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VERDI DI VERGOGNA: IN LISTA CON IL CARROCCIO IN PUGLIA DUE SOTTO PROCESSO

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

IL CAPOLISTA E’ SOTTO PROCESSO PER BANCAROTTA FRAUDOLENTA, IL SECONDO INDAGATO PER CORRUZIONE IN UNA INCHIESTA SULLA SACRA CORONA UNITA

Tra sabato e domenica Roberto Maroni s’è arrabbiato con Nichi Vendola che parlava dell’infiltrazione della ndrangheta al nord anche grazie alla “loffia confidenza” di alcuni esponenti del Carroccio: “Dice cazzate, ci vediamo in tribunale”.
Nella Puglia del suo avversario, però, la situazione è un po’ differente.
La Lega Nord, infatti, è sbarcata nelle liste delle regioni del Sud con tanto di Alberto da Giussano e relativo spadone nel simbolo (più il nome di Tremonti).
Ebbene, al posto numero 2 della lista alla Camera c’è Donato Amoruso, che risulta essere indagato per corruzione e rivelazione di segreto d’ufficio in un’inchiesta sulla Sacra Corona Unita.
Amoruso fu addirittura arrestato nel dicembre 2009 — all’epoca era vicesindaco di Valenzano per Forza Italia — nel-l’ambito dell’operazione Domino, un blitz della Guardia di Finanza sull’attività  di riciclaggio del clan di Savino Parisi: l’accusa era di essersi adoperato, insieme ad altri amministratori, per agevolare l’iter burocratico legato all’approvazione delle concessioni relative a un progetto di edilizia universitaria da 30 milioni di euro dietro cui si celavano i soldi della criminalità  organizzata.
Magari la magistratura si sbaglia visto che Amoruso, nel 2007, aveva spiegato alla stampa che nel suo Comune “la mafia non esiste”.
Alla Lega, però, non è andata bene neanche la scelta del primo in lista: si tratta di Ferdinando Pinto, gestore del teatro Petruzzelli ai tempi dell’incendio (accusato di esserne il mandante, è stato assolto) e già  candidato non eletto per l’Mpa di Raffaele Lombardo.
Il problema è che Pinto è ancora sotto processo per bancarotta fraudolenta aggravata: i fatti risalgono agli anni Novanta e il nostro è accusato di aver distratto fondi proprio dall’ente autonomo che gestiva il teatro barese.

(da “Il Fatto Quotidiano“)

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MPS, COSÌ BANKITALIA HA CHIUSO GLI OCCHI

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

DA DUE ANNI L’AUTORITA’ DI VIGILANZA AVEVA INFORMAZIONI PER CAPIRE …IL MONTE HA FATTO DI TUTTO PER FAR SPARIRE LE PERDITE. E GLI ISPETTORI LO SAPEVANO

