Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
PRESI D’ASSALTO I SACCHETTI CON I GENERI DI CONFORTO: MANCA ANCHE L’ACQUA, PROTESTANO OLTRE 2.000 ESSERI UMANI AMMASSATI COME BESTIE SULLA BANCHINA DEL PORTO E SULLA COLLINETTA…IL GOVERNO INCAPACE DI NOLEGGIARE QUALCHE TRAGHETTO E LIBERARE L’ISOLA
Tunisini in rivolta a Lampedusa.
Sono in migliaia e sono gli stessi che da giorni stazionano davanti alla banchina e sulla collinetta vicina al porto.
Assaltato il container con i sacchetti pieni di generi di conforto.
I tunisini chiedono più cibo, acqua e sigarette.
La nave militare San Marco, che dovrebbe trasferire 500 immigrati nei centri di accoglienza, resta ancorata.
Il prossimo viaggio non dovrebbe avere più la destinazione di Mineo, bensì un’area attrezzata in Puglia.
In viaggio anche una carretta del mare partita da Tripoli.
Il peschereccio, in difficoltà , è stato intercettato dalla Guardia costiera.
La situazione è costantemente monitorata dalla centrale operativa delle Capitanerie di porto.
L’Sos era stato raccolto da un’immigrata residente ad Agrigento che aveva ricevuto la chiamata col telefono satellitare dalla sorella che è tra i passeggeri dell’imbarcazione.
Il peschereccio, secondo quanto si è appreso, è salpato da Tripoli e sarebbe la prima imbarcazione carica di immigrati a partire dalla Libia dopo l’inizio del conflitto.
A Lampedusa, attualmente, sono presenti 4.800 immigrati.
Ma circa 800 dovranno essere trasferiti con la “San Marco” e con voli speciali. Dei tunisini, 2.500 sono alloggiati nel Cie, 220 in una struttura messa a disposizione dalla parrocchia di San Gerlando, mentre i rimanenti si dividono tra la stazione marittima del porto e le tende di fortuna sparpagliate ovunque nell’isola.
Dopo un sopralluogo effettuato questa mattina, anche la base Loran, usata precedentemente dalla Nato, da oggi verrà adibita al ricovero di circa 200 immigrati.
Ma la nave “San Marco” resta ancora in rada.
I 500 clandestini che dovrebbe trasportare oggi potrebbero andare in un’area attrezzata della Puglia e non al Villaggio della solidarietà di Mineo (Catania), dove 498 tunisini erano già stati trasferiti ieri, tra le proteste dei sindaci.
Il governatore siciliano Raffaele Lombardo è tornato a criticare la scelta di Mineo: “E’ un lager”.
Ieri l’amministrazione comunale ha annunciato che sull’isola l’acqua potabile non è più sufficiente.
E la richiesta di una fornitura straordinaria di ventimila metri cubi, fatta già da un mese, non ha avuto ad oggi copertura economica da parte del ministero della Difesa.
Tra isolani, clandestini e forze dell’ordine, sull’isola attualmente sono presenti 11 mila persone.
Con una lettera inviata al ministro dell’Economia, la Regione siciliana chiede di concedere a tutti i residenti e alle attività commerciali di Lampedusa la sospensione dei versamenti delle imposte (Irpef, Irpeg, Ires, Iva e Irap), dei contributi previdenziali e assistenziali, dei pagamenti dei premi obbligatori per le assicurazioni contro gli infortuni e le malattie professionali, delle rate di mutui e prestiti.
La decisione è stata presa dalla giunta regionale dopo avere ascoltato la relazione resa dall’assessore al Turismo del Comune di Lampedusa, Pietro Busetta.
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
DOPO APPENA SEI MESI IL GOVERNO SI E’ RIMANGIATO GLI IMPEGNI PRESI: CON UNA NORMA, INFILATA DI NASCOSTO NEGLI ULTIMI PROVVEDIMENTI, E’ STATO ELIMINATO IL TAGLIO DEL 20% DEI CONSIGLIERI…RIPRISTINATI E AUMENTATI ALTRI VANTAGGI, SPECIE A ROMA E MILANO
Trasudavano indignazione, le parole di Marco Marsilio: «Pretendere che lavorino gratis o rimettendoci di tasca loro significa allontanare i cittadini onesti e normali dalla politica e dalle istituzioni».
Il deputato del Pdl ce l’aveva con la manovra economica di Giulio Tremonti che aveva abolito le indennità dei consiglieri circoscrizionali.
Un segnale inequivocabile che tutti, in un momento di difficoltà economica, avrebbero dovuto stringere di un buco la cinghia.
Ma scarsamente digeribile.
«Ricordo che a Roma ognuno dei 19 municipi è esteso come Milano e abitato da una città come Bologna», insisteva Marsilio.
Ma il suo grido di dolore non intenerì Tremonti.
È durata poco: sei mesi dopo è arrivato il primo gesto riparatore.
Nel silenzio più totale, con una norma infilata in uno degli ultimi provvedimenti, l’indennità è stata ripristinata, per il sollievo dei consiglieri circoscrizionali delle quindici città metropolitane.
Poi, mercoledì 23 marzo, un secondo regaluccio.
Ma questa volta soltanto per il Comune di Roma.
Nello stesso decreto legge che con l’aumento della benzina ha restituito un po’ di soldi al Fondo unico per lo spettacolo è spuntata una norma piccola piccola che triplica il numero di ore di permesso retribuito ai consiglieri circoscrizionali di Roma, portandole da un quarto di quelle spettanti ai consiglieri comunali a tre quarti.
Cosa significa?
