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VERGOGNA IMU: BRUNETTA PER LA VILLA DI 14 VANI CON PISCINA NON VERSERÀ UN EURO

Agosto 31st, 2013 Riccardo Fucile

LA SOGLIA DI ESENZIONE DALL’IMPOSTA SULLA PRIMA CASA COMPRENDE ANCHE LA RESIDENZA DEL CAPOGRUPPO DEL PDL CHE PIÙ DI OGNI ALTRO SI È BATTUTO CONTRO LA TASSA

Alla fine Renato Brunetta ce l’ha fatta.
Dopo una lunga battaglia per ottenere da Enrico Letta il rispetto di una promessa che il premier non aveva mai fatto, cioè l’esenzione totale di tutte le prime abitazioni dal pagamento dell’Imu, il risultato è stato raggiunto.
Letta nel discorso di insediamento aveva parlato di “superare l’attuale sistema di tassazione della prima casa con una riforma complessiva che dia ossigeno alle famiglie, soprattutto quelle meno abbienti”.
Il suo annuncio comunque non suggeriva un’esclusione dall’Imu dei ricchi possidenti. Brunetta e tutto il Pdl però continuavano a sostenere che Letta avrebbe tolto l’Imu sulla prima casa a tutti.
Il decreto di mercoledì è quindi una doppia vittoria per Brunetta: da un lato ha dimostrato chi comanda davvero nell’alleanza Pd-Pdl e dall’altro ha ottenuto l’esenzione totale dall’imposta per la sua villa sull’Ardeatina, già  minacciata da una discarica contro la quale il capogruppo Pdl si sta battendo come un leone.
Come molti altri ricchi possidenti, Brunetta non pagherà  l’Imu sulla sua prima casa per il 2013: un risparmio netto di 2 mila e 750 euro con un corrispettivo ammanco nel bilancio dello Stato.
A Michele Serra che contestava su Repubblica la scelta di escludere dalla tassazione tutte le abitazioni principali, comprese quelle dei ricchi, compresa quella del commentatore Serra stesso (che si è detto ben disposto a finanziare i servizi del suo Comune con quella tassa), Brunetta ha replicato: “L’Imu è tolta per la prima casa e resta per le case di lusso di solito abitate dai ricchi. L’Imu è un’imposta reale : si applica alle cose e non alle persone. Somiglia all’accisa sulla benzina. La pagano uguale i poveri e i ricchi”.
Non è così perchè un povero non paga 10 mila euro di Imu su cinque case come è accaduto a Brunetta nel 2012.
E proprio l’esenzione della sua villa sull’Ardeatina dimostra che Brunetta non dice tutta la verità  quando scrive che l’Imu restain vigore “per le case di lusso di solito abitate dai ricchi”.
Le categorie catastali non fanno giustizia a meno di non volere considerare “da poveri” una casa, come quella di Brunetta, comprata nel 2011 per un milione e 70 mila euro, prima di una ristrutturazione importante.
La villa sull’Ardeatina esentata dal decreto Imu del governo Letta si articola su due piani e vanta 5 bagni, 10 camere, due ripostigli, due cabine armadio, per complessivi 14 vani catastali e mezzo più una bella piscina nel verde circondata da un giardino di 1.300 metri quadrati.
Dopo la ristrutturazione, nel gennaio 2012, al Catasto è stato iscritto un ampliamento degli spazi interni e una variazione di categoria.
Oggi casa Brunetta è censita come categoria A7, classe 7, zona censuaria 6. Nonostante la piscina, probabilmente perchè inferiore agli 80 metri quadrati, non è considerata abitazione di lusso
Villa Brunetta rientra per un soffio nell’esenzione sponsorizzata dal suo proprietario. Solo le ville inserite nella categoria immediatamente superiore, la A8, continueranno a pagare l’imposta mentre le ville iscritte in categoria A7, anche se ristrutturate di recente, nonostante cinque bagni, dieci camere e piscina, saranno esentate alla pari di un bilocale a Tor Bella Monaca.
Il ministro del Tesoro Fabrizio Saccomanni aveva presentato uno studio con nove soluzioni per riformare l’Imu.
L’aumento della detrazione sull’abitazione principale fino a 600 euro e l’esenzione dell’imposta per i redditi sotto i 13 mila euro avrebbero prodotto uno scenario interessante: il 40 per cento dei proprietari non avrebbe pagato nulla e il 95 per cento avrebbe avuto sconti decrescenti all’aumentare del reddito.
Il costo per le casse dello Stato sarebbe stato di soli 2 miliardi ma la proposta non è passata.
Non tanto perchè Brunetta faceva parte del cinque per cento escluso dagli sconti, ma perchè parole come detrazione ed esenzione facevano venire in mente più le complicate istruzioni della dichiarazione dei redditi che un bello spot.
E non c’è dubbio che Silvio Berlusconi sorrida all’idea di inondare l’Italia di cartelloni con una frase tipo: “Via l’Imu: l’avevamo promesso e, nonostante il Pd, l’abbiamo fatto”.
Se al posto di Enrico Letta ci fosse stato un leader di sinistra, forse avrebbe raccolto la sfida dell’Imu.
La battaglia comunicativa sarebbe stata dura ma per nulla persa in partenza.
Cosa sarebbe successo se il centrosinistra avesse mostrato in tv le foto della villa con piscina di Brunetta e magari quelle delle altre quattro case dell’ex ministro sparse tra Ravello, Todi, Venezia e le Cinque terre?
Forse sarebbe stato più difficile per il capogruppo del Pdl e per Berlusconi presentare l’abolizione dell’Imu senza distinzioni come un atto di equità  sociale.
Il decreto Imu comunque deve essere convertito in legge e c’è sempre tempo per presentare un emendamento che impedisca a un contribuente come Brunetta, con redditi oscillanti tra i 310 mila e i 279 mila euro annui, di non pagare un euro di Imu su una villa di 14 vani con piscina.

