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CL SI TIENE STRETTO LETTA E AFFONDA BERLUSCONI

Agosto 18th, 2013 Riccardo Fucile

COMUNIONE E LIBERAZIONE, AL VIA LA KERMESSE DELLE LARGHE INTESE… OGGI A RIMINI VIDEOINTERVISTA DI NAPOLITANO, POI DIBATTITO COL PREMIER

Il governo Letta è un golem costruito dalle alchimie del Quirinale, ma se proprio si vuole cercare un blocco sociale di riferimento, qualcuno che si senta rappresentato dalle “larghe intese”, bisogna andare al meeting di Comunione e liberazione, che si apre oggi a Rimini.
Nella chiesa (molto laica) della politica estiva, l’inaugurazione è affidata alla benedizione di Giorgio Napolitano, con una videointervista, e poi a un dibattito proprio con Enrico Letta.
Che ieri ha dato una lunga intervista al quotidiano ciellino ilsussidiario.net   densa di ottimismo, di Europa e di annunci: “Dobbiamo, prima di tutto, avere maggiore fiducia in noi stessi, uscire da quella cappa di sottovalutazione, autolesionismo, benaltrismo che troppo spesso ci toglie ossigeno”.
Nessun accenno alla prospettiva di una crisi, causa condanna di Silvio Berlusconi.
“Mi piacciono Enrico Letta e Bersani, perchè hanno un programma. Io non voglio i girotondini, i no global, non voglio i vetero sindacalisti marxisti”.
Parole di Giorgio Vittadini nel 2003, professore di Statistica a Milano, fondatore della Compagnia delle opere (la Confindustria di Cl), oggi presidente della Fondazione per la sussidiarietà , una delle istituzioni di Cl.
Dieci anni dopo Vittadini del governo Letta dice: “Personalmente sono per la sua continuazione a oltranza. Siamo come in guerra e abbiamo bisogno di una continuità  di governo”.
E per questo a Silvio Berlusconi, nonostante la condanna, deve essere “garantita l’agibilità  politica”.
Il Cavaliere è considerato un vecchio amico che “ha fatto qualcosa” ma anche “molti errori”, come dice la presidente della Fondazione meeting, Emilia Guarnieri.
Oggi la priorità  va al governo e alle larghe intese che per Cl sono un fine, non soltanto un mezzo per raggiungere i propri obiettivi terreni (più soldi dallo Stato sul territorio in Lombardia, maggiore autonomia su come spenderli per scuole e sanità  privata).
“In Cl c’è sempre stato un tasso di governismo, meglio un minimo di stabilità ”, ammette perfino il bellicoso Luigi Amicone, direttore del settimanale ciellino Tempi.
Il movimento cattolico conservatore fondato da don Luigi Giussani nel 1954, non ha un piano alternativo alla grande concordia nazionale: ha perso tutti i suoi riferimenti, ogni leader di impronta ciellina che poteva aspirare all’egemonia è caduto .
Roberto Formigoni è stato travolto dalle inchieste giudiziarie e già  nel maggio 2012 il capo del movimento, don Julian Carròn, ha preso le distanze dal sistema di potere lombardo dell’ex governatore.
Angelino Alfano, coltivato da anni come una promessa, non ha più prospettive.
Il cardinale Angelo Scola non è riuscito a diventare Papa, forse anche proprio per i suoi legami con il mondo ciellino, da cui aveva cercato di scollarsi.
E Francesco non è molto in sintonia con Cl: il messaggio di saluto arrivato ieri è sera è firmato dal cardinal Tarcisio Bertone, politicamente parlando un uomo morto che cammina.
In questo anno terribile Comunione e Liberazione ha visto la cacciata dal clero di monsignor Mauro Inzoli, il fondatore del Banco alimentare che si batte contro lo spreco di cibo, molti manager legati a Formigoni finire in carcere, con il settimanale Tempi che ha ospitato la rubrica di Antonio Simone (ora rilasciato), lettere da San Vittore.
Il manager più potente in orbita ciellina, Giuseppe Orsi che da presidente di Finmeccanica ha tanto sponsorizzato il meeting, è stato arrestato.
Renato Farina, oggi deputato del Pdl, e storica firma ciellina, era l’autore dell’articolo che è costato la condanna al suo direttore dell’epoca, Alessandro Sallusti.
E, a voler cercare simboli nelle coincidenze temporali, se ne è andato anche il santo protettore del movimento, Giulio Andreotti.
Gli unici sopravvissuti (politici) sono i ministri Maurizio Lupi e Mario Mauro.
Non resta che consegnarsi a Napolitano, finchè c’è, e a Letta.
Con Napolitano l’amore ciellino è stato sacralizzato dal meeting 2011: il presidente arrivò a inaugurare la mostra sui 150 anni dell’Unità  d’Italia curata da un magistrato brillante, quella Marta Cartabia che poche settimane dopo il Quirinale ha indicato alla Corte costituzionale.
Con Letta la frequentazione è lunga, nel 2007 a Rimini disse che “mi piacerebbe che il partito democratico diventasse il partito della sussidiarietà ”.
Solo nel 2010 Letta e Pier Luigi Bersani disertarono il meeting, ufficialmente per motivi di salute.
Adesso Letta e Cl hanno bisogno l’uno dell’altra.
Nella confusione post-Berlusconi, potrebbe pure succedere che il premier si costruisca una nuova leadership portando i ciellini orfani nell’orbita del centrosinistra. In nome delle larghe intese e di Napolitano.

