acquisto di una casa come se possedesse (o quantomeno come se potesse fare solido affidamento su) questo denaro: «Tanto, dato che me la regala, posso anche scegliere qualcosa di carino!».
Mentre 9 nuove intercettazioni ribadiscono le aspettative di Ruby di ricevere soldi dal fronte-Berlusconi in cambio del proprio atteggiamento processuale, la storia della casa spunta dagli sms scambiati da Ruby il 19 dicembre con C.A., dipendente di una immobiliare.
Ruby: «Fammi sapere per giovedì… Ricorda, non più di 350.000 euro, capito!!».
Agente: «Tesoro, una bellissima a 290 (mila euro, ndr)».
Ruby: «Quanti mq? Tanto, dato ke me la regala, posso anke scegliere qualcosa di carino!».
L’agente descrive l’appartamento di «70 mq con parquet e aria condizionata»; Ruby lo vuole «più grande preferibilmente!»; l’agente sottolinea «già i mobili nuovi», e «sul prezzo possiamo trattare».
Ruby: «Mah, fammi vedere e poi mi faccio un’idea, ma sinceramente 70 mq son poki!».
Agente: «Ok ma 300.000 di più non trovi».
Ruby, ridendo: «Fai di più, tanto me la regala zietto… ah ah».
Quando il 14 gennaio 2011 Berlusconi era stato incriminato, aveva già destato attenzione la telefonata in cui il 28 ottobre 2010 Ruby confidava a un interlocutore che «Silvio mi chiama di continuo… mi ha detto “cerca di passare per pazza… racconta cazzate… ma io ti sarò sempre vicino… e avrai da me qualsiasi cosa”. Con il mio avvocato gli abbiamo chiesto 5 milioni… in cambio del fatto che io passo per pazza e ho raccontato solo cazzate… E lui ha accettato… in effetti seguiremo questa strada…».
Adesso, però, agli atti vengono depositate altre 9 intercettazioni sul tema.
Già il 14 ottobre, infatti, il fidanzato Luca Risso informa l’allora avvocato di Ruby (e oggi invece del coindagato Lele Mora), Luca Giuliante, che «Ruby mi ha detto che a fine mese la persona di cui abbiamo tanto parlato gli darà … ehm… 4 chili e mezzo di patate»: il legale risponde che «non è assolutamente così», forse è aspettativa che Ruby sta cercando di proiettare, anche se «ti confermo c’è la volontà di darle una mano, dobbiamo capire le modalità ».
Il 26 ottobre, al telefono con un amico che le chiede se sia stata a letto con Berlusconi, Ruby svicola: «Guarda che stacco il telefono subito».
Amico: «Ma soldi te ne ha dati questo qui?». E Ruby: «5 milioni».
Sui rapporti sessuali con il premier, la 17enne torna il 28 ottobre con un’amica: «Sembra che adesso sia successo chissà che cosa» ma «ci sono tremila uomini di 50 anni che si fanno le minorenni e non dicono mai niente», invece «solo perchè lui è Silvio devono aggredirlo in questa maniera (…) Eh, Silvio dubita che è stato qualcuno di quelli che lavorano da lui che ha fatto la spia».
E ora «m’ha detto: “Ti do tutti i soldi che vuoi, ti rendo tutta d’oro, però tu passa per pazza, non dire mai la verità “».
Ancora il 28 ottobre Ruby con l’amica G. evoca una cena dove «c’era lui (che in quel contesto è Fabrizio Corona, ndr), e c’era Stefano Bettarini… poi è venuto il mio avvocato… e poi l’avvocato di Silvio, perchè dovevano affrontare la faccenda e lui (Corona) mi ha detto “sei una grande”, mi fa, “continua così e sai quanti soldi ti farai?”.
A parte che già 6 milioni sono sicuri che li avrò appena faccio i 18 anni, 6 milioni di euro da Silvio… per nasconderlo da tutta questa vicenda…». Interpellati ieri dal Corriere, però, Corona e Bettarini smentiscono sia di aver mai conosciuto Ruby, sia di aver cenato insieme.
Del resto una bugia Ruby dice di certo quando nella stessa telefonata narra che «tutto il casino» è nato dal fatto che «sono venuti a casa mia, e appena hanno aperto la scarpiera praticamente cade una busta e c’erano 150.000 euro in contanti», in realtà mai sequestrati.