La Banca d’Italia, allora diretta dal presidente della Bce Mario Draghi, nel 2010 aveva gli elementi per capire che i conti di Monte Paschi di Siena erano truccati.
O almeno molto sospetti.
Sarà  pur vero che “la vera natura di alcune operazioni riguardanti il Monte dei Paschi di Siena riportate dalla stampa è emersa solo di recente, a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’Autorità  di Vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di MPS”, come ha comunicato Bankitalia pochi giorni fa.
E sarà  pur vero che il contratto con Nomura sul derivato Alexandria che nascondeva un buco di almeno 220 milioni è stato nascosto nella cassaforte dell’ex direttore generale Antonio Vigni dal 2009 fino al 10 ottobre 2012.
Ma è anche vero che la Banca d’Italia aveva davanti ai suoi occhi una sequenza di fotogrammi nitidi che formavano un film.
Ma nessuno ha voluto capirne la vera trama.
Il miliardo per Antonveneta.
Prima scena: l’acquisizione di Antonveneta.
Per arrivare ai 10 miliardi richiesti dal Banco Santander, Mps chiede ai suoi amici di sottoscrivere anche un miliardo di obbligazioni convertibili in azioni.
È il F.R.E.S.H. (Floating Rate Equity-linked Subordinated Hybrid Preferred Securities) sottoscritto per 490 milioni dalla Fondazione Mps, per 15 milioni di euro dalla Fondazione di Piacenza, per 30 milioni dalla Fondazione Cariparo e il resto da investitori istituzionali.
Il FRESH si converte in azioni ma garantisce una cedola lorda pari al 4,25 per cento più il tasso Euribor: nel 2008 si arriva al 10 per cento.
Per Mussari raccogliere il miliardo mediante le obbligazioni ibride FRESH presenta un vantaggio non da poco: può considerare quei soldi come se fosse capitale della banca perchè se la banca non fa utili, gli obbligazionisti non incassano la cedola.
Ai tempi dell’acquisto di Antonveneta, nel 2008, Mussari dichiara trionfante che vede la possibilità  di fare 700 milioni di euro di utile nel 2009 e tutti sono tranquilli.
Poi c’è il crollo dei mercati con il crack Lehman e i nodi vengono al pettine. Al 31 dicembre 2009 Mussari e Vigni si trovano stretti in una tenaglia: da un lato Bankitalia chiede di rafforzare il rischio del bond.
Se Mps vuole considerare quel miliardo come capitale, il FRESH deve distribuire la cedola non quando la banca realizza l’utile ma quando lo realizza e lo distribuisce. Mussari non è in grado di chiedere altri soldi al mercato e così il FRESH viene modificato dal suo emittente, JP Morgan, per andare incontro alle volontà  della Vigilanza di Bankitalia.
Però non tutti ci stanno a rinunciare ai diritti acquisiti.
La riunione a Milano
In una riunione nei primi mesi del 2009 a Milano, sottoscrittori che rappresentano circa l’otto per cento del Fresh si oppongono alle modifiche.
Il Jabra Fund del finanziere libanese Philippe Jabra ottiene che sia firmata dal Monte dei Paschi una sorta di malleva, una lettera di “indemnity” alla JP Morgan e alla Bank of New York che ha formalmente emesso il FRESH.
Se ci dovessero essere conseguenze negative a seguito delle decisioni di quella riunione, sarà  il Monte a farvi fronte.
Il rischio dell’impresa che Bankitalia voleva fosse attribuito ai possessori del FRESH (come Jabra) viene rimbalzato dal coriaceo libanese proprio su MPS.
Chissà  se Bankitalia ha ricevuto notizia da Mps della lettera che liberava dai rischi i sottoscrittori del FRESH.
E cosa ha fatto l’organo di vigilanza per reagire all’aggiramento alle sue prescrizioni?
Questa è una delle questioni al centro dell’inchiesta della Procura di Siena che si lega con il secondo filone, quello sul “trucco del bilancio” 2009 realizzato da Giuseppe Mussari e Antonio Vigni mediante il contratto (scovato nella cassaforte tre anni dopo) siglato con No-mura.
Il centesimo di Mussari.
Proprio nel 2009, subito dopo la modifica alle regole del bond per impedire di distribuire la cedola sul FRESH senza dividendi , accade una cosa più unica che rara: MPS distribuisce solo un centesimo e solo alle azioni di risparmio.
Sembra una pernacchia agli uomini di Mario Draghi e del suo vice Annamaria Tarantola.
Ma nessuno pare accorgersi che la distribuzione di poche centinaia di migliaia di euro agli azionisti di risparmio fa scattare la cedola sul FRESH da un miliardo.
La Fondazione MPS può mettere a bilancio più di venti milioni di euro. E anche Jabra è accontentato: MPS non dovrà  pagare la sua cedola come si era impegnata a fare con la lettera di “indemnity”. Tutti sono contenti.
Il bilancio ritoccato.
Peccato che oggi si scopre come è stato possibile chiudere quell’anno il bilancio in utile e quindi distribuire il dividendo da un centesimo e quindi pagare decine di milioni alle Fondazioni, a Jabra e agli altri ignoti e misteriosi detentori del FRESH. Mussari aveva concordato con Nomura un’operazione per nascondere le perdite del derivato Alexandria.
La banca giapponese comprava Alexandria a un prezzo alto e fuori mercato e in cambio Mussari si impegnava (con tanto di telefonata registrata a futura memoria) a comprare da Nomura alcuni derivati su titoli di Stato con scadenza lunghissima a prezzi fuori mercato, stavolta a sfavore di Mps.
Uno scambio tra un vantaggio immediato sul bilancio 2009 e uno svantaggio più pesante per Mps, ma spalmato sui bilanci a venire. Banca d’Italia, che già  doveva insospettirsi di fronte a un dividendo ridicolo alle sole azioni di risparmio nel 2009, avrebbe dovuto reagire a maggior ragione nel 2010.
L’ispezione.
Da maggio a novembre i suoi ispettori scoprono che “alcuni investimenti a lungo termine finanziati con repo di pari scadenza presentano profili di rischio non adeguatamente controllati, …. si sono determinati consistenti assorbimenti di liquidità  (oltre 1,8 miliardi di euro) riferiti a due operazioni, del complessivo importo nominale di 5 miliardi stipulate con No-mura Plc”, si legge nel verbale pubblicato da Linkiesta.it  .
Bankitalia quindi da un lato sa che MPS ha un disperato bisogno di distribuire un utile nel 2009.
Dall’altro vede nei conti della banca le operazioni realizzate a prezzi “fuori mercato” per nascondere le perdite di Alexandria e truccare il bilancio del 2009.
Ma non fa due più due e non prende provvedimenti.
La Procura dovrà  stabilire se si è trattato solo di disattenzione o di altro.

Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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LA GUERRA DI USTICA: “È STATO UN MISSILE, RISARCIRE LE FAMIGLIE”

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE PREVEDE 1.240.000 EURO PER LE VITTIME DIODATO, VIOLANTI E PARRINELLO… SCONOSCIUTI I RESPONSABILI, NUOVE OMBRE SULLA FRANCIA

