Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
FREDDEZZA DEGLI ALLEATI NEI CONFRONTI DEL PREMIER ITALIANO, UNICO TRA I LEADER EUROPEI CHE NON SI PRESENTA ALLA CONFERENZA STAMPA…”QUA FANNO SOLO CHIACCHIERE, IO I FATTI, NON CONOSCONO NEACHE IL DIRITTO INTERNAZIONALE”… E RECITA SCENA MUTA, DIMENTICANDOSI PERSINO DI PERORARE LE RICHIESTE DELLA LEGA
«Questo è un vertice fatto di chiacchiere. Io sto zitto e aspetto il momento giusto per passare ai fatti».
Silvio Berlusconi a Bruxelles rimane in silenzio.
Per due giorni si nega alla stampa facendosi scudo con un motto per lui – comunicatore per antonomasia – del tutto inedito: «Non avete ancora capito che governare è fare, non dichiarare», dice ai cronisti.
Unico tra i leader del continente, non risponde del suo operato al summit europeo, evita le domande scomode su Libia e Gheddafi, sul Patto di stabilità e sulla politica, ma prima di tornare a Roma si limita a dire che è «soddisfatto» per la guida Nato di Odissey Dawn e per il comando italiano delle operazioni navali.
Tanto che agli alleati si spinge a promettere nuovi aerei e quattro navi, tra cui la portaerei Garibaldi.
Eppure il Cavaliere è nero. Glielo si legge in faccia.
Lo conferma chi ha assistito alle riunioni del Consiglio europeo.
Una fonte comunitaria racconta che «il premier è entrato nella sala e, al posto di scambiare i normali convenevoli con gli altri leader, scuro in viso si è seduto e ha iniziato a leggere».
E’ un premier isolato. E furibondo.
Con la stampa, per le indiscrezioni sulla cena con i Responsabili di mercoledì scorso spesa tra canti (anche ironici su Fini) e barzellette mentre il Paese è di fatto in guerra.
Ma soprattutto per il nuovo strappo di Sarkozy e Cameron che nel chiuso delle riunioni provano a far passare l’idea di piccoli interventi con truppe a terra in Libia e in conferenza stampa annunciano una nuova iniziativa che taglia fuori l’Italia.
«Quei due fanno finta di non conoscere il nostro ruolo a Tripoli», commenta il premier con i collaboratori.
Ma sono ignoranti «non conoscono il diritto internazionale» e le loro iniziative «non vanno da nessuna parte».
Nei colloqui riservati si dice certo che l’ostinazione con cui Sarkozy cerca di escludere l’Italia è dettata dal calcolo politico: vuole fare affari nel dopo-Gheddafi «sostituendo la nostra presenza economica e commerciale».
Ma forse il Cavaliere dimentica l’irrilevanza ormai cronica di Roma quando in Europa ci sono da prendere le grandi decisioni.
In realtà l’illusione del premier è quella di tornare in gioco in un secondo momento, se e quando si aprirà uno spiraglio per risolvere la partita libica. Certo, sarebbe più facile se l’Italia non fosse entrata in Odissey Dawn.
Tanto che il Cavaliere nella cena con i partner Ue si lascia andare e alla Merkel dice: «Forse hai fatto bene tu a restare fuori dall’alleanza».
Una frase che resta ben impressa alla delegazione tedesca, stupita da parole tanto in contraddizione con le responsabilità assunte dall’Italia nella coalizione dei volenterosi (che Berlusconi però non mette in dubbio).
Per il resto il Cavaliere è taciturno, anche quando vengono affrontati gli altri temi in agenda.
Tanto che nei riassunti dei diplomatici il suo nome compare pochissimo, perfino meno di quello del maltese Lawrence Gonzi.
Berlusconi ha paura di perdere ancora terreno. Pensa ad un vertice internazionale sulla Libia a Napoli, ma è ancora un’ipotesi.
Si racconta che nella sua suite all’hotel Conrad campeggiasse un’enorme cartina della Libia sulla quale si è a lungo concentrato.
Si tiene pronto a mediare con Gheddafi, pur conoscendo tutti i rischi di una simile impresa.
Per ora, grazie al ministro degli Esteri Frattini, lavora ad un’iniziativa multilaterale portata avanti dall’Unione Africana. Punta a convincere il raìs al cessate il fuoco.
Dopo scatterebbe la fase due, quella «del fare», come la chiama un Berlusconi tentato ad entrare in gioco in prima persona.
Se ormai ha capito che il Colonnello è perso, vuole almeno provare la via dell’esilio salvandogli la vita.
Ma dovrà convincerlo a passare la mano ad un uomo di fiducia che tratti una «riconciliazione» con gli insorti.
Intanto una soddisfazione arriva dal viaggio in Tunisia di Frattini e Maroni che, grazie ai buoni uffici dell'”amico” Tarek Ben Ammar, parlano di immigrazione con le nuove autorità .
