Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
DALL’INCHIESTA EMERGE L’ESISTENZA DI UN LOCALE A PROVA DI CIMICI…POTREBBE TROVARSI IN UN IMMOBILE DEL PDL
“La stanza schermata”. Ogni inchiesta è racchiusa in un’immagine che resta nella memoria, che richiama la storia.
E talvolta diventa quasi un modo di dire.
Per l’inchiesta sul Porto di Imperia — partita da una “città ai confini del regno”, ma ormai arrivata a Roma, anzi a Fiumicino — l’espressione magica potrebbe essere la “stanza schermata”.
Un luogo, sospettano gli inquirenti, al sicuro da ogni intercettazione o registrazione.
Insomma, al riparo dalle orecchie indiscrete di chiunque.
Anche degli investigatori.
Se ne parla a pagina 222 dell’informativa della Polizia Postale che ha condotto le indagini: seicento pagine depositate per l’udienza del Tribunale del Riesame che deve decidere sull’eventuale scarcerazione di Francesco Bellavista Caltagirone.
Un passaggio veloce che, però, ha attirato l’attenzione di investigatori, inquirenti e anche difensori.
Perchè a parlarne è Claudio Scajola, oggi indagato per associazione a delinquere finalizzata alla turbativa d’asta in uno dei filoni dell’inchiesta, ma all’epoca dei fatti uomo di punta del Pdl e ministro dello Sviluppo economico.
Siamo all’inizio del 2010, è scritto nell’informativa, in quei giorni l’inchiesta sul porto è appena agli inizi.
Ma a Imperia tutti si conoscono, le voci fanno presto a circolare.
Perchè il porto è un’opera gigantesca per i costi (lievitati da 80 a 206 milioni) e l’impatto ambientale, un progetto sostenuto da Scajola e dai suoi uomini che qui regnano da decenni. Pochi quelli che hanno avuto il coraggio di esprimere pubblicamente i loro dubbi, come Claudio Porchia, all’epoca segretario della Cgil, oppure Beppe Zagarella e Paolo Verda (membri del Pd locale).
Ma soprattutto fa tremare la notizia che investigatori e inquirenti hanno cominciato a sentire alcuni dei protagonisti del progetto.
Negli uffici giudiziari, tra gli altri, è passato anche Domenico Gandolfo, noto commercialista imperiese, già direttore della Porto di Imperia spa (la società mista pubblico-privato che gestisce l’opera), oggi indagato nell’inchiesta.
Ed ecco che, poco dopo essere uscito dal colloquio con i magistrati, Gandolfo parla al telefono con Scajola, all’epoca, appunto, ministro del Governo Berlusconi.
Che cosa si dicono i due? Poco o niente.
Ma il ministro, registrano gli uomini della Postale, invita il conoscente a raggiungerlo per poter parlare liberamente nella “stanza schermata”.
Ma di che cosa si tratta? Gli inquirenti, che ritengono il passaggio significativo al punto da averlo incluso negli atti, ipotizzano che si possa trattare di un locale a prova di curiosi. Secondo ipotesi giudiziarie si troverebbe proprio a Imperia, in un immobile a disposizione del Pdl.
Per gli inquirenti la “stanza schermata” comunque è importante, perchè testimonia un clima di allarme e di cautela da parte delle persone indagate.
Altre intercettazioni di Gandolfo sono comprese negli atti depositati.
Ricordiamo che al centro dell’ordinanza che ha portato all’arresto di Bellavista Caltagirone c’è il contratto di permuta con cui le società costruttrici, in cambio della realizzazione del porto, hanno ottenuto la concessione su gran parte delle opere.
Lasciando, sostiene l’accusa, il socio pubblico a becco quasi asciutto.
Attacca Beppe Zagarella (Pd): “Le società realizzatrici hanno ottenuto l’ 85% della parte residenziale del progetto, alla Porto di Imperia sono restati i capannoni destinati alla cantieristica e una discoteca. Poi c’è il porto: ai privati sarebbero andati il grosso dei posti barca, mentre al pubblico restano i moli destinati alle imbarcazioni in transito e quelli per la nautica sociale”.
Ed ecco che proprio Gandolfo (che faceva parte della Porto di Imperia spa) parlando con Roberto Leone, ex vicesindaco di Imperia, pare ammettere che la permuta sarebbe “scandalosa”. Gandolfo: “Hanno tirato fuori le permute (l’opposizione in consiglio comunale, ndr). E se ci dovessi dire sono scandalose lì non hanno mica torto…”.
Leone: “Ah! Sono scandalose?”.
Gandolfo: “Eh sì… vabbè ma questo…”.
Leone: “Cioè come dicevo io, bisogna stare attenti che (ride) i moli non vadano a finire tutti alla mano pubblica”.
Gandolfo: “Eh infatti”.
Leone: “E gli appartamenti tutti alla mano privata”.
Ma Imperia potrebbe essere l’inizio di una grande “moli puliti”.
In Italia i progetti in corso valgono oltre un miliardo.
Decine di nuovi scali, spesso realizzati dagli stessi nomi.
Si comincia da Fiumicino (il più grande del Mediterraneo), su cui hanno puntato il dito i pm di Imperia.
E adesso se ne occupa la Procura di Civitavecchia.
Il Nucleo tributario della Guardia di Finanza ha avviato le verifiche.
