Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
TIPICO RAPPRESENTANTE DEL FOLKLORE AENNINO, IL 64ENNE BOSS ROMANO OGNI MERCOLEDI’ PRANZA AL SENATO CON UN’AVVENENTE RAGAZZA….”ME LA DEVI FAR SCRIVERE AL SECOLO” SI RACCOMANDA CON IL NUOVO AMMINISTRATORE…E A CONFERMA AVVENUTA BRINDA A CHAMPAGNE
Lei lo guarda sorridente, lui controlla che le servano sempre i piatti migliori e che le altrui occhiate alle sue forme, spesso molto esposte, siano d’apprezzamento ma non eccessivamente impertinenti.
Lui è il senatore romano del Pdl Domenico Gramazio, 64 anni appena compiuti, ex duro del Msi e di An; lei una procace ragazza mora tra i 25 e i trent’anni, a cui nessuno riesce a dare un nome.
Una collaboratrice, un’amica, una dipendente del Senato?
Non si sa, ma insieme danno vita a quella che a Palazzo Madama, nei corridoi defilati del piano terra o o alla buvette, tutti definiscono ormai lo «spettacolo del mercoledì», perchè la scena si consuma ormai da qualche settimana al ristorante del Senato e quasi sempre di mercoledì.
Il primo avvistamento della coppia risale a febbraio: i due erano seduti al tavolo sotto la finestra che affaccia sul cortile, uno dei due di solito riservati alla stampa parlamentare, in compagnia del senatore Ciarrapico e di altri esponenti più o meno di spicco del Pdl.
Stessa scena i mercoledì successivi, fino al 23 marzo: quando il pranzo diventa l’occasione per introdurre la ragazza nel mondo dell’informazione.
Al tavolo, stavolta ci sono lei, Gramazio e altre tre persone.
A un certo punto il senatore, dopo essersi alzato velocemente, si allontana e poi torna al tavolo tirando per un braccio un commensale che presenta come «l’amministratore delegato del “Secolo d’Italia”».
Poi la presentazione dell’ad alla ragazza e la richiesta: «Me la devi far scrivere sul “Secolo”».
Quindi una frase incomprensibile, infine un: «magari di moda».
Affermativa la risposta del presunto ‘amministratore delegato’: «Si può fare, certo… fatto».
Soddisfazione di lei, gioia di Gramazio che, esultante, annuncia di volere brindare con «una bottiglia di champagne».
Magari anche al nuovo corso del “Secolo d’Italia”, strappato proprio dagli ex An come Gramazio a Fini e all’ex direttore Flavia Perina, che consente finalmente di disporre di preziose collaborazioni anche per i propri amici.
Roberto Franchini
(da “L’Espresso“)
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
BEN 250 NON HANNO ALCUN ADULTO CON IL QUALE STARE: SISTEMATI TUTTI A “CASA MARINA” CON DUE BAGNI E SENZA DOCCIA A DISPOSIZIONE…LA DENUNCIA DEGLI OPERATORI: “PORTATELI IN STRUTTURE ADEGUATE, BASTA FARE FINTA DI NULLA”
C’è un’altra urgenza da affrontare a Lampedusa: quella del trasferimento immediato dei bambini non accompagnati sbarcati nell’isola.
Le loro condizioni igieniche e psicologiche impongono alle pubblica autorità di non rinviare ulteriormente soluzioni adeguate.
“Save The Children” , con i suoi 5 operatori del Progetto Presidium e “Medici Senza Frontiere” sono a Lampedusa, con 8 cooperanti, con un medico e un’infermiera, a supporto dell’autorità sanitaria locale, per fronteggiare una situazione ormai davvero disperata.
“Portateli via prima possibile”, continuano a ripetere.
“I minori non accompagnati attualmente ancora a Lampedusa – dice Raffaella Milano, Responsabile Programmi Italia-Europa di Save the children – debbono essere immediatamente trasferiti perchè le condizioni generali in cui si trovano sono ormai inaccettabili. La struttura che è stata destinata loro, l’area marina protetta, è inadeguata e di ora in ora le condizioni si fanno più critiche, dal punto di vista igienico e dell’accoglienza in genere”.
Sono arrivati 530 minori da soli.
L’Ong ricorda che dall’inizio dell’intensificarsi degli arrivi di migranti tunisini, il 10 febbraio scorso, sono oltre 530 i minori, per la grande maggioranza non accompagnati, giunti a Lampedusa.
Di questi 283 sono stati collocati nelle comunità d’accoglienza per minori in Sicilia.
“Sono oltre 250 i minori non accompagnati ancora fermi a Lampedusa e molti lo sono da molti giorni, in una condizione che non garantisce standard minimi d’accoglienza. Ricordiamo – prosegue Raffaella Milano – che secondo la legislazione italiana i minori non accompagnati non possono essere espulsi e c’è l’obbligo per il paese d’accoglienza di farsene carico”.
L’èquipe di MSF è pronta per distribuire, già da domani nell’ora in cui verrà distribuito il pranzo sul molo commerciale di Lampedusa, 2500 coperte, altrettanti asciugamani e saponette.
Le persone sbarcate sull’isola vivono infatti da una decina di giorni sul selciato del porto dove attraggano anche le navi e le barche degli immigrati. Dormono lì, all’aperto e, potendo contare solo di due bagni chimici, le loro condizioni igieniche hanno superato di gran lunga il limite del sopportabile.
In media hanno 16 anni, i più piccoli 11.
Alcuni di loro hanno perso i genitori a Tunisi, altri sono fuggiti dalle città turistiche perchè il loro lavoro non serviva più.
