Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
MARTA VALENTE, LA STUDENTESSA SALVATA, COSTRETTA AD APPELLARSI A NAPOLITANO: HA UNA INVALIDITA’ DEL 75% MA NON GODE DELLO STATUS DI TERREMOTATA… “NON CHIEDO FAVORI, SOLE CHE VENGA RICONOSCIUTA LA SOFFERENZA”
Andrea, Aldo, Liberato, Antonella… Ricorda il nome dei suoi soccorritori uno ad uno.
E di notte è perseguitata dagli incubi: il boato e poi le urla strazianti e i gemiti delle persone che non ce l’hanno fatta, inghiottite da cemento e mattoni nel palazzo di via Generale Francesco Rossi 22, venuto giù come burro (è in corso un procedimento penale per accertare le responsabilità del crollo) nonostante le rassicurazioni.
Diciotto gli studenti che lì hanno perso la vita.
Come le sue migliori amiche, Federica Moscardelli e Serena Scipione, e l’altra inquilina che condivideva con lei l’appartamento, Ivana Lannutti.
Ora però Marta Valente, la studentessa salvata dopo 23 ore trascorse sotto le macerie a L’Aquila, è una persona nuova.
Un anno fa ha completato gli studi nell’ateneo del capoluogo abruzzese e si è laureata in Ingegneria gestionale con il massimo dei voti, la lode e una menzione speciale.
Subito dopo, ha vinto un dottorato di ricerca nella stessa università e trovato lavoro all’interno di una società consortile che gestisce in Abruzzo il Polo di innovazione del settore agroalimentare.
Marta ha fatto tutto con le proprie forze. E ci è riuscita.
Ma, a distanza di quasi tre anni dall’incubo del 6 aprile, denuncia: sono stata dimenticata dallo Stato.
Malgrado il terremoto l’abbia danneggiata dentro e fuori, consegnandole tra i ricordi più cattivi una vasta e impressionante cicatrice sulla testa e la quasi totale insensibilità del piede sinistro, lei — come gli altri studenti fuori sede che a L’Aquila hanno lasciato la pelle o si sono salvati per miracolo e coloro che, pur lavorando all’interno del territorio colpito, non risultavano residenti — non gode, ironia della sorte, dello status di terremotata.
«È stata data importanza alla ricostruzione delle prime e delle seconde case ma non alla ricostruzione personale di chi, come noi, ha subito danni realmente documentabili».
Dopo essere stata estratta dalle macerie, Marta è stata ricoverata in strutture ospedaliere per 102 giorni.
Una volta uscita, ha dovuto pagare anche parte delle spese mediche e farmacologiche sostenute per i danni causati dal sisma.
Non è stata mai risarcita per la perdita di tutti i suoi beni personali o per il calvario a cui da allora si sottopone, quotidianamente o periodicamente, tra sedute di fisioterapia e riabilitazione per recuperare il normale movimento delle gambe, interventi chirurgici per migliorare il danno estetico alla testa, terapie per metabolizzare lo choc subito a livello psicologico.
Finora ha speso più di centomila euro per la propria “ricostruzione”.
Le è stata riconosciuta un’invalidità del 75% ma, racconta lei stessa, «non essendo residente nei comuni del cosiddetto cratere, non ho avuto la possibilità di accedere alle agevolazioni concesse ai residenti, ad eccezione del contributo di 200 euro per autonoma sistemazione che, nel mio caso, è stata più che altro ospedaliera».
Marta ha preso carta e penna e, con l’aiuto del suo avvocato, Tommaso Navarra, ha scritto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, chiedendo tutele per quei terremotati che la burocrazia ha dimenticato.
«Non chiediamo elargizioni – spiega l’avvocato — vogliamo solo che chi è colpito da eventi naturali sia tutelato in qualche modo dalla comunità e soprattutto che la sua sofferenza morale, fisica e materiale venga riconosciuta».
Due le risposte avute dal Capo dello Stato tramite la Prefettura di Teramo.
La prima per dimostrare a Marta «solidale vicinanza» e la seconda per informarla che «questa sede — così si legge nella lettera del Segretariato Generale della Presidenza – ha provveduto a segnalare al Dipartimento della Protezione Civile quanto auspicato dalla stessa in ordine all’estensione di agevolazioni analoghe a quelle previste per i residenti nel territorio colpito dal sisma nonchè ad iniziative volte a favorire l’inserimento nel mondo del lavoro delle persone che hanno subito gravi lesioni personali».
La lettera del Presidente della Repubblica è datata 29 settembre 2010.
Da allora, racconta Marta, non sono arrivati segnali nè dalla Protezione civile nè dalla struttura commissariale o da altro ente e organo deputato a farlo.
Nicola Catenaro
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
IL MINISTRO DEL WELFARE FORNERO RIVEDRA’ ANCORA LE PARTI SOCIALI
I contraccolpi del mancato accordo sul lavoro stanno mettendo sotto duro stress il governo. 
Per la prima volta dal Pd arrivano esplicite prese di distanze, insieme con l’avvertimento che andare avanti così proprio non si può.
