Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
AL MILAN QUELLO CHE TRE SETTIMANE FA ERA UNA “MELA MARCIA” UNA VARIANTE DEL “MENO TASSE PER TUTTI”: PER SOGNARE IL 20%.
Diavolo di un Berlusconi. Proprio il giorno delle elezioni politiche, il 24 febbraio, a San Siro si gioca il Derby Milan-Inter, e, zac, scenderà in campo il nuovo astro rossonero, Super Mario Balotelli.
Dopo l’effetto Mps, si dice che il «Bad boy» valga un punto in più per il Pdl nei sondaggi.
Altri si spingono addirittura ad indicare il 2 per cento (di cui quasi centomila voti in più in Lombardia che è la regione decisiva per attribuire il premio di maggioranza nei seggi al Senato).
Naturalmente, su queste previsioni nessuno è disposto a metterci nome e cognome e quindi più che di previsioni si tratta di rumours.
Ma come si sa, in borsa , come nella vita, «si acquista» sul rumours e «si vende» sulla notizia certa
E poi c’è un’altra valutazione da fare: un gol vincente di Balotelli, che è anche centravanti della Nazionale, nel Derby, quanti voti può portare?
Che peso ha un gol del genere, ad urne aperte, nel primo giorno di votazioni e durante le ore del silenzio elettorale?
Naturalmente, la situazione che si verrebbe a creare è potenzialmente ad alto rischio: perchè potrebbe valere anche l’effetto contrario, in caso di sconfitta del Milan a San Siro
Alcune reazioni fanno ritenere che l’effetto «Super Mario» possa esserci e sostanzioso. Per rimanere al Derby meneghino, il presidente dell’Inter Massimo Moratti, ieri, ha dichiarato: «Balotelli al Milan? Fatti loro. È un buon acquisto. Vedo questa cosa come qualche cosa di utile a Berlusconi per mille motivi e vedremo come andrà a finire». «Per mille motivi», dunque, non solo sportivi.
Ospite del Tg3, Silvio Berlusconi ha giustificato l’acquisto «con motivi tecnici della società »
Insomma, «Balotelli non è stato un investimento per la campagna elettorale».
Ma, poi, il patron rossonero ha aggiunto una notazione patriottica: «La cosa positiva che ho pensato è che Balotelli ha segnato due gol e fatto piangere i tedeschi, mentre l’altro Mario», cioè Mario Monti, «ha segnato due gol con l’Imu e il redditometro e hanno fatto piangere tutti gli italiani»
Il candidato montiano alla presidenza della Regione Lombardia, Gabriele Albertini, parla di «panem et circenses».
«Il panem sono le battute e la propaganda – ha spiegato Albertini – e i circenses lo stadio. Al tempo dell’antica Roma c’erano i gladiatori, ora ci sono i calciatori»
Renato Mannheimer, sociologo e analista di flussi elettorali, afferma: «Non so, non saprei quantificare l’effetto. Ma c’è un pubblico di tifosi rossoneri che nessuno ha mai stimato, e pure esiste e che potrebbe essere grato a Berlusconi per il nuovo acquisto. Magari, un bel numero di persone che era indeciso, e che adesso si decide a votare. Il calcio del resto è rimasta l’ultima passione degli italiani».
Un sondaggio Sky Tg 24 sui propri telespettatori ha invece rilevato che il 55 per cento non ritiene che l’acquisto di Balotelli avrà effetti sulla campagna elettorale, mentre il 45 per cento ritiene di sì.
Opinione condivisa dal vicesegretario del Pd Enrico Letta (peraltro milanista): «Non credo che l’acquisto di Balotelli abbia alcuna influenza sui sondaggi e sulla campagna elettorale».
«Anzi – ha continuato Letta – spero che Berlusconi compri anche Kakà . Perchè quando il Milan va bene, Berlusconi va male politicamente, e siccome il Milan in questi mesi è andato male, ero preoccupato dal punto di vista politico. Per fortuna ora la squadra sta recuperando, e quindi sono molto più tranquillo».
E se Alessandra Ghisleri e Roberto D’Alimonte non hanno voluto in alcun modo commentare, c’è chi invece sotto il vincolo dell’anonimato ritiene che tra venti giorni Balotelli sarà dimenticato, mentre la crisi economica che morde gli italiani no: è questa l’unica cosa che interessa gli italiani.
L’economia è infatti passata in testa ad ogni altro argomento di interesse nel Paese per gli italiani che lavorano che vanno a votare, o giovani adulti che il lavoro proprio non ce l’hanno.
«E questo riguarda anche due universi di elettori che tradizionalmente hanno votato in passato per Berlusconi: i piccoli imprenditori e le classi più popolari».
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
FRANCO LA TORRE: “FARE LA GARA A CHI E’ PIU’ ANTIMAFIOSO E SOLO IL PIU’ GRANDE FAVORE ALLA MAFIA”
Divisi come sempre. Uno contro l’altro. Come ai tempi di Sciascia. 
