Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
DA BERLUSCONI A MATTEOLI, DA CASTELLI A LUNARDI, DA SGARBI A COSENTINO, DA PECORARO SCANIO AD ANGELUCCI, DA DE LUCA A MARGIOTTA… ECCO I REATI CONTESTATI E CHI HA SALVATO GLI INQUISITI
Due politici di opposizione e tutti gli altri di maggioranza: sono i parlamentari salvati nel corso di questa legislatura.
Facciamo un elenco dei casi più noti, evitando quelli relativi a reati minori
Altero Matteoli
Favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta per abusi edilizi sull’isola d’Elba
Luglio 2009: salvato da Pdl e Lega
Roberto Castelli
Diffamazione ai danni di Oliviero Diliberto accusato di essere “amico dei terroristi”
luglio 2009: salvato da Pdl e Lega
Nicola Di Girolamo
Associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio di capitali illeciti, violazione della legge elettorale con l’aggravante mafiosa
settembre 2008: salvato da Pdl e Lega
Si dimette il 1marzo 2010
Francesco De Luca
Aver tentato di aggiustare un processo di camorra su richiesta del clan Guida
luglio 2008: salvato da Pdl, Lega e Pd
Pietro Lunardi
Accusato di corruzione relativa agli appalti del G8 in Abruzzo
8 marzo 2011: salvato da Pdl e Lega
Nicola Cosentino
Concorso esterno in associazione camorristica
settembre 2010: salvato da Pdl, Lega e Udc
Salvatore Margiotta
Tangenti legate agli appalti per l’estrazione petrolifera in Basilicata
dicembre 2008: salvato da tutti, esclusa Idv
Alfonso Pecoraro Scanio
Corruzione
8 marzo 2011: salvato da Pdl e astensione di Lega e altri
Antonio Angelucci
Associazione a delinquere, concorso in truffa aggravata e continuata
aprile 2009: salvato da Pdl, Lega e Pd
Vittorio Sgarbi
Diffamazione dei pm di MIlano
8 marzo: salvato da Pdl e Lega
Silvio Berlusconi
Concussione e prostituzione minorile
febbraio 2011: salvato da Pdl, Lega e responsabili
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
UN ARSENALE PER IL CRIMINALE: L’AFFARE MESSO A PUNTO NEL GIUGNO 2009 DURANTE LA VISITA DI GHEDDAFI IN ITALIA…7.500 PISTOLE, 1.900 CARABINE, 1.800 FUCILI, UNA FORNITURA DA 8 MILIONI DI EURO…L’EUROPA TENUTA ALL’OSCURO DELL’AFFARE TRA SILVIO E IL RAIS, LA SCOPERTA A MALTA
Altro che limette per le unghie di cui ha continuato a parlare per giorni il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, per buttarla in ridicolo e sviare il forte sospetto che l’Italia avesse fornito negli ultimi tempi tante armi micidiali a Gheddafi.
Buona parte di quegli ordigni con cui il raìs fa massacrare gli insorti in realtà sono italiani, venduti a Tripoli alla fine del 2009 e fabbricati dalla Beretta di Gardone Val Trompia.
Si tratta di un vero e proprio arsenale: 7.500 pistole, 1.900 carabine e 1.800 fucili consegnati nelle mani del capo del Settore di pubblica sicurezza del Comitato popolare del dittatore nordafricano.
Cioè, in pratica, i giannizzeri del raìs. Valore della fornitura, circa 8 milioni di euro.
Quelle esportazioni negli atti ufficiali vengono qualificate come armi di “non specifico uso militare”, poco più che fuciletti da caccia, insomma, una dicitura forse usata per poter sfruttare al meglio le incongruenze della legislazione italiana sulle esportazioni di armi, rigorosa per quelle militari, molto più blanda per le altre.
Tra gli oltre 11 mila pezzi inviati alla Libia, però, ci sono perfino centinaia e centinaia di fucili di un particolare modello da 13 anni in dotazione ai marines americani, l’M4 Super 80 ad anima liscia, un’arma progettata per uso bellico e prodotta dalla Benelli, antica fabbrica di Urbino controllata dal gruppo Beretta.
Anche gli altri oggetti consegnati a Gheddafi presentano caratteristiche che con la caccia a lepri e fagiani hanno poco a che vedere.
Ci sono, per esempio, le pistole PX4 calibro 9 semiautomatiche, con un peso ridotto di soli 800 grammi e un caricatore di 10 colpi che con un elemento supplementare può arrivare a 15.