Una missione della quale il premier si complimenta con un comunicato. Anche perchè sulle promesse fatte alla Lega per salvare il governo (scudo navale e ripartizione dei rifugiati nella Ue) a Bruxelles non ha ottenuto niente. Anzi, non ne ha proprio parlato.
Alberto D’Argenio
(da “La Repubblica”)
argomento: Berlusconi, denuncia, Esteri, Europa, governo, Libia, PdL, Politica, radici e valori, Sarkozy | Commenta »
Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
SUL SITO DEL NEOMINISTRO NESSUNO HA AGGIORNATO LE PAGINE E SPUNTANO LE SUE DICHIARAZIONI VERGATE PRIMA DI VENDERSI ALLA MAGGIORANZA E DELLA NASCITA DEI “RESPONSABILI”…. SCRIVEVA: “DESIDERO ESSERE RICORDATO COME UNO CHE NON HA MAI CAMBIATO BANDIERA”
Un ingresso nel governo? “Fantasticherie, non so se piangere o ridere”. Berlusconi? “Un generale ‘lìder maximo’. Non sono interessato alle sue offerte”.
Così scriveva Saverio Romano, neo-ministro per le Politiche agricole, sul suo sito ufficiale, dal quale lanciava attacchi non solo contro il suo rivale locale, quel Raffaele Lombardo che accusava a più riprese di essere un trasformista, ma anche contro il governo e il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi.
Pagine virtuali che raccontano prima l’impegno con l’Udc (fino a settembre dello scorso anno), poi il divorzio da Pierferdinando Casini (a seguito della nascita del quarto governo siciliano Lombardo) e, infine, la nascita dei Popolari di Italia Domani e l’appoggio a Berlusconi.
Eppure, sul suo blog, l’avvocato 46enne non faceva altro che ripetere di essere contro ogni forma di trasformismo, e si scagliava contro quanti intendevano la politica come “un’occupazione di poltrone”.
Basta leggere l’indignazione con la quale riferisce di una proposta che, a suo dire, gli avrebbe fatto Casini.
E’ il 29 settembre, e il politico siciliano scrive: “Casini mi ha offerto di fare il ministro in un governo Pd-Udc in cambio di un sostegno dell’Udc Sicilia alla sua linea politica che prevede una deriva a sinistra e un accordo con D’Alema e Bersani. Credo che questa proposta di Casini possa tranquillamente configurarsi come un caso di scuola di tentata compravendita
politica”.
Una proposta che Romano non potrebbe mai accettare, perchè, sostiene, nella sua attività politica è guidato dalle “doti di onestà , generosità e lealtà che ha appreso dal padre”, consapevole che “nessun prezzo può bastare per comprare la libertà di ognuno di noi”.
In quello stesso post (datato 11 settembre 2010) l’allora segretario dell’Udc Sicilia scriveva: “Desidero essere ricordato come uno che non ha mai cambiato bandiera”.
Quando, a seguito delle sue dimissioni da segretario dell’Udc, qualcuno inizia a profetizzare un ingresso nella compagine governativa, Romano reagisce stizzito: “Leggo già da diversi giorni di un mio inserimento in una lista di futuri sottosegretari del governo, ma è evidente che si tratta di fantasticherie. E’ chiaro che il premier ha tutto l’interesse a cavalcare l’onda del dissenso che ho espresso all’interno dell’Udc, ma la mia è una posizione politica dettata dalla voglia di dare un contributo alla crescita del nostro Paese. Non so quindi se piangere o ridere davanti a ciò che hanno scritto i giornali in questi giorni” (24 settembre).
Il titolo del post è ancora più netto: “Non sono interessato alle offerte di Berlusconi”.
Per lui, il trasformismo è il vero nemico della politica e della democrazia, ed è questo uno dei punti cardine dei Popolari di Italia Domani (Pid), la nuova formazione presentata ufficialmente il 7 ottobre: “Respingiamo al mittente le accuse di chi ci ha definiti dei venduti: chi ci ha accusato si era appena venduto per ambizioni personali e per qualche poltroncina”, tuonava l’11 ottobre dal suo sito personale il futuro capogruppo alla Camera dei Reponsabili.
Pochi mesi prima, lo stesso rivolgeva un appello, dal suo sito, ai parlamentari nazionali della Sicilia, “a non votare la finanziaria di Berlusconi” (26 luglio), perchè i suoi tagli avrebbero prodotto “effetti nefasti in particolare sul Mezzogiorno”.