Stefano Feltri
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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MARCO TRAVAGLIO: METODO TIBIA, SALLUSTI PERDE COLPI ANCHE COME DIFFAMATORE

Agosto 18th, 2013 Riccardo Fucile

UNA SCARICA DI INFAMITA’ CONTRO IL GIUDICE ESPOSITO, ACCUSE RIVELATESI TUTTE FALSE…E NON PUBBLICA NEANCHE LE SMENTITE COME PER LEGGE DOVREBBE FARE

Qualcuno dovrebbe far qualcosa per Alessandro Sallusti. Stargli vicino, assisterlo nel momento del bisogno, magari visitarlo senza farsene accorgere.
Da quando il suo padrone è stato condannato a 4 anni per frode fiscale, vive ore difficili e manifesta costanti segni di peggioramento.
Perde colpi persino nell’arte della diffamazione, che lo vedeva primeggiare incontrastato in tutta la categoria.
Il suo bersaglio, com’è noto, è il presidente della sezione feriale della Cassazione Antonio Esposito che il 1° agosto ha condannato B. assieme ad altri 4 giudici. L’indomani, come da contratto, Zio Tibia ha sguinzagliato i suoi segugi alle calcagna del malcapitato per scovargli qualche scheletro nell’armadio.
I poveretti han setacciato fascicoli, compulsato sentenze, violato la privacy e il segreto bancario, auscultato portoni, interrogato edicolanti, perlustrato bar, importunato passanti, scoperchiato avelli, ispezionato cassonetti.
E, col materiale raccolto, riempito una trentina di pagine, nel tentativo di dimostrare che il giudice è un poco di buono, dunque B. è un santo.
Peccato che le accuse fossero tutte false.
Falso che Esposito abbia barattato la richiesta di archiviazione per suo figlio, scoperto a cena con la Minetti, in cambio della condanna di B. (la richiesta di archiviazione per il figlio è di gennaio, l’assegnazione del processo Mediaset di luglio). Falso che a tavola alzi il gomito (è astemio).
Falso che tenga lezioni a pagamento nella scuola della moglie all’insaputa del Csm (insegna gratis con l’ok del Csm).
Falso che si appropriasse di processi altrui per finire sui giornali (sostituiva doverosamente colleghi assenti).
Falso che faccia vita da nababbo (la presunta prova, una Mercedes, è un ferrovecchio del 1971 acquistato nel ’77 con 300mila km).
Falso che fosse odiato per la sua faziosità  quand’era pretore a Sapri (era odiato solo dai suoi imputati).
Falso che fosse stato trasferito per affari loschi (il Tar annullò il provvedimento perchè le accuse erano fasulle).
Ma tutto questo i lettori superstiti del Giornale non lo sanno, perchè le smentite del giudice non vengono mai pubblicate.
In compenso i lettori sallustiani manifestano evidenti sintomi di labirintite, avendo appreso nel giro di 18 giorni dal loro quotidiano che Esposito è una “toga moderata” non iscritta a correnti, anzi è di destra essendo finito negli anni 70 nel mirino del Pci (“Il magistrato inchiodato pure dalla Camera”), anzi di sinistra (“simpatizza per la corrente del Movimento per la giustizia”), insomma cambia colore a seconda del tasso di umidità .
L’altro giorno i segugi di Zio Tibia sganciano l’ultima bomba: “Telefonate tra Esposito jr. e lo 007 in cella. Il figlio del giudice contattato dal prefetto La Motta nei guai per fondi sottratti: voleva un incontro col padre”.
Peccato che l’Esposito in questione non fosse il figlio di Antonio, ma suo cugino figlio dell’ex Pg di Cassazione Vitaliano.
L’aveva già  chiarito in un comunicato la Procura di Roma il 16 giugno, ma i segugi del Giornale se ne infischiano: ieri, querelati per l’ennesima volta dal giudice diffamato, anzichè scusarsi con lui, insistevano sul “giallo della telefonata del figlio”. Solo en passant, però, perchè sono già  passati a bastonare Magistratura democratica e il suo esponente Paolo Mancuso, procuratore di Nola, processato e assolto dal Csm per una battuta di caccia con personaggi poi sospettati di camorra.
Un ingenuo dirà : ma che c’entrano Md e Mancuso col processo Mediaset e con Esposito? Assolutamente nulla.
Ma è il nuovo metodo Sallusti, che supera d’un balzo sia il metodo Boffo (pestare un nemico di B. con notizie parzialmente vere), sia il metodo Mesiano (pestare un nemico di B. con notizie inutili, tipo calzini turchesi), sia il metodo Esposito (pestare un nemico di B. con notizie false).
Si prende un passante a caso e poi si dice: “Visto? È pelato, ha i baffi, porta il 42 di scarpe e si chiama Mario. Dunque Berlusconi è innocente”.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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L’ESTATE INFAME DI SILVIO E DUDU’