Sono stati acquisiti atti e bilanci delle società di Bellavista Caltagirone, alla ricerca di entrate “allarmanti”.
di Ferruccio Sansa e Nello Trocchia
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
SI TRATTA DI LUIGI VITALI, DEPUTATO E SEGRETARIO DEL PDL A BRINDISI… IL PM DE NOZZA: “DOVREMMO INTERCETTARLO, MA E’ INUTILE PER UN PARLAMENTARE, VISTO CHE SAREBBE AVVISATO PRIMA”
Assunzioni in Puglia in cambio di un “appoggio” nella realizzazione di un carcere in
Calabria. È con l’accusa di corruzione che finisce nel registro degli indagati il deputato del Pdl Luigi Vitali, tra l’altro coordinatore provinciale del partito a Brindisi.
Assieme a lui, Giovanni Faggiano, avvocato e imprenditore, titolare dell’istituto di vigilanza Securcity e già nel ciclone di altre inchieste giudiziarie legate all’affare rifiuti in Campania.
La notizia, però, sconosciuta fino a questo momento agli interessati, arriva assieme alla richiesta di archiviazione da parte del pm Milto De Nozza, a causa del “limite normativo” sull’uso delle intercettazioni.
In quanto deputato, infatti, “Vitali gode della garanzia stabilita dall’art.68 della Costituzione” e questo significa che “laddove- scrive De Nozza- questo ufficio avesse ritenuto indispensabile monitorarlo, avrebbe dovuto attendere che la Camera dei deputati concedesse la relativa autorizzazione. Ma se le attività di intercettazione sono, per natura propria, atti a sorpresa, appare evidente come non possa esserci alcuna utilità investigativa nell’attivare un simile mezzo di ricerca della prova”.
Insomma, nessuno parlerebbe di qualcosa che possa essere compromettente, sapendo di essere ascoltato.
C’è questo alla base della richiesta di archiviazione, ora nelle mani del gip Valerio Fracassi. Ed è questo proprio il punto che Vitali contesta, dopo aver appreso dalla stampa di essere indagato ed essersi riservato di chiarire l’estraneità ai fatti: “Pur non potendo, allo stato, non essere che soddisfatto di quanto richiesto dai pm, tuttavia, non condivido assolutamente che la richiesta di archiviazione possa essere stata determinata dall’esistenza di limiti alle indagini derivanti dal mio status di parlamentare”.
Eppure, la questione per la magistratura è tutta qui, perchè, per chiarire una vicenda che lo stesso pm De Nozza definisce “dai contorni opachi, oscuri e foschi”, il passo investigativo successivo, inevitabilmente necessario, “avrebbe imposto la riattivazione dello strumento delle intercettazioni telefoniche e/o ambientali a carico dei due indagati”.
Gli elementi di prova fino ad ora raccolti, infatti, non bastano a “sostenere validamente in giudizio un’accusa di corruzione”.
Dunque, se archiviazione sarà e “accertato che Vitali aveva ottenuto ciò che aveva richiesto a Faggiano”, vale a dire la risposta alle “continuative e reiterate richieste di assunzione di persone a lui vicine”, non si potrà appurare se si è mai concretizzata la “contropartita”.
Quella cioè della “sponsorizzazione di un progetto avente ad oggetto la realizzazione di un carcere in Calabria”, su cui Faggiano “mostrava di avere un serio e concreto interesse imprenditoriale”.
In realtà , dalle intercettazioni qualcosa di importante è già emerso.
Ed è quel qualcosa ad aver portato la procura di Napoli a trasmettere il fascicolo a Brindisi.
Le indagini, infatti, sono uno stralcio dell’inchiesta partenopea che ha già portato agli arresti, nel luglio scorso, proprio di Giovanni Faggiano.
Lui, amministratore delegato di Enerambiente, società che nel capoluogo campano gestisce la raccolta dei rifiuti in diversi quartieri, è accusato di estorsione, perchè avrebbe chiesto alle cooperative sociali soldi in cambio di subappalti.
Ma nelle conversazioni intercettate a suo carico è spuntato anche il nome del deputato Vitali.
In particolare, dalle carte emerge che è stato lui, a giugno, ad avvertire Faggiano che “nel suo ambiente di lavoro vi erano alcune perplessità con riferimento all’importo troppo basso del prezzo proposto.
Evidentemente un’informazione importante per un imprenditore, il quale, sulla base di questa, ben può decidere di proporre un ulteriore aumento dell’importo per evitare di essere escluso da una gara d’appalto.
Ed infatti Vitali chiudeva la conversazione promettendo di “stare dietro a questa cosa del carcere” e di comunicare a Faggiano “gli eventuali sviluppi””.
Il pm non tralascia il particolare, nella sua richiesta di archiviazione: Vitali non è solo deputato, è anche membro della commissione giustizia e dunque pubblico ufficiale.
Ed è in considerazione di ciò e “del fatto che appariva percepibile l’esistenza di un accordo”, che si riteneva “indispensabile avviare un’attività investigativa mirata a fare piena luce”.
Il controsenso nella legge sulle intercettazioni ai parlamentari, però, la spegne sul nascere.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
L’ASPI SOSTITUIRA’ L’ATTUALE INDENNITA’ DI MOBILITA’…IL PRINCIPIO ISPIRATORE DELLA RIFORMA SARA’ LA PROTEZIONE DEL MERCATO, NON IL POSTO DI LAVORO
Protezione sul mercato invece di protezione sul posto di lavoro ed estensione a tutti i lavoratori, anche quelli con meno esperienza.
E’ questo il salto culturale della riforma degli ammortizzatori sociali, che entreranno in vigore, a regime, nel 2017, con una «dote» di circa 1,7 miliardi.
Alla base del nuovo sistema di sostegno al reddito c’è l’assicurazione sociale per l’impiego (Aspi), che sostituirà l’attuale indennità di mobilità .