E curiosa è anche la predilezione della ragazza per la cifra 187.000 euro: nei verbali estivi dice che sono i soldi dati dal premier, ma il 20 ottobre al telefono con una prostituta Ruby dice di essere «tornata adesso con 187.000 euro dal Dubai».
Il 29 ottobre è un’altra amica a sentirsi raccontare da Ruby che «alle 4 e mezza ho l’incontro con il capo e… beh, a me sono promessi quat… mi hanno promesso 6 milioni pur di stare zitta, e io faccio quello che vogliono».
Il 30 ottobre Ruby spiega a un ex compagno di classe perchè non accetterà i «700.000 euro» offerti a suo dire da «Alfonso Signorini che vuole l’esclusiva per due interviste: non posso perchè io sono con il capo e lui praticamente mi dà 4 milioni e mezzo… per restarmene zitta».
Il 3 dicembre Ruby avvisa il fidanzato che «m’ha chiamato il signor Spinelli (tesoriere di Berlusconi, ndr), dicendomi che devo andare da loro il giorno 26 (Santo Stefano, ndr) per prendere il regalo, poi te lo spiego di presenza…».
Il 13 dicembre alla mamma di un amico Ruby accenna a «gli altri soldi che ricevo, li ricevo da chi tu sai, perciò sempre di nascosto».
Il 23 dicembre a un connazionale Ruby spiega che «praticamente io ricevo 20.000 euro ogni martedì».
Da chi? Nello sceneggiare una specie di scherzo che vuole fare, Ruby chiede all’interlocutore se conosce una donna che parlando al telefono possa inventarsi: «Pronto? Sono la segretaria del signor Spinelli…».
Luigi Ferrarella
Giuseppe Guastella
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
NON SOLO CONTANTE, CASE, AUTO E COLLANE: EMERGE IL CASO DI GIACOMO URTIS, AMICO DI LELE MORA, CHE HA SISTEMATO LABBRA, SENO, NATICHE E NASO A SETTE RAGAZZE DELL’OLGETTINA… DALLE INTERCETTAZIONI RISULTA CHE I TRATTAMENTI FOSSERO MESSI IN CONTO BUNGA BUNGA
Tutto “in serie” il trattamento per le ragazze delle notti del premier ad Arcore. Non soltanto le buste di denaro contante regalate (come quella da 20.000 trovata in una delle perquisizioni il 14 gennaio), le auto comprate (almeno 13 per 280 mila euro), le collane comprate in blocco (ad esempio 100 dello stesso tipo per complessivi 240.000 euro), il pagamento degli affitti di appartamenti nello stesso complesso all’Olgettina.
Ma anche interventi di medicina estetica presso lo stesso dottore sardo al quale si sono affidate, per «punturine da 300 euro» a naso o labbra o seno o natiche, almeno 7 delle ragazze maggiorenni che l’accusa ipotizza siano tra quelle prostituitesi con il presidente del Consiglio.
Nato in Venezuela, 34 anni, studio ad Alghero e da qualche mese anche a Milano in corso Como, in una intervista a Sassari & Hinterland, il dottor Giacomo Urtis si è descritto come «il dermatologo del figlio di Barbara Berlusconi», anche se, interpellato a Londra dal Corriere, ridimensiona in «ho fatto solo delle consulenze dermatologiche d’estate quando sono in Sardegna».
Aggiunge di occuparsi «dei clienti vip» quali «i personaggi televisivi del circuito di Lele Mora», della cui sorella è amico, e «sono entrato in un circuito molto chiuso di alta fascia, ho iniziato a lavorare per i Duchi di Kent, per il Principe di Lussemburgo, per Hermès e i proprietari della Vuitton».
Il suo call center smista le aspiranti pazienti ad alcune decine di chirurghi «a contratto» in cambio di una percentuale sulle clienti, praticando anche trattamenti economici dilazionati nel caso in cui la cliente possa magari alimentare il passaparola.
Proprio con questa dinamica sarebbero arrivate a Urtis le almeno 7 ospiti delle notti di Arcore.
Agli inquirenti interessa nulla delle opzioni estetiche delle ragazze: preme invece verificare se anche questi interventi siano stati pagati da Berlusconi, o direttamente (tramite il suo tesoriere Spinelli) o indirettamente (con l’utilizzo da parte delle ragazze dei “suoi” contanti).
Il dubbio è alimentato da alcune intercettazioni.