Marco Lillo
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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MARCO TRAVAGLIO: L’ARMA SEGRETA, IL RICORSO ALLA CORTE DI STRASBURBO IN BASE ALL’ART.7 CHE NON ESISTE

Agosto 31st, 2013 Riccardo Fucile

CON QUELLO CHE LI PAGA, I LEGALI DI SILVIO POTREBBERO ALMENO EVITARGLI FIGURE BARBINE

Comprensibilmente amareggiato per l’inopinata esclusione sua e di Gianni Letta dalla nuova tornata di senatori a vita, il Banano è rientrato a Roma dopo alcuni giorni di prove generali di arresti domiciliari ad Arcore.
E ha subito riunito il suo stato maggiore — quello che l’avvocato Taormina chiama simpaticamente “massa di fessi” — per studiare le prossime mosse.
Intanto c’è da preparare il ricorso alla Corte di Strasburgo per i diritti dell’uomo, annunciato l’altro giorno alla giunta del Senato con una lettera a sua firma che citava i “sensi dell’art. 7 della legge 4/08/1955 N. 848”.
Purtroppo, come ha scoperto Marco Bresolin su La Stampa, la suddetta legge ha solo due articoli, dunque l’esistenza di un “art. 7” è altamente improbabile, anche nel diritto creativo seguito dagli onorevoli avvocati e dai principi del foro che assistono il Cainano.
Con quello che li paga, potrebbero almeno evitargli certe figure barbine.
E, già  che ci sono, potrebbero anche spiegargli che la Corte di Strasburgo non è un quarto grado di giudizio, nè il santuario di Lourdes con piscina di acqua miracolosa, dunque non è in grado di ribaltare le sentenze definitive dei tribunali nazionali: al massimo potrebbe risarcirlo per il danno inferto dai giudici ai suoi diritti umani, ma è altamente improbabile che accada.
Anche perchè poi l’eventuale danno dovrebbe rifonderlo lo Stato italiano: cioè la vittima delle colossali frodi fiscali oggetto della sua condanna, che lui deve restituire.
L’altra mossa, ancor più geniale, sono i preparativi per la resistenza nella giunta del Senato che dovrebbe dichiarare la sua decadenza da senatore.
I pareri pro veritate sono uno meglio dell’altro.
Alcuni luminari pràªt-à -porter sostengono che la legge Severino sulla decadenza e l’incandidabilità  dei parlamentari condannati non si applica ai parlamentari condannati. Altrimenti è incostituzionale.
Dunque, per essere costituzionale, dovrebbe applicarsi ai gatti randagi, alle zanzare tigre, ai pesci palla e ai ficus giganti, ovviamente solo in caso di condanna.
Altri, i giureconsulti più moderati, argomentano che la legge si applica sì ai parlamentari condannati, ma soltanto se delinquono da domani in poi, quindi se va bene saranno indagati fra un paio d’anni e condannati in Cassazione intorno al 2025.
C’è poi una terza scuola di pensiero, fra i giuristi arcoriani e grazioliani: la condanna non vale perchè le motivazioni della Cassazione sono state depositate “a orologeria”, con una “fretta sospetta” (i giudici si erano dati un mese di tempo dopo la lettura del dispositivo il 1° agosto, e le hanno depositate il giorno 29, con ben 24 ore di anticipo).
Oppure perchè sono “motivazioni deludenti” (parola di Coppi, che in teoria sarebbe pagato per far assolvere il cliente, non per esprimere delusione dopo la condanna).
Pare invece minoritaria la corrente giuridica sallustiana, dal nome del direttore de il Giornale impegnato da un mese a dimostrare che il giudice Antonio Esposito è un poco di buono perchè gli sta antipatico B., dunque B. è innocente.
Il fatto che anche gli altri quattro giudici — Franco, D’Isa, Aprile e De Marzo — abbiano firmato la sentenza ha un po’ indebolito la linea Zio Tibia.
Il quale però non si dà  per vinto e ha subito sguinzagliato i suoi segugi alle calcagna dei quattro malfattori, a caccia di scoop su vita privata, calzini, mutande, hobby, letture, pasti, merende, cani, gatti, pappagalli, cocorite e altri animali domestici.
Dopo la decisiva testimonianza di Franco Nero sulle cene di Esposito, si preparano i pareri pro veritate di Maurizio Merli, Giuliano Gemma, Terence Hill e Bud Spencer.
Ma l’ultima arma segreta del Banano, a testimonianza della sua prodigiosa lucidità , è Marco Pannella.
Quando Craxi, inseguito da procure e tribunali di mezza Italia, gli chiese un consiglio nel ’93, il leader radicale suggerì astutamente di farsi arrestare.
Se non ha cambiato idea, allora B. è in buone mani.
Meno male che c’è Violante, noto participio presente di ciò che fa e dice.