Manco a dirlo, dall’altra parte si schierano con Monti e contro la Cgil.
Cosicchè il passaggio delle prossime ore si annuncia alquanto stretto.
Il presidente del Consiglio ufficialmente non ha rinunciato a varare domani la sua riforma (sebbene il tam-tam politico-sindacale ipotizzi un rinvio a quando tornerà dal lungo viaggio in Estremo Oriente).
Però un conto è se presenterà questa riforma alle Camere come un «prendere o lasciare», altra cosa se il Professore si farà umile e terrà conto del futuro dibattito in Parlamento.
Dal Pd un po’ gli intimano un po’ lo scongiurano di imboccare questa seconda strada, in modo da apportare con calma le correzioni necessarie, specie sull’articolo 18. Diversi segnali lasciano intendere che alla fine sarà proprio questa la scelta di Monti.
Dunque niente decreto legge, che verrebbe interpretato a sinistra come una inaccettabile forzatura (lo stesso Napolitano negherebbe la controfirma).
E con ogni probabilità Monti non opterà nemmeno per un disegno di legge, dove comunque andrebbe subito inserito nero su bianco il pomo della discordia legato alla cosiddetta «flessibilità in uscita» (leggi: meno vincoli ai licenziamenti).
Il presidente del Consiglio sembra al momento orientato verso una legge delega. In altre parole, il governo sottoporrà al Parlamento alcuni criteri di riforma molto generali, altamente condivisibili e politicamente inoffensivi, riservandosi di definire i dettagli concreti attraverso, appunto, i decreti delegati.
Che potranno arrivare in un momento successivo, per esempio una volta scavallate le elezioni amministrative di maggio.
Capiremo meglio stasera, dopo la riunione tra Monti, Fornero e parti sociali.
Il Capo dello Stato fa intendere che, tra tutte le soluzioni sul tavolo, lui preferisce la più dialogante.
L’assedio nei confronti del premier è tale che perfino il ministro Barca (Coesione territoriale) esprime dubbi sulla nuova formulazione dell’articolo 18.
Dal Pd è in atto un vero e proprio martellamento.
Di prima mattina sono scesi in campo i capigruppo Finocchiaro e Franceschini per sbarrare la strada all’eventuale decreto.
Più tardi ha fatto rumore uno sfogo a voce alta, in modo che i giornalisti lo udissero, del segretario Bersani con l’ex-ministro Damiano:
«Se devo concludere la vita dando il via libera alla monetizzazione del lavoro, non lo faccio… Per me sarebbe inconcepibile».
Più tardi il segretario è andato da Vespa a spiegare che ci sarebbero ancora margini di intesa con Cgil, qualora per i licenziamenti dettati da ragioni economiche si usasse lo stesso metro di quelli disciplinari (intervento del giudice).
Ma il vero colpo di avvertimento l’ha sparato a sera Rosy Bindi, presidente del partito: «Il governo e il presidente del Consiglio vanno avanti se rispettano la dignità di tutte le forze politiche» (altrimenti di strada se ne fa poca, è il sottinteso).
E il Pdl? Con Alfano difende la riforma, «si è trovato un buon punto di equilibrio dal quale non si dovrà arretrare in Parlamento».
Tuttavia nessuno pretende un decreto, al massimo viene auspicato.
E quasi tutti al vertice Pdl sono ormai rassegnati alla legge delega che, sotto sotto, evita pericolose radicalizzazioni.
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
SI TEME L’USO INDISCRIMINATO DELLE ESPULSIONI INDIVIDUALI: BASTA RIORGANIZZARE UN REPARTO…CANCELLANDO IL DIRITTO AL REINTEGRO, SI E’ ANDATI OLTRE IL MODELLO TEDESCO….DUBBI NEL GOVERNO: SERVONO PIU’ TUTELE CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Il rischio è un’impennata di cause. Il pericolo è un caos giurisprudenziale. Il sospetto è l’uso indiscriminato del licenziamento individuale anche per mascherare quello collettivo e disciplinare. L’indennizzo come regola che svuota l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, relegando il reintegro ai soli e più rari casi di discriminazioni (sesso, religione, credo politico), si candida ad essere una vera bomba sociale.
Per la prima volta in Italia, sarà il giudice a decidere tra indennizzo e reintegro, come avviene in Germania.
Ma a differenza di Berlino, da noi questo accadrà solo per i licenziamenti illegittimi per “motivi soggettivi”, cioè i licenziamenti disciplinari (lavori male, non fai il tuo dovere, sei assente ingiustificato).
Compresi – si legge nella bozza della riforma del lavoro – quelli motivati «dall’inidoneità fisica o psichica del lavoratore» e quelli intimati a dipendenti malati o infortunati perchè superano il periodo di malattia, ad esempio.
Per tutti gli altri casi, ovvero i licenziamenti per “motivo oggettivo”, in pratica i licenziamenti economici, il modello tedesco è di gran lunga surclassato.