Agosto 18th, 2013 Riccardo Fucile

FESTA FINITA, NON CI SONO PIU’ LE ESTATI DI BERLUSCONI

Era il 1960 quando Bruno Martino cantava Odio l’estate. In quei tempi remoti, Silvio Berlusconi aveva 24 anni, si accingeva a fondare la Cantieri Riuniti Spa e a diventare un grande palazzinaro milanese.
Aveva già  smesso di suonare sulle navi, di vendere i temi ai suoi compagni di scuola (reparto solventi) e non viveva ancora nel villone di Arcore.
E soprattutto, l’estate non la odiava per niente, anzi.
Ora che è passato mezzo secolo, può essere che Silvio intoni mestamente, accompagnato al pianoforte da qualche salariato impietosito, quel fortunato motivo che — lo diciamo a onore di Bruno Martino — fu suonato anche da Chet Baker e Joao Gilberto. Esatto. L’estate.
E per la precisione l’estate 2013, dove le suggestioni non sono più musicali, ma piuttosto letterarie, dalle parti di quel capolavoro di Garcà­a Mà¡rquez che è L’autunno del patriarca, con il vecchio satrapo abbandonato e solo,circondato da pochi fedeli distratti, incapaci di capire che quella fedeltà  non sarà  più conveniente a breve, a brevissimo.
E così lui, che i retroscena dei giornali descrivono “cupo”, “torvo”, “furibondo”, a seconda degli orientamenti delle varie testate, o peggio ancora “sereno”, come dicono i suoi, ed è una specie di marchio, in un paese in cui si dicono “sereni” tutti, dal duplice omicidio in giù.
Ed è nell’estate del 2013 che la villa di Arcore diventa “bunker”, con ovvi e macabri riferimenti berlinesi, oppure “prigione dorata”.
Un eremo forzato dove Berlusconi Silvio, colpevole di frode fiscale senza se e senza ma, passa il giorno con i suoi avvocati, la fida fidanzata restylizzata in pochi anni dalla mutanda (che alza l’auditèl) ai tailleur stile Jackie O’, il di lei cagnolino Dudù, le visite di Marina Berlusconi che si chiama in realtà  Maria Elvira (ma esiste qualcosa di vero, lì dentro?).
E poi le varie badanti, e poi i falchi che lo assediano di qua, e le colombe che gli tirano la giacchetta dall’altra parte, il Colle, l’odiato /amato Colle che dice e non dice, traccheggia, tentenna, lo tiene appeso lì.
Ma non vi prende un moto — anche piccolo, eh! — di umana pietà ?
Ma ve le ricordate le estati di Silvio?
Il re dei moderati che per mostrare la sua moderazione al mondo si costruiva un vulcano finto in giardino per estasiare gli ospiti. E gli ospiti che si estasiavano, ve li ricordate?
Le gare senza esclusione di colpi per affittare le ville circonvicine, il Tarantini che addirittura si svenava per avere un posto a cena accanto al “Presidente”.
Il Silvio meraviglioso della bandana bianca, con lady Blair che faceva i numeri e le contorsioni per non stare a portata di flash insieme a lui.
Mentre Tony, quella specie di Renzi d’antan, che invece ghignava serafico perchè si sa che in vacanza si incontra gente stramba.