Che se prima un consigliere circoscrizionale poteva assentarsi dal posto di lavoro per un’ora al giorno, oggi può ritornare dopo tre ore.
E il costo relativo viene addebitato dal suo datore di lavoro al Comune.
Come si motiva un privilegio che costringerà il Campidoglio a spendere il triplo?
Con il fatto che Roma è «capitale»: ragion per cui i consiglieri circoscrizionali sarebbero più impegnati dei loro colleghi di Milano, Palermo o Genova. Difficile, per non dire impossibile, non intravedere in questa misura a dir poco singolare l’impronta digitale del sindaco di Roma Gianni Alemanno.
Al quale non sarà certamente dispiaciuta una seconda sorpresa contenuta nel decreto di mercoledì.
Si tratta dell’articolo con il quale viene stabilito che il taglio del 20% del numero dei consiglieri comunali deciso l’anno scorso ed entrato in vigore dal primo gennaio 2011 non si applica alle città con una popolazione superiore al milione di abitanti.
Cioè Roma e Milano, entrambe amministrate dal centrodestra.
Per un soffio (circa 30 mila abitanti) il Comune di Napoli, guidato dal centrosinistra, potrebbe invece essere fuori.
Roma e Milano non saranno quindi costrette a ridurre da 60 a 48 componenti i loro consigli comunali e potranno avere fino a 15 assessori.
Più il sindaco, naturalmente.
Dice il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni: «Siamo alle solite. Anche stavolta non hanno mantenuto la parola. Ogni volta che c’e da tagliare sui costi della politica si rimangiano la parola. Il risultato è che aumentano pure le tasse per i cittadini. Una vergogna».
Va detto che il tentativo di salvare una trentina di poltrone nelle due città più grandi del Paese non è una novità assoluta.
La norma era stata già infilata di soppiatto nel famoso decreto milleproroghe approvato un mese fa.
Poi però era improvvisamente saltata: il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano aveva imposto che venisse rimossa dal testo definitivo.
La motivazione ufficiale?
Lo stop alla cura dimagrante dei consigli comunali di Roma e Milano (e magari Napoli?) c’entrava come i cavoli a merenda con la materia di quel provvedimento, destinato a reiterare delle scadenze risultate impossibili da rispettare.
Una motivazione che però doveva nascondere qualche perplessità ben più profonda, se il Quirinale ha messo un’altra volta sotto stretta osservazione il salvataggio di quelle poltrone: la cui urgenza, evidentemente tale secondo il governo da richiedere addirittura l’inserimento in un decreto legge nel quale si parla di tutt’altro, è davvero arduo giustificare.
Senza considerare, poi, una questione di rispetto istituzionale.
Il Quirinale chiede di togliere una norma da un decreto legge e nemmeno quattro settimane più tardi Napolitano se la ritrova sotto il naso in un altro decreto legge?
Non sarebbe sorprendente se anche questo aspetto della vicenda venisse considerato inaccettabile.
Sergio Rizzo
(da “il Corriere della Sera“)
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
CHI CERCA DI FARE IL FALCO AZZOPPATO, CHI IL PESCE BOLLITO, CHI E’ TRAVOLTO DALLO TSUNAMI ROMANO…SI AGGRAPPANO ALLA ZATTERA DEL RAPPORTO 3 A 7, MA GLI EX AN SI SONO PERSI PER STRADA E E IN PROSPETTIVA ANCHE LA POLTRONA
La battuta, sulle note di Mameli, sfugge a un autorevole senatore del Pdl ed è la sintesi perfetta di un dramma in corso: “Che schiava della Lega Silvio la creò”.
Il soggetto è la destra politica degli ex An, quelli rimasti nel partitone carismatico dopo lo strappo di Gianfranco Fini.
Per loro poco futuro e niente libertà dopo l’uno-due micidiale del 17 marzo unitario e della crisi libica.
Il rischio estinzione è tutto nel ghigno nervoso di Ignazio La Russa, ministro della Difesa nonchè triumviro del Pdl.
Nei giorni della festa del centocinquantesimo, La Russa è stato contestato e fischiato, poi si è aggirato invano per Montecitorio con un tricolore in mano mai sbandierato perchè oscurato, il ministro, dalla diserzione leghista di massa al solenne discorso di Napolitano.
Stessa storia sull’intervento contro il Colonnello di Tripoli, amico del Caimano.
Per ritagliarsi un ruolo, incalzato anche dai generali, il titolare della Difesa si è dimostrato da subito un falco.
Sconfitto ancora una volta.
Come rivelano le telefonate del premier, furibondo per questo interventismo d’antan sul bel suol d’amore.
E come conferma il solito fuoco amico del Carroccio: “ministro che parla a vanvera” (Bossi); “ministro della Guerra per un neocolonialismo” (Calderoli).
Risultato: oggi che spazio ha la componente ex An nel Pdl?
Continua, senza pietà , l’autorevole senatore di provenienza azzurra: “Forse non serviva la guerra di Libia per certificare questo processo di estinzione”. Aggiunge Carmelo Briguglio, finiano di Fli: “Non c’è riuscito Fini a creare un destra politica non berlusconiana nel Pdl figuriamoci La Russa e Gasparri. Stanno subendo e ingoiando di tutto, comprese le nuove leggi ad personam del Cavaliere”.
Dopo le informative del governo, a Palazzo Madama, La Russa, Gasparri e Altero Matteoli, ministro delle Infrastrutture si sono appartati per mezz’ora.
A “Ignazio e Maurizio”, Matteoli ha manifestato tutte le sue “perplessità su questo intervento” in cui “siamo stati tirati per i capelli”.
