Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
IERI SERA, ALL’OPERA DI ROMA, PUBBLICO IN DELIRIO PER IL GRANDE MAESTRO, ALLA PRESENZA DI NAPOLITANO… MUTI PRIMA CHIEDE CHE I TAGLI ALLA CULTURA VENGANO REVOCATI E POI AL TERZO ATTO DECIDE PER IL BIS DI “VA PENSIERO”….TUTTI IN PIEDI A CANTARE “PERCHE’ ANCHE L’ITALIA OGGI RISCHIA DI ESSERE BELLA E PERDUTA”…POI DIECI MINUTI DI APPLAUSI E GRIDA DI “W L’ITALIA”
Un Nabucco pervaso di spirito risorgimentale.
Ieri sera all’Opera di Roma l’obiettivo contro cui manifestare non era l’Austria imperiale, ma i tagli ai fondi per la cultura decisi dal governo.
E’ il maestro Muti, già sul podio con la bacchetta in mano, che si rivolge al pubblico e svolge questo paragone: “Il 9 marzo del 1842 Nabucco debuttava come opera patriottica tesa all’unità ed all’identità dell’Italia. Oggi, 12 marzo 2011, non vorrei che Nabucco fosse il canto funebre della cultura e della musica”.
Parole accolte da applausi e da una pioggia di volantini dalla balconata, che dicevano: “Italia risorgi nella difesa del patrimonio della cultura”, e ancora, in una diversa versione: “Lirica, identità unitaria dell’Italia nel mondo”.
Poi è cominciato lo spettacolo.
Ma l’episodio più inedito doveva ancora svolgersi.
Giunto al famoso coro del terzo atto, quel “Va’ pensiero” che ha fatto tremare il cuore dei patrioti di un secolo e mezzo fa, la domanda era nell’aria: ci sarà un bis?
Ma Muti, una volta finito il celeberrimo coro, fa di più.
Si gira verso il pubblico e dice: “Sono molto addolorato per ciò che sta avvenendo, non lo faccio solo per ragioni patriottiche ma noi rischiamo davvero che la nostra patria sarà ‘bella e perduta’, come dice Verdi. E se volete unirvi a noi, il bis lo facciamo insieme”.
E come ad un comando tacito tutti gli spettatori si sono alzati in piedi e hanno cantato insieme ai cento coristi rimasti sul palcoscenico.
Un fatto assolutamente inedito, arricchito ulteriormente da un nuovo lancio di volantini pseudo risorgimentali, che dicevano: “Viva Giuseppe Verdi”, oppure “Viva il nostro presidente Giorgio Napolitano”; ma anche: “Riccardo Muti senatore a vita”.
Da lì lo spettacolo ha imboccato la dirittura d’arrivo fino alle ultime note e ad una pioggia di oltre dieci minuti di applausi.
“Dico al coro, all’orchestra e ai tecnici di resistere nel portare avanti il loro lavoro, ma gli stipendi non permettono neanche di pagare le bollette alla fine del mese” ha detto poi il conduttore chiacchierando con i giornalisti nei camerini alla fine dell’esibizione.
“La cultura è vista come una specie di bonus aristocratico da troppi politici” ha concluso Muti.
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Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
“LA COSTITUZIONE NON E’ INTANGIBILE, MA NON SI CAMBIA A COLPI DI MAGGIORANZA”….IL PREMIER AVEVA DETTO CHE “ERA COLPA DI FINI SE NON SI E’ FATTA LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA”…PER MOLTI ITALIANI E’ INVECE UN MERITO DI FINI AVER BLOCCATO TROPPE LEGGI AD PERSONAM
All’attacco di Silvio Berlusconi che lo ha accusato di aver ostacolato fin qui la riforma della giustizia, Gianfranco Fini risponde colpo su colpo.
Intervistato a Sky Tg24, il presidente della Camera spiega che il premier «ora ha bisogno di un capro espiatorio e se mi dà la responsabilità della mancata riforma, me la prendo. Ma le norme proposte – ci tiene a puntualizzare – non facevano l’interesse generale».
E anche sulla presunta «dittatura dei giudici» il leader di Fli è in disaccordo con il presidente del Consiglio.
«Non credo che in Italia ci sia, nè dei giudici nè dei magistrati», precisa.