Trentadue anni, sei mesi e un giorno. Tanto tempo ci è voluto perchè sulla strage di Ustica di quel famigerato 27 giugno 1980 e costata la vita a ottantuno persone, ci fosse una sentenza definita e definitiva.
Una sentenza che spazzasse via anni di menzogne, e parlasse di quello che fu: un missile.
Non fu un cedimento strutturale nè una bomba esplosa nella toilette di coda.
Ma un attacco militare contro il Dc-9 I-Tigi Itavia, decollato dall’aeroporto di Bologna per raggiungere Palermo e scomparso dai radar alle 20.59 mentre a 7.500 metri di quota si trovava tra Ponza e Ustica.
La Cassazione è andata anche oltre: ha stabilito che lo Stato deve risarcire i familiari delle vittime perchè ministero dell’Interno, della Difesa e dei Trasporti non seppero garantire la sicurezza di quell’aereo.
Questi sono i contenuti della sentenza 1871 depositata ieri dalla terza sezione civile della Suprema Corte.
Una sentenza che respinge i ricorsi presentati dai tre dicasteri, rappresentati dall’avvocatura di Stato, contro il pronunciamento d’appello della prima sezione civile di Palermo, presieduta dal giudice Alfredo Laurino.
Allora per la prima volta — era il 14 giugno 2010, dopo che il 30 giugno 2007 era terminato il primo grado — venivano condannati i ministeri al risarcimento di un milione e 240 mila euro a tre famiglie (quella di Marco Volanti, di Antonalla, Vincenzo e Giuseppe Diodato e a quella di Carlo Parrinello) che per prime si sono rivolte alla giustizia civile.
Adesso occorrerà  stabilire se quell’importo è adeguato, dato che la Cassazione ha deciso pure che la Corte d’Appello di Palermo verifichi in un nuovo processo l’effettiva congruità  della somma.
Omissioni e negligenze
E questa sentenza potrebbe costituire un precedente per due questioni aperte. La prima riguarda il maxi risarcimento deciso il 12 settembre 2011, quando la terza sezione civile di Palermo, presieduta dal giudice Paola Protopisani, condannò il ministero dei Trasporti e della Difesa per ragione analoghe.
Straordinario l’importo: più di 100 milioni di euro alla maggior parte delle famiglie perchè, oltre a non garantire la sicurezza del volo soprattutto nel famigerato Punto Condor, si erano macchiati di “omissioni e negligenze” che non avevano consentito di raggiungere la verità  sui fatti del 27 giugno 1980.
In altre parole avevano depistato sottoponendo per oltre trent’anni i parenti delle vittime a una “tortura della goccia cinese”. Anche in questo caso lo Stato ha presentato ricorso e il processo d’appello inizierà  solo nell’aprile 2014.
La seconda questione è invece politica e riguarda questa volta il Parlamento europeo.
Dove, da mesi, la commissione petizioni ha bloccato la possibilità  di indagare in sede comunitaria sulla strage perchè mancava una sentenza definitiva che parlasse di un missile ed escludesse una volta per tutte altre cause.
Questo passaggio potrebbe contribuire ad aggiungere un pezzo di verità  ancora mancante: la nazionalità  dell’aereo che ha sparato contro il volo dell’Itavia.
Che si trattasse di un’azione di guerra nei cieli sul Tirreno si sapeva infatti da molti anni. Si sapeva da quando, il 31 agosto 1999, il giudice istruttore Rosario Priore aveva depositato la sua sentenza.
Un documento che, se dal punto di vista penale non si è tramutato in condanne, ha comunque ricostruito lo scenario politico e militare in cui era avvenuta la sciagura di Ustica.
In quelle migliaia di pagine, infatti, si dava conto delle prime ipotesi che parlavano di un missile fin dalla fine degli anni Ottanta.
Ma soprattutto c’erano altri documenti, come la perizia radaristica consegnata a Priore, in cui emergevano le tracce di altri aerei — tutti militari — in volo con il Dc9.
Il decollo dalla Corsica
La Francia rimane la nazione sulla quale grava il maggior numero di sospetti. Suoi, si ipotizza, erano i velivoli che aprirono il fuoco. Si deduce dalla documentazione Nato consegnata alla magistratura italiana.
Con un ulteriore particolare: il decollo dei caccia sarebbe avvenuto dalla base aerea di Solenzara, in Corsica. Parigi, dal canto suo, ha sempre negato che sia mai accaduto qualcosa del genere sostenendo che le operazioni in quella base si erano concluse alle 17 del 27 giugno 1980.
Falso, hanno invece sostenuto testimoni oculari che videro aerei alzarsi ancora per molto tempo, dopo l’ora dichiarata.
Un’ulteriore smentita all’Eliseo arrivò dal presidente emerito Francesco Cossiga, che aveva parlato di un missile “a risonanza e non a impatto” sparato da un mezzo della Marina militare francese.
Dopo queste parole, il 21 giugno 2008 la magistratura romana aveva aperto un nuovo fascicolo ed era partita una serie di rogatorie a Paesi che operavano nel Mediterraneo nel 1980. Dopo anni Francia e Stati Uniti non hanno risposto.
A fronte di quest’ennesimo muro di gomma dall’estero Andrea Purgatori, il giornalista del Corriere della Sera che primo scrisse del missile, sostiene: “In Italia occorre un governo politicamente determinato a chiudere questa vicenda. Solo così si può avere la forza di chiedere a un Paese vicino, se non confinante e di certo alleato, di raccontarci la verità . Quello è stato un episodio di guerra che ha riguardato anche Gheddafi, i cui caccia sono sicuramente stati coinvolti e che ai tempi era considerato il primo nemico dell’Occidente”.

Antonella Beccaria e Emiliano Liuzzi
(da Il Fatto Quotidiano“)

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CASO MPS, GRILLI RIFERISCE IN COMMISSIONE E IL PD VA ALL’ATTACCO CON UN DOSSIER