Marco Travaglio
(da “il Fatto Quotidiano”)

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BERLUSCONI ORA SI PARAGONA A DE GASPERI E TOGLIATTI: “SE IL PD MI FA DECADERE CADE IL GOVERNO”

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

FRANCESCHINI: “RISPEDIAMO IL RICATTO AL MITTENTE”… GRILLINI DIVISI

“Dopo 20 anni dalla mia discesa in campo si ripete la stessa situazione: tentano di nuovo di togliermi di mezzo attraverso misure giudiziarie che nulla hanno a che vedere con la democrazia”: così Silvio Berlusconi in collegamento telefonico con Bassano del Grappa dove era in programma una riunione dell’ “Esercito di Silvio”.   “Sarebbe disdicevole – ha aggiunto il Cavaliere – se il governo cadesse ma naturalmente non siamo disponibili a mandare avanti un governo se la sinistra dovesse intervenire su di me, sul leader del Pdl, impedendogli di fare politica”.
La truppa guidata dall’imprenditore Simone Furlan che ha lanciato mesi fa l’arruolamento per la “guerra dei vent’anni” in difesa del Cavaliere, lo ascoltava in devoto silenzio.
A un certo punto Berlusconi dice: “Ho due domande preliminari. Quanti siete?”. Furlan conta: “Qui presenti siamo 25, presidente”.
Il file di registrazione della telefonata trasmette un attimo di silenzio.
Poi, Berlusconi continua: “Quanti maschi e quante signore?”. Furlan verifica: “aspetti che guardo e glielo dico. Uno, due, tre, sei…Dodici donne: sono un po’ in minoranza le quote rosa”.
Berlusconi trova comunque di che rallegrarsi: “ma sono abbastanza, complimenti per avere anche delle donne nelle vostre file”.
E dopo le presentazioni, il monologo con l’ultimatum: “Se la sinistra mi fa decadere, il governo cade”. L’esercito è allertato.
Paragone con Togliatti e De Gasperi.
Per rincarare la dose, poi, si lancia in paragoni improbabili: “Qualcuno mi ha detto, ‘immaginiamoci che cosa sarebbe successo nel ’48 se la Democrazia Cristiana avesse tolto Togliatti al Pci o se il Pci avesse tolto la possibilità  di fare politica alla Dc, o a De Gasperi. Sarebbe scoppiata una guerra civile”.
Poi il preannunciato ritorno a Forza Italia: “Come nel ’94 lanceremo le bandiere di Fi, ci rivolgeremo ai giovani, ma anche a chi non si è mostrato interessato alla politica”.
E’ dunque pronto a una nuova offensiva Silvio Berlusconi, dopo il “colpo” ricevuto dalla Cassazione con le motivazioni sulla sentenza Mediaset.
Ma dal Pd arriva l’ennesimo rinvio al mittente: “Il ricatto di Berlusconi va respinto al mittente a stretto giro di posta: non violeremo mai le regole dello Stato di diritto per allungare la durata del governo”, ribadisce ancora una volta il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Dario Franceschini.
La scelta del referendum.
Il Cavaliere oggi ha lasciato il “ritiro” di Arcore ed è tornato, agguerrito, a Roma. Prima ha incontrato il leader dei Radicali Marco Pannella, per fare il punto sul sostegno del Pdl ai referendum sulla Giustizia.
E prima della telefonata all’ “Esercito” ha riunito un vertice con i big del Pdl a Palazzo Grazioli: il vicepremier e segretario del Pdl, Angelino Alfano e Gianni Letta, preceduti a loro volta dal capogruppo alla Camera, Renato Brunetta e da quello del Senato, Renato Schifani, dal ministro dell’Agricoltura, Nunzia De Girolamno, e dal presidente della Commissione esteri, Fabrizio Cicchitto.
Anche dal presidente della Cei, il cardinale Bagnasco arriva però un monito: “”Se una cosa va sempre evitata è quella di personalizzare il conflitto. La salvezza non va attesa da singole personalità , a qualsiasi schieramento appartengano”
M5S, dialogo con Pd spacca movimento.
Malgrado il gran rifiuto dei grillini a Bersani e il successivo governo di larghe intese, c’è ancora chi   pensa che sia necessario accordarsi con i democratici. Almeno per cambiare la legge elettorale.
Ma non c’è dibattito, e ogni tentativo è bruscamente interrotto da un sonoro ‘vaffa…’. Tutto nasce dall’intervista rilasciata dal 5 Stelle Luis Orellana in cui sostiene la necessità  di dialogare con le altre forze politiche, ricordando a Grillo che i parlamentari non sono soldatini. “Esprimi il tuo punto di vista? Ti sfanculano. Democrazia 2.0” scrive in un tweet il deputato Alessio Tacconi, commentando il post in cui Laura Bottici, questore al Senato dei pentastellati, prende di mira i colleghi che guardano con favore a un eventuale accordo con il Pd, ricordando che “la missione è mandare a casa tutti i politici”.

(da “La Repubblica“)

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CHI E’ PIETRO PAROLIN, L’ARCIVESCOVO CHE DIVENTA SEGRETARIO DI STATO AL POSTO DI BERTONE