E poi le carabine CX4, anche queste calibro 9, su cui possono essere montati sistemi di puntamento ottico e laser.
L’affare delle armi fu affrontato il 10 giugno 2009, in un’occasione considerata a suo modo storica dal governo italiano per quanto riguarda i rapporti con la Libia, il giorno in cui il raìs arrivò a Roma, accolto con tutti gli onori da Silvio Berlusconi, accompagnato da un codazzo di auto e furgoni blindati, decine e decine di guardie del corpo e gli fu consentito di piantare la sua tenda berbera nel giardino di villa Pamphili.
La consegna di fucili e pistole avvenne a tambur battente pochi mesi dopo. Quattro container di armi furono sistemati a bordo di una nave che dal porto di La Spezia fece scalo a Malta per dirigersi infine verso le coste libiche.
La fornitura fu effettuata con modalità che, per una serie di circostanze fortuite emerse nel tempo, hanno ingenerato una sfilza di sospetti, fino all’emersione di una verità che le autorità italiane di governo fino all’ultimo hanno sostanzialmente negato.
La ricostruzione di tutte le tappe dell’affare delle armi alla Libia è stata effettuata con precisione da un ricercatore della Rete italiana per il disarmo e redattore di Altreconomia, Francesco Vignarca.
Il 24 febbraio Vignarca si è accorto insieme ad un collega che in un rapporto del 13 gennaio della Gazzetta dell’Unione europea era riportata una fornitura di armi alla Libia da parte di Malta per un importo veramente considerevole: 79 milioni di euro.
La gigantesca partita era catalogata sotto la colonna ML 1, cioè armi leggere ad anima liscia di calibro inferiore a 20 millimetri, automatiche di calibro 12,7 millimetri e accessori e componenti vari.
Le autorità maltesi interrogate a proposito, non avevano negato la toccata nel porto della Valletta di una nave con container pieni di armi, anzi avevano fornito una serie di particolari, specificando che quel materiale non era roba loro, ma proveniva dall’Italia e come destinazione finale aveva la Libia.
Immediatamente alcuni avevano pensato a fucili e pistole prodotte dalla Beretta, ma il gruppo bresciano aveva smentito nettamente l’invio a Tripoli di un carico per un importo simile.
Le autorità maltesi avevano aggiunto, inoltre, che la consegna era stata regolarmente effettuata dopo una telefonata di verifica con l’ambasciata italiana in Libia.
Di quella fornitura, però, non c’era traccia nè nelle comunicazioni italiane all’Unione europea nè nel rapporto ufficiale del Servizio di coordinamento della produzione di materiali di armamento della presidenza del Consiglio. Solo nelle tabelle dell’Istat, l’istituto di statistica, era registrata un’esportazione complessiva verso la Libia del valore di 8 milioni di euro di armi italiane definite per uso civile.
Sembrava un giallo in piena regola che nel frattempo è stato risolto.
Le autorità portuali maltesi hanno confermato la loro versione, ammettendo, però, di essere incorse in un grossolano errore di “trascrizione”, cioè di aver registrato il carico con uno zero in più, 79 milioni di euro mentre invece l’importo esatto sarebbe 7,9.
Sul versante italiano si è appurato che dietro la dicitura statistica di esportazioni verso la Libia di armi per uso civile, si celavano forniture di pistole, carabine e fucili di tipo bellico.
Daniele Martini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
COI TEMPI PREVISTI NON SARA’ MAI APPROVATA, E’ SOLO UNO SPOT PER I GONZI E SERVE DA CARTELLINO GIALLO PER I MAGISTRATI… ASSURDO IL VENIR MENO DELL’OBBLIGO DI INDAGARE DI FRONTE A UNA NOTIZIA DI REATO E CHE SIA IL GOVERNO A INDICARE SU QUALI REATI SI POSSA INDAGARE E SU QUALI NO… ASSURDO CHE LA POLIZIA GIUDIZIARIA SIA SOTTRATTA AI PM E RISPONDA SOLO AL MINISTRO DEGLI INTERNI…NO AL POTERE GIUDIZIARIO ASSERVITO ALLA POLITICA E NO ALLA MAGGIORANZA DI MEMBRI LAICI NEL CSM
La “epocale” riforma della giustizia si riassume in una semplice frase: quando sarà legge (ovvero mai) i magistrati che indagano sui reati, cioè i pubblici ministeri, faranno quel che dice il governo e solo quello.