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

“RESPONSABILITA’ SU GESTIONE DEI DERIVATI E TOBIN TAX”: PER IL PD LA CAUSA VA RICERCATA NEI GOVERNI PRECEDENTI

Lo scandalo Monte Paschi ha fatto perdere a Bersani l’1,6% di voti.
Nel giro di una settimana, la vicenda di Rocca Salimbeni ha “spostato” più del 5% dell’elettorato complessivo.
E ancora l’onda di piena non sembra affatto abbassarsi.
Anche se il centrodestra nel suo complesso non se ne è avvantaggiato (solo +0,2, ma +1 il Pdl), per il Pd la botta è stata accusata in modo molto forte.
E Bersani, ora, tenta il recupero.
A partire da oggi pomeriggio, quando il ministro Grilli riferirà  in commissione Finanze di Montecitorio sull’intera questione, indicando le prospettive di possibile (necessaria) nazionalizzazione dell’istituto di credito senese.
Il Pd, però, non ha alcuna intenzione di restare solo ad ascoltare.
Da giorni, al Nazareno stanno preparando un dossier per inchiodare i due governi che si sono succeduti dal 2009 ad oggi (dunque Berlusconi e Monti) alle responsabilità  “oggettive” sulla gestione dei derivati negli enti pubblici e, successivamente, alla formulazione di una tobin tax che è entrata in consiglio dei ministri “scritta in un modo” e “uscita” in un altro.
Nella sostanza: durante il governo Berlusconi, il ministro Tremonti ha consentito l’utilizzazione dei derivati anche negli enti pubblici e fino al 2010 sono state totalmente ignorate le richieste delle opposizioni (il parttcolare dei democratici) di far cessare la pratica in virtù degli allarmi internazionali su questi strumenti di “scommessa” economica al centro degli scandali e dei tracolli delle banche americane e della conseguente crisi.
Solo nel 2010, il governo Berlusconi ha sospeso la possibilità  di utilizzazione di derivati negli enti locali, ma molti danni erano già  stati fatti.
Ma è stato un fatto successivo — e secondo il Pd molto più rilevante dal punto di vista delle responsabilità  politiche — quello che verrà  rinfacciato oggi a Grilli quando il ministro, com’è probabile, difenderà  l’operato del governo Monti rispetto al salvataggio Mps e all’utilizzazione dei Monti Bond.
Per il Pd, la responsabilità  del governo non è infatti sul fronte operativo dell’emergenza, bensì su un quadro più ampio, quello della tobin tax.
Quando, cioè, il governo (con l’appoggio della fetta di maggiornaza costituita da Berlusconi e dalla Lega) ha ceduto alle pressioni delle banche riformulando totalmente il provvedimento rispetto a come era stato concordato e arrivando a varare un articolato ancora a favore degli istituti di credito anzichè della tutela dei risparmiatori e dei cittadini.
Che il governo Monti, d’altra parte, sia sempre stato il governo delle banche è noto, ma secondo il Pd, alla luce dello scandalo Mps, questa responsabilità  politica diventa, oggi, ancora più gravosa. Molto più di quanto lo sia stata, sotto certi aspetti, quella di Tremonti.
Che ha ignorato (di certo colpevolmente) gli allarmi dei primi momenti, ma poi (sempre,però, con colpevole ritardo, ricordano al Nazareno) ha “chiuso” i rubinetti del pericolo derivati.
Monti invece no: “Sapeva perfettamente cosa faceva e per conto di chi”.
E questo, a parere del Pd, non era a favore dei cittadini italiani.
Nel dettaglio, la tobin tax era stata formulata come una tassa che avrebbe colpito le transazioni finanziarie soprattutto quelle operate attraverso i derivati, proprio per “punire” la cosidetta “finanza di carta” a favore della finanza “sana”, ovvero delle transazioni su vere azioni e patrimoni.
In questo modo, per fare un esempio, su una transizione di milione di euro, le tasse su 800 mila euro sarebbero state a carico delle banche e solo 200 a carico del mercato.
La tobin tax che è uscita dal gabinetto Monti recita esattamente il contrario.
Che la tassazione maggiore è a carico del “mercato” sano, mentre — addirittura — i derivati sono “esentati” dall’applicazione della stessa tassa.
Che, quindi, non costituisce in alcun modo un deterrente. A favore esclusivo delle banche.
Ecco, secondo il Pd, questa scelta operativa pro sistema bancario è una responsabilità  politica del governo Monti senza appello.
Al pari di quella, altrettanto pesante — sempre a parere del Pd — che riguarda la mancata “vigilanza” sullo scandalo Mps attraverso il ministero (ma anche Bankitalia). “Per quanto ci riguarda — si sosteneva infatti ieri sera al Nazareno — Grilli, Monti, Tremonti e Berlusconi pari sono sul fronte della responsabilità  oggettiva della gestione economica e finanziaria del sistema bancario. Il caso Mps è questione a sè, le responsabilità  politiche riguardano il deciso asservimento dei governi Berlusconi e Monti ai voleri e al tornaconto esclusivo delle banche a discapito della finanza pulita e dei risparmi delle famiglie italiane”.
Il messaggio politico che oggi arriverà  da parte del Pd dalla commissione Finanze, di fatto è già  passato anche nell’elettorato italiano.
La percezione di Monti come “uomo al soldo delle banche” prima che dell’Europa, è uno dei motivi alla base del calo dei sondaggi della lista Monti nelle ultime rilevazioni riguardanti proprio il Monte Paschi.
Se il centrosinistra è stato penalizzato di più di un punto e mezzo, proporzionalmente la lista Monti ha perso molto di più, ovvero l’1%.
E chissà  che le notizie relative ai nuovi fascicoli in mano alla procura di Siena sul ruolo svolto da Jp Morgan sull’intera vicenda Antonveneta (Monti è stato a lungo consulente della banca d’affari e oggi lì lavora ancora il figlio Matteo) non rendano questo calo di consensi ancora più vistoso nei prossimi giorni.

Sara Nicoli
(da “il Fatto Quotidiano”)

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COMMISSIONE EUROPEA, L’AFFONDO DI REHN: “BERLUSCONI NON RISPETTO’ GLI IMPEGNI, HA SOFFOCATO LA CRESCITA DEL PAESE”

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

PER IL COMMISSARIO UE, IL PROSCIUGAMENTO DEI FINANZIAMENTI ALL’ECONOMIA HA PORTATO LO SPREAD ALLE STELLE

«Nell’autunno 2011 il governo di Berlusconi ha deciso di non rispettare più gli impegni» su riforme e risanamento dei conti presi con l’Ue e il «risultato è stato il prosciugarsi» dei finanziamenti al paese, con lo schizzare dello spread. Portando poi alla «crisi» politica e al governo Monti.
Così il commissario Ue Olli Rehn in un audizione all’Europarlamento.
IL CASO ITALIA
Rehn ha parlato di Berlusconi per spiegare i rischi che si corrono nel non seguire una politica di risanamento dei conti, soprattutto nei Paesi con i conti pubblici meno in ordine.
Il commissario finlandese ha affermato che quanto avvenuto in Italia «tra l’agosto e il novembre 2011» rappresenta «un esempio concreto».
Spiega Rehn: «Nell’estate del 2011 l’Italia aveva fatto promesse di risanamento dei conti. Inizialmente l’Italia ha rispettato gli impegni, la Banca centrale europea è intervenuta e il costo del finanziamento pubblico è sceso, ma poi il governo di Berlusconi ha deciso di non rispettare gli impegni e il risultato è stato il prosciugamento dei finanziamenti, che ha soffocato la crescita economica e ha portato alla fine del governo Berlusconi», ha detto Rehn
L’EUROPA
Per proseguire con il «riequilibrio dell’economia europea» che è ora «in corso», ha sottolineato il commissario Ue agli affari economici illustrando le priorità  delle politiche economiche per il 2013,«dobbiamo mantenere il ritmo delle riforme economiche».
Allo stesso tempo «dobbiamo proseguire con il consolidamento fiscale, in quanto ci sono ricerche accademiche e prove empiriche che dimostrano come un debito al 90-100% del pil ha un serio e negativo impatto sulla crescita», ha continuato Rehn, sottolineando che «sfortunatamente negli ultimi 4 anni in Europa il debito è salito dal 77% a circa il 90% per quest’anno e il prossimo».
Questo «peso sulla crescita» implica che «non c’è alternativa a un consolidamento intelligente differenziato anche paese per paese a seconda dello spazio di manovra fiscale».
Per realizzare le riforme, Rehn ha ricordato l’idea proposta dal rapporto sul futuro dell’Unione economica e monetaria di un «meccanismo di solidarietà » per aiutare e incentivare i paesi a sostenerne i costi insieme agli «impegni vincolanti»