Mentre i lampedusani non hanno fatto mancare loro solidarietà , invitando i propri bambini a giocare a pallone insieme a loro, il governo pare far finta di non vedere questa emergenza e di non conoscere la Convenzione per i diritti dell’infanzia dell’Onu che avrebbe imposto un loro immediato trasferimento in strutture adeguate.
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
IL QUOTIDIANO DI FELTRI CONFERMA: “IN GRAN BRETAGNA NON RISULTA NESSUNA LAUREA RILASCIATA AL SOTTOSEGRETARIO DELLA LEGA”… E ANCHE IL PERCORSO ALLE SUPERIORI RISULTA PIENO DI STRANEZZE, CAMBI DI SCUOLA, NON AMMISSIONI E SPARIZIONE DI DOCUMENTI
Umberto Bossi e, dicono, soprattutto il figlio Renzo sono arrabbiatissimi.
I due casi che stanno facendo ballare la Lega Nord rischiano di diventare antipatici, soprattutto per chi, come la prole del Senatùr, ha faticato tanto per arrivare alla maturità .
Sono Francesco Belsito e Monica Rizzi a trovarsi nell’occhio del ciclone, per aver millantato, a quanto pare, di avere titoli di studio non riconosciuti o non validi.
Ne parla il quotidiano Libero che, essendo vicino agli ambienti leghisti, fa sospettare che a qualcuno, all’interno del Carroccio, faccia comodo sollevare ora un argomento peraltro noto da tempo.
Ecco cosa scrive Libero:
Il caso Rizzi, sollevato da Libero, sta imbarazzando la Lega: dopo essere stata convocata in via Bellerio pochi giorni fa, il leader del Carroccio lombardo Giancarlo Giorgetti le ha dato due giorni di tempo per buttare giù un memoriale difensivo.
L’assessore è vicina alla famiglia Bossi: non s’è candidata a Brescia alle ultime regionali per far posto a Renzo, che poi ha seguito passo passo in campagna elettorale.
È stata ricompensata con l’ingresso in giunta con le deleghe allo Sport e Giovani.
L’affaire Belsito è più intricato.
Dice di essere addirittura bi-laureato, ma è buio pesto pure sul diploma.
Lui stesso ha spiegato che, per «un disguido sui timbri», la sua esperienza alle superiori finì con qualche grattacapo.
Ha aggiunto di aver frequentato il Palazzi di Genova, ormai chiuso: invece era iscritto all’istituto Abba.
Evidentemente non fu ammesso agli esami, perchè nel 1991 si buttò proprio sul Palazzi.
Da lì, un altro trasferimento.
Al Vittorio Emanuele II di Genova, che il 29 gennaio 1992 scriveva alla scuola precedente per avere conferma che lo studente Belsito Francesco avesse frequentato la classe quinta.
A questo punto, i certificati sembrano inghiottiti dagli archivi.
Quello che è certo è che il girovagare tra istituti — che avrebbe sfiancato un toro — non ha fiaccato il tesoriere leghista.
Che oggi proclama di avere addirittura due lauree.
Effettivamente, uscito dal tunnel delle superiori strappando un diploma da ragioniere (non si sa dove), nel 1994/95 s’è tuffato nell’università .
Prima a Genova, dove la sua carriera risulta annullata.
Poi — a sentire la versione dell’interessato, fornita al quotidiano Il Secolo XIX — un altro girovagare, questa volta per gli atenei di mezza Europa. Malta.
Poi Inghilterra, a Londra, anche se ha messo nero su bianco di conoscere solo il francese.
Un vagabondare che spiega — afferma lui — perchè quando è stato nominato sottosegretario, nel febbraio 2010, ha annunciato di essere laureato in Scienze Politiche.
Mentre nel 2008, quando finì nel cda della Finanziaria ligure (Filse spa), si era qualificato come dottore in Scienze della Comunicazione: all’epoca aveva solo quel titolo.
Stranezze che hanno fatto scattare un’interrogazione in regione Liguria dell’Udc.
Il sottosegretario s’è limitato a dire — anche a Libero — di aver querelato per calunnia i cronisti che avevano scritto della sua presunta “laurea fantasma”:
Solo pochi mesi fa, pur ribadendo di non avere tempo da perdere («devo occuparmi di come far uscire l’Italia dalla crisi» ha sibilato al Secolo XIX) ha spiegato di malavoglia alcune cosucce.
Per esempio che s’è laureato davvero in Scienze della Comunicazione, però in un’università privata di Malta.
Che non è riconosciuta dall’Italia.
Da lì, ecco il curriculum per la Filse dove ha dimenticato di aggiungere che è sì “dottore”, ma solo per La Valletta.
Poi, il grande salto a Londra.
Questa volta «in un ateneo riconosciuto » — giura — dove avrebbe fatto Scienze Politiche.
Scriviamo avrebbe perchè, subito dopo le dichiarazioni del sottosegretario, Libero ha verificato che in Gran Bretagna non risulta nessuna laurea a suo nome fatta riconoscere anche da Roma, così come dispone la legge italiana.
Dottore o no, oggi è il potente tesoriere federale del Carroccio: ne conosce tutti i segreti finanziari e gestisce in prima persona anche il forziere ligure (e quindi, a Genova, è tecnicamente il controllato e il controllore dei quattrini padani).
Ha ereditato l’incarico da Maurizio Balocchi, quando quest’ultimo è passato a miglior vita, e sta creando qualche malumore tra chi collaborava con la vecchia gestione e oggi si sente emarginato.
Belsito è protetto sia da Rosi Mauro (nonostante qualche recente bisticcio) che dalla moglie di Bossi, Manuela Marrone.
Non a caso fa parte del cosiddetto “cerchio magico”, il gruppo di fedelissimi che segue come un’ombra il Senatur.