La guida dei Responsabili è ancora molto lontana, e Romano, nel settembre del 2009, può ironizzare sul fatto che Berlusconi si sia paragonato ad Alcide De Gasperi: “E’ infatti nota la sobrietà di Berlusconi, il suo rispetto per le istituzioni dello Stato e per l’opposizione ma di Berlusconi ammiriamo anche il suo elogio del pluralismo dell’informazione, i toni pacati ed equilibrati dei suoi discorsi politici, il suo interesse per lo sviluppo del Mezzogiorno, la lungimiranza della sua politica estera fatta essenzialmente di pacche sulla spalla a Putin, Gheddafi e George W. Bush – annota sarcastico -. Tutte doti che De Gasperi non aveva e che Berlusconi invece possiede”.
La bocciatura dell’operato del governo è netta, e l’allora segretario regionale dell’Udc coglie persino una “deriva autoritaria e plebiscitaria, ideata, voluta e predisposta nei minimi dettagli da un uomo che si chiama Silvio Berlusconi” (maggio 2009).
Romano punta il dito contro il partito costruito dal premier: “Quale idea di partito ha il leader del Pdl se è vero come è vero che in quello di cui è padrone non è concepibile pensarla diversamente da lui? Ad un regime autoritario si può arrivare anche con una subdola forma di democrazia e laddove viene si cerca di squalificare il ruolo del Parlamento innestando un rapporto diretto, mediatico, personalista e carismatico con il popolo. E’ con queste credenziali e con questo modo di concepire la politica che Berlusconi si presenta al cospetto del partito popolare europeo, in cui sta facendo confluire i post fascisti che oggi fanno parte del suo partito”.
Tanti gli attacchi riservati alla Lega, accusata di tenere in ostaggio il governo: “Qual è il numero esatto dei ricatti che Berlusconi dovrà subire dalla Lega pur di non far cadere il governo? Mi piace pensare, anche se nutro molti dubbi in tal senso, che Berlusconi e il Pdl la pensino diversamente dalla Lega di Bossi e che si limitino a chinare loro la testa per bieco calcolo elettorale e per garantire la sopravvivenza del governo. Mi riferisco, in questo caso, alla politica xenofoba e razzista che non più tardi di oggi il Premier ha legittimato, assecondando un modello sociale che non considera la ricchezza della società multietnica – che nel nostro Paese è una realtà consolidata – e che mira a creare nel Paese una spinta verso l’odio razziale (11 maggio 2009)”. Tra i provvedimenti governativi contestati dall’allora esponente dell’Udc, c’è lo scudo fiscale, che viene ribattezzato “scudo penale” (“Siamo di fronte ad un colpo di spugna mascherato messo in atto con un provvedimento vergognoso sui reati tributari. Viene favorito non solo chi ha portato illecitamente i capitali all’estero ma anche chi vorrà portare in Italia capitali dall’estero, anche se all’estero non li ha, per ottenere un’assoluzione a buon mercato”, scriveva sul sito). Un provvedimento che rende “demagogica” la “lotta alla criminalità organizzata”, tanto che Berlusconi viene accusato di “favorire il riciclaggio di Stato”.
Sono tutte certezze che evaporeranno col passare dei mesi, quando Romano diventerà l’animatore di quella terza gamba che permetterà al governo di ottenere la fiducia.
Nello stesso blog, l’attuale ministro, indagato per mafia e corruzione, sbaglia anche a prevedere l’epilogo della vicenda giudiziaria che vede per protagonista il suo grande amico, l’ex governatore Totò Cuffaro, condannato definitivamente a sette anni per favoreggiamento a Cosa Nostra.
Cuffaro, scriveva Romano nell’ottobre del 2009, è un uomo “che la verità giudiziaria restituirà pienamente alla sua vita, politica ed affettiva, e ai danni del quale pesa un accanimento giudiziario tanto autoreferenziale da alimentarsi autonomamente, a prescindere dalla esistenza di riscontri e di prove”.
E si dice pronto “a mettere la mano sul fuoco circa la sua innocenza”: è il 29 gennaio del 2010.
Un anno dopo, il 22 gennaio, per Cuffaro si apriranno le porte del carcere di Rebibbia.
Marco Pasqua
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Giustizia, governo, la casta, Parlamento, Politica, radici e valori | Commenta »
Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
“LA MAGGIORANZA PUNTA SOLO A SALVARE IL PREMIER E PUNIRE I MAGISTRATI”… “CON LA RESPONSABILITA’ DILATATA SI INTRODUCE UNA SPADA DI DAMOCLE SUI MAGISTRATI, CHI POTRA’ PIU’ GIUDICARE SERENAMENTE?”
Era silente da tempo la Bongiorno. Dopo due anni di trincea come contraltare di Berlusconi sulla giustizia.
Complici, nel silenzio, l’impegno della sua gravidanza e la nascita di Ian.
Ai suoi amici, la presidente della commissione Giustizia aveva anche detto: “Che spettacolo e che stanchezza. Sempre lo stesso gioco, nessuna riforma vera per la giustizia, ma solo leggine per sistemare gli affari giudiziari di Berlusconi”.