(da “il Corriere della Sera“)

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PD E SEL VICINI ALLA MAGGIORANZA IN SENATO, MA MONTI SARA’ DECISIVO

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

SONDAGGIO TECNE’: VITTORIA DEL CENTROSINISTRA IN LOMBARDIA, PROSSIMO IL TRAGUARDO DI QUOTA 158, MA I MARGINI SONO RISTRETTI IN VARIE REGIONI E L’ESITO E’ SEMPRE INCERTO

Se autosufficienza è parola magica per la coppia Pier Luigi Bersani-Nichi Vendola, per allontanare lo spauracchio di una vittoria elettorale a metà , l’ultimo sondaggio Tecnè per Sky dovrebbe far sorridere i due leader di centrosinistra.
‘Dovrebbe’, perchè nei fatti quella che si profila dai numeri sarebbe la riedizione di un film già  visto, nel 2006, con l’Unione di Romano Prodi: la coalizione guidata dal segretario Pd sarebbe infatti a un solo punto da quota 158, il “magic number” in grado di controllare il Senato (dove il premio di maggioranza è regionale).
Un controllo risicato, che aprirebbe inevitabilmente a un’alleanza (o quantomeno una stretta collaborazione) con i montiani (dati a quota 36).
Un risultato che il centrosinistra raggiungerebbe riuscendo, secondo il sondaggio Tecnè, a imporsi soprattutto nella regione più in bilico di tutte, la Lombardia (dove sono in palio 49 seggi).
Qui il centrosinistra arriverebbe al 32,9% (27 seggi), il centrodestra (Pdl, Lega e altri) al 31,4% (12 seggi); seguono i montiani e il Movimento 5 stelle.
E se il Veneto resterebbe saldamente in mano al centrodestra (al 37,3%, 14 seggi contro 5) l’altra sopresa potrebbere essere la Sicilia recentemente conquistata alla regionali da un’alleanza Pd-Udc: qui, secondo Tecnè, il centrodestra sarebbe sì in vantaggio, ma di molto poco: 28,1% contro 27,6%, con il Movimento 5 stelle addirittura al 21,1% (e Monti al 17,4%).
“In realtà  — spiega Alessandro Chiaramonte, politologo del Cise-Luiss e professore a Firenze — queste differenze, che appaiono ampie in termini di numeri e di seggi, possono dipendere da scarti di voto piccolissimi.
Vincere o perdere in Lombardia oggi è questione di una manciata di voti, così in Sicilia o in Campania. Può essere questione di poche migliaia di voti, lo zero virgola qualcosa”.
E qui si spiegherebbero gli inviti alla desistenza, di qualche settimana fa, da parte del Pd, nei confronti di Rivoluzione civile di Antonio Ingroia, che a livello nazionale, al Senato, è accreditata di un 4,8% (zero seggi), ma che in Sicilia ha sicuramente un seguito che va oltre il dato nazionale (vedi Leoluca Orlando a Palermo).
“Pochi voti di differenza — dice ancora Chiaramonte — possono fare un’enorme differenza al Senato, rendendo il centrosinistra o autosufficiente o dipendente da qualche altro alleato, plausibilmente Monti”.
Per questo secondo il politologo “il centrosinistra farà  un tentativo di richiamo al voto utile a suo favore, soprattutto tra gli elettori della lista Ingroia. Tatticamente è giusto che lo faccia, anche una minima parte di quei voti possono fare la differenza al Senato. Così come il Pd ricorderà  agli elettori che hanno una certa responsabilità , perchè votando per Rivoluzione civile, che non ha chance di ottenere seggi (perchè c’è una soglia di sbarramento dell’8% in ciascuna regione), quei voti rischiano di non contare”.
Uno scenario, quello del sondaggio Tecnè, molto diverso da quello prefigurato solo venerdì da una rilevazione dell’Istituto Piepoli per La Stampa, che dava numeri molto più bassi per il centrosinistra, almeno al Senato: 143 seggi contro i 97 del centrodestra, i 38 di Monti e i 27 del Movimento 5 stelle. In Lombardia, in particolare, Bersani avrebbe 13 seggi (11 Pd e 2 Sel) contro i 27 di Berlusconi (13 Pdl e 14 Lega).
Parità , invece, in Lombardia, risulterebbe da un altro sondaggio, condotto da Quorum e pubblicato sul portale Tiscali.it: 34,4% per la coalizione di centrosinistra, 34,4% per la coalizione di centrodestra, con Monti al 14,4% e Grillo al 9,8%.
Numeri che sembrano grandi ma che in realtà  sono racchiusi in poche manciate di voti.
Diversamente dal 2006, quando il centrosinistra a guida Prodi aveva 158 seggi e nessuno con cui allearsi, oggi ci sono i montiani.
Il professore, secondo Chiaramonte, “potrebbe essere un elemento di moderazione e in quanto tale di stabilità . È una terza forza che irrompe e rompe il bipolarismo.
Monti chiederà  voti a sinistra e a destra per essere decisivo al Senato.
Per successo relativo bastano 35-40 senatori, che potrebbero essere il pacchetto decisivo per la maggioranza”.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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MPS, ORA SI VALUTA L’IPOTESI DI TRUFFA: AL SETACCIO BONIFICI PER 17 MILIARDI