In guerra come quando Giovanni Falcone andava in tv per difendere la sua scelta di lasciare Palermo e trasferirsi al ministero della Giustizia.
Su fronti opposti come quando l’allora sindaco di Palermo Leoluca Orlando lo accusava di aver tenuto «le carte dei cassetti», quelle dei rapporti tra mafia e politica. Non c’è pace per il movimento antimafia, ormai da oltre vent’anni.
E adesso che i protagonisti di allora e i nuovi eredi di oggi si ritrovato frangiati in ogni schieramento, dal Pd a Rivoluzione civile, da Sel al Megafono di Crocetta, le divisioni si estremizzano.
Lo scontro tra Ingroia e Boccassini diventa un tassello di una “eterna rissa” che, come dicono in tanti, «fa solo il gioco della destra».
I più turbati, su fronti contrapposti, sono i figli di vittime famose come Pio La Torre e Giuseppe Fava, il parlamentare del Pd e il giornalista. Franco La Torre e Claudio Fava stanno uno da una parte, Rivoluzione civile di Ingroia, e uno dall’altra, Sel di Vendola.
Reagiscono con la stessa angoscia.
È uno sfogo quello di La Torre: «Non se ne può più. Quello che sento mi ricorda lo scontro all’interno del coordinamento antimafia ai tempi di Sciascia, quando poi lui scrisse quel famoso articolo. Fare la gara tra chi è più antimafioso è solo il più grande favore che si può fare alla mafia».
Su Ingroia è netto: «Ero con lui non si è paragonato a Falcone».
I morti. I morti famosi.
Claudio Fava rivela una reazione intima: «Il momento più malinconico della campagna elettorale dell’attuale governatore Rosario Crocetta è stato quando ha detto “sono il nuovo Giuseppe Fava”. È una vanità pericolosa misurarsi con chi non c’è più, è poco rispettoso, magari pure in buona fede, ma inopportuno».
Poi netto: «Così l’antimafia rischia di diventare solo un’esibizione di medaglie da portare all’applauso delle platee».
I morti non si toccanno. Mai, vanno lasciati in pace.
Non la pensa in modo diverso Francesco Forgione, ex presidente della commissione parlamentare Antimafia, anche lui in gara con Sel: «Nessuno sa cosa avrebbero pensato La Torre e Borsellino. Una campagna elettorale che si scontra sulla memoria dei morti non mi piace. È sbagliato appropriarsi di un’eredità che dovrebbe essere di tutti, per giunta pretendendo di dare anche l’interpretazione autentica».
Le divisioni passate e presenti sono un regalo alla destra. «Dall’altra parte ci sono i candidati come D’Alì e Lombardo, e su questo non ci si può dividere».
C’è imbarazzo anche dentro Rivoluzione civile.
Lo si avverte quando parla una come Gabriella Stramaccioni, ex direttore di Libera: «Le divisioni purtroppo si ripetono, gli schieramenti sono sempre quelli. La madre di tutte le tragedie è la legge contro Caselli (quella che bloccò la sua corsa per la procura nazionale antimafia, ndr.)».
Poi una pacata difesa di Ingroia. «Non capisco l’accanimento contro di lui, per altri magistrati che sono scesi in politica non c’è stato. Lui è molto preoccupato e questo giustifica reazioni astiose che certo non aiutano, però c’è troppo fuoco amico e troppo fuoco nemico».
Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti, sta con Ingroia ma sta che con il Pd. Davide Mattiello, che per quattro anni è stato il responsabile di tutta l’organizzazione territoriale, è in evidente imbarazzo quando gli si mettono davanti le divisioni dell’antimafia: «La penso come il ministro Severino, certi toni sono inopportuni. Lo scontro è triste. Ingroia, Grasso, Boccassini hanno speso una vita contro la mafia, questo mi basta in un paese di malfattori, il resto è solo umanità ».
È lo stesso imbarazzo che si coglie in una Pd come Laura Garavini, deputato uscente, candidata per l’Europa, componente della commissione Antiamafia.
Eccola dire con esitazione: «È uno scontro che non comincia adesso. Sono esternazioni poco felici, tutti screzi legati alla precedente attività professionale. Chi ne beneficia è solo la destra».
E in effetti basta ascoltare il commento di uno come Roberto Centaro, ex magistrato passato con il Pdl e adesso esponente di punta di Grande Sud di Gianfranco Miccichè. Lui non ha dubbi, coglie la palla al volo: «Ha ragione Boccassini. E io faccio mie le parole della sorella di Falcone, gli eroi del nostro tempo non vanno tirati in ballo per promuovere un’immagine politica. Ho conosciuto Borsellino e Falcone, il primo teneva Ingroia fuori dalla porta, il secondo fu attaccato dalla sinistra per il suo lavoro al ministero».
Proprio quello che s’immagina Fabio Granata, il finiano durissimo con Ingroia che dell’antimafia ha fatto una questione di vita politica.