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

I TALENTI DI DON PIETRO, SACERDOTE E DIPLOMATICO

Il 58enne Pietro Parolin aveva lasciato Roma quattro anni fa, ordinato arcivescovo da papa Benedetto XVI e inviato come nunzio in Venezuela, dopo essere stato per sette anni “viceministro” degli esteri vaticano.
Secondo le indiscrezioni circolate nelle ultime ore, ora Papa Francesco lo avrebbe scelto come suo primo collaboratore, richiamandolo nell’Urbe come futuro Segretario di Stato.
Parolin diventerebbe il più giovane “arruolato” in quella carica dai tempi di Eugenio Pacelli.
Se la notizia verrà  confermata, la nomina di Parolin offrirà  nuovi spunti per immaginare il cammino che la Chiesa di Roma potrà  compiere nei prossimi anni.
Per accorgersene, basta guardare i passaggi chiave dell’avventura umana e cristiana dell’attuale rappresentante pontificio in terra venezuelana.
Il nuovo Segretario di Stato nasce a Schiavon, in provincia e diocesi di Vicenza, il 17 gennaio del 1955.
La fede in Gesù la assorbe fin dalla prima infanzia nell’ordito della “civiltà  parrocchiale” in cui vive immerso, quella del Veneto bianco dal cuore magnanimo e laborioso.
Il papà , cattolico “da messa quotidiana”, gestisce un negozio di ferramenta e poi comincia a occuparsi di vendita di macchine agricole. La mamma fa la maestra elementare.
Quando Pietro ha dieci anni, la famiglia Parolin viene visitata dal dolore: il padre, mentre sta per rimontare sulla sua vettura, sulla strada tra Bassano e Vicenza viene travolto da un’auto e muore sul colpo.
Da quel momento i tre figli – Pietro, sua sorella e il fratellino che al momento della disgrazia ha solo otto mesi — sono testimoni ogni giorno dei piccoli ordinari eroismi compiuti dalla mamma maestra per farli crescere senza che manchi loro niente di importante.
Pietro fa il chierichetto in parrocchia.
Il parroco di allora, don Augusto Fornasa — che morirà  a Schiavon nei primi anni Ottanta — coglie e coltiva in lui la vocazione al sacerdozio, in un ambiente segnato dalla memoria di grandi figure di pastori “sociali” come don Giuseppe Arena e don Elia Dalla Costa, divenuto arcivescovo di Firenze dal ’31 al ’61.
Nel 1969, a 14 anni, Pietro entra nel seminario di Vicenza. Dopo la maturità  classica prosegue con gli studi di filosofia e teologia.
Le inquietudini feconde e quelle più corrosive del postconcilio agitano anche la vita del seminario. Pietro si tiene defilato rispetto alle turbolenze di quel periodo. Apprezza la linea pastorale del vescovo Arnoldo Onisto, la capacità  di ascolto, di mediazione e di attenzione ai problemi degli operai esercitata in quegli anni da quel buon uomo di Dio dal fare dimesso.
Già  in seminario, i superiori si sono accorti che Pietro “riesce bene” negli studi.
Dopo l’ordinazione sacerdotale — ricevuta nel 1980 dalle mani del vescovo Onisto — e due anni come viceparroco nella parrocchia della Santissima Trinità  di Schio, lo spediscono a studiare diritto canonico alla Pontificia Università  Gregoriana, con l’idea di impiegarlo poi nel tribunale diocesano e nel settore della pastorale familiare.
Ma da Roma — dove don Pietro risiede al Collegio Teutonico di via della Pace — qualcuno chiede al vescovo di mettere quel giovane sacerdote discreto e lavoratore a disposizione della Santa Sede.
Lui, come sempre, accetta di andare dove lo mandano. Coi sistemi di selezione “anonimi” che un tempo funzionavano nei Palazzi d’Oltretevere, finisce quasi per caso nell’orbita del servizio diplomatico vaticano, senza neanche sapere chi sia stato il suo primo talent scout.
Nell’estate del 1983 entra nella Pontificia Accademia ecclesiastica,
Nell’86 si laurea in diritto canonico con una tesi sul Sinodo dei vescovi.