Quasi la stessa posizione del Carroccio (e di Berlusconi), espressa da Marcello De Angelis, deputato ex alemanniano oggi vicino a Matteoli, sul sito della rivista “Area” in un editoriale intitolato “Perplessità sull’attacco alla Libia”.
Certo, non la stessa linea di La Russa, che ieri ad alcuni senatori ha confidato anche di “aver limitato il protagonismo della Lega” nella risoluzione comune della maggioranza.
Limitazione di cui pochi si sono accorti nella stesura finale. Tant’è.
Oggi nel Pdl deambulano senza meta i resti di quelle che furono le tre correnti del finto unanimismo finiano al congresso di An del 2002, a Bologna.
I berluscones ex tatarelliani di La Russa e Gasparri, con il primo meno subalterno del secondo al Cavaliere.
I liberal di Matteoli (senza più Urso).
I sociali di Alemanno, ormai azzoppato da scandali e figuracce della sua giunta di Roma e che nella vicenda libica è intervenuto solo per pentirsi di essersi affacciato con Gheddafi dal Campidoglio.
Schiacciati tra il Caimano e il Senatùr, gli ex An hanno fissato la soglia di sopravvivenza nel famoso trenta per cento strappato da Fini nel patto di fondazione del Pdl: il 70 per cento dei posti agli ex azzurri, il 30 ai postmissini. Da tempo i falchi già forzisti vanno dicendo che il rapporto va rivisto a loro favore dopo l’uscita di Fini.
Ed è per questo che gli ex an resistono barricati dietro una minaccia di La Russa a Cicchitto mai archiviata: “Se saremo costretti faremo anche noi i gruppi autonomi”.
Come a dire: addio Pdl.
Del resto, il paradosso della fusione è che anche senza la famigerata amalgama gli ex an si sono persi per strada.
Ritrovarla non sarà facile.
Dice Pasquale Viespoli, senatore finiano del Pdl, poi di Fli, infine nel gruppo della Coesione Nazionale: “La destra politica ha davanti un mare aperto da esplorare. C’è tutto un percorso da costruire, non esclusa la federazione”.
Più pragmaticamente, altri colleghi di Viespoli, andati in Futuro e Libertà e poi tornati indietro starebbero per riapprodare in Fli.
Un esodo senza fine, alla ricerca della destra.
Fabrizio D’Esposito
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
SOTTO LA LENTE DEI PM I CONTATTI CON UN PRESTANOME DELLA FAMIGLIA DELL’EX SINDACO DC… ROMANO INDAGATO PER “CONCORSO IN CORRUZIONE, AGGRAVATA DALL’AVER FAVORITO L’ASSOCIAZIONE MAFIOSA”….NEI PROSSIMI GIORNI VERRA’ CHIESTA ALLA CAMERA L’AUTORIZZAZIONE A UTILIZZARE LE INTERCETTAZIONI
È a un bivio la seconda inchiesta che vede indagato il neo ministro Saverio Romano, per “concorso in corruzione aggravata dall’aver favorito l’associazione mafiosa”.
L’atto d’accusa della Direzione distrettuale antimafia di Palermo si fonda su alcune intercettazioni, che nel 2004 captarono quasi per caso la voce dell’allora deputato dell’Udc Romano, mentre parlava al telefono e fissava appuntamenti (fra Palermo e Roma) con il principale prestanome della famiglia Ciancimino, l’avvocato tributarista Gianni Lapis.
Adesso che è Romano ad essere indagato, i pm dovranno ottenere l’autorizzazione della Camera dei deputati per utilizzare quelle intercettazioni.
La richiesta partirà nei prossimi giorni e sarà inviata al giudice delle indagini preliminari, che dopo averla vagliata la inoltrerà a Roma.
Se la Camera non dovesse dare il via libera, l’inchiesta potrebbe essere a rischio.
Ma c’è anche dell’altro nell’atto d’accusa del procuratore aggiunto Antonio Ingroia e dei sostituti Nino Di Matteo, Paolo Guido e Sergio Demontis.
Romano lo sa, perchè il 17 giugno 2009 venne convocato come indagato per un interrogatorio e gli fu spiegato che contro di lui c’erano alcune “intercettazioni di conversazioni fra soggetti diversi”, ma anche le dichiarazioni di Massimo Ciancimino e di Gianni Lapis.
All’epoca, Romano si avvalse della facoltà di non rispondere e giustificò il suo silenzio con un mezzo rimprovero ai pm: “Non mi viene contestata in forma chiara e precisa alcuna condotta di reato”.
Questo era stato letto a Saverio Romano dai magistrati: ha ricevuto “in più soluzioni, ingenti quantitativi di denaro da Lapis Gianni, che li aveva prelevati, per il tramite di Ciancimino Massimo, dal conto bancario estero denominato “Mignon”, come corrispettivo per favorire le società del “Gruppo Gas” riconducibili a Lapis e Ciancimino, nonchè in precedenza riconducibili, anche nell’interesse dell’associazione mafiosa, a Ciancimino Vito”.
È in queste poche righe la seconda inchiesta che ancora pende sul neo ministro dell’Agricoltura.
Mentre si attende l’udienza del 6 aprile, in cui un gip dovrà valutare la richiesta di archiviazione della Procura per l’altra indagine su Romano, quella riguardante il concorso esterno in associazione mafiosa.
Massimo Ciancimino ha spiegato ai pm di Palermo che dopo la vendita del gioiello di famiglia agli spagnoli della Gas natural, nel 2004, c’erano degli “obblighi” che dovevano essere onorati con alcuni politici.