Matteo Pandini
(da “Libero”)
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
IN CORSO L’INDAGINE DELLA PROCURA DI BRESCIA SULLA LAUREA IN PSICOLOGIA, MILLANTATA DALL’ESPONENTE DELLA LEGA… L’IPOTESI DI REATO E’ QUELLA DI ABUSO DI TITOLO…A GINEVRA SMENTISCONO LA RIZZI: “LA FORMAZIONE IN PSICOLOGIA E’ ALMENO DI 5 ANNI, IL CORSO BREVE NON CONFERISCE TITOLO”…MA LA RIZZI SI QUALIFICAVA COSI’ AI CONVEGNI DELLA REGIONE LOMBARDIA
Monica Rizzi, la laurea in Svizzera? L’ateneo non ne sa nulla
L’indagine aperta dalla procura di Brescia è ancora in corso.
I magistrati vogliono verificare se davvero Monica Rizzi, l’assessore leghista in Regione Lombardia, ha millantato una laurea in psicologia.
L’ipotesi di reato è quella di abuso di titolo.
Gli inquirenti stanno inoltre verificando la partecipazione della Rizzi a convegni e incontri pubblici in veste di specialista di problematiche infantili.
Ma i problemi maggiori per l’assessore leghista sembrano adesso arrivare dalla Svizzera. Fabio Lorenzi Cioldi, presidente della sezione di Psicologia- Fpse dell’università di Ginevra dove Rizzi sostiene di essersi laureata, spiega infatti in una mail che “la formazione in psicologia è di minimo 5 anni, il ‘breve corso’ al quale fa riferimento (Rizzi, ndr) non può assolutamente conferirne il titolo”.
L’assessore, più volte interpellata sull’argomento, ha preferito non chiarire la propria posizione.
I suoi collaboratori, il portavoce, il gruppo della Lega in Regione Lombardia e l’ufficio stampa del consiglio regionale e quello della giunta, contattati, non hanno avuto modo di parlare con Monica Rizzi nè rispondere su ciò che la riguarda.
E la questione, per come la sta ricostruendo la procura lombarda, appare semplice.
Dal 2002 e fino al marzo del 2010, l’assessore ha partecipato a numerosi convegni in qualità di psicoterapeuta infantile, titolo di studio esibito, tra l’altro, nel suo curriculum al Pirellone.
L’aspetto più clamoroso riguarda un convegno sponsorizzato dalla Provincia di Brescia: siamo nel giugno del 2002, e la “dottoressa Monica Rizzi” partecipa come relatrice alla seconda giornata di studio contro l’abuso sessuale sui minori. Il convegno dal titolo “Dì di No! Possiamo proteggere i nostri bambini e le nostre bambine dall’abuso sessuale?” è curato da Sabrina Fabbri e da Claudia Remondina dell’Ufficio Pari Opportunità della Provincia.
“I relatori — si legge nella presentazione del convegno — affronteranno questi temi con l’esperienza che deriva loro dall’essere in trincea, direttamente coinvolti nella lotta contro l’abuso sessuale”.
Al tavolo dei relatori Rizzi siede con il Procuratore Capo presso il Tribunale per i minori di Brescia, Emilio Quaranta, impegnato in una relazione dal titolo: “L’abuso sessuale e la legge”; Ivana Giannetti, presidente del Telefono Azzurro-Rosa, interviene con una relazione dal titolo “Intervista del minore”; Anna Grazia Rossetti, psicologa esperta in linguaggio non verbale, spiega come meglio cogliere nel minore i segnali del disagio; all’incontro non mancano i massimi rappresentanti del mondo istituzionale come il presidente della provincia Alberto Cavalli e il Prefetto Annamaria Cancellieri.
Tra gli specialisti chiamati a discutere di abusi sui minori, intervengono anche Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile e terapeuta famigliare del Cbm” e, appunto, Monica Rizzi presentata come “psicoterapeuta infantile”, con una relazione dal titolo “Evoluzione del bambino maltrattato”.
Il Comitato scientifico del convegno si è fidato senza preoccuparsi di verificare i titoli e l’esperienza professionale maturata nel campo specifico dall’allora futuro assessore Monica Rizzi, che infatti interviene e firma il suo discorso in qualità di psicoterapeuta infantile, arrivando ad affermare: “Collaboro per i problemi relativi all’infanzia con il Senato della Repubblica e in specifico con il senatore bresciano Franco Tirelli”.
Un intervento in cui la Rizzi parla di “evoluzione del bambino abusato e di sintomi psicologici e fisici che il minore può sviluppare” e “degli indicatori e dei segni ritenuti, dagli studiosi del fenomeno, caratteristici del bambino vittima di violenza”.
Nel corso del suo intervento Monica Rizzi afferma: “la mia esperienza personale e le centinaia di documenti letti, mi portano ad affermare con certezza che spesso il minore vittima di abuso manifesta un interesse inusuale verso questioni sessuali, disturbi del sonno, ansia, depressione, comportamenti di isolamento e, a volte, comportamenti seduttivi nei confronti degli adulti”.
Un intervento da specialista, che si spinge a consigliare alla magistratura “l’intervento di un tecnico esperto in materia al fine di ridurre quanto più possibile il numero degli interrogatori del minore coinvolgendolo se non quando strettamente indispensabile”.
La relazione prosegue affrontando i temi del reinserimento del bambino abusato e la disamina di alcuni casi riguardanti l’incesto e “le strategie di seduzione a cui ricorre l’abusante nell’incesto, come la svalutazione della figura materna”.
Ma la “psicoterapeuta infantile” va oltre, parlando di “terapie psicofarmacologiche nell’elaborazione del trauma e nel superamento dello stesso” e “dei percorsi terapeutici familiari con l’obbiettivo di ricostruire le relazioni familiari dal punto di vista psicologico e relazionale”.