Poi, ecco il rush impensato del Pdl, la raffica con la riforma costituzionale, il processo breve, la prescrizione breve, pure la responsabilità civile dei giudici. Così la responsabile Giustizia di Fli ha ricominciato a parlare: «l’emendamento Pini è la prova che questa maggioranza non vuole riformare la giustizia, ma creare norme salva-premier e norme che puniscano i magistrati».
Andiamo per flash, la materia è tanta. Partendo dall’ultima creatura, la responsabilità civile. Il Pdl dice che chi critica la norma vuole salvare la casta.
«Non è così. I giudici hanno una funzione talmente delicata che è giusto pretendere sempre la massima buona fede e la massima competenza. Se un magistrato si rivela non all’altezza del compito altissimo che è chiamato a svolgere, è giusto che paghi. E siccome per adesso il sistema dei controlli e delle sanzioni non ha funzionato si deve intervenire. L’emendamento Pini, però, non disciplina nulla, si limita genericamente a dilatare a dismisura la responsabilità dei magistrati».
È accettabile una formula così vaga, “violazione manifesta del diritto”, per far partire una richiesta di risarcimento?
«Più che vaga, è inaccettabile. Ci si dimentica che ogni norma ha una zona grigia in cui il giudice deve poter interpretare la legge e applicarla al caso concreto. Con la spada di Damocle della responsabilità dilatata, un’interpretazione corretta potrebbe, invece, essere considerata una manifesta violazione di legge. È ovvio che così il più equilibrato dei magistrati può temere rappresaglie».
Ma è vero che segue i principi del diritto comunitario?
«È un richiamo monco. La violazione manifesta del diritto è definita a livello comunitario con dei paletti che fanno riferimento al carattere intenzionale della violazione e alla scusabilità , o non scusabilità , dell’errore. Paletti dei quali invece l’emendamento — guarda caso — non tiene conto. In questo modo, la responsabilità diventa sconfinata».
Il centrista Rao ne parla come della norma Ghe-Pini. Qual è la ratio, e perchè questa accelerazione rispetto alla riforma costituzionale? Berlusconi ne ha bisogno per denunciare i suoi giudici e spingere gli italiani a metterli tutti in discussione?
«Rao è un raffinato politico e in quanto tale è bravissimo nel comunicare l’essenza delle cose. Sul piano dell’immagine si sventola la “Grande Riforma”, ma io non credo che la maggioranza la voglia davvero. Forse perchè una giustizia sconquassata piace molto a chi è imputato. Di fatto, vanno avanti solo i provvedimenti il cui effetto è peggiorare ulteriormente il sistema».
Norme sempre e solo per i suoi processi. La prescrizione breve: c’è un fumus di incostituzionalità nell’attribuire a un incensurato un simile e reiterato privilegio?
«C’è di più. C’è l’irrazionalità di un sistema in cui, di fronte alla piaga della prescrizione, anzichè correre ai ripari e dotare il sistema di risorse per arginarla — accelerando i processi —, si creano i presupposti per renderla più facile».
Alfano rivendica totalmente di aver fatto la sua riforma della giustizia. Voi finiani avete assunto una posizione cauta e attendista. Perchè?
«Si affermano alcuni principi di grande civiltà , come la separazione delle carriere, ma al contempo arrivano dal testo segnali estremamente negativi laddove è innegabile il tentativo di trasferire alla classe politica alcune funzioni della magistratura. E se poi, in questo contesto, inizia il giochino di anticipare i provvedimenti più “graditi”, allora davvero nessuno potrà più credere alla volontà di riformare la giustizia per migliorarla».
Insomma, lei non crede nello spirito riformatore?
«Quello che posso dire è che, finora, la produzione normativa in tema di giustizia è stata essenzialmente una ricerca di norme “salva-premier” alternate a norme punitive della magistratura. Oggi è questo il filo conduttore della giustizia in Italia».
Finiranno mai gli scontri tra maggioranza e magistratura?
«Soltanto quando ci sarà un premier capace di riformare la giustizia nell’interesse dei cittadini. Quindi, dobbiamo attendere un altro premier».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Futuro e Libertà, Giustizia, governo, Parlamento, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
NUOVA VITA A ROMA PER IL QUINDICENNE FUGGITO DALLE KERKENNAH…UNA GIORNALISTA GLI APRE LE PORTE DI CASA…”DATEMI LA RICETTA DEL CUSCUS PERCHE’ QUI NON LO SANNO FARE”
Come succede per i fiorellini di montagna che sbucano fra i sassi, anche nel disastro Lampedusa matura una favola che ha per protagonista un ragazzino di 15 anni, la faccia di un bambino, ma determinato come fu la notte del 2 marzo scorso quando si nascose sotto teloni e bidoni di un barcone in partenza dalla Tunisia saltando fuori da quella sua tana solo cinque ore dopo la partenza.