Il reintegro non sarà mai possibile, il giudice deciderà un indennizzo compreso tra 15 e 27 mensilità , l’azienda non dovrà aprire uno stato di crisi (come nei licenziamenti collettivi) nè avvertire i sindacati, ma si limiterà a inoltrare una richiesta di conciliazione alla Direzione territoriale del lavoro e al lavoratore, in cui indicherà i motivi oggettivi e «le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione».
Se la Direzione non convoca azienda e lavoratore entro 7 giorni o se la conciliazione fallisce, si ufficializza il licenziamento.
Se la mediazione funziona, il lavoratore potrà fruire di un voucher, un buono per il supporto delle Agenzie per il lavoro a trovare un altro posto.
Novità dell’ultima ora, queste, inserite dal governo per addolcire una pillola che rimane amarissima.
Ne è consapevole lo stesso esecutivo, visto che il ministro per la Coesione territoriale Barca si chiede come fare a distinguere tra licenziamenti discriminatori, disciplinari ed economici.
«Un lavoratore per il quale è stato chiesto il licenziamento per motivi economici come tutelerà il proprio diritto se invece ritiene di essere stato discriminato? Penso anche ai lavoratori iscritti alla Fiom», chiude a sorpresa Barca che poi, sui nuovi assunti nella Fiat di Pomigliano, di cui nessuno iscritto al sindacato di Landini, dà una stoccata a Marchionne: «Ci sono aziende che hanno trovato soluzioni non ideologiche e che non aggravano ulteriormente i problemi del Paese».
Venuta meno la deterrenza dell’articolo 18, i licenziamenti saranno obiettivamente più facili.
E gli imprenditori potranno mescolare le carte.
Con buona probabilità , quelli economici saranno disciplinari mascherati: ti licenzio perchè voglio ristrutturare, perchè gli affari vanno male, perchè voglio chiudere un settore, ma in realtà non ti voglio più in azienda perchè lavori male.
Chi distinguerà ? Il giudice è chiamato solo a decidere sull’entità dell’indennizzo.
Avrà anche il potere di qualificare il tipo di licenziamento? In quali tempi?
Un caos.
Valentina Conte –
(da “la Repubblica“)
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
DESIGNATO IL SUCCESSORE DI EMMA MARCEGAGLIA…HA PREVALSO CON 93 VOTI CONTRO GLI 82 DI BOMBASSEI
Undici voti di scarto. 
È stato un testa a testa quello tra Alberto Bombassei e Giorgio Squinzi.
Alla fine ha prevalso il patron della Mapei: il successore di Emma Marcegaglia sarà Giorgio Squinzi.
Con 93 voti su Alberto Bombassei (che ha raccolto 82 preferenze) Squinzi è stato designato dalla giunta di Confindustria.
Dopo la designazione di oggi, il 19 aprile il presidente presenterà la squadra di «governance» e il programma.
L’elezione vera e propria del successore di Emma Marcegaglia avverrà invece il 23 maggio, nel corso dell’assemblea privata degli industriali.
Il debutto pubblico ci sarà il giorno successivo alla presenza di alcuni ministri del governo.
Il nuovo presidente resterà in carica fino al 2016.
La campagna elettorale è stata la più combattuta che Confindustria abbia mai visto nella sua storia centenaria.
Con Bombassei che non si è mai arreso nemmeno i primi mesi quando era stato invitato ad accordarsi con il suo avversario per una spartizione dei posti di giunta e nelle associazioni.
Ed è la stessa divisione geografica delle preferenze che fa capire cosa è accaduto in questa elezione.
Il nord è si è espresso in maggioranza per il numero uno della Brembo: con lui sono stati Piemonte, Friuli, Emilia, quasi tutto il Veneto e buona parte della Lombardia (con l’eccezione di Assolombarda, che conferma l’assioma che chi non vince a Milano non vince nemmeno a livello nazionale).
Per Squinzi, grazie alla regia del presidente degli industriali di Roma, Aurelio Regina, si sono schierati compatti gli indusriali del centro-sud.
Alla fine, ha prevalso la campagna impostata da Squinzi, che ha promesso come il suo rivale una profonda riforma delle liturgie e – soprattutto – dell’organizzazione elefantiaca di Confindustria ma in modo più “sobrio”, come lui stesso l’ha definita. Alla fine, ha vinto il blocco che si è concentrato attorno al mondo Fininvest (Fedele Confalonieri si è speso personalmente per Squinzi) e attoprno alle società controllate dallo stato.
Sia l’ad di Enel Fulvio Conti sia quello di Eni Paolo Scaroni si sono schierati con mister Mapei, che contava anche sull’appoggio del presidente uscente Emma Marcegaglia.
La frattura ora andrà ricomposta, soprattutto tenendo conto dei colpi bassi che i due fronti si sono scambiati in queste settimane.
Lo fa capire chiaramente una delle prime dichiarazioni, quella del numero uno di ferrovie, Mauro Moretti:
“Non c’è nessuna spaccatura. Si tratta di due persone di grande personalità ed è normale aspettarsi il sostegno per entrambe -dice Moretti- Confindustria sa che l’unità è la sua forza. Sono convinto che con il contributo di tutti, Bombassei compreso, ci saranno tutte le condizioni per proseguire con un lavoro unitario”.