E pensare che Rizzi è “solo” un ragioniere.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
L’EMENDAMENTO SULLA PRESCRIZIONE BREVE E’ UNO SCHIAFFO ALLO STATO DI DIRITTO…BERLUSCONI PAGA A CARO PREZZO LA CAMPAGNA ACQUISTI CHE GLI HA CONSENTITO DI EVITARE IL TRACOLLO: ORA I TRADITORI GLI HANNO PRESENTATO IL CONTO
Un presidente del Consiglio sotto ricatto.
Un governo a responsabilità e a sovranità limitata.
Da qualunque parte la si osservi, l’Italia offre di sè un’immagine da fine Impero.
Sul palcoscenico vediamo la tragedia della guerra e i grandi orrori della dittatura gheddafiana.
Nel retropalco, al riparo dagli sguardi di un’opinione pubblica confusa e disinformata, vediamo la commedia della destra e i piccoli orrori della “democratura” berlusconiana.
La “promozione” di Saverio Romano a ministro è l’ultimo insulto al buon senso politico e alla dignità istituzionale.
L’emendamento sulla prescrizione breve per gli incensurati è l’ennesimo schiaffo allo Stato di diritto.
Ciò che è accaduto ieri al Quirinale è la prova, insieme, della debolezza e della sfrontatezza del presidente del Consiglio.
Berlusconi paga a caro prezzo la vergognosa “campagna acquisti” che in questi mesi gli ha consentito prima di evitare il tracollo al voto di sfiducia del 14 dicembre, poi di puntellare la maggioranza dopo la fuoriuscita dei futuristi di Gianfranco Fini.
La sparuta pattuglia dei cosiddetti “responsabili”, assoldati tra le anime perse dei “disponibili” di Transatlantico, gli ha presentato il conto: i nostri voti alla Camera, in cambio di poltrone di governo e di sottogoverno.
Esposto a questo ricatto pubblico subito in Parlamento (che si somma ai ricatti privati patiti sul Rubygate) il premier non si è potuto tirare indietro.
A costo di imbarcare, al dicastero dell’Agricoltura, un deputato chiacchierato sul quale pende un’inchiesta per concorso esterno in associazione mafiosa.
Non è la prima volta che Berlusconi mette in squadra ministri discutibili, sul piano politico e giudiziario.
Volendo, si potrebbe partire da lui stesso.
Se si allarga lo sguardo, tornano in mente il plurindagato Cesare Previti ministro della Giustizia, sul quale pose il veto Scalfaro nel maggio 1994, e poi il plurinquisito Aldo Brancher ministro per l’attuazione del federalismo, sul cui pretestuoso “legittimo impedimento” pose il veto Napolitano nel giugno 2010. Ma stavolta c’è di più e di peggio.
Da un lato, appunto, c’è la sottomissione a un truce ricatto, che la dice lunga sulla condizione di “minorità ” di questa maggioranza: si è dotata di un fragile argine numerico, ma non dispone più di un solido margine politico.
Dall’altro lato, c’è la sfida alle istituzioni.
La scorsa settimana, nel primo incontro al Quirinale sul rimpasto, il presidente della Repubblica aveva già segnalato al Cavaliere che l’eventuale proposta di Romano ministro sarebbe stato un problema serio, viste le pesantissime ipotesi di reato che tuttora pendono sul personaggio in questione, per il quale esiste una richiesta di archiviazione ma sul quale il gip non si è ancora pronunciato.
Ancora l’altro ieri sera, Napolitano aveva ripetuto a Gianni Letta che se il premier non avesse desistito dal suo intendimento, il Capo dello Stato avrebbe accettato la sua proposta perchè non esistono “impedimenti giuridico-formali” tali da giustificare un diniego, ma non avrebbe rinunciato a rendere pubbliche le sue “perplessità politico-istituzionali” sulla nomina.
Nonostante questi avvertimenti, il presidente del Consiglio è andato fino in fondo.
E ha costretto il Colle a un atto clamoroso e irrituale: un comunicato ufficiale in cui si auspica un rapido chiarimento sulla posizione processuale del neo-ministro, in relazione alle “gravi imputazioni” che lo riguardano.
Un episodio che non ha precedenti.
La presunzione di innocenza è una garanzia costitutiva di ogni Stato liberale. Ma che credibilità può avere un governo in cui, dal presidente del Consiglio in giù, è un contino viavai di indagati, inquisiti, processati?
E fino a che punto può spingersi il cinismo politico di un premier, che pur di galleggiare fino alla fine della legislatura, è pronto a sottoscrivere qualunque “patto”, anche il più scellerato, solo per salvare se stesso e il suo governo?
In questa logica, perversa e irresponsabile, rientra anche la questione della giustizia.
Quanto è accaduto tre giorni fa in commissione, alla Camera, è l’ennesimo scandalo della democrazia.
L’emendamento al disegno di legge sul processo breve, presentato dal carneade pidiellino Maurizio Paniz (il patetico Cirami di questa sedicesima legislatura) abbatte i tempi della prescrizione per gli incensurati.
Più ancora di quelle che l’hanno preceduta, è una norma tagliata a misura per i bisogni processuali del Cavaliere.
Grazie a questo trucco legislativo, il processo Mills decadrà prima dell’estate, e il premier sfuggirà ad una probabile condanna.
La vergogna non è tanto la “cosa in sè”: di misure ad personam il Cavaliere se n’è fatte approvare ben 38, in diciassette anni di avventura politica.
Il vero scandalo è nella menzogna eletta a metodo di governo.
Solo tre settimane fa, nel quadro della controffensiva politico-mediatica orchestrata da Berlusconi e dalla Struttura Delta, il governo aveva spacciato al Paese la sua “storica riforma della giustizia”.