«Mi immagino la faccia dei boss di fronte a queste polemiche. Anche in campagna elettorale difendo quei valori, ma non cito ogni giorno le vittime. Di questi scontri avrei fatto volentieri a meno, danno fiato solo a chi attacca la magistratura. La discesa in campo di Ingroia e le polemiche non fanno bene al fronte antimafia e danneggiano solo il processo sulla trattativa».
Liana Milella
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
INGROIA NON SI E’ PARAGONATO A FALCONE, MA HA PARAGONATO LE DUE SITUAZIONI CHE PERO’ SONO OBIETTIVAMENTE DIVERSE
Volano gli stracci, nel campo del cosiddetto «antiberlusconismo giudiziario» (se mai fosse lecito utilizzare questa espressione impropria, brandita con troppa disinvoltura da una parte del mondo politico).
Ilda Boccassini, inquirente del Cavaliere a Milano, contro Antonio Ingroia, inquirente del Cavaliere a Palermo.
Il quale ha riposto la toga nell’armadio e s’è candidato alle elezioni contro Berlusconi. Ilda Boccassini, invece, continua a occuparsi dei suoi processi e procedimenti, con l’impegno di sempre.
Quello a carico dell’ex presidente del Consiglio e i tanti altri che ha sulla scrivania. Compresa l’inchiesta ereditata proprio dall’ufficio di Ingroia su Marcello Dell’Utri accusato di estorsione, con Berlusconi parte lesa
Dopo una breve parentesi trascorsa al loro fianco a metà degli anni Novanta, il procuratore aggiunto di Milano non ha mai avuto opinioni esaltanti sui metodi d’indagine dei colleghi palermitani.
Lo stesso si può immaginare della scelta del collega Ingroia di entrare in politica, ma è sempre rimasta in silenzio.
Finchè lui non ha citato per l’ennesima volta Giovanni Falcone, paragonando la propria situazione a quella del magistrato assassinato vent’anni fa.
Allora è sbottata: si vergogni. Con pronta replica dell’interessato: si vergogni lei.
Scenario spiacevole, e un po’ imbarazzante.
Il primo paradosso è che a destra gongolano per le parole di Ilda Boccassini contro il leader di Rivoluzione civile, sorvolando sul fango e le contumelie riversate sul pubblico ministero milanese.
E poi un altro: contro Ingroia che ha adombrato pensieri non lusinghieri di Paolo Borsellino sul conto della ex collega, s’è schierato il fratello del magistrato assassinato dalla mafia, Salvatore; chiedendo di non usare quel nome nella campagna elettorale, lui che forte dello stesso cognome ha imbastito fortissime polemiche, anche a sfondo politico.
Qualche crepa, inoltre, si può scorgere all’orgine della diatriba.
E cioè nelle frase con la quale Ingroia ha messo le critiche rivoltegli da altri magistrati dopo il suo ingresso in politica sullo stesso piano di quelle incassate da Falcone nel 1991, quando andò a lavorare al ministero di Grazia e Giustizia con il Guardasigilli socialista Claudio Martelli, nel governo presieduto da Giulio Andreotti.
E’ vero che non s’è paragonato a Falcone, ma ha paragonato le due situazioni. Che però non sono facilmente paragonabili.
Intanto perchè il giudice che istruì il maxiprocesso a Cosa nostra non si mise mai alla guida di un partito (o movimento), nè si candidò a Palazzo Chigi; accettò di lavorare in un ufficio che la legge prevede sia assegnato a un magistrato.
Nè, mentre svolgeva indagini, partecipava a convegni di folle osannanti che scandivano il suo nome come quello di un divo.
Dopodichè è vero che fu criticato (anche) dai colleghi, ma è vero pure che non fu mai amato dalla categoria.
A prescindere da quell’impiego temporaneo.
Basti pensare che quando si presentò alle elezioni per il Consiglio superiore della magistratura – nel 1990, dopo che già erano scoppiato il caso della sua mancata promozione e dopo l’attentato all’Addaura, ma prima di trasferirsi al ministero –, su 6.500 magistrati andati alle urne solo 113 votarono per lui. Cioè l’1,7 per cento.
Dunque l’avversione delle toghe italiane verso Falcone non era collegata al suo «avvicinamento alla politica», come l’ha chiamato Ingroia.
Che peraltro avvenne su un piano tecnico, un posto ministeriale riservato ai magistrati.
Ci fu chi criticò qualche sua opinione o iniziativa ministeriale anche tra chi certo non gli era ostile, cosa del tutto naturale e legittima.
Perfino Paolo Borsellino firmò un appello contro la Superprocura ideata da Falcone, ma poi era convinto che a dirigerla dovesse andare lui.
A differenza della maggioranza del Csm che votò per un altro candidato, «togati» scelti dai magistrati e «laici» designati dai partiti che mettevano in dubbio la sua indipendenza dal potere.