«L’Aspi riguarda tutti. Si passa da qualcosa di limitato a qualcosa di universale. E partirà il prossimo anno», ha spiegato il ministro del Welfare Elsa Fornero, annunciando anche «una mini Aspi per i lavoratori più giovani».
L’Aspi si applicherà a tutti i lavoratori con un contratto a tempo determinato del settore privato e pubblico, e sarà estesa agli apprendisti e agli artisti, finora esclusi da ogni strumento di sostegno al reddito.
Per poter accedere all’Assicurazione si devono avere gli stessi requisiti dell’indennità di mobilità : due anni di anzianità e almeno 52 settimane nell’ultimo biennio. L’assegno dovrebbe essere pari al 70% della retribuzione fino a 1.250 euro e il 30% per la quota superiore a questa cifra, ma c’è anche un’ipotesi al 75% del salario fino a 1.150 euro e il 25% per la quota superiore a questa cifra.
In ogni caso è fissato un tetto massimo di 1.119 euro.
Tutti i lavoratori dovranno contribuire all’Aspi, con modalità diverse a seconda della forma contrattuale: l’aliquota sarà dell’1,3% per chi è assunto a tempo indeterminato, incrementata da un’addizionale dell’1,4%, dalla quale saranno esclusi i contratti a termine stagionali e i contratti per sostituzione.
Per questi l’azienda dovrà versare solo l’1,3%, che scende ancora per le piccolissime aziende.
La durata dell’Aspi dipenderà dall’età .
Lo spartiacque sono i 55 anni. L’assegno dell’assicurazione durerà 12 mesi per chi un’età fino a 54 anni e fino a 18 mesi dai 55 anni in su.
Il problema è che la scomparsa della mobilità rischia di penalizzare soprattutto i lavoratori over 50, cioè proprio chi ha più difficoltà a trovare un nuovo posto di lavoro.
Oggi, in caso di licenziamenti collettivi, la mobilità dura 36 mesi, che si allungano fino a 48 mesi per gli ultracinquantenni al Sud.
Perciò si sta studiando un meccanismo affinchè dal 2017, quando entrerà a regime l’Aspi, la dotazione del fondo di mobilità (circa 700 milioni) sia usata per sostenere il reddito dei lavoratori con oltre 58/60 anni o per integrare l’Aspi oltre i 18 mesi previsti.
Tra le novità per «far cambiare la mentalità » e conciliare i tempi del lavoro con quelli della famiglia, la riforma introduce una sperimentazione della paternità obbligatoria. Per ora si sa che la sperimentazione durerà tre anni e sarà finanziata dal ministero del Lavoro.
L’Europa chiede almeno due settimane di congedo obbligatorio per i neopadri, nel Parlamento italiano c’è una proposta bipartisan che parla di 3 giorni.
La riforma degli ammortizzatori sociali cancella la Cassa integrazione in deroga, introdotta dall’ex ministro Maurizio Sacconi nel 2009 per estendere i sussidio alle piccole imprese e ai settori finora esclusi dalla Cig, ma ne userà i fondi, rendendoli strutturali, per finanziare l’Aspi.
«Ci dicono che abbiamo tenuto la Cassa integrazione in deroga ma non è vero. Abbiamo tenuto i fondi. Abbiamo chiesto che questi fondi, che venivano trovati ogni anno là dove il bilancio consentiva qualche elasticità , fossero resi strutturali e utilizzati per l’Aspi», ha precisato il ministro.
La cassa integrazione ordinaria per l’industria non viene abolita, ma per i settori oggi esclusi sarà istituito un fondo di solidarietà .
Servirà però un’iniziativa dei contratti collettivi nazionali o un intervento legislativo. Resta pure al Cig straordinaria, con alcune novità : non sarà più concessa per cessazione di attività e mobilità .
Giuliana Ferraino
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
LA RIFORMA NON SOLO CONTEMPLA GLI ABUSI, MA RIDUCE LA PUNIZIONE RISPETTO A PRIMA
Il presidente del Consiglio, Mario Monti, ha detto giovedì scorso che nella riforma
sul lavoro ci sarà una apposita norma per evitare che vengano commessi abusi nei licenziamenti individuali motivati da ragioni economiche.
Ma che cosa prevede la riforma per questo tipo di licenziamenti?
Prevede che se il giudice dimostra che non esiste un giustificato motivo economico per espellere uno o più lavoratori, scatta l’indennizzo al posto del reintegro.
Ma se si scopre che il datore di lavoro ha licenziato senza giustificato motivo, allora significa che ha commesso un abuso, perchè evidentemente lo scopo del licenziamento era un altro.
E rispetto a quell’abuso, il governo che fa?
Riduce la punizione per il datore di lavoro abusante, cioè gli consente comunque di espellere il lavoratore previo pagamento di un indennizzo.
Dunque, in conclusione, la riforma non solo contempla gli abusi ma ne riduce la punizione rispetto a prima.
E allora che senso ha dire che verranno introdotte norme per evitare gli abusi?
Il paradosso ( o se vogliamo la beffa) nasce dal fatto che, diversamente da quel che può sembrare, la riforma non stabilisce cosa deve succedere se un licenziamento è giustificato in un certo modo (ad esempio per motivi economici o disciplinari), ma stabilisce che cosa deve succedere esattamente nel caso opposto, cioè se un licenziamento non è giustificato per quegli stessi motivi.
In altre parole non regola il “giusto” licenziamento ma regola (favorendolo) proprio il suo abuso.