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

OPERAZIONI FINANZIARIE PER CASSA, MILIARDI CHE VIAGGIANO PER IL MONDO, PREZZI CHE LIEVITANO DI 4 MILIARDI IN DUE MESI

L’inchiesta su Mps trova nuovi spunti e segue nuove tracce.
Quelle di tanti soldi, troppi per l’acquisto di Antonveneta per esempio. Ma non solo. Ci sono i miliardi che viaggiano da una parte all’altra dell’Europa e arrivano fino in Asia, operazioni finanziarie complessissime corrisposte per cassa, dunque cash, mancanza di una “due diligence” formale, prezzi che lievitano di 4 miliardi in due mesi, una montagna di operazioni sui derivati, da sempre un rischio per gli investitori, che potrebbero celare aggiustamenti di bilanci e nascondere la verità  agli organi di controllo, nuove ipotesi di reato che si affacciano sulla scena: più la procura di Siena scava sull’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi, più la partita diventa complessa e ampia.
Al vaglio l’ipotesi di truffa ai danni degli azionisti.
A cominciare dai reati contestati agli indagati, che sarebbero meno di dieci, tra cui ci sarebbe anche l’ex presidente di Monte Paschi di Siena Giuseppe Mussari (notizia mai confermata ma neppure mai smentita): i magistrati — anche alla luce delle carte arrivate da Milano sui derivati dell’operazione Alexandria con la banca Nomura — starebbero infatti valutando se sia ipotizzabile anche il reato di truffa ai danni degli azionisti.
Un’ipotesi, questa, che andrebbe ad aggiungersi a quelle già  avanzate di manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni dell’autorità  di vigilanza, aggiotaggio.
Ma i pm vogliono soprattutto capire come sia stato possibile che in soli due mesi il prezzo di Antonveneta sia schizzato dai 6,6 miliardi pagati dal Banco Santander ai 9,3 (più oneri vari che hanno fatto salire il prezzo definitivo a 10,1 miliardi circa) tirati fuori da Mps.
Ai quali vanno aggiunti almeno altri 7,9 miliardi di debiti Antonveneta, che l’istituto senese si è accollato.
Quel che è certo, perchè documentato, è che in soli 11 mesi — dal 30 maggio 2008 al 30 aprile 2009 — il Monte ha effettuato bonifici per oltre 17 miliardi.
Soldi che sono finiti ad Amsterdam, Londra e Madrid.
L’elenco dei bonifici è agli atti dell’inchiesta e già  sul primo versamento si sta concentrando l’attenzione degli inquirenti: il 30 maggio partono da Siena 9 miliardi e 267 milioni a favore di Abn Amro Bank con sede ad Amsterdam, che il Banco Santander — si legge nel documento informativo relativo all’acquisizione di Antonveneta inviato alla Consob da Mps — ha nominato “soggetto venditore titolare di diritti e obblighi derivanti dall’accordo” Si tratta infatti di una cifra maggiore, anche se di poco, dei 9 miliardi e 230 milioni pattuiti al ‘closing’ per l’acquisizione.
Il secondo bonifico parte lo stesso giorno ed è destinato al Banco Santander di Madrid, per un importo complessivo di 2,5 miliardi.
Il 31 marzo 2009 partono altri due bonifici, uno da un miliardo e mezzo e l’altro da 67 milioni, entrambi a favore del Banco Santander di Madrid.
I restanti quattro bonifici vengono disposti da Mps il mese successivo, il 30 aprile. I primi due, ancora una volta, sono a favore del Banco Santander e riportano uno l’importo di un miliardo e l’altro di 49 milioni; gli ultimi due, da 2,5 miliardi e da 123,3 milioni, sono a favore di Abbey National Treasury Service Plc di Londra.
Sono soprattutto questi ultimi due ad interessare gli inquirenti perchè si tratterebbe di cifre che, secondo qualcuno, sarebbero successivamente rientrate in Italia usufruendo dello scudo fiscale.
Ma le domande non finiscono qui.
Anche perchè è lo stesso Monte dei Paschi, nei documenti ufficiali, ad avanzare qualche perplessità  sull’operazione.
Nel documento inviato alla Consob, nell’analizzare i rischi connessi ai risultati economici di Antonveneta, la banca senese affermava che “Banca Antonveneta potrebbe continuare a non generare risultati economici positivi, con possibili effetti negativi sull’attività  e sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria dell’Emittente e del Gruppo”.
E’ possibile, ci si chiede in procura, che con una simile valutazione venga pagato un prezzo così alto?
Ma c’è un altro elemento.
“Bmps — si legge sempre nel prospetto informativo — non ha effettuato una formale ‘due diligence’ finalizzata all’aggiustamento del prezzo di acquisizione”, anche se ha avuto modo di controllare i bilanci di Antonveneta. Nè, tantomeno “sono state redatte perizie di stima ai fini della determinazione del prezzo”.
Dunque l’operazione è stata effettuata senza che il Monte abbia verificato dall’interno la contabilità  di Antonveneta.
Perchè? I magistrati ne chiederanno conto ai vecchi vertici di Rocca Salimbeni.
Verifiche fiscali su altre operazioni.