E come ha ricordato Emanuele Macaluso, tra le voci che con maggiore veemenza si levarono contro di il giudice antimafia peri i suoi ultimi atti giudiziari (in particolare l’inchiesta sui «delitti politici» di Cosa nostra) c’era quella del sindaco di Palermo Leoluca Orlando.
Il quale in passato era stato amico di Falcone, fino al punto di celebrarne le nozze, e ora è al fianco di Ingroia e della sua «Rivoluzione civile».
Esempio eclatante di come possono mutare le opinioni e i rapporti personali nel corso degli anni
In questo guazzabuglio di storie e intrecci è difficile trarre posizioni nette e giudizi trancianti come quelli che stanno animando questa zuffa preelettorale.
Ed è quantomeno ardimentoso citare protagonisti che non ci sono più, per confortare propri pareri su persone o fatti accaduti dopo la loro morte.
Certamente Antonio Ingroia era amico e in ottimi rapporti con Paolo Borsellino, ma nessuno può sapere oggi che cosa avrebbe pensato o detto Borsellino del candidato Ingroia.
E nemmeno delle sue indagini più recenti.
Così come Ilda Boccassini era amica e in ottimi rapporti con Giovanni Falcone; del quale, purtroppo, non sappiamo che cosa avrebbe pensato o detto delle inchieste palermitane, e del comportamento di certi magistrati.
Anche se molti, prendendo ogni volta la frase o il ricordo più conveniente, continuano a tirarlo dalla loro parte.
Giovanni Bianconi
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
AI MICROFONI DELLA ZANZARA IL GIORNALISTA TENTATO DAL VOTO A GRILLO
“Le liste del Pdl mi fanno venire i conati di vomito, Berlusconi ha ricandidato i soliti, mi
sono saltati agli occhi i nomi di una decina di mignotte, intese anche come mignotti”.
Lo dichiara Vittorio Feltri ai microfoni de “La Zanzara”, su Radio24.
“Sono operazioni incomprensibili” — continua l’editorialista de “Il Giornale” — “Ad esempio, mettere la Polverini nel Lazio che fa perdere i voti per la vicenda Fiorito. Ma non potevano metterla da un’altra parte, magari in Trentino?”.
E aggiunge: “La Polverini è un respingente, perchè quella storia dei soldi ha indignato tutti. Poi certe persone che volevano andare con Monti, vedi la Roccella, sono state ricandidate e premiate”.
Riguardo alla mignottocrazia, Feltri afferma: “Non siamo mica nati ieri e sappiamo che Berlusconi ha candidato di nuovo delle mignotte, intese come persone che si adattano a fare qualsiasi cosa, che fanno quegli esercizi che non sono titolo di merito. Non è che se io faccio una scopata allora merito un aumento di stipendio“.
Infine, il giornalista si pronuncia sulle discusse dichiarazioni di Berlusconi su Mussolini. “Ha detto solo ovvietà ”, asserisce.
E sul voto, conferma la simpatia per Beppe Grillo. “Non ho detto che lo voto con certezza, ma che sono tentato dal farlo” — dichiara — “Voterei Giannino ma non si è alleato con nessuno, Berlusconi l’ho sempre votato perchè era tra i meno peggio. Ma pur di non far vincere la sinistra potrei turarmi di nuovo il naso e qualcos’altro“
Gisella Ruccia
(da “il Fatto Quotidiano“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
INDAGATI I CAPIGRUPPO DELL’OPPOSIZIONE… CONTESTATO ANCHE UN BARATTOLO DI NUTELLA
Sospendere la campagna elettorale o proseguire seguendo la linea Ambrosoli: dimissioni in caso di rinvio a giudizio.
Il centrosinistra lombardo prova una difesa tra imbarazzi e confusione.
Le spese contestate ai consiglieri dell’opposizione, 29 in tutto quelli iscritti dalla Procura di Milano, sono di entità inferiore, per esempio, rispetto ai 6000 euro spesi (e poi restituiti) dal leghista Galli per il matrimonio della figlia o i quasi 1000 euro spesi dalla Minetti per una cena al Principe di Savoia.
Ma pongono immediatamente un dilemma morale e politico: si può fare la campagna elettorale con un avviso di garanzia in tasca?
Il centrosinistra dovrà stabilire se un invito a comparire davanti ai magistrati è una patente di impresentabilità tale da compromettere le candidature, quelle regionali ma soprattutto quelle per un seggio a Roma che sono vincolate alle preferenze.
Sul punto i diretti interessati pesano le parole e fanno valere come un mantra la linea tracciata dall’avvocato candidato al Pirellone.
Ma il problema della credibilità dei candidati che affrontano le urne resta e sarà oggetto di riunioni nei prossimi giorni.
Il centrosinistra, del resto, ha l’esigenza di marcare una differenza dal centrodestra caduto su creme di bellezza, cene da migliaia di euro e cartucce da caccia rimborsate come attività di rappresentanza.