Marco Ruffolo
(da “la Repubblica”)
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
PER EVITARE UNA LISTA DELLA LEGA E UNA PERSONALE DI TOSI, ALLA FINE LE HANNO FATTO DIVENTARE SETTE, TUTTE CON IL NOME DI TOSI CHE NON POTRA’ COSI’ DIRE DI AVER VINTO LUI… “ALFANO NON ESPELLE, MA SOSPENDE SOLO, 14 PIDIELLINI IN LISTA CON TOSI
Saranno sette liste – quella della Lega e sei civiche – a sostenere la ricandidatura di Flavio Tosi a sindaco di Verona e in tutte ci sarà la formula “per Tosi”.
Questo l’accordo patacca raggiunto nella riunione pomeridiana tra Umberto Bossi e il sindaco uscente di Verona.
Un’intesa raggiunta dopo mesi di tensioni in cui i vertici del Carroccio – contrari alla lista personale – avevano perfino minacciato l’espulsione del primo cittadino dal partito.
In pratica ci sarà una lista, tra le sei civiche, che sarà composta da candidati vicini al sindaco di Verona. Si chiamerà “Civica per Verona – Tosi sindaco”.
Per quanto riguarda la lista del Carroccio, il simbolo riporterà la dicitura “Lega Nord – Liga Veneta per Tosi” mantenendo il nome di Bossi nella parte inferiore.
Poi altre cinque civiche con la dicitura “per Tosi” del tutto simili a quella principale.
Simboli e aggiustamenti grafici sono stati esaminati e concordati dai vertici leghisti a Milano prima del via libera definitivo.
Una soluzione che fa ridere tutta Italia, visto che la speranza del cerchio magico è che da un lato, con la dicitura “per Tosi” sulla lista ufficiale della Lega, essa recuperi qualche voto in più e dall’altro che quella gestita da Tosi, confusa con altre cinque simili, ne perda parecchi, visto che l’elettore non capirà più una mazza.
Ma la comica veronese non finisce qua.
Acque agitate nel Pdl a causa dell’appoggio di 14 dirigenti politici veronesi del Pdl al sindaco leghista Flavio Tosi e alla sua lista civica.
Il segretario del partito, Angelino Alfano, ha deciso la sospensione dei politici locali che si sono impegnati a favore del sindaco uscente.
In un comunicato del Pdl si legge: “Il segretario politico nazionale, ai sensi dell’articolo 48 dello statuto del Popolo della libertà , ha sospeso in via immediata dall’attività politica del partito 14 esponenti politici locali della città di Verona che, ne i giorni scorsi, avevano esplicitamente annunciato la loro intenzione di voler costituire liste d’appoggio all’attuale sindaco di Verona Flavio Tosi. Tale posizione è in netto contrasto con la decisione presa dal Pdl di sostenere, alle prossime elezioni comunali, l’avvocato Luigi Castelletti come proprio candidato a sindaco di Verona”.
E il coordinatore veneto del Pdl, Alberto Giorgetti, aggiunge: “Chi ha fatto la scelta di sostenere Flavio Tosi alle prossime comunali “è fuori dal Pdl, non può rappresentarlo e parlare ad alcun titolo a suo nome”.
Domanda spontanea: e allora perchè non li avete espulsi, invece che sospenderli temporaneamente?
Per recuperarli dopo il voto?
Ma chi volete prendere per i fondelli?
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
DOVEVA ESSERE UNA SORTA DI ESPERIMENTO, MA MOLTI MILITANTI HANNO PROTESTATO… FORSE PREFERISCONO CHE VINCANO LEGA E PDL… CASINI: “SE SON ROSE FIORIRANNO”
Non sarà indicativa, e nemmeno ha dato i frutti migliori. 
Ma sulle rive di Comacchio il Pd e il Terzo Polo si misurano in quella che sarà una prova d’alleanza.
Gli iscritti del partito di Bersani non è che l’abbiano presa benissimo, ma Pierferdinando Casini, raggiunto al telefono dice senza mezzi termini che “se sono rose fioriranno”.
In realtà , e questa volta è il segretario di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero, sono già fiorite: “Come avverrà a Comacchio a maggio, la stessa cosa avverrà per le politiche: noi saremo gli alleati della sinistra che da da Sel al Pdci e dell’Idv, il Pd andrà insieme a Casini, Fini e Rutelli”.
Che a Comacchio, paese di 25mila abitanti in provincia di Ferrara, si facciano delle prove per il futuro non c’è dubbio.
E Bersani però sa bene che dovrà fare i conti con quello che è accaduto: singoli tesserati del Pd hanno approfittato delle primarie del centrosinistra (Prc, Pdci, Sel e Idv) per manifestare nel modo più spontaneo ed eclatante la propria contrarietà alla possibile deriva centrista dei bersaniani.
Gli scrutatori delle primarie raccontano infatti di aver assistito in diverse occasioni a persone che si sono presentate con la tessera del Pd in mano. “Prima di votare le hanno stracciate — confermano —. Ci hanno detto che si erano tesserati dietro la precisa rassicurazione da parte della federazione comunale di non andare mai con il terzo polo”.
E invece qualcosa è cambiato.
Oggi a Comacchio, domani chissà .
Per quanto riguarda il comune comacchiese atteso al voto amministrativo di maggio (commissariato dopo le dimissioni di massa di più della metà dei consiglieri della passata legislatura di targa Pdl) il centrosinistra di memoria ulivista sarà solo un ricordo.
Il Pd, memore della sconfitta del 2010, non si vuole lasciar scappare l’ago della bilancia che deciderà con ogni probabilità gli esiti delle urne, Alessandro Pierotti. Lui, già sindaco ed ex assessore provinciale al Turismo fatto fuori proprio dal Pd per ragioni di equilibrio “territoriale” del partito, è a capo della lista L’Onda.
E con essa si candida a risalire sullo scranno più alto del municipio lagunare.