E’ questa la verità della “grande riforma”, come da copyright berlusconiano.
Sarà il ministro della giustizia, cioè il governo che ogni anno indicherà al Parlamento e ai pubblici ministeri su quali reati indagare.
Questo e non altro vuol dire che “l’azione penale” resta “obbligatoria” ma nelle “forme indicate dalla legge”.
Se il governo affaristico-razzista deciderà che i giudici devono fissare come priorità la lotta all’immigrazione clandestina, tutti si dovranno dedicare a perseguire i venditori abusivi di asciugamani e non alla lotta alla corruzione nella pubblica amministrazione.
L’ordine cronologico della trattazione dei fascicoli non deriveranno dall’ora solare in cui sono stati commessi i potenziali reati, ma saranno decisi dal ministro di turno e dal relativo governo.
In pratica, oggi un pubblico ministero è obbligato ad indagare sempre e comunque quando ha una “notizia di reato”, da chiunque gli venga fornita.
Domani sarà obbligato ad indagare se la “notizia” riguarda reati che il governo ha deciso di indicare come meritevoli di indagine.
I pubblici ministeri diventeranno dunque un’articolazione della volontà di governo.
E, anche volendo, non potrebbero fare altrimenti una volta che la grande riforma sarà legge: la polizia che oggi infatti si muove su indicazione dei magistrati, domani sarà dai magistrati autonoma e svincolata, si muoverà quindi su indicazione e controllo del ministro degli Interni, della Difesa o del Tesoro, a seconda che siano poliziotti, carabinieri o guardia di finanza.
Quindi indagheranno magari su un parlamentare delo stesso partito del ministro degli Interni solo se costui ne darà autorizzazione.
Insomma i tutori dell’ordine partiranno per indagare sotto la supervisione del governo a cui eventualmente renderanno conto.
I pubblici ministeri, quelli che indagano, avranno poi un loro Consiglio Superiore, distinto da quello per la parte della magistratura che giudica e non indaga, in modo che non ci siano “alleanze” e che il giudice che indaga e accusa vada dal giudice che giudica “con il cappello in mano” (anche qui il copyright è ufficialmente berlusconiano che fa già capire lo scopo della norma).
Separate così le carriere, la carriera del pubblico ministero sarà monitorata da questo suo Csm .
Dunque i pubblici ministeri potranno indagare su quel che il governo indica, la polizia per indagare verrà loro “prestata” dal governo e la loro carriera sarà controllata, incentivata o stoppata dal governo.
Sono moltissime infatti le pagine del testo da sfogliare, ma in fondo si riassumono in una sola riga, appunto quella del pubblico ministero che fa quel che il governo indica.
Per non parlare della maggioranza di membri laici (ovvero scelti dai partiti) che finirebbe per far diventare il Csm una dependance di Palazzo Chigi.
Con alcuni accorgimenti, l’unica cosa fattibile potrebbe essere la separazione delle carriere, il resto risponde solla alla logica di ostacolare l’attività della magistratura e limitarne gli interventi.
Altro che riforma epocale, andrebbe accompagnata dal corteo delle pompe funebri.
Destinazione: cimitero di regime, dove vige il sotterramento dei reati non graditi alla Casta.
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
IL 7 FEBBRAIO DUE ITALIANI HANNO TENTATO DI CORROMPERE UNA IMPIEGATA DELL’ANAGRAFE DI FKIH IN MAROCCO, MA LEI RIFIUTA…DI CHI ERANO GLI EMISSARI? COME MAI IL GIORNALE TITOLAVA “IL PREMIER CALA L’ASSO: RUBY ERA MAGGIORENNE”? COME MAI BERLUSCONI SOSTENEVA IN QUEI GIORNI CHE AVREBBE AVUTO LA PROVA CHE RUBY AVEVA DUE ANNI IN PIU’?
Una donna a disposizione? No. Questa volta no.
Questa volta potere, denaro, forza non sono serviti a niente.
Una signora quarantenne, funzionario pubblico di una sperduta cittadina del Marocco, ha scelto di fare il suo dovere, di non barattare la sua dignità con quella che per lei era una montagna di denaro.
Dietro garanzia dell’anonimato Fatima (il nome è di fantasia) ha accettato di raccontare al Fatto Quotidiano quello che è successo.
Un mese fa due italiani,
accompagnati da un interprete marocchino, sono venuti qui, a Fkih Ben Salah, ai piedi delle montagne dell’Atlante.