In una telefonata notturna di gennaio una ragazza, che al telefono si lamenta del ritardo di Spinelli nel pagarle come al solito l’affitto mensile, si sente rispondere dalla sua interlocutrice: «Comunque io mi voglio rifare il sedere». «Amò, ma ti rifai le punture da Giacomo?». «No, mi voglio far proprio il definitivo». «Eh ti conviene, perchè ormai spendi altri soldi per che cosa…». «Però me lo devono pagà », dice l’una.
«Come hanno fatte tutte le altre il seno, tu non fai il seno ma fai sotto», concorda l’altra.
«Speriamo che mi dà l’ok qualcuno».
E l’amica ridendo: «Fai fare il preventivo e lo porti lì, cioè basta, quanto ci vuole? Io ho fatto così per fare la finta lipo, 10.000 euro eh».
Ma Urtis, nello svelare di essere stato interrogato dal pm Ilda Boccassini, afferma che «i miei sono trattamenti da poche centinaia di euro e a pagarli erano le ragazze.
Cosa voleva sapere il pm?
Soprattutto se tra le mie clienti ci fossero state le due minorenni, Ruby e Iris: ma io non le ho mai conosciute».
Luigi Ferrarella e Giuseppe Guastella
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
L’ESPONENTE DEI FINIANI LANCIA UN APPELLO ALLE DONNE DEL PDL: “NON E’ PIU’ IL MOMENTO DI TACERE PER OBBEDIRE AL CAPO: OGGI STARE ZITTE SIGNIFICA ACCETTARE UAN CULTURA CHE CI SOTTOMETTE”… “BASTA CON LE CARRIERE POLITICHE NATE NEI FESTINI”
A Roma, alla manifestazione di piazza del Popolo, è stata tra le più applaudite, sfoderando sul palco la grinta che ben conoscono Silvio Berlusconi e l’avvocato Niccolò Ghedini: “Basta con le carriere politiche nate nei festini”, ha scandito.
Giulia Bongiorno, da presidente della commissione Giustizia della Camera vicinissima a Gianfranco Fini, i suoi no al Cavaliere li ha detti in tempi non sospetti: bloccando le leggi sul processo breve e sulle intercettazioni.
Ora chiede alle colleghe del Pdl un atto di coraggio: “Tacere oggi significa essere complici”.
Sul processo non entra nel merito, vorrebbe suonare tranquillizzante per il Cavaliere: “Berlusconi dovrebbe essere felice di essere giudicato da tre donne…”.
Ma avverte su eventuali colpi di mano parlamentari per strappare la competenza a Milano: “Se vuole continuare a fare il premier non può ricorrere alle scorciatoie, deve affrontare a viso aperto il processo e dimostrare nel dibattimento l’infondatezza delle accuse”.
Il premier ha accusato la piazza delle donne di essere puramente anti-berlusconiana. Per lei quali obiettivi deve darsi questo movimento?
“Questo moto spontaneo e grandioso fa paura e si tenta di indebolirlo attribuendogli una matrice politica: invece alle manifestazioni ha partecipato una folla eterogenea, moltissimi dei presenti erano lontani dalla politica. È la spontaneità della risposta il dato più importante, la forza di questo movimento. Quello che unisce persone diversissime tra loro è molto più dell’antiberlusconismo: sicuramente è anche gente stanca di Berlusconi, ma è soprattutto gente che crede nelle donne. L’Italia non può più rinunciare ad avere donne in ruoli chiave”.
Anche alla leadership? Nichi Vendola ha candidato Rosy Bindi alla guida di una coalizione democratica. I tempi sono maturi per un premier donna?
“Siamo già in ritardo. Pensare a un premier donna e a una squadra di governo composta da donne valide non è un’anomalia, non è una scelta dettata dall’emergenza. Sarebbe una svolta, una risposta all’esigenza di novità e di cambiamento che è arrivata in queste settimane”.
Lei fu la prima donna nel Pdl a ribellarsi a Berlusconi. Al punto che il Cavaliere ordinò: “Levatemela di torno”. C’è una difficoltà tutta al femminile di lavorare con questo premier?