Fini, in realtà , spiega di apprezzare il testo di riforma della giustizia elaborato dal governo. «Non è ad personam ed è la ragione per cui io condivido la posizione di chi ha detto in Parlamento, senza pregiudizi, si discuta e vediamo di che cosa si tratta».
Per il presidente della Camera infatti «le riforme vanno fatte anche se bisogna capire con quale spirito e bisogna capire cosa si intende quando si dice riformiamo la giustizia».
Anche sulle eventuali modifiche alla Costituzione, il numero uno di Futuro e Libertà appare possibilista. ma il suo avvertimento è chiaro: la Carta non è intangibile, ma non si cambi a colpi di maggioranza.
Un passaggio della sua intervista, Fini lo dedica alle spaccature all’interno di Futuro e Libertà . minimizzando.
«Ci sono sensibilità diverse – ammette – ma non mi appassiona nè il dibattito tra falchi e colombe nè la ricerca del compromesso ad ogni costo».
Quanto alla situazione in Libia e a Muammar Gheddafi, il presidente della Camera non usa mezzi termini: il Raìs «è un pazzo sanguinario, mi rifiuto di commentare le sue minacce, auspico solo che la comunità internazionale faccia seguire alle intenzioni i fatti».
«Sicuramente c’è il rischio di conseguenze gravi sui flussi migratori – aggiunge il leader di Fli – ma sarebbe guardare al dito e non alla luna pensare solo a questo e non al cambiamento storico dei paesi del Magreb, paragonabile al crollo del Muro dell’89».
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Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
TREMONTI, IL PRECARIO DELLA SCUOLA DI “ANNO ZERO” E LO SFOGO FUORI ONDA DOPO LA LEZIONE ALLA LAVAGNA…IL CONFRONTO TRA I RAGAZZI DELLA GENERAZIONE PERDUTA E IL MINISTRO DELL’ECONOMIA E’ PROSEGUITO DOPO LA FINE DELLA TRASMISSIONE DI SANTORO
Rischi fatali.
Il titolo della puntata di Annozero di giovedì, dedicata alle conseguenze della crisi maghrebina, alla globalizzazione e all’impoverimento dell’occidente, cade a pennello sulla testa di uno degli ospiti, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Per lui il rischio fatale non è stato, durante la trasmissione, il contraddittorio con un redivivo Fausto Bertinotti, il severo Eugenio Scalfari e Ferruccio de Bortoli.
Il rischio è arrivato a fine puntata nella persona di Giacomo Russo, palermitano precario della scuola che ad agosto era finito all’ospedale dopo uno sciopero della fame di 15 giorni contro i tagli all’istruzione.
Russo, ospite di Generazione zero e intervistato da Giulia Innocenzi, a Tremonti non le aveva mandate a dire: “È lei il ministro dell’Istruzione, lo abbiamo capito tutti”.
Le decisioni di Mariastellla Gelmini, insomma, sono una conseguenza delle forbici.
E a proposito di crisi, Russo rincara: “Prima era povero chi non lavorava, oggi anche chi lavora. Produciamo di più, lavoriamo di più e guadagniamo meno”.
E rivolto a Tremonti: “In un paese migliore non ci sarà posto per i suoi privilegi”. Se Bertinotti, rinvigorito dall’impeto del giovane, dice che la rabbia del 30enne precario è “un’energia per il paese”, il ministro non risponde all’intervento perchè “personale e violento”.
Ma, aggiunge, “in termini meno aggressivi, le risponderei volentieri”.
Il momento è arrivato prima del previsto.
A sipario calato, appena spente le telecamere, il ministro e Russo iniziano il match.
Russo, circondato dagli altri ragazzi della “generazione” perduta, resta sul balcone dello studio.
Tremonti, per mezz’ora, lo guarda dal basso all’alto, appoggiato alla balaustra della scenografia.
“Sono tre anni che protestiamo — esordisce Russo — occupiamo provveditorati e non vi degnate nemmeno di vederci”.
Russo incalza, non lascia tregua. Tremonti balbetta: “Mi sembra la qualunque di sinistra”.
Russo parla con la foga di chi, finalmente, può rivolgersi a chi in teoria dovrebbe ascoltarlo sempre.
E allora il ministro è in difficoltà : “Posso…?”, gli chiede.