Vendendola agli italiani, al capo dello Stato e all’opposizione come una “svolta di sistema”, che per la prima volta non avrebbe contenuto norme atte ad incidere “sui processi in corso”.
Quindi mai più giustizia ad uso personale, mai più leggi ad personam.
Un mossa astuta, propagandata e camuffata con tutti i mezzi del network informativo e televisivo di cui il premier può disporre.
Una mossa che aveva accecato i soliti “addetti al dialogo” del Pd.
Avevamo scritto che quella non era affatto una “riforma storica”, ma una “controriforma incostituzionale”.
Avevamo scritto che prima di andare a vedere cosa c’era nella mano visibile del Cavaliere, bisognava capire cosa c’era in quella nascosta dietro alla sua schiena. Ora lo sappiamo.
È l’ultima conferma che in Italia, finchè c’è Berlusconi, la legge non sarà mai uguale per tutti. Noi l’abbiamo capito da un pezzo.
Ora speriamo che l’abbiano capito anche le anime belle del centrosinistra.
Massimo Giannini
(da “La Repubblica“)
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO AVER PERSO LA FACCIA REGALANDO 5 MILIARDI AL BOIA DI TRIPOLI E PROSTRANDOSI AI SUOI PIEDI, PDL E LEGA PRESENTANO UNA MOZIONE IN PARTE SCONTATA, IN PARTE VILE E AFFARISTICA.. L’UNICA LORO PREOCCUPAZIONE PARE ESSERE IL BUSINESS E AVERE QUATTRINI EUROPEI PER GESTIRE I PROFUGHI
Rigoroso rispetto della risoluzione Onu anche attraverso opportune iniziative politico diplomatiche e intimazione del cessate il fuoco per tornare il prima possibile ad uno stato di non conflittualità ; assegnazione alla Nato del comando e del controllo delle operazioni militari; ma anche embargo sulle armi nei confronti della Libia e un’azione di pattugliamento del Mediterraneo per contrastare le organizzazioni criminali con il rischio di infiltrazioni terroristiche.
E ancora: riattivazione, quando le circostanze lo renderanno possibile, degli accordi bilaterali in particolare quelli in materia energetica, stipulati dall’Italia con la Libia; iniziative per tutelare le imprese europee impossibilitate ad onorare i contratti per le sanzioni.
E infine: impegno dei partner europei e della Commissione a dare mezzi anche finanziari per condividere l’onere della gestione degli sbarchi di immigrati e attivazione affinchè l’Europa si doti al più presto di un ‘sistema unico di asilo’ che fin da subito preveda un sistema di ‘burden sharing’ teso a ridistruibuire la presenza degli immigrati tra i paesi membri e fornisca una maggiore assistenza nelle operazioni di riconoscimento e identificazione di coloro che si dirigono verso le coste italiane.
Sono questi i punti chiave della risoluzione sulla Libia, firmata dai capigruppo di Pdl, Lega e Coesione Nazionale, su cui la maggioranza ha raggiunto l’intesa e con cui si impegna il governo.
Si legge nel documento che “vi sono comunque delle condizioni che occorre siano garantite affinchè il paese possa tener fede ai suoi impegni senza che siano messi in pericolo i suoi interessi nazionali”.
La risoluzione di maggioranza rileva quindi che “l’Italia riceve il 14% del petrolio e il 26% del gas naturale di cui ha bisogno dalla Libia” e che il nostro è il paese “più esposto ad eventuali ritorsioni militari o terroristiche da parte libica e ha quindi un interesse primario nel non valicare i confini dettati dalla risoluzione Onu che giustificano l’intervento con il solo criterio della protezione delle popolazioni civili. Ogni altra azione che possa essere intesa come ostile dalla popolazione della Libia – viene sottolineato nel documento – e dalle opinioni pubbliche dei paesi arabi, metterebbe a serio repentaglio la nostra sicurezza nazionale”.
In pratica emergono alcuni dati di fatto:
1) Dopo aver regalato a Gheddafi 5 miliardi di dollari, essersi prostrati ai suoi piedi, aver permesso per settimane che il boia di Tripoli trucidasse il suo popolo senza “disturbarlo” con una telefonata, aver atteso l’intervento di altri Paesi europei e non, di fronte alla possibilità di rimanere gli unici schierati con Gheddafi, obtorto collo, ci siamo alfine schierati con Usa, Francia e Gran Bretagna.
Atteggiamento tipico dell’Italietta che si pone a seconda di chi pare uscire vincitore.
Gli altri applicano la risoluzione Onu, noi precisiamo che i nostri non sganciano bombe, fanno solo un giro turistico.
Per impedire il massacro di Bengasi i francesi giustamente bombardano, noi ci raccomandiano che non esagerino troppo.
Magari bastavano due fialette puzzolenti e le truppe libiche sarebbero arretrate.
Nella mozione si dice ok all’Onu, ma sarebbe meglio il cessate il fuoco: perchè non lo dite a Gheddafi che continua a sparare sui civili?
2) L’interventismo di Sarkozy ci aveva messo nell’angolo che peraltro meritavamo: piagnucolando ci hanno dato il controllo marittimo dell’embargo di armi alla Libia: il nulla fatto passare per grande successo.
La preoccupazione maggiore è che la Francia un domani ci estrometta dagli affari in caso di vittoria degli insorti.
Sarebbe anche giusto: se non ci fossero stati gli aerei francesi oggi Bengasi sarebbe rasa al suolo.
Se aspettavano gli italiani…
In ogni caso che senso ha chiedere il rispetto degli accordi economici sottoscritti in questa fase?
A chi lo chiedete?
A Gheddafi che dovrebbe essere un nemico?
O agli insorti di cui per viltà non avete neanche riconosciuto lo status di governo provvisorio a differenza della Francia?