Ma al momento le poche informazioni non lo consentono e a prevalere è l’imbarazzo
Ci sono i capigruppo di Pd, Sel, Idv, Pensionati e Udc al Pirellone tra i ventinove indagati nell’ambito dell’inchiesta della procura di Milano con al centro l’ipotesi di peculato sui presunti rimborsi sospetti.
Secondo quanto si apprende tra gli indagati figurano Luca Gaffuri (Pd), Chiara Cremonesi (Sel), Stefano Zamponi (Idv), Elisabetta Fatuzzo (Pensionati) e Gianmarco Quadrini (Udc).
Dei 29, sette non hanno ricevuto un invito a comparire, perchè la loro posizione viene ritenuta più leggera vista la scarsa rilevanza delle spese effettuate coi soldi pubblici: per loro si va quindi verso l’archiviazione.
Nell’invito a comparire al consigliere Pd Carlo Spreafico gli vengono contestate le richieste di rimborso seguenti: una Nutella a 2,70 euro, il dvd di un corso d’inglese a 146,80 euro, un aperitivo a 6 euro e la quota associativa all’Ordine dei Giornalisti della Lombardia anno 2008, 101 euro.
E poi 4000 euro per due quadri del pittore lecchese Romano Tojani, una videocamera da 1058 euro, una fotocamera reflex digitale da 953,60 euro, un Blackberry per 399 euro, il dvd di «Hercules» e una tv per 168,90 euro.
Tra le altre spese sospette anche 160 euro dal gommista e acquisti per 126 e 66 euro in cartolibreria.
A Giuseppe Civati viene contestata una somma complessiva di 3145,99 euro negli anni 2008, 2009, 2010, 2011, 2012 per spese – si legge nell’invito a comparire – «estranee all’espletamento del mandato».
Tra queste vengono segnalate molte corse in taxi, qualche posteggio, biglietti ferroviari, francobolli, pernottamenti in hotel.
Tra gli indagati anche Alessandro Alfieri (Pd), Angelo Costanzo (Pd), Chiara Cremonesi (Sel), Enrico Marcora Udc), Carlo Porcari (Pd), Francesco Prina (Pd) e Antonio Viotto (Pd).
I capigruppo regionali dei partiti, favorevoli alla proposta avanzata da Ambrosoli, hanno dichiarato che i candidati consiglieri alle elezioni regionali di Pd e Idv si impegnano a rassegnare le dimissioni, se una volta eletti dovessero essere rinviati a giudizio.
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
CENTRODESTRA SPACCATO IN LISTE RIVALI TRA EX AN, EX FORZA ITALIA E CENTRISTI
Diaspora nel Pdl: una grana che rischia di far perdere a Francesco Storace il sempre
determinante apporto del Lazio sud alla causa del centrodestra.
Reduci dalla battaglie intestine contro Renata Polverini ed un governo centrale mai tenero con le periferie, i maggiorenti di quel che resta della creatura di Berlusconi decidono comunque di marciare.
Ma in liste diverse. E divise.
Tra i sostenitori dell’ex governatore a caccia del bis molti consiglieri uscenti, in prima linea o nelle retrovie dell’imbarazzante stagione degli scandali alla Pisana
CORSA IN SALITA
La campagna elettorale di Francesco Storace, già in salita per via del ritardo con cui il centrodestra ha individuato il proprio candidato alla Regione Lazio, prosegue all’insegna di un unico grande argomento-motivazione: sovvertire i pronostici che lo danno soccombente e affermarsi come quando, ormai tredici anni orsono, sconfisse Piero Badaloni con il 51,2% delle preferenze , mentre il giornalista prestato alla politica si fermò al 47%.
FRAMMENTAZIONE ECCESSIVA
La non trascurabile guerra di riposizionamento dei big del Pdl a livello regionale e provinciale, conferisce ulteriore incertezza alla sfida nei confronti di Zingaretti: le scissioni del Pdl berlusconiano hanno portato a coagularsi da un lato i vecchi esponenti di Forza Italia, dall’altro una buona dose di ex An nostalgici di una destra identitaria, mentre i centristi hanno scelto una ricetta alternativa che mette insieme Futuro e libertà con l’Udc.
Storace si trova a gestire un panorama frammentato, in cui anche le vecchie certezze rischiano di venir meno.
RISORSE ELETTORALI A RISCHIO
La provincia di Latina per esempio, potrebbe non dare al candidato del centrodestra quell’apporto del 57% di preferenze registrato nel 2005 quando, lo stesso Storace, perdeva sul piano regionale con il 47%, contro Marrazzo che conquistava il 50%. Oppure di non determinare la vittoria del candidato al contrario di quanto accadde con Polverini nel 2010: quando perdeva Roma con il 47,6%, Latina le conferiva voti a palate: il 63,3% ( tant’è che per vantarsene troppo, di lì a poco il sindaco del capoluogo incappò nella sfiducia e cadde), insieme a Frosinone con un ragguardevole 60%.
Anche nel Frusinate, per Storace, la situazione non è rosea.