Divenne la mascotte degli altri 30 migranti a bordo e, all’approdo a Lampedusa, dei volontari di «Save the children», del Centro accoglienza, un po’ di tutta l’isola, toccata dalla sua storia.
Appena letto quel pezzo, una inviata di una testata televisiva corse al Centro per intervistare il piccolo in fuga dalle Kerkennah.
E scattò una scintilla che va ben oltre il ruolo professionale di una giornalista adesso senza nome per la cronaca, colpita da quegli occhioni furbi, dal ciuffo ribelle del piccolo Kaled, allora chiamato Karim per evitarne il riconoscimento. O forse l’inviata fu conquistata dalla raffica di domande semplici, poste, dopo quella traversata a rischio vita, nell’unica lingua parlata nell’arcipelago di fronte a Sfax e Gabes, l’arabo, e decodificata dall’interprete: «Quanto ci vuole per imparare l’italiano?», «Dove mi porteranno, in Italia?», «Mi fate restare?». «Posso lavorare? So pescare».
Fu più di un’intervista e da quel momento la giornalista, madre di due figli che lavorano a Milano e Londra, una bella casa a Roma, promise a se stessa che avrebbe provato a seguire Kaled nei suoi spostamenti per chiedere infine l’affidamento.
Come è accaduto ieri, dopo un mese trascorso inseguendo il piccolo negli spostamenti imposti dal tribunale dei minori di Agrigento.
Prima verso la Sicilia in nave, poi fino alla casa famiglia di Licata dove la cronista rimase sconvolta: «Un gruppo di minori abbandonati a se stessi in un contesto disperato, tutti a fumare, la passeggiata per il videopoker, l’ozio e l’abbrutimento come una costante quotidiana… Dovevo strapparlo da quell’inferno popolato da scippatori e spacciatori…».
E’ stata determinata anche lei con il questore di Agrigento Girolamo Di Fazio e il vice Ferdinando Guarino, con il prefetto Francesca Ferrandino e il vice Nicola Diomede, tutti pronti a fare da trait d’union con il giudice tutelare che infine ha accelerato la pratica di affidamento complimentandosi: «Non era mai accaduto qui. E sarebbe bellissimo se nelle famiglie italiane scattasse la stessa sua sensibilità …».
E’ quanto sostengono a «Save the children» conteggiando i quasi 250 minori che a Lampedusa bivaccano sul pavimento di una sorta di museo del mare con due gabinetti.
Da questo inferno Kaled si è sottratto telefonando però ogni giorno al padre, come fa da quando è in Italia, come fece appena arrivato al Centro: «Papà , se te lo dicevo, non mi facevi partire. No, non c’è pericolo. No, che non ho pagato. E dove li prendevo i soldi? Mi sono nascosto…».
Con lui ha parlato più volte la giornalista ottenendo l’assenso all’affidamento, con l’obiettivo di far studiare il piccolo a Roma, di sottrarlo per il momento anche a una situazione familiare mutata visto che il padre ha una nuova moglie.
Ma anche questi sono aspetti che l’inviata preferirebbe tenere riservati, come chiede per il suo nome.
Gelosa di uno stupendo rapporto che sta unendo una agiata dimora romana alla casetta di Kaled.
Anche via Skype, come è accaduto ieri sera quando il piccolo ha chiamato il padre: «Dammi la ricetta del cuscus perchè qui non lo sanno fare».
Felice Cavallaro
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: Costume, Immigrazione, radici e valori | Commenta »
Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
FEDE E LELE MORA INSISTONO CON IL PREMIER PER LE SERATE BUNGA-BUNGA PERCHE’ SENZA I FESTINI NIENTE PIÙ PRESTITI MILIONARI, Nà‰ CRESTE…FEDE FA GUERRA AI “NEMICI”, COME IL MEDICO PERSONALE DEL CAVALIERE A CUI VIENE PRESCRITTO RIPOSO ASSOLUTO, COME FIDANZATE TROPPO POSSESSIVE O COME GHEDINI CHE SEQUESTRA A BERLUSCONI IL CELLULARE, METTENDOLO IN GUARDIA DALLE PERICOLOSE AMICIZIE DI LELE MORA
Gli amici del pollo da spennare sono i miei nemici.
E così le due “vecchie cornacchie”, come si auto-definiscono Lele Mora ed Emilio Fede, tramano contro chi intralcia i loro festini e, quindi, i loro affari: l’avvocato del premier Niccolò Ghedini e il suo medico personale Alberto Zangrillo.
“Se Lui diminuisce le serate saremo costrette a rubargli in casa”, dicono le Papi-girl intercettate dai magistrati di Milano.
Ma non sono le uniche a preoccuparsi per il calo fisiologico di entusiasmo del 74enne presidente del Consiglio.