Il Pd, nonostante le dichiarazioni di indipendenza della prima ora, ha sposato il suo programma e la sua corsa per non rischiare di farselo scippare dal Pdl.
Ora l’appoggio a Pierotti si fonda non solo sul consenso dell’Onda e del Pd, ma anche di Udc, Fli e Api.
Insomma il Terzo Polo al gran completo.
Il Pdl correrà da solo, con la Lega Nord che punta sul vicesindaco uscente. Dall’altra parte dell’emiciclo Sel, Rifondazione, Comunisti italiani e Italia dei valori si sono uniti per provare a giocare la carta di terzo incomodo.
Il 18 marzo si sono tenute le prime primarie in assoluto in Italia di questa nuova forma di alleanza.
Ne è uscito vincitore Fabio Cavallari, 31 anni, già consigliere comunale della precedente amministrazione per il Prc.
A lui è andato il 71% delle preferenze provenienti dal 5% dell’elettorato attivo. Con la ciliegina sulla torta di aver conquistato parte degli scontenti del Partito democratico.
Ma il rumore di quelle tessere andate in frantumi potrebbe andare bel al di là dei confini ferraresi.
Ne è sicuro Paolo Ferrero, che vede nel caso comacchiese un paradigma di quanto potrebbe avvenire di qui a breve a livello nazionale.
E questo sulla base di una “semplice riflessione: gli accordi con il terzo polo snaturano qualsiasi profilo progressista.
Di questo evidentemente se ne sono accorti molti elettori del Pd”.
Comacchio diventerebbe un “caso sintomatico della scelta che Bersani e i suoi sono chiamati a compiere: sostenere il governo Monti insieme a Casini, Fini o Rutelli oppure guardare a sinistra, dove le battaglie sono ancora quelle della gente: pensioni, articolo 18, rifiuto di liberalizzazioni e privatizzazioni brutali”.
In fondo il segretario del Prc la sua scelta l’ha già in mente, con o senza Bersani: “una sinistra che si mette insieme all’Idv per proporre una alternativa”. Non un partito, “sarebbe follia”, ma “un polo politico che si opponga alle visioni neoliberiste che stanno devastando il Paese. Vogliamo evitare di far indossare il loden a tutta l’Italia”.
Non entra nel caso specifico di Comacchio ma allarga il discorso a livello nazionale Giuseppe Civati, che individua “il problema vero nel chiarire subito qual è la coalizione che il Pd intende scegliere e dire agli elettori che non ci saranno più equivoci”.
Ossia “dire chiaramente se si vuole andare con il terzo polo oppure con la sinistra e in questo caso con quale parte di sinistra”.
Non ultimo, per evitare altre tessere in frantumi, “rispettare il risultato delle primarie se si vogliono fare le primarie, altrimenti si finisce solo per recitare a soggetto. E su questo l’insegnamento di Palermo deve far riflettere”.
E il terzo polo?
“Non voglio entrare nelle questioni della sinistra”, mette le mani avanti Casini, che trova comunque “singolare che si facciano delle primarie per poi non rispettare il loro esito se non gradito”.
Quanto alla possibilità ventilata da Ferrero, invece, il leader Udc non nega che “come terzo polo collaboriamo con il Pd anche in molte realtà locali e collaboriamo bene; e non nascondo che su molte materie abbiamo trovato convergenze”.
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
PARLA UNO DEI LEADER DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DEGLI HACKER CHE ATTACCA I SITI DI NEMICI POTENTI: DA TRENITALIA AL VATICANO… UN INSOSPETTABILE PROFESSIONISTA RACCONTA COSA C’E’ DIETRO IL GRUPPO PIU’ RICERCATO DEL MONDO… UN MOVIMENTO SENZA GERARCHIE CHE AGISCE SENZA LASCIARE ALCUNA TRACCIA DI SE’
Incontro con uno dei leader dell’organizzazione mondiale di hacker che, in rete, attacca i siti di “nemici” potenti: da Trenitalia, per difendere la causa dei No Tav, al Vaticano.
Un insospettabile professionista racconta cosa c’è dietro al gruppo più segreto e ricercato del mondo.
Appuntamento al buio. Ci vediamo in una città del Sud che ho promesso di non rivelare.
Non conosco il suo nome nè il suo numero di telefono. Ho semplicemente scritto un’email.
Per due settimane non ha risposto nessuno (“Ti stavo facendo le radiografie con Google”), poi il messaggio possibilista.
Le condizioni sono chiare: dovrà essere assolutamente impossibile anche per sua madre e per la sua compagna, per non dire della polizia postale, riconoscerlo in quanto scriverò.
Un’intervista criptata. Pixelata in ogni dettaglio che, incrociato con altri, possa far risalire alla sua vera identità .
Perchè i reati che ha commesso prevedono il carcere. Anche otto anni quando il bersaglio è governativo o militare.
E lui, per un’altra storia di violazioni di sistemi informatici, ha già avuto problemi con la giustizia.
Un’ora prima dell’appuntamento controllo la posta. “Ci vediamo nella tal piazza, vicino alla fontana”. Se uno si è fidato del sole abbacinante, ora è punito dal vento gelido. Giornata a doppio taglio: sembra estate, ma è ancora inverno.
Quanto a sorprese, però, siamo solo agli inizi.
La persona che pronuncia il mio nome, da dietro le spalle, è un uomo non alto, occhiali neri a goccia e divisa d’ordinanza del manager senza guizzi: giacca blu, camicia azzurra a righe e cravatta blu a pois bianchi.
Anonimo. “Non si aspettava qualcuno del genere, eh?” dice, allungando la mano. Inutile negare. Dov’è la felpa col cappuccio, magari un piercing o un tatuaggio?