Si sono presentati in municipio e le hanno chiesto di cambiare i dati anagrafici di una certa Karima El Marough.
Già , proprio lei, Ruby, la ragazza che ancora minorenne avrebbe avuto rapporti sessuali a pagamento con Berlusconi.
Quella coppia di stranieri aveva in mente un piano preciso. E per questo hanno chiesto a Fatima, dirigente dell’amministrazione comunale, di diventare loro complice.
Eccolo, il piano: si sostituisce un documento con un altro, si fa scomparire per qualche tempo un pubblico registro e il gioco è fatto. Ruby, che è nata a Fkih il primo novembre del 1992, di colpo sarebbe invecchiata di un paio d’anni. Quanto basta per farne almeno una diciottenne all’epoca della sua frequentazione con il premier.
Problema risolto, quindi, perchè pagare una prostituta maggiorenne non è reato.
A questo, allora, serviva la missione in Marocco di quei due italiani.
Serviva a truccare le carte, a cambiare i connotati della storia che da cinque mesi tiene in ostaggio Berlusconi e l’intero governo del nostro Paese.
A prima vista poteva sembrare una truffa ben congegnata e neppure troppo costosa.
Fkih, 90 mila abitanti, è una cittadina povera nel mezzo di una regione depressa, spopolata da un’emigrazione massiccia verso l’Italia, la Francia, la Spagna.
Non c’è famiglia qui, che non abbia qualche parente in Europa. In Sicilia è sbarcato più di vent’anni fa anche il padre di Ruby, Mohammed El Marough, che vive a Letojanni, in provincia di Messina.
E allora, devono aver ragionato i due misteriosi italiani, una mancia sostanziosa, qualche migliaio di euro, avrebbe messo in moto la burocrazia del posto.
Si sbagliavano. Fatima non si è fatta corrompere. Si è rifiutata di metter mano ai documenti che riguardano quella sua concittadina colpita da improvvisa notorietà dall’altra parte del Mediterraneo.
Fatima, a dire il vero, non sapeva neppure chi fosse questa Karima. Gliel’hanno spiegato qualche giorno dopo i suoi parenti che abitano in Italia. Le hanno raccontato di un presidente del Consiglio che riempie la casa di ragazze con cui trascorre allegre nottate. Le hanno detto del bunga bunga.
E chissà che cosa aver pensato lei, donna musulmana, ad ascoltare le avventure erotiche di Silvio il sultano di Arcore.
Di questo con noi ha preferito non parlare. Pudore, forse.
Ma la storia dei due viaggiatori italiani in trasferta a Fkih, quella no, quella non poteva proprio tenersela per sè.
A metà febbraio, tramite un parente, Fatima ha contattato il Fatto Quotidiano. Due settimane di verifiche. Poi il viaggio sul posto, in Marocco, per raccogliere la sua testimonianza e nuovi elementi utili a chiarire la vicenda.
Ecco, allora, il racconto di Fatima agli inviati del Fatto Quotidiano.
“La mattina del 7 febbraio mi hanno chiamata fuori dal mio ufficio”, dice. “Erano in tre. Due parlavano italiano”. Ne è sicura. Conosce il suono di quella lingua grazie ai suoi famigliari emigrati. Poi c’era un interprete, un marocchino, un tipo distinto.
“Mi è sembrato di capire – ricorda Fatima – che anche lui venisse dall’Italia, forse da Milano”.
Prima le hanno spiegato che volevano dare un’occhiata ai documenti d’anagrafe di questa tale Karima.
Poi hanno fatto capire che la data di nascita annotata sul pubblico registro non è quella giusta. E allora potrebbe essere necessario correggere l’errore con un nuovo atto in cui inserire l’anno giusto, il 1990, al posto del 1992.
Per capire fino in fondo questa strana storia bisogna sapere che nei centri minori del Marocco l’anagrafe non è informatizzata.
I nuovi nati vengono registrati in libroni scritti a mano e compilati in ordine cronologico. Un sistema arcaico, certo.
Paradossalmente, però, truccare i numeri in un computer può rivelarsi più semplice che falsificare uno di questi registri.
Per fare un lavoro perfetto bisognerebbe riscrivere tutto il volume, omettendo la pagina che si vuole cambiare.
Poi si fa lo stesso lavoro sul registro di due anni prima, ma qui invece di cancellare si aggiunge un foglio, quello della persona di cui si vuole spostare la data di nascita.