Alla fine Tremonti sbotta, infondendo un insegnamento di vita: “Alla mia età , posso dirlo: non esiste uno che ha tutte le ragioni! Cazzarola! Questo modo di fare è totalmente intollerante: devi capire anche le ragioni degli altri. Devi chiederti cosa è successo in questi vent’anni”.
Interviene un altro ragazzo: “Sì, ma lei, pensa di aver fatto il massimo?”. Sì.
“In coscienza — si confessa Tremonti — ho fatto tutto quel che potevo”.
Al che, il precario Giacomo si arrabbia sul serio.
“Il centrodestra, negli ultimi 17 anni, ha governato la maggior parte del tempo. La Corte dei conti dice che in Italia la corruzione raggiunge i 65 miliardi di euro. Ma se uno che è al governo non è capace di fare qualcosa! E non dico totalmente, ma almeno di dire: rubate la metà ! Ma mi rendo conto che ho più interesse di lei a risolvere il problema: ho 30 anni, secondo le statistiche devo vivere in questo paese quasi altri 50 anni. Mentre lei vive in un ambiente ovattato e ha più anni di me”.
E Giacomo snocciola i dati sui tagli firmati Gelmini.
Centocinquantamila stabilizzazioni accantonate, sei miliardi in meno in tre anni università escluse. Tremonti scuote la testa: “No, non è così”.
E Giacomo: “Allora com’è che io sono disoccupato?”.
“Ma tu, da quando sei disoccupato”, gli chiede il ministro.
“Da quando voi siete al governo” risponde il precario.
Al che Tremonti fa per andarsene borbottando ah, ecco. “Se vuole le porto i contratti di lavoro”.
Tremonti ci ripensa: “Posso parlare?”.
E Russo va avanti, a raffica: “Perchè non mettete il reddito minimo garantito? C’è in Francia, Germania, Spagna”.
Tremonti continua a fare “no, no” con la testa.
Giacomo, quasi impietosito, gli lascia la parola.
“In molti paesi d’Europa non ci sono gli assegni alle famiglie che esistono in Italia — spiega il ministro, illustrando l’amore italico per il focolare domestico — Poi uno può dire: invece di dare l’assegno al genitore, è meglio darlo al figlio. Da noi la scelta è sempre stata di usare la famiglia come ammortizzatore”.
Russo non è per niente convinto: “Allora com’è che vedo ragazzi che, una volta scaduta la disoccupazione, non hanno nessuno che li aiuti?”.
Tremonti è all’angolo. Non gli resta che appellarsi agli usi consolidati: “Non il governo ma la Repubblica italiana ha una spesa sociale enorme. Puoi dire che deve essere diversa, ma è altissima”.
E anche Russo alza il tiro: “Di vita ne abbiamo una sola. La produttività ha senso se produce benessere collettivo, ma se produce malessere collettivo, non ha senso. Noi vogliamo la vita. Vogliamo innamorarci! Ha capito cosa intendo?”. Tremonti, ironico: “Vagamente, il monopolio dell’intelligenza ce l’hai tu. Io sono disumano e tu sei umano. Tu sei intelligente, io sono un pirla”.
Prosaicamente, i massimi sistemi sono interrotti da un tecnico : s’è fatta l’ora.
Gli studi devono chiudere.
Tempo scaduto. Il ministro si è salvato.
Elisa Battistini
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
SONO 12.000 I CASI SEGNALATI, SI TRATTA DI ILLECITI NON SANABILI, COSTRUZIONI CHE NON POSSOMO ESSERE CONDONATE… LA COLATA DI CEMENTO HA SPESSO DETURPATO I PARCHI DELLA CITTA’
Preti, costruttori, calciatori, avvocati.
E poi circoli canottieri, associazioni culturali, malavitosi vari, e persino ristoranti e discoteche.
Due cd insabbiati in un ufficio del Campidoglio per mesi, con dentro tutta “la Roma che conta”.
Eccolo il libro nero dell’abusivismo edilizio, l’indice dei “furbetti del terrazzino”, e della verandina, del garage, della villetta, dell’appartamento extra lusso, dell’intero condominio.
Una colata di cemento frazionata in 12.315 abusi
Nomi, cognomi, indirizzi, inequivocabili foto aeree da quattro prospettive diverse, scattate prima e dopo l’abuso.
Costruzioni fuorilegge in centro, a due passi dal Colosseo, in periferia, nei parchi protetti, in zone con vincoli paesaggistici così stretti che anche tirare su una cuccia per cani è un crimine.