Poi parte per la sua prima missione: tre anni presso la nunziatura in Nigeria, a cui seguiranno altri tre (’89-’92) presso la nunziatura in Messico.
Nella prima destinazione si coinvolge nelle attività  pastorali delle comunità  locali e conosce da vicino le problematiche del rapporto tra cristiani e musulmani.
In Messico dà  il suo apporto alla fase conclusiva del lungo lavoro realizzato dal nunzio Girolamo Prigione che proprio nel 1992 porterà  al riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica e all’allacciamento di relazioni diplomatiche tra la Santa Sede e la Nazione messicana.
Si compirà  attraverso quelle laboriose trattative diplomatiche l’affrancamento formale dall’impronta laicista e anticlericale che aveva connotato da sempre il Paese fin nel suo impianto costituzionale.
Nel 1992 Parolin viene richiamato a Roma per lavorare nella seconda sezione della Segreteria di Stato.
Sono gli anni del wojtylismo ancora a forte proiezione geo-politica, alle prese con il collasso del blocco comunista e gli effetti della prima guerra del Golfo.
A capo della diplomazia pontificia c’è il cardinale Angelo Sodano, che nel dicembre 1990 ha sostituito Agostino Casaroli.
Al giovane funzionario rientrato dal Messico vengono affidati dossier in ordine sparso: Paesi e Chiese africani e latinoamericani, Spagna, Indonesia.
Nel 2000 inizia a occuparsi della “sezione” italiana: collabora con monsignor Attilio Nicora — oggi cardinale — su questioni ancora aperte legate alla revisione del Concordato avvenuta nel 1984, come quelle relative all’Ordinariato militare o all’assistenza religiosa per i carcerati e negli ospedali.
Nel 2002 Parolin viene nominato sottosegretario della seconda sezione della Segreteria di Stato, quella dedicata ai rapporti con gli Stati.
Nella veste di “vice-ministro degli esteri” vaticano si prende in carico i dossier delicati riguardanti i rapporti della Santa Sede con il Vietnam — che anche grazie a lui imboccano in maniera decisa la strada verso l’allacciamento di piene relazioni diplomatiche – e le questioni giuridiche ancora aperte tra   Vaticano e Israele.
A partire dal 2005, con l’inizio del pontificato ratzingeriano, riprendono anche i contatti diretti con la Cina popolare.
In quel contesto matura anche la Lettera rivolta nel giugno 2007 da Benedetto XVI ai cattolici cinesi, che rimane uno dei testi magisteriali più rilevanti del pontificato.
In quegli anni, il sotto-segretario vicentino guida la delegazione vaticana nelle trattative riservate coi funzionari cinesi per sciogliere i nodi che ancora rendono anomala e sofferente la condizione dei cattolici in Cina.
Per due volte vola anche a Pechino, insieme agli altri membri della delegazione vaticana.
In quegli anni, sembra prendere forma l’inizio di una svolta concreta nei travagliati rapporti sino-vaticani.
Poi, nell’estate 2009, Parolin viene nominato nunzio a Caracas, spedito a vedersela con la gatta da pelare del Caudillo Chà vez e dei suoi rapporti sempre burrascosi con la gerarchia cattolica locale.
Il 12 settembre di quell’anno, Parolin riceve l’ordinazione episcopale dalle mani di Benedetto XVI.
Da qualche settimana è esploso il “caso Boffo”. Le baruffe tra bande ecclesiali, con la loro tragicomica ferocia, hanno raggiunto una fase virulenta.
Papa Ratzinger, proprio nell’omelia per la messa in cui viene ordinato vescovo anche Parolin — scritta evidentemente di suo pugno — ricorda in riferimento ai «litigi» sempre presenti nella Chiesa che «il sacerdozio non è dominio, ma servizio» e che «le cose nella società  civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità , lavorano per se stessi e non per la comunità ».
In occasione del suo trasferimento a Caracas, qualcuno ha cercato di accreditare sui media l’affiliazione di Parolin alla “corrente” di ascendenze casaroliane legata al cardinale Achille Silvestrini, che fu segretario della seconda sezione della Segreteria di Stato dal ’79 all’88.