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
GIORGIO SQUINZI E ALBERTO BOMBASSEI ALLA VOLATA FINALE… DOPO QUATTRO ANNI L’ASSOCIAZIONE DEGLI INDUSTRIALI E’ SPACCATA IN DUE
Una cosa è certa: questa volta non ci sarà la maggioranza bulgara (126 voti su 132) che quattro
anni fa ha portato in viale dell’Astronomia a Roma la prima donna alla presidenza di Confindustria: Emma Marcegaglia.
Questa mattina alle 10, il voto dei 187 componenti della giunta certificherà comunque uno scenario di profonda divisione fra due schieramenti, guidati rispettivamente da Giorgio Squinzi e Alberto Bombassei, sino all’ultimo (il direttivo di ieri) l’un contro l’altro armati.
Ed è suspance sino all’ultimo, con Squinzi, amministratore unico della Mapei, apparso fin dalle prime battute forte di un buon vantaggio, ma con Bombassei, presidente della Brembo, fiducioso in un sorpasso in extremis.
I supporter del primo dicono che avrebbe quasi i due terzi dei voti. Quelli del secondo sostengono di avere una quindicina di voti di vantaggio.
E il fatto che si voti a scrutinio segreto non fa che aumentare il clima di incertezza.
Nonostante gli appelli al serrare le fila e al fair play, l’immagine che esce da una competizione carica di veleni è quella di una Confindustria tutt’altro che compatta proprio in un momento particolarmente delicato per il Paese: con una ripresa economica da agganciare, un clima sociale (vedi articolo 18) non propriamente idilliaco e una politica debole.
Oggi, dunque, con il voto della giunta, Confindustria sceglierà tra Alberto Bombassei e Giorgio Squinzi il presidente designato per il dopo-Marcegaglia.
Primo traguardo, decisivo, di un percorso che poi proseguirà il 19 aprile con la presentazione da parte del presidente designato della squadra dei vice e del programma di attività per il primo biennio di lavoro.
E terminerà con l’elezione vera e proprio il 23 maggio durante l’assemblea privata di Confindustria, mentre il 24 ci sarà l’assemblea pubblica.
I «tre saggi» della commissione di designazione, che per quaranta giorni hanno sondato il consenso del sistema di Confindustria e le aspettative degli industriali, presenteranno i due candidati alla giunta con un appello: che chiunque vinca coinvolga poi l’altro schieramento, al di là delle diverse visioni sul ruolo dell’organizzazione.
Squinzi, 69 anni, imprenditore chimico con la passione delle due ruote, è il candidato della «continuità nel cambiamento», in sintonia con Emma Marcegaglia.
Un moderato, che ha più volte sottolineato il valore del dialogo.
Uno che non si considera nè un falco, nè una colomba.
Bombassei, 72 anni, leader nella produzione di freni, è amante delle auto d’epoca ed è considerato un «falco».
Ha incentrato la sua corsa alla presidenza sull’obiettivo di una rifondazione dell’associazione degli industriali, con un programma di netta discontinuità .
Per questo ha avuto il sostegno «esterno» di Sergio Marchionne, l’Ad della Fiat, formalmente uscita da Confindustria a inizio 2012, dopo lo strappo dello scorso anno.
Sfumature diverse fra i due candidati anche sull’articolo 18.
Squinzi: «La licenziabilità dei dipendenti è forse l’ultimo dei nostri problemi. Io sono per il dialogo con il sindacato».
Bombassei: «Se si toglie il tappo dell’articolo 18, questo vincolo che per altro abbiamo solo noi in Europa, sarà molto più facile creare posti di lavoro per i giovani. Se non c’è accordo con le parti sociali, il Governo proceda».
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
LA SENTENZA SULLA VICENDA DELLA COMPRAVENDITA DELL’EX OLEIFICIO GASLINI… QUANDO DENUNCIAMMO CHE NON ERA OPPPORTUNO CHE MAMONE VENISSE RICEVUTO NELLA SEDE DI FLI O INVITATO A CENE CON NAN E BOCCHINO AVEVAMO VISTO GIUSTO
L’ex consigliere e il titolare della Eco.Ge Gino Mamone condannati rispettivamente a tre anni e sei e mesi e tre anni.
Erano accusati di corruzione nell’ambito della compravendita dell’area dell’ex oleificio Gaslini
Tre anni a Gino Mamone, titolare della EcoGe e tre anni e sei mesi all’ex consigliere comunale e assessore della giunta Vincenzi Paolo Striano, accusati di corruzione nell’ambito della compravendita dell’area dell’ex oleificio Gaslini di Genova.
Queste le pene decise dal tribunale di Genova. Il pm Francesco Pinto aveva chiesto 3 anni e 6 mesi di reclusione per Momone e 4 anni per Striano.