Strutture illegali tenute in piedi dalla pretesa di ottenere prima o poi l’assoluzione definitiva, che in edilizia si chiama appunto condono.
L’hanno chiesto tutti.
Anche di fronte a situazioni palesemente non sanabili.
Come l’appartamento con terrazza e tendoni sbocciato all’improvviso su un tetto a ridosso di Piazza Navona, o la villa in marmo con piscina stile “Scarface” eretta di nascosto spianando trecento metri quadrati di bosco nel parco di Veio.
Il bello è che il comune di Roma sa tutto. Ha sempre saputo tutto.
Perchè sono stati gli stessi proprietari, certi dell’impunità , ad “autodenunciarsi”.
Hanno inoltrato la domanda di condono e così si sono iscritti nella lista degli abusivi, sulla base della quale l’amministrazione avrebbe dovuto “ripulire” la città dagli scempi, o quanto meno trarne qualche vantaggio economico, acquisendoli.
E invece il più immobile di tutti è stato ed è tutt’oggi il sindaco Alemanno.
La lista fa la muffa da marzo dello scorso anno.
Nemmeno un atto è stato notificato.
Ruspe in deposito, vigili urbani ai semafori, abbattimenti zero.
L’elenco contenuto in quei due cd si riferisce al terzo condono edilizio concesso dallo stato italiano, quello del 2003 (governo Berlusconi), intervenuto dopo le sanatorie del 1985 e 1994.
Al comune di Roma arrivarono in tutto 85 mila richieste.
Gemma Spa è la società privata che ha avuto l’incarico di valutarle, con l’ausilio di un sistema a fotografia aerea che ha mappato dall’alto, metro per metro, tutto il territorio romano tra il 2003 e il 2005.
Un lasso di tempo non casuale: la normativa sul condono (L. 326/2003) concedeva la possibilità di sanare soltanto gli abusi ultimati tassativamente prima del 31 marzo del 2003.
Nel giugno scorso, poco prima che le venisse ritirato il mandato apparentemente perchè incapace di smaltire il monte dei fascicoli ai ritmi concordati, Gemma consegna ad Alemanno il frutto del proprio lavoro, la lista dettagliata delle “reiezioni”, le domande da respingere perchè – a vario titolo – violano i termini della legge 326.
12mila manufatti (e Gemma non era arrivata a lavorare nemmeno la metà delle 85 mila domande).
Perchè così tanti romani hanno chiesto il condono per abusi evidentemente insanabili?
Da chi avevano avuto la garanzia dell’impunità ?
Alemanno scorre con gli occhi l’elenco e suda freddo.
Sa bene quello che prevede la legge, abbattere o acquisire.
E sa altrettanto bene cosa ciò può comportare in termini politici: l’addio a migliaia di voti, alla simpatia dei grandi elettori, alle sintonia con gli ambienti che contano.
Tra chi ha provato a fare il furbo chiedendo il condono per una struttura costruita ampiamente dopo il 31 marzo 2003 – i cosiddetti “fuori termine”, circa 3.712 pratiche – spunta il nome di Luigi Cremonini, l’imprenditore modenese leader nel commercio della carne e proprietario di tre catene di ristoranti, che dal giorno alla notte si è costruito una terrazza modello villaggio vacanze in uno dei punti più pregiati di Roma, di fronte alla fontana di Trevi. O come Federica Bonifaci, figlia del costruttore Bonifaci (anche editore del Tempo) che ha dato un'”aggiustatina” alla sua casa ai Parioli.
Di vip o anche solo di personaggi e istituzioni in vista nell’elenco ce ne sono a volontà .
Si va da Maria Carmela d’Urso, alias Barbara d’Urso al calciatore nerazzurro ed ex laziale Dejan Stankovic, da Luciana Rita Angeletti, moglie del rettore della Sapienza Luigi Frati, all’Istituto figlie del Sacro Cuore di Gesù.
Le congregazioni religiose hanno una certa dimestichezza col cemento.
Nella lista nera figurano le Suore Ospedaliere della Misericordia, la Procura Generalizia delle Suore del Sacro Cuore, quella delle missionarie di Madre Teresa di Calcutta e la Famiglia dei Discepoli della diocesi romana.
Non mancano i templi dove la Roma bene ama riunirsi per celebrare i suoi riti di socialità .