Siamo nel ridicolo a parlare di business mentre la gente spara.
3) La solita fissa dei profughi: peccato che siano arrivati finora non più di 10 libici, gli altri sono tutti tunisini e non c’entrano una mazza.
E in ogni caso sono appena 15.000, la metà di quelli arrivati a Lampedusa nel 2008 e per i quali non è stato fatto tutto questo casino.
Erano stati accolti, identificati e poi in buona parte rimpatriati, senza tenerli a dormire sul molo di Lampedusa.
La ripartizione dei profughi tra i vari Paesi europei?
Concetto teorico giusto, ma se la Germania ci chiedesse di prenderci 20.000 dei 90.000 profughi accolti qualche tempo fa interamente da loro?
Che facciamo? Uno scambio?
Ha senso fare una mozione “egoista” in questo momento o non sarebbe meglio lavorare per una prospettiva futura senza Gheddafi?
E se per garantire l’incolumità delle forze di opposizione libiche occorresse scaricare 10 bombe sul bunker di Gheddafi, noi saremmo per farlo o no?
O ci dispiacerebbe, pover’uomo?
In fondo all’estero ha solo 120 miliardi di dollari.
Rubati al popolo libico.
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
SILVIO, NOVELLO ANNUNCIATORE TV, PARLA TRA IMMAGINI DELL’ITALIA E INVITA A SCEGLIERE IL NOSTRO PAESE PER LE VACANZE DEL BUNGA BUNGA…LA BRAMBILLA UMORISTA INVOLONTARIA : “IL PREMIER HA PRESTATO IL PROPRIO VOLTO CON GENEROSITA’ AL SERVIZIO DELL’ITALIA”…E SE I TURISTI INVECE LI FACESSE SCAPPARE?
Uno spot per promuovere l’Italia turistica “in patria”.
Orvieto, Venezia, Segesta, Roma, Napoli e non solo presentate da un promoter politico d’eccezione, telegenico come solo il premier sa essere. Berlusconi, che, “per la prima volta in assoluto e non solo in Italia”, come il ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla non si perita di rimarcare durante la presentazione, presta “con tanta generosità ” il proprio volto al servizio del Paese come risorsa di vacanza e di viaggio culturale.
E’ quanto basta a scatenare l’ennesimo caso politico, con l’opposizione che parla di “scelta sudamericana”, di “testimonial controproducente”, di un’operazione tutta forma e zero sostanza.
Oggi la presentazione in grande stile a Palazzo Chigi.
Lo spot si rivolge al mercato nazionale.
Verrà trasmesso a breve sulle reti Rai.
Consta di una raccolta di immagini di città e siti storico-archeologici di grande lustro: Venezia (piazza e basilica di San Marco), Roma (veduta del lungotevere, castel Sant’Angelo e San Pietro), Firenze (Duomo e palazzo Vecchio), Orvieto (il duomo), il tempio di Segesta (Trapani), Napoli (panoramica di piazza del Plebiscito), Loreto (il santuario), l’Apollo e Dafne del Bernini (galleria Borghese).
Il sottofondo musicale è “Un amore cosi’ grande” dall’interpretazione di Andrea Bocelli.
Vestito nero, cravatta blu, il presidente del Consiglio ricorda, da Villa Madama l’Italia è “il Paese che ha regalato al mondo il 50% dei beni artistici tutelati dall’Unesco” e invita gli italiani ad approfittare delle loro vacanze “per scoprire l’Italia che ancora non conoscono, questa magnifica Italia da scoprire e amare”.
“Si tratta della prima volta in assoluto, e non solo in Italia, che un capo di governo sceglie di mettersi a disposizione del proprio paese con tale generosita’ – ha spiegato il ministro (in un precedente spot, la scorsa estate, Berlusconi aveva solo prestato la voce) -.
Il risultato lo giudicherete voi”.
Un’iniziativa “economica”, ha poi enfatizzato la Brambilla: “Ritengo sia lo spot costato meno in assoluto – ha detto dato che eravamo gia’ proprietari delle immagini dell’Italia che abbiamo utilizzato ed il testimonial non ha, ovviamente, richiesto alcun compenso. Anche io ho fatto la mia parte seguendo personalmente riprese e montaggio”.
Un modo, ha aggiunto il ministro, per sostenere sia l’economia che il comparto turistico nello specifico.
Se il crollo delle prenotazioni verso il Mediterraneo Centro-orientale, dovuto alle successive crisi africane – è in sintesi la tesi espressa dal ministro – ha provocato cali di fatturato per molti operatori, buona parte di loro ha un catalogo Italia da “spingere”.
L’anno scorso, ha denunciato la Brambilla, i visitatori stranieri sono aumentati solo del 2,5 per cento.
Per fare di più, arriva un “road show”, che promuoverà il “sistema Italia” e il turismo entro i nostri confini.
L’iniziativa, la scelta dei tempi e soprattutto del protagonista non potevano non scatenare reazioni da parte dell’altra metà dell’universo politico.
“Parole soltanto parole, cantavano Alberto Lupo e Mina” – ironizza il responsabile Turismo del Pd Armando Cirillo in una nota – Per valorizzare le risorse dell’Italia ci vogliono fondi che il suo governo non ha mai stanziato. Anzi, in questi anni sono state sottratte al settore importanti risorse. Berlusconi, poi, “a parole dice di voler puntare sul turismo e nei fatti reintroduce una tassa di soggiorno. Per non parlare della disastrosa gestione dei beni culturali”.