Manovre che nel caso di Parolin rivelano subito la loro matrice pregiudiziale. Se si sta alle cose, appare evidente che in Segreteria di Stato il suo profilo di funzionario leale e competente è stato valorizzato di volta in volta da superiori di orientamento e sensibilità  diversi. Parolin ha prestato la sua collaborazione discreta e fattiva a Casaroli e Silvestrini, Sodano e Tauran, Lajolo, Bertone e Mamberti
Proprio negli anni della Segreteria Bertone ha avuto occasione di gestire dossier cruciali come quello cinese.
Con Casaroli i momenti di dialogo personale diretto li ha avuti quando il grande Segretario di Stato era già  in pensione.
Con Silvestrini i rapporti più intensi li ha sviluppati alla metà  degli anni Novanta intorno a questioni riguardanti non la Curia romana, bensì la gestione di Villa Nazareth, l’istituzione benefica istituita dal cardinale Domenico Tardini nel 1946 per sostenere la formazione di ragazzi meritevoli ma privi di mezzi.
Su richiesta di Silvestrini — che già  negli anni Settanta era il grande supporter ecclesiastico del convitto — nel ’96 Parolin aveva accettato di assumerne la direzione, trasferendosi a vivere nella residenza universitaria alla Pineta Sacchetti.
Ma quattro anni dopo, con l’intensificarsi del lavoro in Segreteria di Stato, si era accorto che per lui quell’incarico impegnativo era insostenibile, e vi aveva rinunciato. Silvestrini ne era rimasto amareggiato, pur conservando stima e simpatia nei confronti di Parolin
Se Parolin diventerà  Segretario di Stato, si può immaginare che, anche per temperamento, proverà  a valorizzare sensibilità  ecclesiali diverse, nell’orizzonte aperto della Chiesa non auto-referenziale costantemente suggerito da Papa Bergoglio. Se c’è un tratto rintracciabile nel modus operandi di Parolin è quello riconducibile alla grande tradizione diplomatica vaticana: realismo, studio approfondito dei contesti e dei problemi da affrontare, ricerca delle soluzioni possibili.
Davanti ai conflitti regionali che continuano a stravolgere il mondo — a partire dal Medio Oriente – e ai rischi di nuovi scontri globali tra superpotenze antiche e nuove, la Santa Sede potrà  offrire ancora il suo contributo di saggezza e lungimiranza per favorire i cammini della pace.
Accantonando presunzioni di protagonismo geopolitico, anche lo strumento della diplomazia vaticana, sintonizzato sulla «conversione pastorale» suggerita da Papa Francesco, potrà  offrire un contributo creativo all’azione della Chiesa invitata con insistenza dal vescovo di Roma a «uscire da se stessa» per andare incontro a tutti gli uomini nelle periferie geografiche e esistenziali in cui vivono.
Soprattutto, con Parolin sarebbero fatalmente destinate alla rottamazione le false dialettiche che negli ultimi anni hanno provato insistentemente a contrapporre diplomazia e proclamazione della fede, realismo dialogante e difesa dell’identità  e dei valori cristiani.
Tutta la storia della Chiesa suggerisce che proprio la fede evangelica può rendere più lungimiranti nell’esercitare intelligenza e prudenza davanti alle dinamiche reali del mondo e del potere.
Per Parolin, il servizio reso alla Santa Sede è sempre stato solo un modo di esercitare la propria spiritualità  sacerdotale.
La stessa espressa nell’entusiasmo da lui manifestato davanti alla fede dei neofiti montagnard vietnamiti, o nella letizia con cui si è immerso nella vita pulsante del cattolicesimo venezuelano.
Come motto episcopale ha scelto la domanda retorica di San Paolo nella lettera ai Romani: «Chi ci separerà  dall’amore di Cristo?».
Qualsiasi cosa accada, è facile intuire a chi “don Pietro” si affiderà  affinchè sia custodita la pace del suo cuore.