Per il leader-non leader di Anonymous Italia sembrerebbero più adeguati.
Ma se uno si fida delle apparenze è condannato a non capire niente in questa storia.
È arrivato in anticipo di un’ora per perlustrare la zona.
Andiamo in un bar con pretese malriposte, i tavoli bianchi e la musica alta.
Ribadisce le regole del gioco: “Non puoi neanche scrivere il mio nickname, quindi scrivi che hai parlato con uno tra Mendax, Attila, Savant, Phate Lucas, N4pst3r, Kirya, Case, B, Tor4k1k1, Netsec”.
Mentre snocciola i vari soprannomi è come se calcolasse la robustezza della password: più è lunga, più è difficile indovinarla.
Dieci nomi, milioni di possibilità .
La Valdisusa è sulla prima pagina dei giornali sparpagliati sul tavolo accanto. “Anonymous è totalmente No Tav: per i costi, l’inutilità , i rischi per la salute” dice.
E aggiunge: “Per questo qualche giorno fa abbiamo fatto un attacco blando a Trenitalia. Un DDoS fatto bene, non solo al sito, ma anche alle biglietterie online. Però qualcuno dei nostri ha fatto filtrare in anticipo la rivendicazione, favorendo la difesa. E i loro tecnici sono stati bravi”.
Il DDos è un distributed denial of service, la loro arma più consueta. In pratica è come se a uno sportello pensato per servire dieci clienti si presentassero nello stesso momento in mille.
La differenza è che qui non servono fisicamente mille o diecimila utenti per mandare in tilt il sito bersaglio.
Basta che chi lancia l’attacco possa azionare a distanza un certo numero di computer (botnet), dirigendoli tutti contro lo stesso indirizzo.
Sopraffatto dal traffico inaspettato e simultaneo, questo non riuscirà più a visualizzare le pagine. “Impossibile collegarsi a Trenitalia. com” è la resa scritta sullo schermo.
Gli aggressori esultano online: “Trenitalia: Tango Down”, dal gergo delle forze speciali per dire che un terrorista (T come Tango) è stato abbattuto.
Che, per gente definita “terroristi informatici”, è prova di discreto senso dell’umorismo.
Quindi ci sono questi computer zombie, infettati in precedenza da virus, che possono essere risvegliati al momento giusto e sguinzagliati contro la preda.
“Ma non è vero, come hanno scritto i giornali, che servono centinaia di persone armate del software Loic per sferrare una carica congiunta. Per Trenitalia eravamo in tre. Noi inondavamo il sito di richieste e loro dirottavano il traffico su altri indirizzi. E noi li inseguivamo, per buttare giù anche quelli”.
In un OK Corral cibernetico durato circa quattro ore che ha lasciato a terra il sito per circa un’ora e mezzo (“comprese le biglietterie automatiche nelle stazioni”, anche se Trenitalia minimizza i disservizi).
Tre erano anche contro i siti di Equitalia, di Enel, del Vaticano e di Radio Vaticana. C’è una logica in questa razzia.
“Il nostro interesse principale è salvaguardare la libertà di informazione. Ma ci schieriamo contro ogni violazione di diritti”.
Le colpe, si legge sui comunicati, sono di “una ferocia inaudita nella riscossione di (presunti) tributi” o di ingerenze nella vita pubblica, contro preservativo e aborto, nel caso della Chiesa.
In genere i media sono risparmiati, ma qui la vendetta era per lo scandalo delle leucemie dovute ai ripetitori.
Bastano pochi hacktivisti, fusione a freddo tra hacker e attivisti, per grandi operazioni. Piace raccontarli come moltitudini, magari per accrescere l’epica e precostituire alibi di mancate catture, ma l’Anonymous italica è più “due camere e cucina”.
“Chiunque può partecipare. Basta entrare in uno dei nostri canali Irc (forum paleo-internettiani), farsi un’idea nei canali pubblici ed eventualmente approfondire la conversazione in quelli privati, a prova di intrusione poliziesca. Comunque direi che siamo una cinquantina di persone che contribuiscono regolarmente e sei-sette con un ruolo di coordinamento, gli organizzatori”.
La parola tabù è “capo”. Qui, come nei vari Occupy, non c’è gerarchia.
Chiunque può proporre delle azioni nelle chat. “Magari segnalano di aver scoperto una falla nella sicurezza di un sito.
A quel punto bisogna vedere se violarlo ha un senso strategico per noi. In ogni caso, le informazioni vengono salvate in una specie di grande blocco note online”.
È come collezionare chiavi di casa e annotare quali porte aprono. Non si sa mai che un giorno torni utile entrare.
Il nostro uomo, con tutte le vaghezze del caso, è un professionista.
Nella vita vera, come spesso succede, si occupa di sicurezza.
“È successo che abbia lanciato attacchi a partire dai computer di aziende per cui prestavo i miei servizi”. In passato ha lavorato anche per lo Stato.
È venuto in contatto con reti e documenti molto delicati.
Ciò che ha visto non gli è piaciuto: “Lo Stato insabbia, copre. Il mio senso delle istituzioni lo espleto in Anonymous”.
Racconta storie complicate, torbide, che è difficile verificare. Dà molti dettagli, ostenta familiarità con un’architettura bizantina di potere. “Il nostro colpo più ardito? Aver “bucato” la Vitrociset, ovvero l’azienda che gestisce tutte le reti delle forze dell’ordine.
Prendono un sacco di soldi dallo Stato, dovrebbero essere i garanti della sicurezza e gli abbiamo fatto tunnel per ben tre volte.