Oltre a Romano, il senatore Pdl Carlo Vizzini e l’ex governatore Totò Cuffaro, pure loro oggi indagati per corruzione: sul ruolo che avrebbero svolto non si sa ancora molto, anche perchè il verbale di Ciancimino e le intercettazioni fra Romano e Lapis restano secretate.
Top secret pure le parziali ammissioni dell’avvocato Lapis, che al processo per il tesoro di Ciancimino è stato condannato in appello a 5 anni, per intestazione fittizia di beni.
Sarebbe stato lui a gestire in prima persona le mazzette ai capi-partito e ai capi-corrente, probabilmente per agevolare l’aggiudicazione di alcuni lavori di metanizzazione in lungo e in largo per la Sicilia.
Oppure, per ringraziare di appalti già assegnati.
Nei dialoghi intercettati con Romano, l’avvocato parlerebbe anche di un “emendamento” da presentare alla Camera.
Di certo, un milione e mezzo di euro furono prelevati dal conto “Mignon” di Ciancimino, presso il Credit Lyonnais di Ginevra.
E ufficialmente, non si sa che fine abbiano fatto.
A chiamare in causa Romano ci sarebbero anche altre parole di Ciancimino e Lapis, pure queste intercettate nel 2004.
Da una microspia emergerebbero soprattutto le considerazioni del figlio dell’ex sindaco, che dopo aver esaminato un foglio con nomi e cifre sbotta: “Ma 300 mila euro per Romano non sono troppi?”.
Lapis risponde: “No, una parte sono per il presidente”.
Il presidente Cuffaro.
Salvo Palazzolo
(da “La Repubblica“)
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
IL FIDANZATO, UNA SCHIERA DI LEGALI, I MILIONI DI BERLUSCONI….LA RETE DI PROTEZIONE CHE SALVA IL PREMIER E VUOLE SABOTARE L’INCHIESTA…”SILVIO MI DARA’ ALTRI SOLDI, TI POSSO ANCHE DARE DUE MILIONI DI EURO”
La rete attorno a Ruby si stringe presto, quando ancora nessuno la conosce, mesi prima che scoppi lo scandalo della minorenne che rivela il bunga-bunga di Arcore.
È una rete fatta di persone (l’impresario Lele Mora, l’avvocato Luca Giuliante, il “fidanzato” Luca Risso, la “consigliera ministeriale” Nicole Minetti) e di soldi, tanti soldi.
E, sopra tutti, Niccolò Ghedini, che veglia silenzioso sulle sorti del presidente del Consiglio.
La rete di protezione e di contenimento scatta dopo la notte in questura, il 27 maggio 2010, quando a tirar fuori dai guai Ruby (ma soprattutto Silvio Berlusconi) viene mandata Nicole Minetti.
Poi scattano Mora, Giuliante, Risso.
Il culmine dell’“attività inquinatoria” è raggiunto nella notte del 6 ottobre 2010, quando Karima El Mahrough, in arte Ruby, viene “interrogata”, e non dai magistrati.
Ora le carte depositate dalla procura di Milano rivelano chi l’ascolta, quella notte, e la interrompe quando arriva “alle scene hard con il Pr…”: l’avvocato Giuliante, alla presenza di Lele Mora, dell’“emissario di Lui” e di una donna che verbalizza.
Ma andiamo per ordine.
L’avvocato Giuliante “protegge” Ruby già nel luglio 2010.
Ecco che cosa scrivono in un loro rapporto del 31 luglio 2010 i responsabili della comunità genovese Kinderheim Sant’Ilario, dove Ruby aveva l’obbligo di risiedere: “Venerdì 23 luglio 2010, Karima esce e rientra in Kinderheim con l’avvocato Giuliante intorno alle ore 19 (…). Scaricano valigie con indumenti dalla macchina, le dà danari imprecisati e dice che nei bagagli c’è l’oro della ragazza. Karima viene ripetutamente invitata a consegnare i gioielli in Direzione per metterli in cassaforte, ma la ragazza tergiversa e non li consegna. Mette le valigie in camera e lascia gli indumenti sparsi per terra senza ordinarli nell’armadio. Rubi esce e non torna per la notte, rientra il 26/7 accompagnata dall’avvocato Giuliante intorno alle ore 21”.
Continua la relazione: “Precedentemente l’Avv. aveva telefonato assicurando il suo interessamento per riportare la ragazza. Karima sale in camera mentre le educatrici (…) sono con l’Avv. La ragazza dice di aver trovato la porta rotta e che sono spariti i suoi oggetti d’oro. L’Avvocato consola la ragazza dicendole che la signora Diana Mora glieli avrebbe ricomprati ancora più belli. (…) Karima (…) viene invitata a sporgere denuncia formale presso il comando dei Carabinieri di Nervi, nel pomeriggio alle ore 16 insieme alla responsabile. Karima esce dicendo di dover andare dall’estetista e che sarebbe venuta autonomamente dai Carabinieri. Non si presenta. Si presenta dai Carabinieri in data 29/7/10 e fa la sua denuncia”.
I responsabili della comunità notano una sorta di “conversione” verso la fine del mese: “Dal 27/7/10 non è più uscita di sera. Esce con una ragazza regolare. Chiede di poter cucinare il shushi per tutte le ragazze. Invece di andare al cinema, come consentito, ritorna con due film in cassetta, ‘per risparmiare’. Mostra alla responsabile le fotografie del suo fidanzato siciliano con il quale ha convissuto per quattro anni e dice che intendono sposarsi alla fine di novembre”. La scena cambia in autunno.