Gino Mamone, leader e fondatore della Eco.Ge, è stato riconosciuto colpevole dai giudici del tribunale penale di Genova del reato di corruzione. Secondo il pm Francesco Pinto l’imprenditore genovese, specializzato nelle demolizioni e nelle bonifiche industriali, avrebbe dato centomila euro all’ex consigliere comunale e, poi, assessore allo Sport della giunta Vincenzi Paolo Striano, e all’ex consigliere comunale dei Ds nella giunta Pericu II, Massimo Casagrande, così da spingerli ad agevolare l’iter burocratico necessario alla conversione dell’area dell’ex Oleificio Gaslini, di sua proprietà .
Casagrande aveva patteggiato la pena di due anni e sei mesi di reclusione unendo anche un secondo procedimento relativo al caso “Mensopoli”. Striano, difeso dagli avvocati Nicola Scodnik e Alessandra Poggi, e Mamone avevano invece deciso di andare a processo.
All’immobile di proprità di Mamone era interessato l’immobiliarista milanese Michelino Capparelli.
L’area ex industriale era destinata ad essere convertita in parte in commerciale ed in parte ad ospitare la sede della Eco.Ge.
Nel complesso il costo dell’intera operazione era di 13 milioni di euro. Secondo l’accusa Mamone avrebbe spinto Casagrande e Striano ad abbassare la quota degli oneri di urbanizzazione per la conversione dell’opera, agevolando così Capparelli e, indirettamente, se stesso.
L’affare non andò mai in porto perchè la procura intervenne prima con gli arresti.
Striano è stato condannato anche per induzione alla corruzione perchè avrebbe chiesto 400mila euro a Capparelli per agevolarlo nella sua operazione immobiliare.
I due reati sono stati considerati in continuazione e la pena finale è stata calcolata in tre anni e sei mesi. Capparelli era stato prosciolto prima dell’udienza preliminare del processo.
Il processo è l’ultima, grande inchiesta della Procura di Genova su tangenti e politica.
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
AL VERTICE DI SOCIETA’ PUBBLICHE SISTEMATI EX PARLAMENTARI E RAPPRESENTANTI DEI PARTITI… TUTTO IN MANO A UN MINISTERO CHE UN REFERENDUM NEL 1993 AVEVA CANCELLATO
Rassegniamoci: i 7 milioni di ettari che il magnate brasiliano Cecilio do Rego Almeida comprò
nel Mato Grosso sono inarrivabili.
Però nemmeno i 338 mila che in Italia secondo la Coldiretti appartengono a soggetti pubblici, sono da buttare via.
È una superficie più grande della Valle D’Aosta, con piazzamento assicurato nella top ten dei latifondisti mondiali.
Molte terre coltivabili sono di proprietà di Regioni ed enti locali.
Ma lo Stato centrale, da solo, ne possiede ben 17 mila ettari.
Ossia cinque volte la tenuta di Maccarese, considerata la più grande azienda agricola italiana, ceduta dall’Iri ai Benetton a fine anni Novanta.
Ironia della sorte: proprietario del ben di Dio è un ministero (l’Agricoltura) che gli italiani avevano cancellato per referendum nel 1993.
E quei 17 mila ettari, dice un’indagine dei gruppi del Pd nelle Commissioni agricoltura di Senato e Camera guidati da Leana Pignedoli e Nicodemo Oliverio, sono ora uno dei problemi più grossi ereditati dal nuovo ministro Mario Catania insieme a una massa di enti (undici, più un dedalo di società controllate) che fanno capo al suo dicastero.
Un groviglio proliferato negli anni per ragioni politiche, che ora i democratici chiedono di sciogliere, riassemblando tutto in soli quattro soggetti, con una proposta di legge per tagliare sovrapposizioni, sprechi e diseconomie.
Prendiamo la ricerca.
Il Cra (Consiglio per la ricerca in agricoltura) ha 1.800 dipendenti, 47 centri sparsi per l’Italia e 5.300 ettari a colture sperimentali.
Fino al commissariamento è stato in mano all’ex senatore Domenico Sudano, professore di francese già segretario siciliano dell’Udc e in seguito coordinatore locale del Pid, il partito del ministro Francesco Saverio Romano che l’aveva nominato.
Però anche l’Inea, con 300 dipendenti e 20 filiali regionali, opera nella ricerca: è presieduto dall’ex consigliere regionale veneto Tiziano Zigiotto, eletto nel 2005 con il listino del governatore e futuro ministro Giancarlo Galan, autore della sua nomina.
E fa ricerca pure l’Inran, che ha 160 addetti e un cda dove hanno trovato posto un ex deputato Ds (Giuseppe Rossiello) e un ex candidato azzurro alle regionali venete (Amedeo Gerolimetto).
L’Ismea, 153 dipendenti, finanzia invece l’acquisto dei terreni da parte degli agricoltori.
E se gli acquirenti non riescono a rimborsarlo diventa padrone.
In questo modo, avendo investito circa 1,5 miliardi, si ritrova proprietario di 11.309 ettari. Non bastasse, l’istituto presieduto da Amedeo Semerari, un tempo esperto agricolo di Forza Italia, controlla altre cinque società .
Fra cui Buonitalia, ora in liquidazione. Liquidatore è Alberto Stagno D’Alcontres, fratello del deputato Francesco Stagno D’Alcontres eletto nel 2008 con il Popolo della libertà .