Note negative anche dall’Udc. “Proprio in un momento in cui l’immagine del Presidente del Consiglio è compromessa, sia in Italia che all’estero, a causa dei festini a luci rosse ad Arcore, è bene pensare con attenzione se è il caso utilizzare o meno il Premier Silvio Berlusconi in spot finalizzati alla promozione del turismo italiano. Lo spot pubblicitario della Brambilla è l’ennesimo atto teatrale di un governo ormai alla deriva” afferma in una nota il responsabile Turismo dell’Udc Deodato Scanderebech
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
NEI VERBALI DEI PM LE TELEFONATE DI LELE MORA CON I GENITORI DI ASPIRANTI SHOWGIRL DELLA SUA SCUDERIA….E I SOLDI RICEVUTI DA BERLUSCONI SONO SPARITI
Ruby e Lele.
Una minorenne immigrata marocchina che, parola del padre vero, “s’è ammalata di tv” e l’agente dello spettacolo di casa a Mediaset (e ad Arcore), che voleva adottarla, o meglio, averla in affido.
Ma in che modo Lele Mora parla della sua “affidata”?
È il 29 settembre del 2010 e il papà di un’altra aspirante show girl chiama Lele Mora, e l’uomo insiste.
L’ha chiamato perchè sua figlia, così gli ha detto, è andata a Genova a conoscere la figlia di Lele Mora.
E Mora “sbrocca”: “Mia figlia – dice – si chiama Diana e tu la conosci. Quest’altra è una che mi chiama papi, ma ha fatto solo dei gran casini… tua figlia è andata a Genova da una che è sotto controllo, perchè è scappata dalla comunità , una che ha mille problemi, hai capito, che sta creando mille problemi al mondo… le persone che tua figlia ha incontrato a Genova sono pericolosissime”.
Frasi che sembrano smontare ogni buon sentimento dell’aspirante padre affidatario.
Anzi, poco dopo, sul telefonino dell’agente compare la voce di un giornalista-paparazzo.
Linguaggio irriferibile, ma ad un certo punto Mora chiosa: “Allora (questa ragazza) è andata a Genova, dalla più disgraziata di tutti, che fa la troia di professione, è andata casa di questa…”. E “la troia”, sottolineano gli investigatori, sarebbe Ruby: la stessa Ruby che il sabato sera appena passato stava a cena proprio con il Lele, in un ristorante di lusso.
Le carte giudiziarie stanno dunque rivelando un mondo di rapporti che va ben oltre l’ambiguità , ma ciò che qui importa sono gli indizi di reato attribuiti dai pubblici ministeri al trio Mora-Fede-Minetti.
I detective li vedono impegnati nel portare varie donne a pagamento (tra cui una minorenne) all'”utilizzatore finale” (copyright avvocato Niccolò Ghedini) Silvio Berlusconi.
Sono carte utili anche quando rivelano la speranza (poi tradita) della minorenne in un affido.
Lo si capisce da un dialogo con Nicole Minetti, igienista dentale e consigliere regionale.
Certo, quando ha chiesto e ottenuto di essere interrogata dai pm, Minetti ha raccontato, in sintesi, che lei e Ruby erano praticamente due estranee.
Ma il 18 agosto, metà pomeriggio, squilla il suo telefono.
È Ruby, si salutano con allegria e Nicole, dalla sua casa di Rimini, dice: “È una cifra che non ti vedo”.
Ruby: “Lo sai che sono stata affidata alla famiglia di Lele Mora”.
Nicole: “Si me l’hanno detto. E come ti trovi?”.
Ruby: “Sono ancora in comunità , poi mi hanno dato quindici giorni estivi da passare da loro, poi dovrò essere affidata. Sai, le prassi burocratiche”.
Nicole: “L’importante è che stai bene, che mi hai fatto preoccupare”.
È continuo questo affannarsi intorno alla minorenne.
Il 14 settembre, quando l’inchiesta era cominciata e nessuno ne sapeva niente, Ruby parla con mamma Naima, racconta di qualche regalino che ha avuto da Diana Mora.
E la madre domanda: “Ma questa è tua amica?”.
Risposta: “Diana, la figlia di Lele Mora, quello che voleva adottarmi… Ieri sono andata a cena da loro, abbiamo parlato delle mie questioni. Mi ha detto: “Pazienta, pazienta finchè non compierai 18 anni, così riprenderai ad andare da lui e ti aiuterà “.
Mi ha detto: “Pazienta e metti la testa a posto, non creare problemi”.
“Lui ti aiuterà ” e “metti la testa a posto” sono due belle frasi, dalla prospettiva dei magistrati, anche perchè Ruby sa che il suo silenzio vale: Silvio, racconta lei stessa, “Mi copre tutta d’oro”.
Se il processo che comincia il 6 aprile segue il suo percorso, Lele Mora prova – attraverso le interviste, non attraverso gli interrogatori – a non perdere l’equilibrio.
Al settimanale Oggi nega ciò che lo rende vulnerabile, e cioè il bunga bunga nelle case del premier: “Rassegnatevi: da due anni, nel cuore di Berlusconi c’è posto soltanto per una donna”.
Sinora mancava l’abuso della parola “cuore” in una questa storia, spunta nel petto di “una bella ragazza, molto intelligente, e si sta laureando. Credo abbia 28 anni. Preciso che non è napoletana… ed era presente a tutte le cene”.
Un fidanzamento che dura da due anni?
Qualche conto qui non torna, come non torna nel prestito ricevuto dal generoso Berlusconi: come uomo e come amico “c’era quando n’avevo bisogno”, lo elogia Mora, parlando di tre milioni incassati.
Il problema (per Mora, ma non solo per lui) è che il manager ammette apertis verbis di aver preso dei soldi che sono spariti, semplicemente spariti.
E in una bancarotta l’obbligo di legge è onorare le fatture dei creditori: se i soldi s’involano verso (pare) la Svizzera, non è bello.
Per niente.