L’ultima, abbiamo defacciato (cambiato i connotati) la loro home page postando una specie di ricevuta del prezzo che avrebbero dovuto pagarci per la lezione che gli stavamo dando”.
Goliardici, anche.
La cosa più difficile è impadronirsi della password della sua personalità .
Del poco che si può dire, nel suo curriculum ci sono studi classici e pianoforte.
Poi un’impegnativa facoltà scientifica. Quindi la professione in importanti aziende private e pubbliche.
Un paio di anni fa, qualcuno l’avvicina. Intercetta il suo risentimento nei confronti del governo e, di fatto, lo arruola.
“Ero berlusconiano, non lo sono più. Più per fatto privato che politico. Ma neppure mi direi di sinistra”.
Il suo scaffale recente comprende La solitudine dei numeri primi (“Bella idea, realizzazione deludente “) e tutto Camilleri.
Musicalmente cita i Carmina Burana di Orff, i Pink Floyd, ma non gli viene in mente un italiano.
Al cinema ha visto sia Benvenuti al Nord che Benvenuti al Sud e gli sono piaciuti. “Ho bisogno di cose leggere” aggiunge quasi a scusarsi, “perchè la mia vita è sempre sul chi vive”.
Gli cito il titolo dell’autobiografia di un grande informatico, l’Andrew Grove che ha creato Intel: Only the Paranoid Survive.
Concorda. Il suo cellulare ha una scheda ricaricabile intestata al cinese sotto casa sua, cui ha dato cento euro per il disturbo. La sua email è criptata a 256 bit: “L’inespugnabilità non esiste, ma questa è la cosa che più gli si avvicina”.
Ogni volta che si connette a internet, come adesso per mostrarmi le schermate con la telecronaca dell’assalto a Trenitalia, entra in una specie di tunnel telematico (Tor) che, di nodo in nodo, cancella ogni traccia del passaggio.
Il suo disco fisso è blindato da varie mandate di TrueCrypt che, in caso di sequestro, dovrebbe renderne illeggibile il contenuto.
Dunque è tranquillo? “Neppure per idea. Ti rilassi un momento e quello dopo ti beccano. Le nostre chat sono infiltrate. Le “polpette avvelenate” sono frequenti, come quando ci hanno attribuito il furto dai server del Cnaipic, il centro anticrimine informatico che a luglio 2011 aveva indagato 15 presunti hacker, di 6 gigabyte di informazioni riservate che imbarazzavano la polizia. Ecco, approfitto di quest’occasione per ribadire che non siamo stati noi. Il file c’è arrivato da Sabu, un noto esponente di Anonymous americana. Peccato però che, nella data in cui l’abbiamo ricevuto, lui fosse già stato catturato dall’Fbi. Così, a occhio, sono stati i federali a recapitarlo: per quale motivo?”.
Se possibile, la storia si fa ancora più ingarbugliata.
Sembra che tutti vogliano depistare tutti.
L’unico dettaglio che manca è il perchè.
Il signor Anonymous ricorda che ha molto da perdere: “La mia compagna mi vede armeggiare al computer di notte e ogni tanto fa battute su siti porno. Preferisco continui a pensare a quello”.
Promette nuove iniziative.
Mi invita a seguirlo su twitter per essere il primo a sapere. “Ci saranno un paio di botti, nelle prossime settimane. Alcuni obiettivi grossi sui quali abbiamo, a grande maggioranza, convenuto”.
Mi mette anche in guardia dagli usurpatori.
Su Facebook, per dire, sono nate varie pagine che usano il nome di Anonymous senza avere niente a che fare, giura, con la cellula originaria.
Per quel tanto o poco che significa al tempo dell’opera rivoluzionaria nell’epoca della sua riproducibilità telematica.
Riccardo Taglianò
(da “la Repubblica“)
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
IL LICENZIAMENTO PER MOTIVI ECONOMICI E’ LEGATO “ALL’ATTIVITA’ PRODUTTIVA, ALL’ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO”
Articolo 18, si cambia. 
Il governo Monti conferma di voler innovare anche intervenendo sulla norma-totem per i sindacati, salvo modifiche del Parlamento.
Le norme si applicheranno a tutti, vecchi e nuovi assunti, tranne che al pubblico impiego, per ora.
I discriminator
Resta intatta la norma che li considera nulli, dunque come mai avvenuti, e continua a valere anche per le aziende sotto i 15 dipendenti.
Il licenziamento viene considerato discriminatorio se è determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa, dall’appartenenza a un sindacato e dalla partecipazione a attività sindacali.
Oppure nella formulazione più recente, in caso di «discriminazione sindacale, politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, di handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali».
E ancora, quando è intimato in concomitanza col matrimonio oppure dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino o dalla domanda o dalla fruizione del congedo parentale e per malattia del bambino.
Infine se è determinato da un motivo illecito.
In tutti questi casi il giudice ordina la reintegrazione del lavoratore, anche dirigente, nel posto di lavoro indipendentemente dalla motivazione adottata e quale che sia il numero dei dipendenti occupati.
È previsto anche il risarcimento del danno attraverso un’indennità commisurata all’ultima retribuzione globale dal giorno del licenziamento al reintegro, e il pagamento dei contributi.
Non cambiano nemmeno le norme che consentono al lavoratore di rinunciare al reintegro in cambio di un’indennità .
I disciplinari
Sono tali i licenziamenti intimati per giusta causa (comportamento grave che non consente la prosecuzione del rapporto, come ad esempio i furti o le risse) o per giustificato motivo soggettivo (notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del lavoratore, insomma i «fannulloni»).