Ruby frequenta a Genova le discoteche Fellini e Albikokka e ha stretto un rapporto con Luca Risso, che le gestisce. “Se io vengo lì e lo sa qualcuno, son rovinato”.
È il primo settembre 2010.
Il caso Ruby scoppierà soltanto un mese e 26 giorni dopo. Ma Risso è già preoccupato.
Karima El Mahrough, in arte Ruby , gli chiede di passare la notte con lei. “Se io vengo lì, e lo sa qualcuno, io perdo due milioni di euro”.
Forse è preoccupato che lo venga a sapere la sua fidanzata, Serena, a cui ha intestato le sue proprietà .
Ma Ruby lo rassicura: “Eh… dato che ho avuto una notizia non bella, ma bellissima… Visto che il mio caro Silvio mi darà altri soldi, te li posso anche dare due milioni di euro… Basta che la lasci, cazzo”.
Luca frena: “No, non posso”. E Ruby, allora: “Scherzo… no, sto scherzando… No, non lo viene a sapere nessuno, non ti preoccupare”.
Luca. “No Ruby, io ti giuro, io verrei, mi farebbe veramente piacere. Io ho paura però che tu poi tu mi scleri, tu ciocchi, tu lo dici a qualcuno”.
Ruby: “Ma minchia, l’hai visto, sto cercando di cambiare in tutti i modi”.
Luca: “Questo è vero, su questo son d’accordo, hai ragione questo è vero”.
Ruby ride: “Grazie, ah meno male, dai ti sto aspettando, ciao”.
Luca: “Arrivo tra un quarto d’ora, venti minuti”.
Ruby, all’inizio del settembre 2010, è dunque sicura che “il mio caro Silvio” le darà soldi, molti soldi.
Otto giorni dopo, il 9 settembre, la ragazza chiede a Risso di portarla a Milano: deve riscuotere.
“Lunedì… lunedì mi devi accompagna… Ahò! Mi fai parlare? Mi devi accompagnare”.
Luca: “Dove?”. Ruby: “A Milano”.
Luca: “A cosa fare?”. Ruby: “Eh, mi devono dare i soldi”.
Luca: “Eh amore, io lunedì… A che ora?”.
Ruby: “Lunediiiiii… l’importante è che sia dalla fascia delle otto del mattino fino alle cinque di pomeriggio. Hai tempo? L’ufficio della segreteria di Silvio è aperto in questo orario. deve dare 7 mila euro, sinceramente, e mi servono, perciò ci andiamo. E in treno non ci posso andare perchè ci sono sempre i controllori, non voglio rischiare un cazzo”.
Intanto i “guardiani” di Ruby si danno da fare.
Il 3 ottobre l’avvocato Giuliante chiede a Luca Risso di mandargli articoli di giornale su Ruby e s’informa se è stato citato anche Lele Mora.
Due giorni dopo, Giuliante fissa a Risso un incontro da Lele Mora, per le ore 19 del giorno seguente: “Ciao Luca, domani alle 19 in viale Monza 9: se possibile ti chiederei di venire solo”.
La mattina del 6 ottobre, Risso chiede di anticipare l’incontro alle ore 17. Ma poi arriva in viale Monza alle 17.45 e avvisa subito ,Giuliante.
Alle 18.47 Ruby chiama Luca Risso e gli dice di essere arrivata anche lei a Milano. Si danno appuntamento per andare insieme da Giuliante.
Scrivono gli investigatori: “Luca chiede a Ruby dove si trova e con chi e aggiunge di essere anche lui a Milano e che tra mezz’ora passa a prenderla. Ruby di essere con Sana in corso Buenos Aires e Luca le dice che l’amica non può stare con loro quindi deve farle prendere un treno e mandarla a casa.
Ruby replica che Sana non lo farà e comunque lei sa tutto.
Luca le chiede cosa sa e poi aggiunge che deve smetterla.
Ruby dice che l’ha visto e a quel punto Luca, che pensava altre cose, si tranquillizza.
Luca dice che questa sera si devono vedere con Giuliante.
Si sente Ruby che parla in arabo. Poi Luca dice a Ruby di vedersi in piazzale Loreto all’inizio con via Monza”.
Si avviano così alla riunione cruciale.
Raccontata in diretta da Risso, via sms e poi al telefono, alla sua fidanzata ufficiale, Serena.
Alle 23.42 Risso scrive: “Io sono ancora qui… È sempre peggio quando ti racconterò (se potrò) ti renderai conto… Siamo solo a gennaio 2010 e in mezzo ci sono pezzi da 90”. Poi, alle 22.43, le spiega meglio al telefono. Risso: “Sono nel mezzo di un interrogatorio allucinante… Ti racconterò ma è pazzesco!”. Serena: “Stai attento… ricordati grano”.
Alle 23.47 Serena chiede, via sms: “Ma dove sei? Perche stanno interrogando Ruby? E perchè tu ascolti tutto? C’è Lele o solo l’avvocato?”.
Risso risponde: “C’è Lele, l’avv., Ruby, un emissario di Lui, una che verbalizza… Cmq tranquilla, è tutto molto tranquillo. Sono qui perchè pensano che io sappia tutto”.
Alle 12.39, Luca Risso chiama Serena. “Sono ancora qua. Ora sono sceso un attimino sotto, sono venuto a far due passi… Lei è su, che si son fermati un attimino perchè siamo alle scene hard con il Pr… con con una… con la persona… Sì, si, guarda, ti racconterò tutto”. Serena: “Va bè, non dirmelo per telefono”. Luca: “No no, infatti, brava brava, perfetto”.