Volendo c’è una scorciatoia.
Con l’aiuto di un funzionario compiacente si può compilare un estratto di nascita falso e questo inizialmente sarà sufficiente a ingannare il pubblico.
I libroni possono essere sistemati in seguito, con calma. Così, se qualcuno, magari dopo qualche mese, si spingerà fino in Marocco per confrontare la data dell’estratto con quella del registro, tutto coinciderà .
Ovviamente quei tizi venuti dall’Italia erano disposti a pagare per il disturbo.
“Mi hanno offerto una somma importante”, rivela Fatima senza specificare la cifra.
Certo, confessa, quei soldi le avrebbero fatto comodo. Ci ha pensato un po’, ingolosita.
Che fare? Alla fine ha preferito lasciar perdere perchè, ci spiega, non voleva “passare dei guai”.
E poi ha pensato anche a Karima. “Se avessi accettato l’offerta – racconta – avrei potuto creare dei problemi anche a questa mia concittadina”.
Problemi per Ruby? Non proprio. Di certo se quella data di nascita fosse stata davvero anticipata di due anni, buona parte dei guai di Berlusconi si sarebbero risolti d’incanto.
Caduta l’accusa di prostituzione minorile, il premier avrebbe dovuto rispondere della sola concussione.
Niente da fare.
“Non posso accettare”, ha risposto Fatima ai suoi interlocutori, quasi scusandosi. Era il 7 febbraio, un lunedì. In Italia, a quell’epoca nessuno aveva sollevato pubblicamente la questione dell’età di Ruby.
Giravano molti pettegolezzi, questo sì, a proposito di una ragazza dal fisico appariscente, che sembrava più vecchia della sua età . Solo voci, però.
Fino a quando, giovedì 3 marzo, il Giornale annuncia: “Il premier cala l’asso: Ruby era maggiorenne”.
È questo il titolo a tutta pagina di un articolo in cui si racconta che Berlusconi, in alcuni colloqui privati, avrebbe confidato di “avere la prova che Ruby è stata registrata all’anagrafe due anni dopo la sua nascita”.
Nello stesso articolo si parla di indagini difensive che sarebbero sbarcate “dall’altra parte del Mediterraneo”.
Indagini qui, a Fkih Ben Salah, la città natale di Ruby? Fatima non ne sa nulla.
Si ricorda bene però di quei due italiani.
Due italiani che volevano corromperla.
Lorenzo Galeazzi Vittorio Malagutti e Massimo Paradiso
inviati a Fkih Ben Salah
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
BONAIUTI IN CADUTA LIBERA, MANDATO A MANGIARE IN CUCINA, I RESPONSABILI SGOMITANO PER PRENDERE IL SUO POSTO…PIONATI IN POLE POSITION, SE NON LO ACCOLTELLANO IN NOTTATA…E AUMENTANO I PRETENDENTI ALLE POLTRONE
Se non l’ha detto a nessuno che andava ad operarsi è perchè — ufficialmente — non voleva che le telecamere potessero riprenderlo con il volto livido da pugile suonato.
Ma c’è anche un altro perchè legato a questa ricerca di privacy scelta da Berlusconi riguardo la nuova emergenza di salute che lo ha tenuto sotto i ferri ben 4 ore.
E si chiama Paolo Bonaiuti.
Da settimane, il portavoce del Cavaliere non è più nelle sue grazie.
Non ha più accesso alle segrete stanze.
Non viene più coinvolto nelle riunioni che contano.
Ogni messaggio comunicativo considerato cruciale viene affidato agli avvocati o, piuttosto, al La Russa o al Quagliariello di turno. Ma Bonaiuti no.
Figurarsi, quindi, il gestire una notizia delicata come un intervento chirurgico; l’ultima volta, per un semplice tunnel carpale, combinò un mezzo disastro e dovette intervenire Zangrillo, il medico di corte, a smentire che ci fosse “dell’altro”.
Il tramonto di Bonaiuti, insomma, pare arrivato.
Il segnale che il Caimano gli ha strappato i galloni lo si è avuto quando, nelle conferenze stampa a Palazzo Chigi, lui non siede più alla destra del capo, ma sempre in platea.
“Solo per affetto antico — sussurra una fonte bene informata dell’entourage di Palazzo Grazioli — e dopo aver dimenticato il suo peccato d’origine, l’essere stato presentato da Vittorio Dotti, il Cavaliere non lo ha depennato dall’organigramma, dopo l’ennesimo ritardo…”.