FRUSINATE E NOMI IN LIZZA
Nelle liste regionali del Pdl a Latina e nel Frusinate restano i signori delle tessere e amministratori eletti (molti di rito forzista) che spesso hanno contestato il proprio partito e le scelte politiche che negativamente sono – o sarebbero – ricadute sul territorio.
Per la Ciociaria i nomi sono quelli di Antonello Iannarilli, presidente della provincia dimissionario, insieme a Mario Abbruzzese, reduce dalla presidenza del consiglio regionale guidato nella torbida stagione degli scandali non senza finirne in qualche modo invischiato.
Con loro anche l’uscente Annalisa D’Aguanno.
Nel Pontino corrono nomi nuovi (eccetto Lilli D’Ottavi consigliera Pdl uscente eletta con un pugno di voti): si tratta di Enrico Tiero (sostenitore di primarie mai svolte), Angelo Tripodi (gasparriano) e Pino Simeone, uomo di fiducia del potente Claudio Fazzone, sempre il più votato nonostante la flessione registrata nel 2010 con 28 mila preferenze. Storace, poi, mette nel listino un altro uomo di Fazzone, il costruttore Michele Nasso.
LA CAMPAGNA ACQUISTI DI MELONI
Si chiama Fratelli d’Italia l’ulteriore spina nel fianco: il movimento di Giorgia Meloni, Crosetto e La Russa ha operato una imponente campagna acquisti in casa Pdl.
Si prende, per candidarlo, il presidente del consiglio comunale di Latina Nicola Calandrini; poi incassa l’apporto del sindaco di Terracina Nicola Procaccini e di quello dello stesso capoluogo Giovanni Di Giorgi. Altro big di preferenze viene lanciato alla Camera: si tratta dell’ assessore comunale Pasquale Maietta.
A Frosinone è fuga di massa: tanti ex Pdl sono ora in lizza con la corrente Meloni-Rampelli.
Pensiamo al vicesindaco del capoluogo ciociaro Fulvio De Santis, all’ex portavoce di Iannarilli Antonio Salvati, all’assessore provinciale Massimo Ruspandini.
GLI «ANTI REGIONE»
In coalizione per Storace anche una lista che paradossalmente non vuole la Regione così com’è, bensi propugna una istituzione fatta delle sole province senza la troppo ingombrante Roma.
Parliamo di Mcl (Movimento cittadini e lavoratori) che ha tra i sui sponsor il presidente della provincia di Latina Armando Cusani.
Quello che ha riconsegnato la tessera del Pdl protestando contro lo scampato riassetto delle province, che non ha mancato di bacchettare un ministro di Berlusconi come Stefania Prestigiacomo, e che è in eterna lotta con la Regione sul tema del ciclo dei rifiuti, sino all’ultima battaglia sulla questione del conferimento dei rifiuti romani a Latina sulla scorta del decreto Clini.
Il movimento è presieduto da Giuseppe Paliotta e tra i candidati in Ciociaria schiera il sindaco di Ripi Gianni Celli, anche lui ex Pdl.
FRANCESCO E RENATA
Intanto Francesco Storace corre ai ripari prendendo con sè quel che resta dell’esperimento Città Nuove.
Dopo aver irrimediabilmente perso Gianfranco Sciscione, ex polveriniano divenuto presidente dell’Ater che ha ottenuto la candidatura in quota Udc per la Bongiorno, l’ex governatore accoglie in lista con la Destra Alessandra Mandarelli che era stata eletto alla Pisana con la lista di Renata Polverini.
A Latina invece corre il consulente della Polverini, ex Ugl , Claudio Durigon, inserito nella lista Storace.
Alla fine resta un dubbio: se tutte queste truppe, pur marciando divise, riusciranno a colpire unite.
Michele Marangon
(da “il Corriere della Sera“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
LA PARTE DEL LEONE, SECONDO FONTI UFFICIALI DI VIA BELLERIO, SPETTA ALLA LOMBARDIA: QUASI 2 MILIONI DI EURO PER LA POLTRONA DI MARONI
Cinque milioni di euro per la campagna elettorale della Lega.
Questo il budget stanziato dal tesoriere del partito, il parlamentare Stefano Stefani, successore di quel Francesco Belsito finito nei guai per la sua gestione quanto meno allegra dei fondi del movimento, e per questo espulso.
Nel suo ufficio al secondo piano del quartier generale di via Bellerio, a Milano, Stefani fornisce cifre che finora erano rimaste un po’ misteriose.
Dei costi della campagna elettorale della Lega, impegnata sul doppio fronte delle regionali lombarde, dov’è candidato Bobo Maroni, e delle politiche, si sapeva poco o nulla.
Tanto che in Lombardia è scoppiata una polemica violentissima tra Gabriele Albertini, anche lui aspirante governatore, ma con la casacca di “montiano”.
Per l’ex sindaco di Milano la campagna di affissione che ha segnato l’avvio della corsa di Maroni (maxi-manifesti con Bobo a promettere di avere “la Lombardia in testa”) sarebbe costata un milione di euro.