Che ogni tanto, per non perire di bunga bunga, viene messo a riposo forzato da Zangrillo.
È il pomeriggio dell’11 ottobre 2010 quando Emilio Fede si lamenta con Lele Mora: “Niente, io non ho notizie di lui, è stato operato, adesso però non so dov’è ma gli ho mandato un messaggio”.
“E?”, chiede Mora.
“Bè, poi sai attorno io c’ho due nemici, Ghedini e Zangrillo, capito?”.
Il nemico Zangrillo infatti è inflessibile: a Silvio Berlusconi impone tranquillità assoluta.
Niente balli fino all’alba nella discoteca sotterranea di Arcore, basta file per distribuire gioielli e buste di contanti, niente feste con 33 fanciulle per volta. Infermierine sì, ma quelle vere.
E “Super-man” Berlusconi, anche detto (dalle ragazze) “Mr. Big” e “Al Caprone”, si trova costretto a vestire il pigiama del convalescente.
La causa è l’operazione ai tendini della mano sinistra che il premier ha subito il giorno prima dell’intercettazione: un intervento di 15 minuti all’Istituto Humanitas di Rozzano, alle porte di Milano.
Impegni cancellati per tutta la settimana seguente: “Il presidente è davvero tirato e stanco, ha bisogno di molto riposo — dichiarava all’epoca Zangrillo — è al limite e sfruttiamo questa occasione perchè, per tanti motivi, ha bisogno di fermarsi un po’”.
Sulla salute di Berlusconi rovinata dai party, un mese dopo, Wikileaks pubblica 652 documenti.
Uno di questi si riferisce all’anno precedente, quando l’ambasciatore americano a Roma, David Thorne, trasmetteva al presidente Barack Obama le preoccupazioni di Gianni Letta sulla salute fisica del Cavaliere.
Dai dispacci diffusi sul sito di Julian Assange traspare l’inquietudine della diplomazia statunitense che comincia a considerare Berlusconi un partner poco affidabile dopo “tre collassi ed esami medici disastrosi”, pisolini involontari durante gli incontri ufficiali, problemi familiari che influiscono sulla sua “capacità di prendere decisioni”.
La fragilità fisica del Cavaliere e le attenzioni di Zangrillo sono quindi un rischio concreto per Mora e Fede: niente più prestiti milionari, nè creste, nè “fortuna sessuale” (parole di Fede).
Dunque bisogna “occuparsi dei nemici”, che siano medici, fidanzate troppo possessive (il direttore del Tg4 vuole arginare l’ex miss Roberta Bonasia che “si vuole prendere tutto”), o avvocati.
Perchè Ghedini non si limita a sequestrare a Berlusconi il cellulare, ma gli ricorda più volte che le amicizie di Lele Mora rappresentano un pericolo.
L’impresario dei vip è un punto di contatto tra lo scandalo Ruby e l’inchiesta sulla ‘ndrangheta a Milano che ha appena portato in carcere 35 uomini delle ‘ndrine.
Mora è legato a Paolo Martino, condannato per associazione mafiosa e traffico di droga, e cugino di Paolo De Stefano, boss di Reggio Calabria.
Ma per Fede il problema è solo che “Niccolò è troppo severo”.
Beatrice Borromeo
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, Giustizia, governo, PdL, Politica, radici e valori | Commenta »
Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
LA DITTA PIZZAROTTI AFFITTERA’ ALLO STATO IL SUO “VILLAGGIO DELLA SOLIDARIETA'” CHE DOVRA’ ACCOGLIERE I MIGRANTI A MINEO….UN GROSSO AFFARE DOPO AVER OSPITATO LE FAMIGLIE DEI MARINES DI SIGONELLA… STRUTTURA OMOLOGATA PER 2.000 PERSONE, MA IL GOVERNO NE VUOLE SISTEMARE 7.000…PERCHE’ PROPRIO LI’, DOPO CHE LA RUSSA AVEVA PARLATO DI ALTRI SITI?
La ditta emiliana festeggia: affitterà allo Stato il suo “Villaggio della solidarietà ” che dovrà accogliere i migranti in fuga dal Maghreb.
Un nuovo business dopo aver ospitato per anni le famiglie dei marines di stanza a Sigonella
Perchè è stato scelto, con quali modalità e soprattutto quanto costa.
Parliamo del “Residence degli Aranci” di Mineo (Catania), la struttura individuata da governo per ospitare alcune migliaia di migranti in fuga dalla sponda sud del Mediterraneo.
Il villaggio storicamente ospitava le famiglie dei militari statunitensi di stanza nella vicina base di Sigonella.
La Marina militare statunitense lo aveva preso in affitto dalla Pizzarotti & C Spa di Parma che adesso, in piena emergenza profughi, vede nuovi ricchi affari all’orizzonte.