Sul tavolo dei magistrati anche i documenti relativi di due verifiche fiscali che hanno interessato altrettante operazioni fatte dal Monte.
La prima riguarderebbe la vendita portata a termine nell’autunno 2011 di Palazzo dei Normanni a Roma, l’ex sede delle esattorie.
La seconda verifica fiscale, già  conclusa nel 2012, avrebbe invece interessato una plusvalenza di 120 milioni scaturita dal rastrellamento, nel 2005, da parte di Mps di azioni Unipol, quando il gruppo assicurativo era impegnato nella scalata alla Bnl, poi non andata in porto.
La vendita di Palazzo dei Normanni sarebbe stata chiusa a 142 milioni, e non 130 come sempre stato detto.
Lo storico edificio, non lontano dal Colosseo, sorge su un’area di circa 6000 metri quadrati, con una superficie di 36 mila metri quadri.
L’edificio venne ceduto dal Monte a un fondo immobiliare gestito da Mittel. La verifica si concentrerebbe anche sulla velocità  con cui venne chiusa la trattativa con l’acquirente direttamente dai vertici del Monte.
Tra le ipotesi, che sarebbero al vaglio degli inquirenti, anche quella direttamente collegata al bilancio della banca che, grazie alla vendita ‘veloce’, venne chiuso in utile. Senza contare che Immobiliare Sansedoni, società  partecipata del Monte e incaricata della vendita, avrebbe avuto in mano offerte migliori ma le cui trattative rischiavano di protrarsi per le lunghe.
Vero è che anche il mercato immobiliare, in quel periodo, era già  quasi ai minimi e da tempo il Monte aveva messo in vendita il palazzo senza riuscire a trovare un acquirente.
La seconda verifica, chiusa nel 2012, avrebbe evidenziato una serie di competenze errate nella registrazione dei bilanci.
In sostanza, il Monte grazie alle operazioni sul mercato sui titoli di Unipol avrebbe ottenuto una plusvalenza di 120 milioni di euro, portati a tassazione nel 2006 anzichè nel 2005, quando — secondo le indagini — fu effettuato l’acquisto.
Non un semplice escamotage fiscale ma un’operazione, questa, che avrebbe consentito a Mps di ottenere un consistente vantaggio fiscale, con un risparmio del 95% grazie a una modifica del Testo unico.
La Fondazione pronta a farsi da parte. Incontro Draghi Grilli.
Intanto la Fondazione Mps sembra pronta a farsi da parte per sopravvivere.
E’ questa la situazione in cui si trova l’ente senese, primo azionista storico della banca, a una anno e passa dalla dura ristrutturazione di oltre un miliardo di debiti. L’indicazione è emersa dalla bozza del documento programmatico non ancora reso noto, in cui viene scritto che Palazzo Sansedoni è disposto a scendere sotto la soglia del 33,5% per garantirsi la “sopravvivenza” e l’equilibrio finanziario.
Un orientamento che, di fatto, andrebbe a combaciare con l’auspicio del presidente del Monte, Alessandro Profumo, da tempo disponibile a far entrare nuovi azionisti nella compagine azionaria della banca più antica del mondo, purchè di lungo periodo. Su questo è tornato l’amministratore delegato, Fabrizio Viola, che in un incontro con la stampa estera ha precisato che discussioni aperte non ce ne sono.
Ieri potrebbero aver parlato della banca e aver ricostruito i fatti degli scorsi anni il ministro dell’Economia, Vittorio Grilli e il presidente della Bce, Mario Draghi.
Il numero uno dell’Eurotower ha fatto tappa infatti a Milano e incontrato il titolare di Via XX Settembre, oggi atteso alla Camera per riferire sulla questione di Rocca Salimbeni.
Sui temi dell’incontro le bocche restano cucite ma non si esclude che Mps sia stato quello centrale. Draghi all’epoca dei fatti era alla Banca d’Italia e fu proprio lui ad autorizzare l’acquisto di Antonveneta e a monitorare da vicino il Monte fino al suo passaggio a Francoforte.
Intanto il tema centrale della vicenda resta l’operazione su Padova, il boccone troppo grosso e mai digerito dalla banca che nel 2007 pagò 10 miliardi al Santander per rilevarla.
Un argomento al vaglio della magistratura senese che sta indagando su presunte tangenti insieme al caso dei derivati che provocherà  una perdita di oltre 700 milioni. Viola ha precisato di non avere evidenze di casi di corruzione in questo ambito anche se, intervistato a ‘Porta a porta’, ha detto “non li avrei spesi” quattro miliardi in più per comprarla dagli spagnoli.
“Più che altro non avrei comprato Antonveneta tutta per cassa”. Commenti sul tema derivati sono arrivati invece da Profumo.
Secondo il presidente la grande massa di titoli di Stato in portafoglio, che ha comportato la richiesta di 3,9 miliardi di Monti Bond, è stata comprata “per coprire le perdite dell’operazione Alexandria” e “sono questi titoli che ora generano perdite”. “Si tratta di operazioni interconnesse” all’acquisto di Antonveneta, ha concluso. L’esame del portafoglio dovrebbe passare al vaglio del Cda di Mps mercoledì 6 febbraio.