Si narra che “Paolino” Bonaiuti abbia problemi anche con l’orologio.
E che tutti sappiano — Berlusconi compreso — che lui ogni tanto fa finta di esserci in ufficio, ma in realtà sta dall’altra parte di Roma, all’Eur, a farsi fare poderosi massaggi alla schiena.
Per questo non c’è quando lo si cerca.
Dicono che qualche tempo fa arrivò trafelato a un pranzo a Palazzo Grazioli e che Berlusconi, vedendolo sgattaiolare veloce dalla porta d’ingresso, l’abbia gelato con una battura feroce: “Onorevole, per lei Michele (il cuoco) ha apparecchiato in un’altra stanza”.
Ma è stato sul Ruby-gate che Berlusconi ha avuto la conferma che Bonaiuti non ha nessun controllo sulla stampa e men che meno nessuna influenza.
“Parla solo con quattro, cinque giornalisti di testate amiche — ecco altro veleno da chi, dentro il partito, non lo ama per niente e non sono pochi — e il Cavaliere si lagna che non riesce neanche a gestire le ospitate in Rai; su Ruby, poi, è venuto fuori che proprio non ci sa fare”.
Addio Bonaiuti, allora?
Di certo, le ultime notizie sulle questioni forti, come la giustizia o la Libia, Berlusconi le ha affidate a Ghedini o a Valentino Valentini, ma in realtà c’è già qualcuno che è pronto a prendere il posto di portavoce, anche per “rimettere un po’ d’ordine nello studio di Palazzo Grazioli — dice sempre la stessa fonte Pdl — da dove si fa il Mattinale, che non serve più a niente”.
In pole position c’è Francesco Pionati, che il Cavaliere “pagherebbe” così invece che con un sottosegretariato nell’ambito del prossimo, imminente rimpasto.
Ma in lista ci sono anche Laura Ravetto, Daniela Santanchè e Beatrice Lorenzin che nelle ultime ospitate tv, nonostante l’apparecchio ai denti, ha dato prova di grande grinta.
L’ultima parola, comunque, sarà del Cavaliere.
Mario Pepe, l’Attalì del Pdl, ha spifferato le ultime sulle prossime nomine. Massimo Calearo, dal Pd al governo come viceministro dello Sviluppo economico e delega per il Commercio estero, Aurelio Misiti dell’Mpa a sottosegretario per le Infrastrutture, Saverio Romano all’Agricoltura e Galan ai Beni culturali.
Dove sarebbe voluto andare proprio Paolo Bonaiuti, ma pare che per lui — nonostante quanto ha lui stesso suggerito ai giornali amici — non ci sarà proprio nessuna promozione governativa, anzi.
Persino il ministero delle Politiche comunitarie, che qualcuno aveva ventilato potesse essergli assegnato in subordine, il Cavaliere lo terrebbe caldo addirittura per Andrea Ronchi, qualora decidesse di lasciare Fini.
Eppoi, ancora, toccherà un sottosegretariato sicuro a Domenico Scilipoti, a Catia Polidori e a Mariagrazia Siliquini, che punta alla Giustizia.
Il tutto, ovviamente, gestito dal Cavaliere in prima persona con pochi, pochissimi fedelissimi, al punto da far dire a D’Alema di vederlo “arroccato a Palazzo Chigi con i suoi mercenari che da noi, Paese fantasioso, sono chiamati ‘responsabili’”. In questo stretto inner circle, però, Paolo Bonaiuti non è più il primo degli ospiti graditi.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
LE DONNE DEVONO DIVENTARE PROTAGONISTE PER FERMARE IL DECLINO DEL PAESE…PARAFRASANDO IL TITOLO DEL ROMANZO “UN GIORNO QUEL DOLORE SARA’ UTILE”, SI PASSERA’ DALLE CARRIERE FAVORITE DAI BUNGA BUNGA ALLA SELEZIONE PER MERITO, ALLA GIUSTIZIA UGUALE PER TUTTI, ALLA FINE DI OGNI DISCRIMINAZIONE, ALLA TUTELA DEI DIRITTI
Di fronte al declino morale, politico e sociale che caratterizza oggi il nostro Paese, molti invocano – come “indifferibile” – un rinnovo della classe dirigente.
La soluzione più immediata con la quale si immagina di venire incontro a questa diffusa esigenza di rinnovamento è il ricambio generazionale: volti giovani, selezionati con criteri rigorosamente meritocratici, al posto di quelli anziani.