Ma l’Ismea non è l’unica struttura «finanziaria» del ministero.
C’è infatti l’Isa, l’Istituto di sviluppo agroalimentare creato nel 2004 dall’ex ministro di An Gianni Alemanno.
Ha una quarantina di dipendenti e oltre a finanziare le imprese, detiene una manciata di partecipazioni in aziende agricole. Le risorse investite sono 650 milioni.
Denari affidati all’amministratore delegato Annalisa Vessella, consigliere regionale della Campania e consorte del deputato Michele Pisacane, cofondatore del partito di Romano. Con lei, due leghisti (Nicola Cecconato e Giampaolo Chirichelli) e un ex deputato regionale siciliano (Decio Terrana) bocciato alle ultime elezioni.
Il pezzo forte è però l’Agea, che distribuisce i fondi comunitari: sette miliardi l’anno. L’Agenzia per le erogazioni in agricoltura, 300 dipendenti, agisce anche come esattore.
Il che ha dato luogo a non pochi effetti collaterali.
Come un clamoroso doppio ribaltone che ha riportato al vertice, dopo una sentenza del Tar, l’ex senatore della Lega Nord Dario Fruscio silurato dai suoi perchè voleva far pagare le multe appioppate da Bruxelles agli allevatori che sforano le quote latte.
I contributi sono pagati sulla base dei dati gestiti dalla Sin, società informatica posseduta al 51% ma sulla cui funzionalità esistono serie riserve da parte degli attuali vertici dell’Agea e dello stesso ministro.
Rigorosamente bipartisan la governance: presidente l’ex europarlamentare Ds Francesco Baldarelli, vice l’ex presidente della Provincia di Ragusa Concetta Vidigni, candidata Udc alle europee del 2009 e già esponente del partito di Romano.
Mentre le verifiche sono all’Agecontrol, che ha 25 sedi periferiche dalla Sicilia al Veneto e risulta paradossalmente controllata dalla stessa Agea, cioè dal soggetto che eroga i contributi. Presidente è l’ex candidato Udc alla presidenza della Provincia di Caltanissetta, Massimo Dell’Utri, e fra i consiglieri c’è l’ex deputato Ds Ugo Malagnino.
Il massimo però è l’Unire, appena ribattezzata Assi, Agenzia per lo sviluppo del settore ippico.
Con il tempo è diventata l’ingombrante presenza dello Stato nel mondo delle scommesse ippiche.
Settore, peraltro, che versa in una crisi profonda e a quanto pare irreversibile.
Gestisce i calendari delle corse e ha anche una televisione che trasmette le immagini degli ippodromi alle agenzie dove si raccolgono le puntate: dal 2006 al 2008, secondo quanto riferisce lo studio del Pd, ha bruciato 110 milioni di soldi pubblici.
Occupa 195 persone e attualmente è in mano a un commissario, il consigliere di Stato Claudio Varrone. I
l governo di Silvio Berlusconi l’ha nominato mentre ricopriva l’incarico di capo di gabinetto del ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla.
Sergio Rizzo
(da “Il Corriere della Sera”)
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
DOPO LE SALE DESERTE AL CINEMA, IL FILM SU RAIUNO IN PRIMA SERATA… BUTTATI 6,8 MILIONI DI EURO PUBBLICI PER L’ESALTAZIONE DEL PERSONAGGIO IN CHIAVE “LUMBARD” CHE INTERESSAVA SOLO A BOSSI
Dopo tre anni la vendetta di Alberto da Giussano è arrivata.
Il condottiero che, nella ricostruzione del regista Renzo Martinelli (caro amico di Umberto Bossi), sfodera la spada e muove contro il tiranno e coalizza i comuni lumbard.
Ci siamo, domenica e lunedì torna su Rai 1 a riempire uno schermo di simboli antichi che galvanizzano la Lega Nord.
Ci voleva la coppia Lorenza Lei-Antonio Marano (leghista), direttore generale e uomo palinsesto, per resuscitare una pellicola già stroncata per una volta insieme dai critici e dal pubblico.
La pellicola fu realizzata nel 2008, finanziata per 4,5 milioni di euro da Rai Fiction e 2,6 da Rai Cinema e il distributore 01 per volere della Lega di Umberto Bossi, è finita al cinema per un breve periodo (uscì nelle sale il 9 ottobre 2009).
Il film totalizzò nel primo weekend di uscita appena 402 mila euro d’incasso; per arrivare a 830 mila euro il 22 novembre.
Ed è costata 12 milioni.
Ora domenica 25 e lunedì 26 la fiction (con Rutger Hauer nei panni del cattivo Federico I, Raz Degan in quelle del prode condottiero e Kasia Smutniak in quelli della bella) verrà trasmessa su Raiuno in prima serata.
A pochi giorni dalla scadenza del Consiglio d’amministrazione di viale Mazzini e in un periodo a dir poco delicato per la Rai: quello di garanzia, in cui la tv pubblica e Mediaset si giocano la partita degli ascolti piazzando il meglio. Partita da cui dipendono i futuri investimenti pubblicitari. La degna fine, quindi, per una fiction di regime.