“Sì, sono stata considerata molto “disubbidiente” perchè ho esposto il mio punto di vista indicando gli effetti rovinosi di alcuni provvedimenti fortemente voluti dal premier. Nel Pdl nessuno lo contraddice, anche quando è evidente che sta commettendo un errore. “La penso come te, ma non si può dire,” mi sussurrava qualcuno. Ecco, secondo me l’accondiscendenza non aiuta. Quando ritenevo che fosse giusto farlo, io ho sempre contraddetto i miei maestri e i miei leader, e questo non significa che non li stimassi o che non mi fidassi di loro. Sicuramente poi, nel caso del Pdl, il fatto che le obiezioni venissero da una donna le rendeva addirittura impensabili, prima ancora che indigeste. Ma il maschilismo è trasversale: quando ho cercato di portare avanti il provvedimento che avrebbe permesso alle madri di dare il proprio cognome al figlio, ho sbattuto contro un muro eretto dagli uomini dei diversi schieramenti. Il provvedimento infatti si è arenato”.
Cosa dice alle sue colleghe del Pdl che ancora oggi difendono a spada tratta il premier?
“La difesa del proprio leader non deve tradursi in atti di autolesionismo. Secondo me, oggi tacere significa essere complici”.
Lei è stata l’avvocato di Giulio Andreotti: cosa consiglia all’imputato Berlusconi?
“Berlusconi ha i suoi avvocati, non ho nessun consiglio da dare. C’è chi dice che a conti fatti Andreotti ci ha rimesso a non sottrarsi al processo, avrebbe potuto conservare il suo potere ancora a lungo. Mi limito a un sola osservazione: un uomo delle istituzioni le istituzioni deve rispettarle sempre. Altrimenti contraddice se stesso”.
Andreotti, però, non era più a Palazzo Chigi. Qui c’è un presidente del Consiglio imputato per concussione e prostituzione minorile, tutto il mondo ne parla. Può restare al suo posto?
“Non credo che sia questo il punto centrale. Un premier può farsi processare restando in carica, ma ciò che non è accettabile è che un presidente del Consiglio attacchi sistematicamente tutta la magistratura. Questo atteggiamento ha generato un fortissimo conflitto istituzionale. Le dimissioni sono una scelta, ma il rispetto della magistratura e delle procedure è un obbligo. L’imputato presidente del Consiglio deve tenere presente che gli imputati comuni di fronte a questi atteggiamenti potrebbero sentirsi legittimati a emularlo”.
Non è questa la strada scelta da Berlusconi, per ora. Si parla di una mozione della maggioranza per strappare il processo a Milano e di una nuova legge sul legittimo sospetto…
“Non so quale possa essere la strada. Ma non può essere quella delle scorciatoie: se Berlusconi vuole continuare a fare il premier deve affrontare il processo a viso aperto e dimostrare nel dibattimento l’infondatezza delle accuse e la sua innocenza”.
Lei si è opposta ad alcune leggi del governo Berlusconi in materia di giustizia: in quali la forzatura ad personam era più evidente?
“Mentre provvedimenti come il lodo Alfano – molto contestato dalle opposizioni – possono avere una ratio nell’esigenza di tutelare una funzione e non creano effetti negativi sulla collettività , altri avrebbero avuto conseguenze devastanti sul sistema. Una delle prime formulazioni del testo sulle intercettazioni avrebbe messo il bavaglio alla stampa: forse è stato questo il provvedimento in cui ho ravvisato i maggiori pericoli anche per la libertà “.
A dire di Berlusconi, c’era un patto segreto tra l’Anm e Fini per bloccare le leggi sulla giustizia in cambio di una non specificata impunità .
“Escludo qualsiasi patto di questo genere, e non solo perchè Fini – non avendo alcun processo – non ne avrebbe avuto alcun bisogno. Questa accusa mi fa ridere: sono stata io a dare i consigli a Fini sulla giustizia, so perfettamente da cosa erano dettate le sue scelte: esclusivamente dalla volontà di non sconquassare il sistema”.
Sul processo breve sono in arrivo altri strappi?
“La riduzione dei tempi dei processi è un imperativo, ma quello che viene definito “il processo breve” i processi non li abbrevia: li cancella. Sulle intercettazioni, quello che non si dice è che dopo lunghi dibattiti era stato portato in aula un testo sul quale c’era l’ok di Alfano. Io stessa avevo partecipato alle ultime trattative. Ma se c’era l’accordo, perchè adesso questa marcia indietro?”.
Cosa ha pensato quando ha saputo che Berlusconi sarà giudicato da tre donne?