Tuttavia questo ricambio, in sè auspicabile, sarebbe insufficiente: svecchiare su base meritocratica oggi non basta.
Oggi serve anche altro.
Perchè tra il passato e oggi c’è il caso Ruby, che ha cambiato profondamente le donne italiane: non sono più disposte a sopportare le umiliazioni, nè ad accettare la subdola tecnica della minimizzazione, ovvero il ridimensionamento delle anomalie di cui sono vittime.
Lo stesso premier continua a citare pubblicamente il bunga bunga con un sorriso sulle labbra che sarebbe inspiegabile, incomprensibile, se non fosse diretto a suscitare l’indulgenza, quando non la complicità e l’applauso, di chi lo ascolta.
Probabilmente, con il preciso scopo di trasformare nell’ennesima barzelletta quell'”opzione harem” che non è in grado di giustificare.
Subire passivamente la tecnica della minimizzazione, lasciando che il tempo sbiadisca la vergogna, sarebbe un errore gravissimo, per gli uomini come per le donne.
Al contrario, il caso Ruby deve rimanere scolpito nella memoria di tutti come un monito, un exemplum in negativo dal quale prendere le distanze con sdegnata fermezza e che ci aiuti a orientare le nostre scelte.
Se le donne vogliono scongiurare il ripetersi di una umiliazione così rovinosa è necessario che si facciano promotrici e protagoniste di una trasformazione culturale rivoluzionaria il cui primo traguardo è una presenza più consistente delle donne stesse all’interno della classe dirigente: alla guida del paese, alla testa delle aziende, ai vertici delle istituzioni culturali e dei media.
Soltanto quando ricopriranno ruoli di potere, questa trasformazione potrà compiersi davvero.
In quel momento, tutto il peggio subìto dalle donne nel corso della storia diventerà una faretra di frecce al loro arco.
Nessuno come loro, abituate da sempre a faticare il doppio per realizzare i loro desideri e raggiungere i loro obiettivi, costrette a inventarsi un giorno dopo l’altro una strategia di sopravvivenza tra casa e luogo di lavoro, chiamate continuamente in causa da compagni, mariti, figli, genitori, che richiedono cure e attenzioni, è in grado di ascoltare, riflettere, mediare.
Di trovare soluzioni anteponendo il bene comune al proprio.
E allora, parafrasando il titolo di un bel romanzo uscito qualche anno fa, “un giorno, quel dolore sarà utile”.
Si assisterà all’esito naturale di un processo che ha già preso avvio e che deve realizzarsi in maniera sempre più consistente, ampia e diffusa: i sacrifici sostenuti dalle donne per affermarsi impediranno loro di usare i festini hard come criterio di selezione della classe dirigente e le spingeranno a ricercare e a distinguere, costantemente, il merito; le discriminazioni patite le indurranno a rifiutare leggi ad personam e le guideranno nella formulazione di norme che assicurino una giustizia uguale per tutti, mentre l’assenza di forme di tutela legislativa che le ha penalizzate in passato le condurrà a rispettare, sempre, anche le leggi non scritte; e le contestazioni con le quali si sono ribellate ai soprusi e alle ingiustizie le porteranno ad accogliere le critiche come contributi costruttivi, anzichè a respingerle per partito preso come forme di insubordinazione fini a se stesse.
D’altro canto, dal momento che alle donne non è mai stato perdonato niente e i loro errori li hanno sempre pagati cari, se sbaglieranno sapranno lasciare il comando immediatamente – di certo, comunque, prima che qualcuno invochi le loro dimissioni.
E infine, dato che non dimenticheranno il caso Ruby, rifiuteranno come ripugnante la sola idea di usare il loro potere per risolvere questioni private.
Ecco perchè le donne devono avere il coraggio di pretendere di essere protagoniste.
Ma devono pretenderlo subito e non aspettare un imprecisato futuro in cui si realizzeranno le condizioni adatte.
Non c’è tempo per aspettare e soprattutto è inutile illudersi: nessuno creerà quelle condizioni, nessuno agevolerà l’ascesa delle donne, nessuno offrirà loro quelle chances.
Le donne devono fare tutto da sole.
Ma sono abituate anche a questo.