A tale riguardo il sobborgo è stato ribattezzato “villaggio della solidarietà ”.
Ma perchè è stata scelta proprio quella struttura?
Fin dal principio la decisione del titolare del Viminale aveva suscitato un vespaio di polemiche.
Intanto perchè il ministro della Difesa Ignazio La Russa aveva già indicato una lista di tredici siti in cui Mineo non figurava.
E poi per la reazione contraria dei sindaci di cinque comuni: Mineo, Castel di Iudica, Caltagirone, Grammichele e Ramacca.
Sul come e sul perchè quella struttura sia stata scelta, al momento è difficile rispondere.
Sul quanto, invece, nonostante il segreto che avvolge la cifra ufficiale, c’è qualche dato su cui ragionare per giungere non a un risultato assoluto, ma almeno a ipotizzare un range di spesa.
Il residence si estende su 25 ettari nella piana di Catania, ha 404 unità abitative (140 sono villette a due piani) e ha una capienza massima di 2 mila persone (ma il governo ce ne vuole stipare 7000).
Ci sono poi uffici, un centro tecnologico e uno ricreativo, supermercato, caffè, chiesa, asilo e un edificio per i pompieri.
Il verde, tra parco giochi per bambini e campi per sport vari (football, tennis e pallacanestro), occupa 12 ettari.
Invece la Pizzarotti & C Spa, detenuta al 92 per cento della holding Mipien Spa (presidente il cavalier Paolo Pizzarotti, che ricopre la stessa carica anche nella controllata), oltre che di edilizia, manutenzione e gestione, si occupa anche di energia, acqua e infrastrutture.
E dalla natia Parma — dopo aver conquistato nel 2005 il titolo di terza impresa di costruzioni italiana preceduta solo da Impregilo e Astaldi — si è lanciata in giro per il mondo.
All’estero ha lavorato nelle tranquille Francia e Svizzera per spingersi verso fronti via via più sensibili, come Romania, Emirati Arabi, Filippine, Israele, Nigeria, Algeria, Marocco.
Nel frattempo negli anni Novanta era finita nella bufera Tangentopoli cavandola a metà : assoluzione per le tangenti Enel e patteggiamento per i lavori di Malpensa 2000.
Poi c’era stata la storia delle estorsioni della camorra, con le parole del pentito Pasquale Galasso che la indicava come vittima del racket.
E torto non ce l’avrebbe avuto, a giudicare da alcuni fatti accaduti a due suoi dipendenti: a un ingegnere sfondarono un timpano a forza di schiaffi e il responsabile di una filiale in terra di casalesi fu prelevato da affiliati al clan Bidognetti per convincerlo ad subappaltare a specifiche aziende.
Tutto questo, però, non ha impedito alla società di aprire cantieri “sensibili” quanto le zone all’estero in cui ha lavorato.
Tanto per citarne alcuni, a Comiso ha edificato un poligono per testate nucleari e ha esteso la base aerea di Aviano e quella sottomarina della Maddalena.
E se a Livorno s’è occupata della costruzione una ferrovia interna a Camp Derby, a Vicenza ha messo mano a un nuovissimo centro sanitario da 47,5 milioni di dollari specializzato nella cura degli effetti della guerra batteriologica.
Roba militare, insomma, da contractor.
Per quanto in questo caso si intenda contractor del mattone e non del grilletto, come nel caso Blackwater e delle società che oggi stanno “affittando” cecchini alla Libia.
Con il “caso Mineo”, invece di ricostruire su richiesta altrui, la Pizzarotti ha tuttavia mantenuto la proprietà e per dieci anni ha affittato agli States, che nel 2010 hanno però comunicato l’intenzione di levare le tende e restituire il complesso residenziale.
Qualcosa, dunque di quel patrimonio, ne andava fatto.
E proprio da qui, in assenza di risposte dal governo, per avere un’idea di quanto costi la struttura alle casse degli italiani per l’emergenza profughi, si può partire dai dati economici messi a disposizione dall’Us Army: un affitto da 8,5 milioni di dollari (con lavori pubblici da 2 milioni di euro per mettere in sicurezza strade e incroci nella zona limitrofa).
Quanto costa? Qualche ipotesi sulla stima.
L’impresa di Parma, dunque, salutati i militari americani, non se l’è sentita di lasciar andare il malora il suo villaggio.
E allora, nella foga di affittarlo, ha provato varie carte: reinserimento di ex detenute, luogo di detenzioni per madri recluse, comunità di disintossicazione, polo universitario, edilizia agevolata, accoglienza per gli immigrati.
Bingo all’ultima estrazione, proprio quando in pole sembravano esserci gli alloggi popolari grazie a 2,6 milioni di euro del piano casa del 2008, sempre targato Berlusconi.