Il Parco dè Medici sporting club, il country club Gianicolo, il Tennis Club Castel di Decima, la discoteca Chalet Europa nel parco di Monte Mario.
E nemmeno le ville mono e bifamiliari con piscina dell’alta borghesia, cresciute come gramigna nel parco di Veio, ai lati di via della Giustiniana, la strada più abusata di Roma.
Ancora, scorrendo la lista balzano agli occhi decine di società immobiliari, alcuni distributori di carburante della Esso e la sede centrale della “Fonte Capannelle Acque Minerali” nel parco dell’Appia Antica.
L’aspetto più buffo o forse drammatico è che nell’elenco dei più furbi tra i furbi compaiono anche molte aziende comunali di servizio, come l’Ama, l’Acea e addirittura Risorse per Roma, la municipalizzata che da gennaio ha il compito di occuparsi proprio delle pratiche di condono.
Ma il top lo si raggiunge con la pratica numero 577264 contenuta nel faldone riservato alle richieste di sanatoria nei parchi.
Bene, a guardare sotto la voce “proprietario” dell’abuso si scorge l’incredibile dizione “Comune di Roma” (ovviamente residente in “via del Campidoglio 1”). In sostanza: il Comune è contravvenuto alle proprie regole e poi si è chiesto da solo il condono sapendo benissimo di non poterselo dare. La manovra serviva a “legalizzare” un’opera abusiva in via del Fontanile di Mezzaluna, in pieno parco del Litorale romano dove i limiti all’edificazione sono strettissimi. Come del resto negli altri undici parchi di Roma.
Che, ciononostante, sono probabilmente l’obbiettivo preferito dagli speculatori.
E forse proprio per questo la Regione Lazio, con la legge 12 del 2004 aveva messo dei paletti all’ultimo condono: “Gli abusi realizzati nei parchi e nelle aree naturali protette – dice la norma – non sono sanabili”.
Parole vane.
Il comune oggi si ritrova, nero su bianco, 2099 domande (compresa la sua e quelle delle sue aziende) di condono per porzioni di villette, garage, interi fabbricati. Veio, Decima Malafede, Marcigliana, Appia Antica, Bracciano Martignano, Tenuta di Acquafredda.
Non uno dei parchi di Roma è rimasto immacolato.
Chi c’è dietro?
Ancora una volta l’occhio scorre sugli elenchi e individua i nomi grossi della città .
Come Tosinvest spa, la finanziaria della potentissima famiglia Angelucci, i signori delle cliniche private nonchè editori di Libero e il Riformista.
A nome di Tosinvest spa ci sono tre domande di condono per una struttura aziendale nel parco dell’Appia Antica.
In quello di Veio c’è un abuso a nome di Acea Spa, il colosso dell’energia e dell’acqua per metà pubblico (proprietà appunto del comune di Roma), in parte nelle mani del costruttore Francesco Caltagirone.
Siccome il giochino era molto semplice, in molti hanno esagerato. Fanno impressione ad esempio le 28 domande di condono chieste per lo stesso indirizzo, via Cristoforo Sabbatino 126: un intero complesso di case in pieno Litorale Romano, a nome di Abitare Srl.
La procura di Roma si è accorta che qualcosa non va.
Pochi giorni fa ha sequestrato, negli archivi di Gemma, 5000 pratiche fuori termine.
Vuole capire perchè non sono state notificate ai proprietari.
La verità è che impostate così, con le domande presentate e automaticamente insabbiate dal comune, senza ruspe nè multe, senza procedimenti nè scandali, le sanatorie edilizie sono uno dei business più redditizi e politicamente più convenienti.
Fanno girare soldi, ingrassano le casse delle amministrazioni quel tanto che basta e non scontentano nessuno.
Dal 1994 al 2000 (giunta Rutelli) il comune di Roma ha incamerato 383 milioni di euro grazie alle 251 mila concessioni rilasciate per i precedenti condoni.
Il successore di Rutelli, Veltroni, è stato anche più fortunato: dal 2001 al 2005 le concessioni, circa 84 mila, hanno fruttato mezzo miliardo di euro. Una montagna di soldi, spalmata in oneri di urbanizzazione e costi di costruzione, sborsata dai proprietari per “perdonare” il mattone nato illegale. Il segreto è non arrivare mai alle demolizioni.