(da “Il Fatto Quotidiano”)

argomento: Giustizia | Commenta »

PACE FATTA TRA CARFAGNA E MUSSOLINI. ORA GLI ITALIANI POSSONO DORMIRE SONNI TRANQUILLI

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

NEL PDL UN MOMENTO DI ALTA POLITICA: DOPO LE VAJASSATE IN PARLAMENTO, FOTO RICORDO A NAPOLI CON LA NIPOTE DEL DUCE IN BRACCIO A MARA

Presentazione delle liste Pdl all’Hotel Ramada di Napoli: Alessandra Mussolini salta letteralmente in braccio a Mara Carfagna.
E sono sorrisi, parole di stima reciproca.
Miracoli della politica.
Solo 2 anni fa le due esponenti del Pdl si affrontavano a colpi di «vajassa» e «ministruccia cretina», dopo lo scatto malandrino della nipote del duce che immortalò Mara a colloquio con il tordo di Fli Italo Bocchino, fresco di scissione dal Cavaliere.
La Carfagna, sollecitata dai cronisti, è poi corsa in soccorso di Berlusconi: «Come al solito è stata estrapolata una frase (sul fascismo, ndr) ed è stato montato in caso».. «Berlusconi ha specificato il suo pensiero. Il fascismo è da condannare già  per il solo fatto di aver introdotto le leggi razziali e soffocato la democrazia», sottolinea la Carfagna e il giudizio di Berlusconi sulla dittatura «è stato inequivocabilmente negativo».
Argomento spinoso: è necessario un coordinatore di origine campana per il Pdl, come chiesto anche da Caldoro?
«Lo auspichiamo per una rivendicazione di orgoglio e dignità  della classe dirigente del territorio. Ma questo – dice Carfagna – non significa alcun attacco al coordinatore Nitto Palma. Ci sono tanti esponenti del partito in Campania che hanno le carte in regole per ricoprire quell’incarico ma Nitto Palma deve restare al suo posto per tutto il tempo che sarà  necessario, anche dopo le elezioni».
E, infine, su Nicola Cosentino: «Non ho mai nascosto il fatto che fosse un avversario politico ma la sua vicenda umana è particolarmente delicata e di certo non gioirei assolutamente se si decidesse per una carcerazione preventiva di cui non esistono assolutamente i presupposti».
Dopo questa sintesi del Mara-pensiero ora gli italiani possono dormire sonni tranquilli.

(da “il Corriere del Mezzogiorno“)

argomento: Costume, PdL | Commenta »

PD, PRIMA VOLTA SOTTO IL 30%: “UN EFFETTO LIEVE CHE NON DURERA'”

Gennaio 29th, 2013 Riccardo Fucile

GLI ESPERTI: IL PD PERDE QUALCOSA A VANTAGGIO DI GRILLO E INGROIA, NON DI BERLUSCONI E MARONI… LA COALIZIONE PD – SEL SEMPRE CON SETTE PUNTI DI VANTAGGIO

Una lieve flessione del Pd, forse solo temporanea.
Con voti che potrebbero traghettare non tanto verso i principali avversari, Monti o Berlusconi, ma piuttosto in direzione di forze nuove e «vergini» di legami di potere, come il Movimento 5 Stelle di Grillo e Rivoluzione civile di Ingroia.
I sondaggisti alle prese con le rilevazioni questo prevedono: che l’affaire Monte dei Paschi di Siena possa incidere, ma solo leggermente, sulle percentuali del Pd, partito che ha una vicinanza storica all’istituto senese
«Non ho ancora fatto un sondaggio dopo il caso Mps, perchè temo che il forte umore mediatico possa falsare i dati, mentre tra qualche giorno le percentuali saranno più puntuali», premette Roberto Weber dell’Istituto Swg.
«Ma il paragone che mi viene subito alla mente è con la vicenda Unipol, nel 2005 (il tentativo di scalata alla Bnl, ndr). Anche allora, ricordo, il vantaggio a favore del centrosinistra era semi-incolmabile: con quella storia, Berlusconi cominciò invece a pareggiare le elezioni dell’anno dopo. Questa volta però ci sono differenze: intanto, il panorama non è bipolare, ma estremamente frammentato, i voti che eventualmente usciranno dal Pd non andranno necessariamente al centrodestra. E poi c’è stata la reazione di Bersani».
Se ci attaccano li sbraniamo, ha detto.
Dice che funziona?
«Ha trasmesso uno sdegno emotivo forte, e, nello stesso tempo, è stato intimidente. Questo doppio registro funziona. Allora, ai tempi del caso Unipol, non ci fu una reazione così».
Per questo, «e anche perchè le banche non godono della fiducia della pubblica opinione, che può quindi avere la tendenza ad attribuire a loro tutta la colpa», secondo Weber «un decremento del Pd può esserci, ma non un tracollo».
Chi ha già  rilevato un calo dei democratici, in un sondaggio realizzato giovedì scorso, è l’Istituto Demopolis.
Li ha fotografati al 29%, per la prima volta sotto il 30% dai giorni delle primarie.
Ma, ci tiene a precisare il direttore Pietro Vento, «è difficile dire se sia solo effetto di un’offerta politica più competitiva oggi rispetto al mese scorso, o se sia anche conseguenza dell’impatto del caso Mps».
I numeri di Demopolis sono comunque ancora favorevoli a Bersani: la forbice della coalizione Pd-Sel con il centrodestra di Berlusconi e Maroni resta di sette punti, 34,5% a 27,5%.
Terminerà  le sue rilevazioni oggi anche Fabrizio Masia, dell’Istituto Emg.
Ma una percezione già  la può dare: «Penso che la questione Monte paschi possa avere un piccolo effetto negativo sul Pd, di uno o due punti: ma se anche così fosse, potrebbe essere un fenomeno di breve periodo che viene riassorbito da una buona strategia comunicativa».
Molti fattori, ragiona Masia, possono ancora incidere: «Ad esempio come viene comunicata la notizia. Dire che sono stati dati soldi a una banca è diverso dal dire che sono stati prestati e dovranno essere restituiti con gli interessi… La percezione dell’opinione pubblica dipende anche da questo».
Importante anche, ricorda il direttore di Emg, «la capacità  del Pd di comunicare estraneità  alla vicenda. La linea corretta è quella di mostrarsi sicuri senza eccedere in aggressività ».
E se qualche elettore dovesse abbandonare il Pd, dove porterà  il proprio voto?
«Credo nè a Monti nè a Berlusconi, ma all’astensionismo o ai movimenti di protesta, come il Movimento di Grillo o Rivoluzione civile di Ingroia», valuta Masia.
Stessa riflessione di Weber: «Se questa faccenda fa perdere voti al Pd, li guadagna Grillo. Lui è strepitosamente bravo a interpretare e sceneggiare l’insofferenza, ed è il più credibile: può dire “io sono fuori da tutto, io con tutto questo non c’entro niente”».
E Vento sottolinea un altro fattore da non dimenticare: «Solo il 57% degli elettori ha già  fatto una scelta definitiva. Uno su cinque non ha ancora deciso, mentre il 23% dichiara un voto ma dice che potrebbe cambiare idea nelle prossime settimane. Di fatto, assistiamo a una liquidità  del mercato elettorale mai registrata prima».

Francesca Schianchi
(da “La Stampa“)

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