In questo caso il governo innova nel senso che tali licenziamenti, qualora il giudice accerti l’insussistenza delle motivazioni del datore di lavoro (l’onere della prova sta al lavoratore), comportano la risoluzione del rapporto di lavoro dalla data del licenziamento e la condanna del datore di lavoro (per le aziende sopra i 15 dipendenti) a un’indennizzo tra le 15 e le 27 mensilità .
Il reintegro del lavoratore, così come previsto dall’attuale articolo 18, resta solo per alcuni casi.
Si avrà diritto al reintegro, secondo la nuova normativa, qualora il fatto contestato al lavoratore non sia stato commesso o se rientra tra le ipotesi previste dal contratto collettivo.
In questi casi sarà corrisposta anche un’indennità risarcitoria e verranno versati i contributi. Il lavoratore potrà chiedere al posto del reintegro l’indennizzo.
Gli economici.
Sono quelli più controversi.
Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, altrimenti detto per motivi economici, è sostenuto da ragioni che attengono «all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa».
Cioè dalla crisi dell’impresa (sempre sopra i 15 dipendenti), dalla cessazione dell’attività e, anche solo, dal venir meno delle mansioni cui era in precedenza assegnato il lavoratore, se non è possibile il suo «ripescaggio», ovvero la ricollocazione del medesimo in altre mansioni esistenti in azienda e compatibili con l’inquadramento.
Finora la normativa prevedeva che tale lavoratore potesse andare dal giudice, se riteneva insussistenti i motivi del licenziamento.
Al giudice era preclusa la valutazione sui criteri di gestione dell’impresa, in quanto considerati espressione della libertà di iniziativa economica.
Al giudice, insomma, spettava soltanto il controllo circa l’effettiva sussistenza del motivo del datore, sul quale gravava l’onere di provare l’inutilità della singola posizione e l’impossibilità di adibire il lavoratore ad altra collocazione.
Fatto sta che se i motivi economici non c’erano, l’attuale normativa prevedeva il reintegro del lavoratore, il risarcimento del danno e la corresponsione dei contributi.
La novità del nuovo testo è che l’inesistenza del giustificato motivo oggettivo, accertata dal giudice, determina solo il pagamento di un’indennità tra le 15 e le 27 mensilità e non più il reintegro.
Prima del licenziamento è prevista una procedura di conciliazione in cui il lavoratore è assistito dai sindacati.
Se la conciliazione produce la risoluzione consensuale del rapporto, il lavoratore sarà aiutato nel ricollocamento. In caso contrario si andrà dal giudice con le conseguenze già dette.
La Cisl e la Uil hanno chiesto che nel testo venga specificato che se nel processo emergono motivi diversi da quello economico, cioè «discriminazioni, abusi, irregolarità nelle procedure o motivi disciplinari», il giudice annulli il licenziamento. Il governo sembra orientato a accettare la formulazione che, qualora il licenziamento rientri sotto la fattispecie disciplinare o discriminatoria, se ne applichi la relativa discliplina.
Antonella Baccaro
(da “Il Corriere della Sera“)
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Marzo 24th, 2012 Riccardo Fucile
L’INTESA DI MASSIMA SULLA RIFORMA DELLA COSTITUZIONE IN PERICOLO
Per colpa dell’articolo 18 rischia di saltare la riforma della Costituzione.
Che praticamente sarebbe già scritta, c’è accordo di massima tra le forze politiche maggiori, manca soltanto il timbro finale.
Eppure rimane nel cassetto in quanto «A-B-C» dovrebbero fissare un appuntamento, incontrarsi e dire ai rispettivi capigruppo di Camera e Senato «okay, procediamo».
I tre non hanno in animo di incontrarsi, tantomeno di procedere, per effetto delle tensioni innescate dallo scontro sui licenziamenti.
Cosicchè i giorni passano, e tra non molto suonerà il gong del tempo scaduto.
Niente riduzione del numero dei parlamentari; niente poteri supplementari al premier; niente distinzione di ruoli tra i due rami del Parlamento…
Quale sarebbe il termine ultimo per ingranare la marcia?
Pasqua, dicono gli addetti ai lavori.
Il testo elaborato da Violante, Quagliariello, Bocchino e Adornato deve essere infilato nel calendario di Palazzo Madama entro la prima settimana di aprile.
Solo così sarà ipotizzabile un voto dell’Aula tra fine luglio e inizio di agosto, per poi passare la palla a Montecitorio. Oggi siamo al 22 marzo e tutto tace.
Col risultato che tra una quindicina di giorni si prenderà atto del fallimento, e verrà constatato che l’unica riforma ancora possibile riguarda la legge elettorale; anzi, forse nemmeno quella, perchè di veto in veto rischiamo di tornare a votare tra un anno con l’orrendo Porcellum.
L’esito sembra quasi segnato.
Si tratta solo di vedere se nelle prossime ore l’uno o l’altro o l’altro ancora dei segretari farà una mossa in controtendenza.
E prenderà decisamente l’iniziativa per evitare l’insabbiamento.
Quanti hanno gettato le basi «tecniche» dell’accordo stanno premendo con i rispettivi boss. Sostengono che l’articolo 18 non può giustificare una rinuncia a cambiare la Repubblica.
Dice a nome di tutti gli «sherpa» Quagliariello: «O la riforma della Costituzione viene tenuta al riparo della contingenza, oppure spunterà sempre una scusa per lasciare le cose come stanno. Nel ’48 c’era la Guerra fredda, che tuttavia non impedì ai padri costituenti di trovare un’intesa alta sulla nuova Carta; sarebbe grottesco se oggi ci facessimo bloccare a pochi metri dal traguardo».
Ugo Magri
(da “La Stampa”)
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