Che spezzerebbero la catena di interessi che tiene in piedi tutto.
Ma cosa muove la macchina del mattone selvaggio nella capitale?
Chi ha voluto che prosperasse indisturbata per anni?
Dove si inceppava il sistema dei controlli?
Prima partecipata dal Comune, poi vincitrice dell’appalto esclusivo per il condono nel 2006 come società privata, Gemma a fine anni Novanta viaggia a una media di 24 mila pratiche, o meglio concessioni, all’anno.
Nell’ultimo decennio la media scende a 12 mila, fino alle misere 1103 del 2007.
Risultati al di sotto degli standard del contratto di servizio, per i quali comune e Gemma si accusano reciprocamente. “Fino all’agosto del 2009 (quando viene stipulato un nuovo contratto di servizio, ndr) non abbiamo mai avuto accesso libero alle pratiche – sostiene Renzo Rubeo, presidente di Gemma – quelle da lavorare le sceglieva l’Ufficio Condono”.
Fatto sta che, nonostante la lentezza, Gemma negli anni viene regolarmente pagata fior di milioni, e questo insospettisce i pm romani che mettono sotto indagine tutti i vertici dell’azienda, a cominciare da Rubeo, e gli ultimi due assessori romani all’Urbanistica, Roberto Morassut del Partito Democratico e Marco Corsini, della giunta Alemanno. I
l sospetto/certezza degli investigatori è che Gemma fosse un carrozzone, una sorta di Bancomat della politica.
E che tutti sapessero delle concessioni troppo facili.
Sospetti pesanti, messi nero su bianco da uno degli ultimi direttori dell’Ufficio Condono nominato da Veltroni, l’avvocato Roberto Murra, in un documento confidenziale a uso interno. “Dietro tali procedure – scrive Murra al sindaco nel 2007 – spesso si è nascosta la tentazione di poter agire al limite della norma se non, addirittura, in esse si è annidato il malaffare”.
Pure il sistema informatico “Sices” della Unisys, utilizzato per la lavorazione dei fascicoli, è sotto accusa: la Guardia di Finanza ha dimostrato che i dipendenti dell’Ufficio Condono avevano la possibilità di accedervi e modificare i fascicoli senza lasciare traccia.
Un porto delle nebbie, appunto, dove ancora giacciono 250 mila pratiche. Secondo Gemma almeno la metà sono da rigettare.
Per ora però non si muove una ruspa.
E i furbetti dormono sogni tranquilli.
Sotto un tetto abusivo.
Fabio Tonacci e Marco Mensurati
(da “La Repubblica“)
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Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
PERQUISIZIONI NELL’INCHIESTA SUI “DOSSIER PARALLELI”… SECONDO I PM IL PARLAMENTARE AVREBBE USATO A FINI STRUMENTALI NOTIZIE “SENSIBILI” OTTENUTE IN MODO ILLECITO
Un parlamentare si procurava notizie riservate e le utilizzava per «avanzare indebite pretese e indebite richieste» nei confronti di imprenditori e finanzieri resi più vulnerabili da qualche grattacapo con la giustizia.
In cambio, il deputato avrebbe offerto ai suoi interlocutori «protezione giudiziaria», vera o presunta, oppure informazioni sulle vicende che li turbavano.
Si fa più nitido, e allarmante, il quadro dell’inchiesta della Procura di Napoli sugli ingranaggi della “macchina del fango” che avvelena il Paese.
Per ordine dei pm Francesco Curcio e Henry John Woodcock, coordinati dal procuratore aggiunto Francesco Greco, la Guardia di Finanza ha perquisito le abitazioni di due facoltosi imprenditori napoletani: Luigi Matacena, 47 anni, e l’armatore Nicola D’Abundo, 60 anni.
Nella ricostruzione degli inquirenti, sono due dei nomi emersi nel corso di quelle che i magistrati definiscono come «precise e circostanziate risultanze istruttorie» acquisite con riferimento alla posizione del deputato del Pdl Alfonso Papa, ex magistrato eletto alla Camera nel 2008.
Papa non risulta indagato, in tutti i (pochissimi) atti pubblici figura sotto inchiesta, con l’ipotesi di associazione per delinquere, solo il sottufficiale del Ros Enrico La Monica, che si trova in Africa ormai da dicembre.