Possibile che Mora si sia fatto un clamoroso autogol?
Piero Colaprico
(da “La Repubblica“)
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Marzo 24th, 2011 Riccardo Fucile
L’INTERVENTO DEL FILOSOFO BERNARD-HENRY LEVY: “PROTEGGERE I CIVILI DAI MASSACRI E’ IL CONTRARIO DI UNA SPEDIZIONE COLONIALE”
Non è un intervento di terra, con carri armati, fanteria, occupazione, green zone e così via.
È il contrario, dunque, della guerra, insensata, in Iraq.
Il contrario della guerra, giusta, in Afghanistan.
Non so se la guerra (giusta) in Afghanistan o la guerra (insensata) in Iraq fossero guerre «neocoloniali» (è infinitamente più complicato di questo); certo è che questa guerra, questo intervento, che ha come primo scopo di «santuarizzare» i civili massacrati di Misurata, Zawia, Bengasi, questa operazione di salvataggio, secondo cui nessun soldato occidentale dovrà posare un piede sul suolo libico è, in ogni caso, il contrario di una spedizione coloniale.
Appunto, cos’è una guerra giusta?
È una guerra che impedisce una guerra contro i civili.
È una guerra che, per parodiare una celebre e incresciosa formula (quella di Franà§ois Mitterrand che tenta di impedire, fino all’ultimo, gli attacchi aerei alle postazioni serbe sulle colline attorno a Sarajevo), sottrae la guerra alla guerra.
Infine, è una guerra che, lungi dal pretendere, come in Iraq, di paracadutare, in un deserto politico, una democrazia pronta all’uso, si appoggia su un’insurrezione nascente, cioè permette, e permette soltanto, ai liberatori di fare il loro lavoro di liberatori e aiuta quindi, nella circostanza attuale, i libici a liberare la Libia.
È una guerra di iniziativa francese, ma non è una guerra francese.
È una guerra in cui si son visti, fin da sabato scorso, aerei francesi volare su Bengasi e cominciare a distruggere le capacità militari di un Gheddafi allo stremo e che aveva giocato l’ultima carta facendo piovere bombe sulla città . Ma è una guerra in cui sono entrati, a fianco della Francia e degli occidentali, nella stessa coalizione, il Qatar, gli Emirati, l’Egitto, mandatari sia di se stessi, sia di una Lega araba presente, fin dall’inizio, nel cuore di questo movimento di solidarietà mondiale con un Paese messo a ferro e fuoco dal proprio dirigente, sia di un popolo già impegnato (è il caso dell’Egitto) in una sommossa di cui legittimamente vuole universalizzare i comandamenti: è una guerra, dunque, non meno araba che occidentale.
Qual è lo scopo di questa guerra?
Di proteggere, davvero, soltanto, i civili di Misurata, Zawia, Bengasi?
Di accontentarsi, eventualmente, di un Gheddafi che finga un atteggiamento moderato, metta via le armi e si ritiri nel suo feudo di Tripoli prima di riprendersi la rivincita fra sei mesi, un anno, o di più?
Credo di no. Spero di no.
Non si può pensare che la comunità internazionale faccia lo stesso errore che fece con Saddam Hussein lasciando intatta, vent’anni fa, dopo la prima guerra del Golfo, la sua capacità di nuocere, e di agire in maniera criminale.
E non si può pensare che la risoluzione adottata giovedì scorso, con un voto storico, dalle Nazioni Unite, in cui si è saputo convincere cinesi e russi a non servirsi del loro diritto di veto, dia risultati così irrisori.
Gheddafi ha commesso crimini contro l’umanità .
Il primo riflesso di questo Gheddafi che, ci dicevano, era cambiato, aveva rinunciato al terrorismo ed era diventato (secondo Patrick Ollier, ministro francese – fino a quando? – dei Rapporti con il Parlamento) un fine lettore di Montesquieu, non è stato di dire, appena avuta la notizia del voto all’Onu: «Attaccate i miei aerei militari? In risposta, attaccherò i vostri aerei commerciali, punirò i vostri civili provocando una, due, tre nuove stragi come quella di Lockerbie»?
Con questo Gheddafi non esistono negoziati nè compromessi possibili.
Al suo terrorismo senza limiti la comunità internazionale ha il dovere di rispondere, all’unisono con il popolo libico e il suo Consiglio nazionale di transizione: «Gheddafi, vattene!».
Infatti, cosa vogliono i libici liberi? Chi sono?
E cos’è il Consiglio nazionale di transizione che Nicolas Sarkozy, per primo, con un gesto politico decisivo e al tempo stesso coraggioso, ha riconosciuto? Certamente, non sono degli angeli (è da lungo tempo che non credo più agli angeli…).
Non sono democratici alla Churchill, nati, chissà per quale miracolo, dalla coscia del gheddafismo (di cui alcuni furono, prima di disertare, servitori e debitori).
Forse, ci sono fra loro persino antisionisti, magari antisemiti mascherati da antisionisti (sebbene, in nessuno degli incontri avuti a Bengasi e poi a Parigi, con nessuno dei loro dirigenti, abbia mai omesso di dire chi sono e in cosa credo).
Penso solo che questi uomini e donne, come i loro fratelli della Tunisia, dell’Egitto o del Bahrein, siano in cammino verso una democrazia di cui stanno reinventando, a grande velocità , i principi e i riflessi.
E sono sicuro che questi combattenti, che hanno imparato, di fronte alle colonne infernali e ai carri armati, cosa voglia dire libertà e in quale lingua dello spirito si scriva tale parola, saranno sempre meglio di un dittatore psicopatico che dell’apocalisse aveva fatto la sua ultima religione.
Bernard-Henri Lèvy
(da “il Corriere della Sera“)
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