Il 22 ottobre, i pm Forno e Sangermano scrivono che a stare addosso a Ruby è anche Lele Mora: “I brani dialogici finora captati rendono evidente come la minore parte lesa Ruby sia oggetto di una frenetica attività di interessamento e pressione condotta nei suoi confronti da terzi, di cui uno degli epicentri è Mora Dario inteso Lele, ovvero il soggetto che si ipotizza possa averla indotta alla prostituzione. La natura di questa attività , la eventuale partecipazione ad ‘interrogatori’ della minore di soggetti controinteressati rispetto alla tutela delle ragioni della stessa (e rispetto alla tutela della stessa integrità morale della minore), quali l’indagato Lele Mora o imprecisati ‘emissari’ ivi inviati da terze persone, evidentemente preoccupate per il patrimonio di conoscenze detenuto dalla parte lesa, lascia ipotizzare che sia in atto una pregnante attività inquinatoria. Tale attività di inquinamento probatorio, di cui è ragionevole ipotizzare la sussistenza stante gli elementi sopra dedotti, influisce significativamente sulla veridicità delle dichiarazioni rese dalla minore a questa Autorità Giudiziaria; ciò perchè, evidentemente, chi si attiva, nella ipotesi indiziaria quivi percorsa, per ‘inquinare’ la prova, è bene a conoscenza, sia del tenore delle dichiarazioni rese dalla minore a questa Autorità Giudiziaria, ovvero si preme su di lei per conoscerne il contenuto, sia del loro fondamento, atteso che in caso contrario, non sarebbe necessario assumere condotte così pregnanti nei confronti della sunnominata parte lesa”.
In agosto, Ruby continua a essere accudita da Giuliante e Mora.
L’8 agosto parla con Diana, la figlia di Mora che ha già tentato di averla in affido, per “liberarla dalla comunità dove parla troppo.
Ruby “riferisce alla Diana che Giugliante viene a prenderla il 18 con la Giulia e vanno a Portofino. Diana conferma l’appuntamento per il 18 o il 19, dipende da quello che dice Gugliante.
Ruby dice alla Diana che tanto loro due si vedono mercoledì”.
Ruby: “Minchia ma mi sta rompendo i coglioni quelli del dottor Forno”.
Diana: “Ancora?”.
Ruby: “Minchia, torna il 18, cioè manco a Ferragosto ti fa stare bene questo giudice del cazzo, poi si chiude nella stanza dalle 8 fino alle 8, sembra che ci ha l’orario che è apposta per me fatto per lavorare quello, minkia non vedo l’ora che vada in pensione”.
Diana: “Va be, dai, porta pazienza”.
Ruby: “Ma poi non vuole arrivare a me, cioè lui il suo interesse non è arrivare a sapere cosa faccio io, lui vuole arrivare a colpire Silvio Berlusconi, che per lui è diventata una tragedia, e Lele Mora, capito?”.
A un’amica, Ruby il 26 ottobre confessa: “È venuto il mio avvocato, ha detto: Ruby, dobbiamo trovare una soluzione… è un caso che supera quello della D’Addario e della Letizia, perchè tu eri proprio minorenne… Adesso siamo tutti preoccupatissimi”.
E in un’altra conversazione: “Il mio caso è quello che spaventa più di tutti… Il mio avvocato se n’è appena andato… gli ho detto: io ho parlato con Silvio, gli ho detto che ne voglio uscire di almeno con qualkcosa… cioè mi da 5 milioni”.
Ma alla fine entra in scena lui, Niccolò Ghedini.
È l’avvocato di Silvio Berlusconi, ma Ruby lo considera anche il suo difensore. Lo dice apertamente a un collaboratore di Luca Risso, Marco Proverbio, che organizza “eventi” al Fellini.
Ruby: “Ma guarda… guarda, tra lui e Raoul, li sto, li stooo, li sto io messa incaricati due avvocati, perchè io c’ho due avvocati migliori di Milano”.
Marco: “Ma va?”.
Ruby spiega: “Uno è Dinoia, quello che era diii… l’avvocato di Di Pietro, e l’altro è Ghedini, che sarebbe anche l’avvocato diiii, di Silvio”.
Gianni Barbacetto e Antonella Mascali
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
ECCO LA LETTERA CON CUI MONICA RIZZI CHIEDEVA L’INTERVENTO DELL’ASSESSORE AL LAVORO LEGHISTA DI BRESCIA PER BLOCCARE L’ATTIVITA’ ISPETTIVA DI UNA FUNZIONARIA, PENA SEGNALAZIONE ALLE AUTORITA’ SUPERIORI….”MANDATELA A CALCI NEL CULO IN BURUNDI” SCRIVEVA LA RIZZI CHE NEGAVA ANCHE CHE LA LETTERA ESISTESSE: ORA E’ STATA PUBBLICATA DAL FATTO… PER FORMIGONI NON E’ MOTIVO DI DIMISSIONI?
La Lega a Brescia e a Milano è alle prese con il giallo della lettera scomparsa. Ne ha rivelato l’esistenza il “Fatto Quotidiano”, il 10 marzo.
È una missiva inviata via fax all’assessore al lavoro della Provincia di Brescia, il leghista Giorgio Bontempi.
Firmata da Monica Rizzi, assessore regionale allo sport.
Nella lettera, la pasionaria leghista si lamenta con il compagno di partito per il comportamento di una funzionaria dell’ispettorato provinciale del lavoro, la dottoressa Papalia.
Colpevole, pensate un po’, di aver fatto i controlli di legge anche in aziende, la Team 2 e la Monteverde, in cui è coinvolto il fidanzato della Rizzi, l’imprenditore Alessandro Uggeri.