Ma adesso i pm indicano espressamente Papa come di un parlamentare ritenuto «coinvolto» nel «sistema informativo parallelo» che avrebbe utilizzato in maniera strumentale notizie «sensibili», riguardanti prevalentemente indagini giudiziarie, acquisite in maniera illecita.
Informazioni che sarebbero state adoperate allo scopo di avvicinare soggetti, in prevalenza imprenditori, che attraversavano un momento di difficoltà , se non addirittura di prostrazione. In questo versante delle indagini i magistrati hanno individuato D’Abundo e Matacena come due delle persone che potrebbero essere state contattate da Papa.
Così hanno deciso di disporre le perquisizioni per chiarire il ruolo dei due imprenditori, verificarne la posizione processuale (che al momento appare quella di vittime) e comprendere anche la natura del rapporto con il parlamentare.
Nei mesi scorsi, quando il suo nome era stato accostato per la prima volta all’inchiesta napoletana, Papa aveva lamentato di essere stato sottoposto a indagini in violazione delle tutele previste per i parlamentari.
Sul caso era stata presentata un’interpellanza da 100 deputati del Pdl che aveva spinto il ministro della Giustizia Angelino Alfano a chiedere informazioni.
La Procura ha sempre ribadito, documenti alla mano, di aver operato nella massima trasparenza e legittimità .
E l’indagine è andata avanti.
Si sono aperti capitoli nuovi, su appalti e sui contributi all’editoria.
Sono stati sentiti come testimoni esponenti di primissimi piano delle istituzioni e sono scattate perquisizioni all’indirizzo, fra gli altri, di madre, segretaria e autista di Luigi Bisignani, l’uomo d’affari al quale gli inquirenti attribuiscono un «ruolo chiave» nelle vicende al centro dell’inchiesta, oltre che in alcuni passaggi fondamentali della vita pubblica.
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Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
E’ QUANTO EMERGE NELLE 1.110 PAGINE DI DATI NELLA RELAZIONE ANNUALE DELLA DIA…LE REGIONE HA IL MASSIMO INDICE DI PENETRAZIONE NEL SISTEMA ECONOMICO LEGALE: TRAPIANTATI RITI E TRADIZIONI
La Lombardia si conferma la regione del nord Italia che registra «il maggiore indice di penetrazione nel sistema economico legale dei sodalizi criminali della ‘ndrangheta, secondo il modello della “colonizzazione”».
È l’allarme lanciato dalla Relazione annuale della Direzione nazionale Antimafia, 1.110 pagine di dati e analisi sulla criminalità organizzata made in Italy. «In Lombardia», chiariscono gli analisti, «la ‘ndrangheta si è diffusa non attraverso un modello di imitazione, ma attraverso un vero e proprio fenomeno di “colonizzazione”, cioè di espansione su di un nuovo territorio, organizzandone il controllo e gestendone i traffici illeciti, conducendo alla formazione di uno stabile insediamento mafioso.
La ‘ndrangheta ha «messo radici», divenendo col tempo un’associazione dotata di un certo grado di indipendenza dalla «casa madre», «con la quale però comunque continua ad intrattenere rapporti molto stretti e dalla quale dipende per le più rilevanti scelte strategiche».
In altri termini, in Lombardia «si è riprodotta una struttura criminale che non consiste in una serie di soggetti che hanno semplicemente iniziato a commettere reati in territorio lombardo»; al contrario, gli indagati «operano secondo tradizioni di ‘ndrangheta: linguaggi, riti, doti, tipologia di reati sono tipici della criminalità della terra d’origine e sono stati trapiantati in Lombardia dove la ‘ndrangheta si è trasferita con il proprio bagaglio di violenza».
La ‘ndrangheta è presente anche in Piemonte, Liguria, Toscana, Lazio ed in particolare Roma, Abruzzo, ove sono emersi inquietanti interessi negli appalti per la ricostruzione dopo il sisma del 2009, Umbria ed Emilia Romagna.
Per quanto attiene ai rapporti sul territorio, insomma, la ‘ndrangheta «è oggi l’assoluta dominatrice della scena criminale, tanto da rendere sostanzialmente irrilevante, e comunque, in posizione subordinata, ogni altra presenza mafiosa di origine straniera».
Non solo: la ‘ndrangheta si è da tempo proiettata anche verso l’Europa, il Nord America, il Canada, l’Australia.