Dunque conviene ricordare la telefonata tra il Berlusconi premier e l’ex direttore di Rai Fiction Agostino Saccà .
Berlusconi: “Senti, io avevo bisogno di vederti… Perchè c’è Bossi che mi sta facendo una testa tanto… con questo cavolo di… fiction… di Barbarossa… Puoi chiamare la loro soldatessa (allora come oggi Giovanna Bianchi Clerici, ndr) che hanno dentro il consiglio… dicendogli testualmente che io t’ho chiamato… che tu mi hai dato garanzia che è a posto”.
Saccà : “La chiamo subito, presidente”.
Berlusconi: “Chiamala, perchè ieri sera… a cena con lei e con Bossi, Bossi mi ha detto: ma insomma, di qui, di là …”.
Saccà : “Allora diciamola tutta, Presidente… Il signor regista ha fatto un errore madornale perchè un mese fa ha dato un’intervista alla Padania, dicendo che era tutto a posto perchè aveva parlato col Senatur… Il giorno dopo, il Corriere scrive… che Saccà fa quello che gli chiede la politica…”.
Berlusconi: “Chi è il regista?”.
Saccà : “Il regista è Martinelli, che è un bravo regista, però è uno stupido, un ingenuo, un cretino proprio… Un cretino, mi ha messo in una condizione molto difficile, perchè mi ha scritto un articolo sul Corriere della Sera e poi, non contento, Aldo Grasso sul Magazine del Corriere della Sera scrive: il potente Saccà fa quello che gli dice Berlusconi e basta… Che poi non è vero, lei non mi ha chiesto mai… Lei è l’unica persona che non mi ha chiesto mai niente… Voglio dire…”.
Berlusconi: “Io qualche volta di donne… E ti chiedo… perchè…”.
Saccà : “Sì, ma mai…”.
Berlusconi: “… per sollevare il morale del capo…”. (Risate)
Ecco. Quando manderanno in onda il Barbarossa, dovrebbero farlo precedere dalla registrazione di questa telefonata.
Così, tanto per ricordare come nasce un capolavoro.
Francesco Ridolfi e Carlo Tecce
(da “Il Fatto Quotidiano“)
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Marzo 22nd, 2012 Riccardo Fucile
UN PRIMARIO DI RAGUSA OPERAVA PERSINO PAZIENTI SANI, IN DUE MESI 76 DENUNCIATI
Ci sono le strutture fatiscenti e i medicinali scaduti o vietati somministrati ai pazienti, ma ci
sono anche le truffe dei medici e gli abusi delle società farmaceutiche.
Ci sono i reparti chiusi perchè inutilizzabili e gli infermieri che risultano in servizio nelle strutture pubbliche mentre lavorano per le aziende private.
Un mese fa le immagini dei malati curati per terra oppure abbandonati per giorni sulle barelle nei pronto soccorso degli ospedali romani avevano mostrato lo sfascio della sanità pubblica.
Il rapporto annuale dei carabinieri del Nas relativo al 2011 e aggiornato al primo bimestre 2012 conferma la crisi di un settore che costa alle casse dello Stato centinaia di milioni di euro.
Sono i numeri a fornire il quadro della situazione, con un dato che fa impressione: negli ultimi due anni sono stati effettuati sequestri di apparecchiature e medicine per circa 20 milioni di euro.
E poi ci sono gli arresti, le denunce e ci sono soprattutto ben 10 reparti che si è deciso di chiudere per gravi irregolarità .
Arresti, denunce e segnalazioni contabili
Sono 2.588 le ispezioni effettuate dai militari del Nucleo antisofisticazione nell’anno appena trascorso e hanno portato a ben 760 denunce penali e 1.777 sanzioni.
Una media che appare ancora più alta nei primi due mesi del 2012: in 60 giorni sono stati compiuti 387 controlli, 76 sono le persone denunciate e 152 le sanzioni già erogate.
Nelle case di cura private o convenzionate va addirittura peggio: su 373 «visite» dei militari dell’Arma effettuate nell’anno appena trascorso ci sono state 63 denunce e ben 146 sanzioni penali. In linea, quanto accaduto fino al 29 febbraio con 232 strutture esaminate, 14 persone segnalate alla magistratura e 49 sanzioni erogate.
E poi c’è il capitolo relativo al denaro: ai sequestri per un valore di circa 20 milioni effettuati negli ospedali nell’ultimo biennio si devono aggiungere i 280 milioni «sigillati» nelle cliniche.
La relazione dei carabinieri evidenzia come nelle strutture pubbliche si registri il maggior numero di casi relativi alla malasanità , mentre nelle strutture che ricevono i contributi economici pubblici aumentino in maniera eclatante gli episodi di truffe legati soprattutto all’esercizio del doppio lavoro, ma anche agli interventi effettuati senza che ce ne fosse reale necessità .
Operazioni sbagliate e finti sordi
Nel novembre scorso i magistrati di Udine hanno chiesto e ottenuto l’arresto di tre medici dell’ospedale di Latisana e tra manager di case farmaceutiche.