“La Monteverde srl”, scrive Rizzi il 16 luglio 2010, “è stata oggetto nelle settimane passate di tre — diconsi tre — ispezioni a cura dell’Ispettorato provinciale del lavoro nell’arco di 15 giorni”.
“Le citate ispezioni evidenziano quantomeno un’anomalia”: sono troppe ed “eccessivamente invasive”.
Minaccia finale: “Qualora tali azioni dovessero venire reiterate… mi riservo, nella mia qualità di pubblico amministratore, di effettuare una dettagliata segnalazione agli Enti preposti a livello regionale e centrale, per i provvedimenti di rispettiva competenza”.
“Questa lettera non esiste”, ha risposto Monica Rizzi.
“Non mi è mai arrivata”, ha confermato il destinatario.
Inesistente o scomparsa? Il “Fatto” la pubblica qui sopra.
Dunque esiste, anche se qualcuno ha pensato bene di farla sparire, per ora, in qualche cassetto.
Vedremo se riuscirà ad aprire quel cassetto il segretario generale della Provincia di Brescia, Giuseppina Fiorentino, che la sta cercando per obbligo di trasparenza amministrativa dopo le pressanti richieste dell’opposizione, Pd e Idv.
Non la troverete, ripete Monica Rizzi, che in un altro messaggio, più informale, auspicava che l’ispettrice Papalia (la quale oltretutto è anche meridionale) fosse “rimandata a calci in culo in Burundi”.
I vertici del Carroccio, preoccupati di dimostrare la “diversità ” della Lega e la sua correttezza, sono inquieti.
Umberto Bossi non ne vuole più sapere della donna che ha aiutato suo figlio, il Trota, ad essere eletto in Regione Lombardia con i voti della Valcamonica, patria di Monica Rizzi.
Giancarlo Giorgetti e Davide Caparini le hanno chiesto spiegazioni.
Perchè la letteraccia a sostegno del fidanzato è solo l’ultimo scivolone della assessora, che si qualifica “psicologa” e “psicoterapeuta infantile”, addirittura in collaborazione “con il Tribunale dei minori di Brescia”, senza avere nè laurea nè titoli.
Il suo nome nell’Albo degli psicologi non c’è, tanto che la procura ha aperto un’indagine per abuso di titolo.
Darà spiegazioni ai suoi capi, Giorgetti e Caparini, appena si sarà rimessa dal viaggio spirituale che ha appena terminato: a Santiago di Compostela e forse anche Medjugorje, in compagnia del fidanzato Uggeri e della sua guida spirituale, la maga Adriana Sossi, autrice del libro “La mia vita con gli spiriti” e in contatto, beata lei, con “un extraterrestre della galassia di Oron”, ma soprattutto beneficiaria di una piccola collaborazione remunerata (4 mila euro) con la Regione di Roberto Formigoni.
Ma Monica Rizzi ha promesso: spiegherà tutto.
Gianni Barbacetto
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
A PALAZZO CHIGI ORA IL MINISTRO SI TROVERA’ IN UNA SITUAZIONE INCREDIBILE: DOVRA’ VOTARE SUL COMUNE INFILTRATO DALLA MAFIA GUIDATO DA SUO ZIO….ROMANO E’ ANCHE ACCUSATO DI CONTIGUITA’ ALLA MAFIA E DI AVER INTASCATO UNA MAZZETTA DI 80.000 EURO
La richiesta di archiviazione della Procura per Saverio Romano ruota attorno a una parola: «Contiguità », così ha scritto il pm Nino Di Matteo.
Contiguità di un politico con ambienti mafiosi, che non basta certo per chiedere un processo, ma è sufficiente per alimentare più di un dubbio.
Lo stesso dubbio che ha espresso il Quirinale.
Anche perchè, secondo la Procura, quella «contiguità » sarebbe provata dalle dichiarazioni di un pentito «attendibile» e «riscontrato»: è Francesco Campanella, l’insospettabile ex presidente del consiglio comunale di Villabate. Ma non è solo una richiesta di archiviazione a pendere su Romano.
La Procura lo tiene ancora sotto inchiesta per corruzione aggravata, dopo le dichiarazioni di Massimo Ciancimino: il supertestimone dei pm ha raccontato che nel 2004 avrebbe recapitato a Romano una mazzetta da 80 mila euro, tramite un intermediario, per un’attività di lobbying attorno ai finanziamenti della metanizzazione.
È quella parola, «contiguità », a unire storie di frequentazioni equivoche e di incontri al confine fra il penalmente irrilevante e il moralmente discutibile.
Storie che stanno tutte dentro la sentenza della corte d’appello di Palermo che ha aperto le porte del carcere all’ex governatore Totò Cuffaro, il più vicino compagno di viaggio di Romano.
È proprio quella sentenza a ricordare che vent’anni fa dubbi e perplessità furono recapitati ai due giovani virgulti della Dc dall’allora ministro Mannino, il loro maestro.
Con tanto di sonoro rimprovero per un’iniziativa azzardata.
Romano e Cuffaro erano andati nel salotto dell’imprenditore Angelo Siino, un incensurato che era il ministro dei Lavori pubblici di Riina.
Era la vigilia delle regionali, che vedevano Cuffaro in corsa: «A Siino fu chiesto sostegno elettorale», dice la sentenza.
Siino ha raccontato che era stato l’allora ventisettenne consigliere provinciale Romano a organizzare l’incontro.
In quel 1991 la carriera del giovane avvocato di Belmonte Mezzagno era ancora agli inizi: alle spalle la scuola politica di Mannino e l’attività da segretario regionale dei giovani Dc, fra i quali militava anche il Guardasigilli Alfano.