L’ex ministro dell’Interno ha smentito, annunciando querele contro Albertini.
E il responsabile della lista Maroni, Stefano Candiani, ha fornito una cifra “ufficiale”: “Quella campagna è costata 350mila euro, un terzo di quel che dice Albertini; se vi sembra poco, considerate che gli spazi per i mega-manifesti noi li abbiamo prenotati prima di tutti gli altri, e questo ci ha consentito un bel risparmio”.
Insomma avrebbe usufruito di uno sconto…
Il tesoriere Stefani corregge però verso l’alto le previsioni di spesa, e gli stanziamenti, per la campagna elettorale di Maroni.
Dunque, in tutto il Carroccio scucirà cinque milioni.
Di questi, oltre tre milioni vengono versati direttamente dagli organi centrali della Lega alle “nazioni”, vale a dire ai responsabili delle diverse regioni.
E, ovviamente, a fare la parte del leone è la Lombardia: un milione e seicentomila euro, cifra che comprende anche i costi iniziali della campagna elettorale di Maroni (quelli stimati in 350mila euro).
Di qui al 24 febbraio, quindi, ne serviranno parecchi di più.
Del resto sulla gara lombarda i leghisti scommettono tutto: o la va o la spacca, o si vince o si muore, e fa niente se per insediare Bobo al trentacinquesimo piano di Palazzo Lombardia bisogna ingoiare il rospo di una nuova alleanza con Berlusconi.
Nel dettaglio e al netto della “presunta” cifra destinata alla Lombardia, i circa tre milioni da girare alle “nazioni” sono così suddivisi: 840mila euro al Veneto, 354mila al Piemonte, 168mila all’Emilia, 126mila al Friuli, 113mila alla Liguria, 76mila alla Romagna, 68mila alla Toscana, 17mila alla Valle d’Aosta, 14mila all’Umbria.
Così è, se vi pare…
Rodolfo Sala
(da “la Repubblica“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
SI VEDONO GLI EFFETTI SUI SERVIZI SOCIALI… IL SUD PIU’ COLPITO
La crisi ha portato via tre quarti degli investimenti stanziati per il welfare: dal 2008 al
2012 i fondi nazionali per le politiche sociali sono stati tagliati, nel complesso, del 75 per cento.
Un colpo di mannaia denunciato da un rapporto dello Spi-Cgil che mette in fila le risorse decurtate e lancia l’allarme sull’«abbandono delle fasce deboli».
E il tema, fa notare il sindacato, è ancora assente dalla campagna elettorale.
Il quadro è presto fatto: tutte e tre le principali fonti di spesa sono state massacrate dalla politica di bilancio.
La dotazione del Fondo per le politiche sociali – la principale voce del finanziamento statale per gli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie – nei cinque anni presi in considerazione è passata da 923,3 a 69,5 milioni.
Il Fondo per l’autosufficienza – che fino al 2010 aveva mantenuto un plafond di risorse di 400 milioni – è stato azzerato dal governo Berlusconi. Il Fondo per le politiche della famiglia è passato invece da 185,3 a 31,99 milioni e quello per le politiche giovanili può ora contare solo su 8,18 milioni dai 94,1 messi in conto nel 2008.
Passando dal livello nazionale a quello locale, la situazione specifica la Cgil – non migliora.
Nel 2012, vista la necessità di far fronte ai tagli dei trasferimenti, i Comuni – in media – hanno diminuito la spesa in servizi sociali del 3,6 per cento.
Nel Sud, che più avrebbe bisogno di servizi, le cose sono andate ancora peggio: le risorse stanziate per operazioni di welfare allargato (servizi sociali, istruzione, sport e tempo libero) sono state decurtate del 6,8 per cento. Il tutto a fronte di un taglio delle spese per l’amministrazione generale (dalle auto ai costi della politica) fermi al 2,9 per cento.
Scelte che il sindacato disapprova in pieno, anche perchè spiega – «la riduzione delle risorse destinate ai servizi di assistenza non ha portato ad una diminuzione delle entrate tributarie, che nel 2012 sono aumentate del 9,3 per cento».
Dunque sono state versate più tasse a fronte di minori servizi: «In termini di bilancio sintetizza il rapporto – negli ultimi cinque anni la spesa corrente prevista è diminuita del 10,9 per cento, mentre le entrate tributarie sono aumentate del 6,7».
Per Susanna Camusso, leader della Cgil, dietro queste cifre c’è il fallimento della impostazione di governo.
«E’ il segno della politica che abbiamo cercato di contrastare: quella che ha pensato che tagliando lo stato sociale e l’intervento pubblico si potesse far ripartire il Paese» ha commentato. L’unico fatto certo, ha detto, è che «le persone stanno peggio di prima».
Quindi «è finita la stagione del “lasciamo fare al mercato” perchè non ha dato buona prova di sè: siamo l’unico Paese in cui l’intervento pubblico suscita allergia».