A rassicurare dell’arrivo dello stanziamento sarebbe stato lo stesso ministro Maroni, secondo quanto ha dichiarato Fabrizio Rubino, ingegnere dell’azienda, alla rivista QuiMineo.
Dunque abbiamo a questo punto due parametri: da un minimo di 2,6 a un massimo di 8,5 milioni di euro.
C’è poi da mettere sul piatto della bilancia la parte restante del mutuo da 14 anni che la Pizzarotti ha acceso con Intesa San Paolo.
Gli Stati Uniti hanno disdettato il residence di Mineo quando mancavano ancora 4 anni a che l’azienda di Parma rientrasse in toto (quanto sia però il mutuo non si sa).
Ma una valutazione ulteriore la si può azzardare dalle parole dello stesso ingegner Rubino, che ha parlato di 800 euro al metro quadrato per le case. Quella cifra, moltiplicati per 70 mila di tutto il complesso abitativo, fa 56 milioni di euro.
Meno l’importo già restituito alla banca dà una cifra ancora mancante di 24 milioni di euro.
Sarebbe questo dunque il valore non rientrato nelle case dell’impresa emiliana, per quanto fonti del comando di Sigonella abbiano parlato di una valutazione di 1.000 euro al metro quadro.
Rifacendo tutti i conti, mancherebbero “solo” 6 milioni di euro al rientro totale sul mutuo.
Aggiungendo questo importo ai due parametri estrapolati sopra, l’operazione “affitto Mineo” alle casse pubbliche passerebbe da 8,6 a 14,5 milioni di euro.
Ma stiamo parlando solo di una parte dell’esborso, soprattutto se si tiene conto dei costi dichiarati da bandi pubblici per la gestione dei Cara (Centri di accoglienza richiedenti asilo).
Anche qui qualche numero per arrivare a una stima ancora più completa: ogni giorno di soggiorno a profugo costa tra i 40 e i 50 euro.
Il numero degli stranieri ospitati nel villaggio sarebbe di 7 mila persona.
Ecco, aggiungendo questa stima alle precedenti, l’“operazione Mineo” potrebbe costare tra i 41 e 47 milioni di euro all’anno.
Il tutto sempre in via ipotetica, s’intende, fino a comunicazione ministeriale. Sempre che arrivi.
(da “Il Fatto Quotidiano“)
argomento: Berlusconi, Costume, denuncia, economia, emergenza, governo, Immigrazione, PdL, Politica | Commenta »
Marzo 26th, 2011 Riccardo Fucile
IL NEOMINISTRO DEI BENI CULTURALI AVEVA DEFINITO IMBARAZZANTE DARE VITA A UN FESTIVAL CINEMATOGRAFICO ALTERNATIVO… L’EX SOCIALE REPLICA: “LA DECISIONE SPETTA A ROMA”
Ricomincia la guerra dei festival cinematografici.
Appena insediato al ministero dei Beni culturali, Giancarlo Galan afferma che due rassegne sono troppe e che sarebbe meglio poterziarne una.
L’ex governatore del Veneto non ha dubbi: bisogna puntare sulla più “antica”, quella di Venezia, e lasciar andare quella capitolina.
Immediata la replica del sindaco di Roma Gianni Alemanno: “Il Festival internazionale del film di Roma non si tocca”.
A provocare la reazione del primo cittadino della Capitale sono state le parole affidate dal neo ministro a tre interviste a La Stampa, Il Mattino e il Sole 24Ore, nelle quali Galan ha definito ‘stravagante’ l’idea di dare vita a un festival del cinema in concorrenza con quello di Venezia: “Venezia è il festival più antico del mondo – ha detto – e farne un altro in concorrenza lo troverei a dir poco imbarazzante”.
Subito Alemanno ha risposto al ministro: “Al ministro Giancarlo Galan voglio dire due cose. Primo che quella tra il Festival di Roma e quello di Venezia è ormai una polemica superata. E un ministro della Repubblica deve unire i territori e non dividerli riaprendo vecchi e superati contenziosi. Secondo, il Festival di Roma lo pagano innanzitutto sponsor privati e poi, solo in minima parte, le istituzioni del territorio, mentre il ministero ci dà soltanto 200 mila euro su progetti mirati a fronte di 7 milioni di euro che ogni anno vengono dati in maniera fissa al Festival di Venezia”.
E ha aggiunto: “Quindi se continuare a svolgere il Festival del cinema lo decide la città di Roma, sia sul lato istituzionale sia, soprattutto, sul versante della società civile e del mondo culturale. E noi abbiamo già deciso da tempo di andare avanti con un Festival che continua a crescere ogni anno e ha sempre maggiori riscontri nazionali e internazionali”.
Nel Pdl ogni giorno c’è un “cinema”, che volete che siano se i festival sono due.
argomento: Alemanno, Costume, denuncia, governo, PdL, Politica | 1 Commento »