Gianni Valente
(da “La Stampa“)

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IL SOFTWARE PER LA TARES ORA E’ DA BUTTARE: SPUTTANATI 160 MILIONI PASSANDO ALLA SERVICE TAX

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

DALLA TARSU ALLA TARES E ORA ALLA SERVICE TAX: PASSARE DA UNA TASSA ALL’ALTRA IN TRE ANNI STA GENERANDO UN GRAN SPRECO DI DANARO

Dalla Tarsu si passa alla Tares e poi alla service tax.
E i comuni impazziscono, mentre i software acquistati per gestire queste imposte vengono buttati e il rischio di contenziosi è enorme.
In principio era la Tarsu, tassa sui rifiuti che si pagava dal 1993 con tariffa indicata dai comuni. Nel gennaio 2013 il governo Monti ha introdotto la Tares, che è sempre una tassa sui rifiuti ma anche sui servizi comunali in generale, e prevede una maggiorazione dello 0,30% che andrà  non ai comuni ma allo Stato.
La Tarsu era ad aliquota fissa, la Tares ad aliquota composta da una parte fissa e una variabile a discrezione dei comuni.
La Tarsu si calcolava sui metri quadri, la Tares sui metri quadri più il numero di abitanti.
Passare da una tassa all’altra è stato un rompicapo per moltissimi comuni: si è dovuto fare ricorso a software specifici e al relativo addestramento del personale: costo medio dei software 20 mila euro a comune, più la formazione.
Se si butta il software si buttano 160 milioni almeno (20 mila per 8 mila comuni).
Con due complicazioni.
Prima, l’aliquota della Tares di spettanza dei comuni deve essere decisa entro settembre (quindi non è stata ancora stabilita in molti casi) mentre il «carico fiscale» (cioè l’ammontare) per ogni cittadino è già  stato indicato a gennaio e in parte anche pagato, salvo conguaglio.
Seconda, se un cittadino ha pagato il «carico» indicato a gennaio e poi ha venduto la casa, che cosa succede?
Riavrà  i soldi indietro? E in che tempi?
E anche se gli uffici dei comuni riusciranno a dipanare la matassa entro l’anno tutto sarà  inutile, perchè nel frattempo la tassa sparirà  in attesa della service tax.
E si dovrà  ricominciare da capo.
Ma, attenzione, la service tax ingloberà  anche la vecchia Imu rivisitata, ereditando tutto il pasticcio che l’imposta appena abolita si porta dietro.
Per esempio: la prima rata dell’Imu 2012 è stata pagata al 50% allo Stato e 50% al Comune, in attesa che questo fissasse la propria aliquota per il saldo.
Ma i cittadini spesso non lo hanno capito, e hanno continuato a dividere a metà  l’imposta tra stato e ente locale anche per la seconda rata.
Ora i comuni richiedono allo Stato la «compensazione».
Ma arriverà  mai? Tanto più che anche l’Imu, come la Tares, è passata in cavalleria prima ancora di decollare.