C’è inoltre l’allarme per le infiltrazioni nella pubblica amministrazione: «Emerge in modo costante e preoccupante, soprattutto nel Centro-Nord del Paese, la presenza sempre più gravemente pervasiva di soggetti collegati alle organizzazioni criminali, soprattutto di matrice ‘ndranghetistica».
Una situazione che viene definita«particolarmente temibile».
Infatti, spiega la Dna, «c’è il rischio che si crei una schiera di “invisibili” che, germinata dalle cellule silenti delle mafie al Centro-Nord, penetri in modo silente ma insidioso il tessuto politico, istituzionale ed economico delle regioni oggetto dell’espansione mafiosa».
E non si ritiene sia una caso se, come si ricorda, «l’Unione Europea e la comunità internazionale convergono verso l’attribuzione di un medesimo coefficiente d’allarme per i delitti di corruzione e quelli di criminalità organizzata, a riprova di un coacervo illecito che andrebbe congiuntamente esplorato, con i medesimi mezzi probatori e le stesse tecniche investigative». come «le intercettazioni telefoniche e ambientali».
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Marzo 13th, 2011 Riccardo Fucile
LA STESSA RAGAZZA ITALOTUNISINA, CONCORRENTE DEL GF11, E’ ANCHE DESTINATARIA DI UN BONIFICO DEL PREMIER DI 40.000 EURO… “CHE MERDA CHE E STATO” ED ESPLODE LA RABBIA DI CHI AVREBBE VOLUTO ESSERE RACCOMANDATA AL SUO POSTO
Le ragazze che hanno partecipato alle feste di Arcore aspirano a essere protagoniste nei reality e quando, accendendo la tv, scoprono che un’altra pretendente è riuscita ad entrare nella casa del Grande Fratello, mostrano tutta la loro rabbia.
«L’ha messa lui, lui l’ha detto, l’aveva già detto», si lamenta Iris Berardi, la 19enne modella brasiliana, in un’intercettazione, che l’Ansa ha potuto consultare, presente negli atti allegati alla richiesta di processo per Silvio Berlusconi per il caso Ruby.
Al telefono, lo scorso 11 gennaio, Iris chiede ad Aris Espinosa: «Hai visto il Grande Fratello?».
Aris: «So che è entrata la Valentina».
Si tratta di Valentina Costanzo, 25 anni, italo-tunisina, concorrente del GF 11. La stessa ragazza che, secondo gli accertamenti bancari effettuati dagli investigatori, avrebbe ricevuto dal presidente del Consiglio un bonifico di 40 mila euro.
Dell’ingresso di Valentina nel reality Iris parla anche il giorno prima al telefono con Imma De Vivo, una delle due gemelle dei presunti festini a luci rosse, proprio mentre stanno guardando la trasmissione.
La brasiliana sbotta: «Io sono andata a fare due casting vaffa… (…) e ne entrano altri 2 come all’Isola che ne entrano 4 grazie a lui».
E la De Vivo: «Ma pensa che l’altra sera, quando ero da lui, lui ha detto: “Accendete lunedì sera che entra la Valentina”».
Il giorno dopo Iris e Aris sono furiose per la «scelta» e la Espinosa non lo nasconde affatto: «Ma dai ma non si può, tu lo volevi fare amo?».
E la Berardi: «Infatti dai, che mer… che è stato … e sta qua chi se l’inc….».
E l’altra continua: «Che brutta (…) poi dico, non l’ho più vista lì … cioè boh, come ca… ha fatto?».
E Iris spiega come sono andate le cose: «Amo, l’ha messa lui (…) sai quella sera che tu non sei voluto venire e che io sono andata? L’aveva detto che le aveva messe, tra l’altro aveva detto che ne aveva messe due, quindi una è lei e l’altra (…) o non l’ho riconosciuta o ancora non è entrata».
Poi aggiunge: «Quando fa così è veramente uno str….».
Aris, nonostante tutto, ha ancora delle «mire»: «Io voglio stare per quel programma lì di cucina».
E Iris: «Amo e rompigli i co… se non gli rompi i co… non (…) devi fare come fa la Mari che lo chiama tutti i giorni quando vuole».
Aris, allora, chiarisce che prima deve fare un intervento chirurgico e che poi «quando sarò bella a posto amo farò tutto, non hai capito che farò tutto (…) cioè ti stuferai di vedermi ti verrà la nausea perchè farò tutto».
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