La corsa di Romano sarebbe scattata dieci anni dopo, nel 2001 che passerà alla storia per il 61 a 0 del Polo in Sicilia.
L’avvocato diventa deputato, proprio quando Cuffaro viene eletto governatore. Di lì un cammino a braccetto, nell’Udc dai numeri bulgari di cui Romano sarà il segretario regionale.
Il 2001 segna anche l’inizio di un altro capitolo della sentenza Cuffaro.
È ancora Campanella, l’uomo che fornì la carta d’identità al boss Provenzano, a narrarlo.
Scrivono i giudici: «Campanella incontrò Romano per chiedergli l’inserimento di Giuseppe Acanto nella lista Biancofiore e ciò riferendogli espressamente che si trattava di un candidato sostenuto dal gruppo di Villabate e da Antonino Mandalà ».
Ovvero dall’insospettabile avvocato che era il mafioso più influente al soldo di Provenzano (è stato condannato a 8 anni).
Concludono i giudici: «Romano assicurò l’inserimento del candidato (…) mandando i saluti per Mandalà ».
Ecco i sospetti che hanno accompagnato l’ultimo tratto del viaggio di Romano: sempre indagato, mai imputato, negli anni dell’ascesa e della caduta del gemello Totò.
Fino al bivio: Cuffaro in carcere, Romano ministro.
E una delle questioni più imbarazzanti che potrebbe presto affrontare a Palazzo Chigi riguarda il suo paese, Belmonte, amministrato dallo zio Saverio Barrale.
Il Viminale ha inviato tre ispettori per verificare eventuali infiltrazioni mafiose nel Comune.
Come si comporterà Romano se Maroni ne dovesse proporre lo scioglimento?
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Marzo 25th, 2011 Riccardo Fucile
“LO STATO GUADAGNA IL 50% DEL PREZZO ALLA POMPA: PERCHE’ NON HA RINUNCIATO A UNA PICCOLA QUOTA INVECE CHE GRAVARLA SUI CITTADINI?”… “ELEVARE L’ACCISA E’ PURA FOLLIA CON IL PREZZO DELLA VERDE AL TOP”…GIUSTO RESTITUIRE QUALCOSA AI BENI CULTURALI, MA COSI’ AUMENTERANNO ANCHE I PREZZI AL CONSUMO
Per il governo è «un piccolo sacrificio che gli italiani saranno contenti di fare», per i consumatori, invece, è solo «pura follia».
La decisione di finanziare il Fondo unico per lo spettacolo aumentando i costi fiscali del carburante ha messo d’accordo – per una volta – benzinai, petrolieri e automobilisti.
Tutti pronti a dire che alla cultura, quei soldi, spettano di diritto, ma tutti convinti che il metodo scelto sia sbagliato e che il momento sia inopportuno.
Aumentare l’accisa sulla benzina di 1 o 2 centesimi, come ieri il Consiglio dei ministri ha stabilito, significa – secondo l’Adiconsum – far sì che alla fine dell’anno ogni veicolo costi fino a 20 euro in più.
Il calcolo è presto fatto: «mediamente ogni veicolo percorre 15 mila chilometri e consuma mille litri di carburante l’anno, da lì il fatto che il costo possa variare fra i 10 e i 20 euro annui».
Ma al di là dell’esborso in sè, quello che più fa arrabbiare le associazioni è che il ritocco delle accise arriva proprio mentre il prezzo dei carburanti – grazie alla guerra in Libia e alle speculazioni – naviga in piena tempesta.
Non solo: all’aumento dei costi diretti sul pieno, vanno aggiunti quelli indiretti misurati attraverso il maggiore peso che la voce «trasporti» avrà sui listini al consumo.
«La misura è assurda» commenta l’Adoc, «tanto più che le famiglie, a causa dei rincari, hanno già subito un danno di 300 euro».
«Siamo alla follia più totale», attaccano Adusbef e Federconsumatori, «l’aumento è estremamente dannoso, con gli attuali prezzi, l’erario, grazie all’incremento della tassazione, potrebbe guadagnare ben 1 milione e 800 mila euro l’anno. Per il giusto e dovuto finanziamento al Fus, piuttosto che pescare ancora una volta dalle tasche dei cittadini, perchè lo Stato non rinuncia a una fetta dei cospicui proventi che, tramite le attuali accise, già percepisce dalla vendita dei carburanti?».
Di fatto solo un paio di giorni fa, al tavolo convocato allo Sviluppo economico, consumatori e benzinai avevano chiesto al governo di bilanciare le speculazioni in corso riducendo le accise.
«Il governo non si era impegnato a farlo – commenta Luca Squeri, presidente di Figisc-Confcommercio, l’associazione dei benzinai – ma di certo non pensavamo che al posto di una riduzione potesse arrivare un aumento. Tanto più che i consumi sono in calo e che molti piccoli gestori sono costretti a chiudere».
La componente fiscale (imposta di fabbricazione sui carburanti più Iva) pesa per il 50 per cento circa sulla determinazione del prezzo finale di benzina e diesel. «La tentazione di utilizzare questo canale in momenti di emergenza è forte – commenta Squeri – aumentare le accise allo Stato non costa nulla e l’entrata è sicura e veloce».
La decisione del governo, per Pasquale De Vita, presidente dell’Unione Petrolifera va dunque «nella migliore tradizione italiana».
Di fatto, ricorda Rosario Trefiletti di Federconsumatori «accise a parte sul carico fiscale della benzina pesa anche il decreto Milleproroghe che permette alle regioni di elevare ulteriormente l’imposta in caso di calamità naturali».
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