«L’inchiesta – annotano i Nas – è stata avviata su segnalazioni di privati cittadini che, per l’acquisto delle protesi acustiche, si vedevano indirizzare forzatamente dai medici che li avevano visitati solo verso alcune ditte del settore. Dagli accertamenti è risultato come i medici coinvolti segnalassero i pazienti, spesso anche a loro insaputa, agli imprenditori infedeli affinchè questi ultimi vendessero i loro prodotti, agendo in regime di concorrenza sleale in danno delle altre ditte concorrenti e creando, di fatto, una sorta di “cartello”. Le indagini hanno permesso di accertare che, in cambio della loro illecita attività , i medici venivano regolarmente pagati in contanti presso gli ambulatori dell’ospedale».
Sono almeno 400 i pazienti coinvolti per un giro d’affari che ha superato il mezzo milione di euro e il sospetto, sul quale tuttora si indaga, è che molti di loro non avessero affatto bisogno della protesi, ma che gli sia stata consigliata visto che veniva rimborsata dalla Asl. E l’indagine si è poi allargata a ben dieci province del Nordest da Gorizia a Treviso, passando per Rovigo e arrivando a Venezia.
Ancora più grave quanto scoperto a Ragusa agli inizi del 2011 con un primario che, non solo alterava le liste d’attesa dell’ospedale per favorire gli assistiti che si facevano visitare nel suo studio privato, ma effettuava interventi su pazienti sani e senza ottenere il cosiddetto «consenso informato».
Sono due i malati che avrebbero subito un’operazione per l’asportazione di un tumore che in realtà non esisteva.
E poi c’è il caso della signora portata in sala operatoria due volte nella stessa settimana e per due patologie completamente diverse.
In realtà , si è scoperto in seguito, la seconda volta le è stata tolta la garza che i medici le avevano lasciato nell’addome e che ha rischiato di farla morire.
Tra i reati contestati ci sono concussione, falso e truffa.
Accuse analoghe per un chirurgo vascolare di Cagliari che «diagnosticava gravissime malattie ai suoi assistiti e poi li portava nel proprio studio privato per sottoporli a sofisticati e costosissimi esami, in particolare il doppler transcranico».
Doppi lavori e medici abusivi
Sono centinaia i casi di dottori o infermieri che risultano in servizio nelle strutture pubbliche, mentre in realtà stanno effettuando prestazioni a pagamento.
A Milano «personale sanitario dipendente di alcune aziende ospedaliere pubbliche svolgeva attività professionale non autorizzata, nella fattispecie attività infermieristica, presso altre strutture sanitarie per conto di una cooperativa sociale nei giorni in cui avevano beneficiato di permessi retribuiti oppure assenze per malattie o addirittura in orari in cui risultavano in servizio in entrambe le strutture. I compensi venivano percepiti sotto forma di “rimborso spese”, ma non è stata rintracciata alcuna documentazione fiscale».
Le verifiche riguardano adesso la posizione delle 419 persone che risultano aver lavorato per la cooperativa.
Durante un’indagine a Massa Carrara si è scoperto che «nel corso di almeno 45 interventi chirurgici di artroprotesi eseguiti tra gli anni 2007 e 2009 presso l’ospedale “SS Giacomo e Cristoforo” i medici hanno consentito l’accesso in sala operatoria a persone non qualificate e sprovviste di adeguati titoli di studio, permettendo loro l’esecuzione di atti propri dell’attività sanitaria (divaricazione, aspirazione e tamponamento di ferite, l’uso di elettrobisturi, complesse manovre di posizionamento degli arti)».
Si trattava in realtà di agenti di commercio di prodotti per l’ortopedia, i cosiddetti «specialist», ed è scattata l’accusa di esercizio abusivo della professione sanitaria e falso ideologico.
Falsi lifting e diete
Nella relazione dei Nas si elencano i casi di interventi di chirurgia estetica spacciati per operazioni di asportazione di cisti o tumori e svariati episodi di dottori che prescrivono pillole a base di «fendimetrazina» per uso terapeutico, ben sapendo che in realtà servono a dimagrire ma la legge vieta questo tipo di impiego.
Uno dei casi più eclatanti è stato scoperto a Roma lo scorso anno: i Nas hanno «sigillato» lo studio di un medico che aveva numerosi clienti famosi ai quali somministrava pasticche a base di anfetamina per far ritrovare loro una forma fisica perfetta
Stesso meccanismo veniva utilizzato da una dottoressa specializzata in endocrinologia, dipendente dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Cagliari, indagata per truffa aggravata e prescrizione non terapeutica di sostanza stupefacente.
«Sul suo conto – annota il rapporto dei Nas – è emerso che nello studio privato svolgeva senza fatturazione attività di dietologa, percependo illecitamente l’indennità di esclusività per rapporto di lavoro a “tempo pieno” e prescrivendo indiscriminatamente farmaci dimagranti a base di “fendimetrazina”, senza osservare le norme sull’uso terapeutico».
Fiorenza Sarzanini
(da “Il Corriere della Sera“)
argomento: sanità | Commenta »