Giulia Bongiorno
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
I DATI DELL’OSSERVATORIO DI PAVIA NON DANNO ADITO A DUBBI: NAPOLITANO SOLO 169 MINUTI, BERSANI UN MISERO 70 MINUTI, CASINI 54, FINI 48, DI PIETRO 25 MINUTI… L’INFORMAZIONE MONOPOLIZZATA DAGLI UOMINI DEL PDL, PER NON PARLARE DEI VIDEOMESSAGGI ALLA BIN LADEN
Silvio Berlusconi invade i tg Rai.
Il servizio pubblico non garantisce più il pluralismo politico attraverso i suoi telegiornali.
E’ il risultato del monitoraggio di Tg1, Tg2 e Tg3 fatto dall’Osservatorio di Pavia nel mese di gennaio: il presidente del Consiglio ha totalizzato 6 ore e quaranta minuti di presenza in video, tutti gli altri leader politici messi insieme hanno la metà del suo tempo.
Il Presidente della Repubblica Napolitano ottiene solo 169 minuti nei tg di Stato, contro i 402 minuti del premier.
Il presidente del Consiglio risulta primo in ogni classifica e distanzia clamorosamente tutti gli altri leader politici.
Questo primato vale per i tg del prime time, per l’insieme dei telegiornali per il tempo di parola e per il più ampio tempo di antenna.
In tutti i telegiornali Berlusconi ha un tempo totale di oltre 400 minuti, contro i 72 di Bersani, i 54 di Casini, i 48 di Fini e i 25 di Di Pietro.
Questi dati non tengono conto dei conteggi relativi ai videomessaggi e agli audio messaggi sui quali l’Agcom dovrebbe presto pronunciarsi, soprattutto in ordine alla loro natura pubblicitaria o informativa.
Roberto Rao, capogruppo Udc in Vigilanza, legge con allarme i dati dell’Osservatorio.
“Non ci scandalizza che il tg1 di Minzolini sia governativo. Al di là dello spazio garantito alle opposizioni e ai minuti dati a Berlusconi, a impressionare è il fatto è che nei tg ci sono ormai tutte le voci del Pdl”, segnala Rao “da La Russa a Gasparri, da Cicchitto a Frattini, i tg Rai danno uno spazio abnorme alla maggioranza”.
E’ la democrazia secondo Silvio.
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Marzo 10th, 2011 Riccardo Fucile
LA PROSSIMA SETTIMANA VEDRA’ LA LUCE IL NUOVO CONTENITORE ON LINE DI FILIPPO ROSSI CHE PRENDERA’ IL POSTO DI FAREFUTUROWEB… LA PRESENTAZIONE DELLA NUOVA INIZIATIVA
Il futurista, che “vedrà la luce” online la prossima settimana, sarà un nuovo contenitore online in cui travaseremo lo spirito “corsaro” che ha caratterizzato fin dagli esordi Farefuturo webmagazine, la nostra precedente avventura.
Sarà dunque una piattaforma su cui porteremo avanti, con rinnovata energia, la nostra battaglia culturale.
E lo faremo con gli strumenti e le modalità proprie dell’età di Internet: partecipazione e condivisione, blog e commenti, osmosi culturale e superamento dei vecchi steccati.
Lo faremo contro tutte le burocrazie, contro chi non ci mette la faccia, contro chi ci vuole “normalizzati”.
Lo faremo dando uno schiaffo all’Italia che non ci piace, senza remore nè censure.
Lo faremo con la convinzione che è tempo di navigare in mare aperto, di lasciare la casa dei padri per un po’ ai nostri figli.
Che è tempo di disegnare nuove mappe per nuovi territori.
Che è arrivato, inesorabilmente, il tempo dei barbari.
Cercheremo di capire cosa significano oggi destra e sinistra, cosa deve essere la politica, cosa sono i “valori” e le “identità “.
Provocheremo, saremo eretici, per qualcuno saremo probabilmente fastidiosi.
Ma abbiamo le idee chiare: vogliamo distruggere le casematte del pensiero che hanno ingabbiato le teste degli italiani per troppo tempo.
Vogliamo dare voce e forma a una nuova Italia, un’Italia diversa, un’Italia sorridente e perbene, patriottica e unita.
Un’Italia che sia oltre l’Italia di oggi, e che sia oltre Berlusconi e il berlusconismo.
Con la consapevolezza che per essere “oltre”, bisogna prima essere “contro”…
Insomma, la nostra sarà una sfida politica, culturale, generazionale.
Una sfida “Il futurista” fino al midollo.
E questa volta, saremo ancora più liberi, ancora più indipendenti, ancora più sconvolgenti…
Filippo Rossi
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