Carla Cantone, segretario nazionale della Spi-Cgil, ha concluso: «Siamo davvero all’anno zero del welfare ed è bene che la politica si affretti ad intervenire: nessun candidato ha detto ancora niente in merito ».
Luisa Grion
(da “La Repubblica“)
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Gennaio 31st, 2013 Riccardo Fucile
IL PICCO DEGLI INDECISI O ASTENUTI PROPRIO TRA GLI ELETTORI LOMBARDI
Quella per la maggioranza al Senato sarà probabilmente una battaglia all’ultimo voto.
Gli esiti dei sondaggi effettuati regione per regione (per assegnare correttamente in ciascuna il premio di maggioranza) dai diversi istituti offrono un quadro diversificato, ma comunque caratterizzato da una situazione di difficile governabilità .
In realtà , per la gran parte delle regioni, l’esito è già noto o facilmente prevedibile: la maggioranza (e il relativo premio) andranno al centrosinistra.
Ma le poche che sono ancora in bilico fanno parte di quelle più popolate, che, di conseguenza, assegnano un maggior numero di senatori.
Decisivi per la formazione o meno di una maggioranza in Senato.
Emblematico, al riguardo, è il caso della Lombardia. Che, come si sa, assegna ben 49 seggi, vale a dire quasi il 16% del totale dei senatori eletti nei confini nazionali.
E nella quale, per di più, si vota, lo stesso giorno delle politiche, per il presidente e il consiglio regionale.
Si tratta di una regione che è stata, a lungo, appannaggio del centrodestra. Ma, complici anche le vicende che hanno riguardato il presidente della Regione Formigoni, la situazione pare oggi mutata profondamente.
Tanto che il vantaggio che il centrodestra ottiene comunque ancora in questo momento è talmente esiguo (meno di un punto percentuale) da collocarsi al di sotto del margine di approssimazione statistico e da rendere, di conseguenza, impossibile l’assegnazione del premio di maggioranza.
Il quadro è aggravato dal fatto che sono molti – 42%, assai più che nelle altre regioni qui considerate – coloro che dichiarano di non volere indicare l’intenzione di voto, perchè indecisi o tentati dall’astensione.
Le scelte di costoro possono mutare il quadro politico della regione.
E non è senza significato il fatto che gli indecisi lombardi siano composti per la gran parte da ex elettori del centrodestra delusi.
Oggetto, come si sa, sia della campagna di Berlusconi, sia di quella di Monti.
Per certi versi simile è il quadro offertoci dalla Sicilia.
Qui è il centrosinistra (che ha appena vinto le elezioni per la Regione) a trovarsi in vantaggio. Ma, anche in questo caso, la differenza è di poco superiore a 1 punto percentuale, ciò che comporta l’impossibilità di stimare con certezza chi conquisterà i 14 seggi in competizione.
C’è da notare qui la grande popolarità del Movimento 5 Stelle – già manifestatasi in occasione delle regionali – che sembra permettere a quest’ultimo di attribuirsi ben 3 seggi.
Assai diversa è la situazione in Veneto.
Qui si riproduce la distribuzione di voti classica, con il centrodestra avanti.
La rilevazione da noi effettuata all’inizio di questa settimana mostra una distanza di circa 8 punti, tali da attribuire 14 seggi alla coalizione di Berlusconi.
Secondo altri istituti, il quadro è differente: alcuni indicano uno scarto ancora maggiore, altri di più modeste dimensioni.
Appare tuttavia ragionevole in questo momento attribuire il Veneto al centrodestra.
L’esito opposto sembra probabile in Puglia.
La distanza è inferiore, pari a 6 punti, e il numero di seggi in palio (11) è meno consistente.
Ma si tratta in ogni caso di una regione che, secondo i sondaggi più recenti, sarà conquistata dal centrosinistra.
Infine, anche la Campania risulta in questo momento essere appannaggio della coalizione guidata da Bersani.
In questo caso, la differenza risulta ancora più accentuata e superiore addirittura ai 10 punti. Anche qui occorre notare la forte presenza del Movimento 5 Stelle e la possibilità che Rivoluzione Civile di Ingroia partecipi anch’essa alla distribuzione dei seggi.
È vero che attualmente si colloca sotto la soglia minima (8%) richiesta dalla legge.
Ma la differenza è talmente esigua da rendere più che possibile il suo superamento.
In definitiva, tutto pare dipendere dalla Sicilia e dalla Lombardia.
Se il centrodestra prevalesse in entrambe le regioni, la maggioranza al Senato per Bersani sarebbe problematica e diverrebbe decisivo il ruolo di Monti (che, proprio per questo, ha di recente auspicato di ampliare il bacino – 15% a livello nazionale – sin qui ottenuto).
Se, viceversa, il centrosinistra riuscisse a conquistarle, avrebbe assai meno problemi nella formazione di un governo stabile.
Se conquistasse una sola delle due rimarrebbero comunque problemi nella formazione della maggioranza
Renato Mannheimer
(da il “Corriere della Sera“)
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