Il Silvio miracoloso della “patonza che deve girare”, o quello che accoglieva figli e famigli sul molo della villona sarda in accappatoio bianco, quello stesso accappatoio che raccontò poi la signora D’Addario, tra una doccia ghiacciata e l’altra.
Ah, quelle estati! Che a dire il vero erano cominciate anche prima, magari da quella foto sul veliero, tutti in divisa, con la maglietta a righe orizzontali, sorridenti come squali, ed era ancora di moda Cesare Previti.
Divise, che passione, perchè erano in divisa anche quando marciavano compatti, alle calcagna del capo, Confalonieri e Galliani ed altri, per una seduta di jogging a prova di pancette e fiatoni attempati, tutti in bianco, calzoncini e magliette.
E poi il via vai di barche e barchette per traghettare signorine su è giù per la baia.
E ancora il mirabolante karaoke con Apicella al fianco, e persino i dischi pubblicati a suo nome. E poi — ma non si finisce più! — lo struscio nella piazzetta di Portofino a stringere mani, a benedire bambini, quando ancora i direttori mandavano i loro cronisti a registrare quel culto cafoncello della personalità .
E il gelato a Porto Cervo, e i cactus che cura lui personalmente, il Presidente giardiniere, che il banchiere Gianpiero Fiorani si ferì come un puntaspilli per regalargliene uno.
Va bene, è vero, è chiaro e conclamato. Erano le estati del nostro scontento.
Erano i tempi in cui Silvio pigliatutto rilasciava interviste dense e pensose per dire che al confino si stava benone.
Quello stesso Silvio che poi — alle porte dell’estate , il 25 aprile — si metteva il fazzoletto da partigiano e parlava davanti ai sopravvissuti di Onna, L’Aquila.
E i giornaloni ci cascavano con tutte le scarpe: ah, lo statista rinato, ah, il grande timoniere, uh, che discorso ispirato!
Ed era quella stessa estate che lui giurava solennemente, non ricordo sulla testa di chi, che avrebbe passato le vacanze a L’Aquila, insieme ai volontari.
E poi, chi l’ha visto?
E poi un’altra estate ancora, quella in cui annunciava ai basiti Lampedusani che presto avrebbe abitato a Lampedusa anche lui, isolano tra gli isolani, avendo testè comprato una villa in loco.
Ora che non è più isolano, ma isolato, accudito e blandito e assecondato come i centenari nelle case di riposo per ricchi, le immagini di tutte quelle estati devono sembrargli un’epoca lontana, un infinito rimpianto.
Quando a uno schioccare di dita poteva avere amici, complici, donne a valanga.
E successo incontrastato come barzellettiere.
Una tristezza infinita, un inappellabile game over. Perchè in attesa dell’autunno de patriarca, alla vigilia del suo avvento inesorabile, c’è un’estate del patriarca.
Ugualmente mesta, triste, acuminata come il rimpianto e velenosa come la nostalgia.
Un po’ di pietà , non la sentite?
No? Beh, io ci ho provato.

Alessandro Robecchi

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