“La saggezza di un giudice non dipende dal suo sesso. E comunque, dato che in questi giorni Berlusconi ha detto di avere la massima considerazione delle donne, non potrà che esserne felice”.
Marco Damilano
(da “L’Espresso“)
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Marzo 2nd, 2011 Riccardo Fucile
NEL COMITATO PROMOTORE “A DIFESA DELLA COSTITUZIONE” DA ANGELA NAPOLI E FABIO GRANATA DI FLI A ROSY BINDI E BERSANI DEL PD, DA TABACCI DELL’UDC A VENDOLA DI SEL… MA SOPRATTUTTO SFILERANNO DOCENTI E STUDENTI DELLA SCUOLA PUBBLICA, MINACCIATA DA UN GOVERNO CHE LA RITIENE UN LUOGO “IN CUI SI INCULCANO VALORI DIVERSI DA QUELLI DELLE FAMIGLIE”
L’occasione per una manifestazione unitaria dell’opposizione è il 12 marzo. Un’enorme bandiera tricolore, tante copie della Costituzione, un messaggio semplice: “Difendiamola!”.
A cinque giorni dall’anniversario dell’Unità d’Italia, l’appello a scendere in piazza è rivolto a tutti coloro che la Penisola vogliono vederla unita sotto gli stessi colori e la stessa carta.
Il comitato promotore “a difesa della Costituzione” è riuscito a mettere insieme Futuro e Libertà con Rifondazione comunista.
Ci saranno infatti Angela Napoli e Fabio Granata di Fli, Bruno Tabacci e Pino Pisicchio dell’Udc, Rosy Bindi e Pier Luigi Bersani per il Partito democratico, e poi Nichi Vendola, Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, la Cgil, il Popolo viola, Valigia blu, La tavola della pace.
Ma soprattutto sfileranno insegnanti e studenti della scuola pubblica, tutelata dall’articolo 33 della Carta costituzionale, minacciata da un governo che la ritiene un luogo “dove si inculcano agli studenti valori diversi da quelli delle famiglie, dove i ragazzi non sono educati liberamente”.
“Dopo avere imbavagliato giudici e giornalisti, ora vorrebbero farlo anche con i professori, gli studenti e le famiglie — spiega Giuseppe Giulietti, uno degli organizzatori con l’associazione di cui è portavoce, Articolo 21 — è un delirio che va arrestato, mettendo insieme chiunque abbia a cuore la legalità repubblicana”.
Le carte in regola per riempire le piazze in tutta Italia ci sono.
L’evento più importante sarà quello romano. Appuntamento in Piazza della Repubblica e corteo fino a Piazza del Popolo.
I due luoghi, dal nome evocativo, non sono stati scelti a caso.
Sul palco nessun politico e nessuna associazione.
L’idea, spiegano gli organizzatori, è quella di non dare la parola a chi parla “per sè” ma solo a persone che parlano “per tutti”.
Perciò a leggere gli articoli della Costituzione “che rischiamo di perdere” ci saranno personalità del mondo della cultura, del cinema, dello spettacolo e della scuola.
La speranza degli organizzatori è che a concludere la manifestazione sia Roberto Vecchioni, cantante e professore insieme, con la sua “Chiamami ancora amore”, che racconta “i ragazzi e le ragazze che difendono un libro, un libro vero, così belli a gridare nelle piazze perchè stanno uccidendo il pensiero”.
Le adesioni vengono raccolte sul sito adifesadellacostituzione.it  .
Ci sono le firme illustri e quelle dei cittadini.
C’è l’appello dell’associazione finiana FareFuturo firmato da Filippo Rossi, secondo il quale “è arrivato il tempo dell’azione, il tempo per una destra moderna e non berlusconiana di mettersi in gioco, di scendere in piazza. Perchè non si può più star zitti. Perchè il mondo vero è là fuori, non certo in Parlamento”.
E c’è quello dell’Unione degli Universitari, che ricordano, a chi rischia di dimenticarlo, chi sono: “Siamo quegli studenti che leggono, discutono e conoscono la Costituzione italiana, che si emozionano quando sentono parlare i Padri costituenti. Gli stessi studenti che rabbrividiscono quando la Costituzione viene vista dai partiti e dalle forze politiche come qualcosa da osannare o calpestare a seconda dello schieramento”.
E sembra già di sentire Vecchioni: “Per la nostra memoria gettata al vento, da questi signori del dolore, chiamami ancora amore”.
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