Raffaello Masci

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RIVOLTA DEGLI INQUILINI CONTRO LA SERVICE TAX E LO SCONTO RISPETTO ALL’IMU SARA’ DI SOLI 54 EURO

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

LA TASSA SUI RIFIUTI NON POTRA’ VALERE MENO DI 4,5 MILIARDI… L’ESECUTIVO FISSERA’ DEI TETTI SULLE ALIQUOTE DEI COMUNI

Una stangata. L’Unione inquilini, il sindacato degli affittuari, definisce così gli effetti della nuova Service tax, la tassa che da gennaio fonderà  Imu e Tares.
E trova subito una sponda dell’associazione studenti fuori sede, altrettanto allarmata. «Altro che piano casa, questo sembra un piano sfratti», tuona il segretario nazionale Ui, Walter De Cesaris.
«Stimiamo una stangata media da mille euro per ogni inquilino a partire dal prossimo anno», calcola.
La sua tesi è che «la maggior parte degli oneri della tassa saranno a carico di chi è in affitto».
Tenuto conto che l’80% dei 3 milioni di inquilini, secondo dati Bankitalia, «ha un reddito sotto i 30 mila euro lordi annui» e che il 90% delle 70 mila sentenze annue di sfratto sono per morosità , «rischiamo uno tsunami di sfratti», insiste De Cesaris
Gli effetti forse non saranno così catastrofici, ma la novità  vera è che la Service tax sarà  pagata da tutti: proprietari e non.
«Voglio tranquillizzare gli inquilini, la tassazione complessiva si ridurrà », promette Baretta, sottosegretario all’Economia.
Spiegando che il governo dal 2014 ci metterà  2 miliardi – «destinati ai Comuni» – e di conseguenza la nuova tassa varrà  in media circa la metà  dell’Imu (rifiuti esclusi).
Poi ci sarà  «un tetto massimo all’aliquota » applicabile. E quindi il superamento dell’Imu «non verrà  scaricato sugli inquilini», anzi questi “calmieri” li tuteleranno.
Quel che è certo, fin qui, è il federalismo insito nel nuovo balzello. Saranno i sindaci cioè a muovere le leve della tassa. Ancora più di ora.
Il governo ha spiegato, due giorni fa, che la Service tax avrà  due componenti: la Tari e la Tasi.
La prima corrisponde alla tassa sui rifiuti. La seconda, ai servizi indivisibili.
Ma il suo gettito totale, spiega Saccomanni, deve essere invariato per non creare buchi nelle casse comunali. Al netto dei 2 miliardi “offerti” dallo Stato
Questo significa che la tassa sui rifiuti (per le utenze domestiche) non potrà  valere meno di 4,5 miliardi annui. Anche se sarà  adeguata, meglio di ora, al criterio europeo del “chi più inquina più paga”, così caro al ministro dell’Ambiente Orlando.
Ad oggi però applicato solo da un pugno di città  (occorrono metodi per “misurare” la quantità  di rifiuti prodotta da ciascuna famiglia e far pagare meno i virtuosi).
La tassa sui servizi invece, che ora vale 1 miliardo, crescerà  di peso e arriverà  a 3 miliardi.
Perchè andrà  di fatto a sostituire metà  del gettito Imu prima casa.
Anche se i Comuni potranno scegliere di calcolarla sulla rendita catastale (come conviene ai grandi centri) o sui metri quadri (preferiti dai piccoli municipi).
La Uil Servizio politiche territoriali, simulando i costi per una famiglia media, ha stimato per il 2013 un risparmio di 145 euro (tra Imu azzerata e rifiuti rincarati) rispetto al 2012. E un aggravio per il 2014 di 91 euro.
Il prossimo anno pagheremo di più perchè il confronto è con un anno, il 2013, di Imu zero (sempre che il governo trovi le coperture anche per la seconda rata).
Se si fa il confronto con il 2012, il passaggio da Imu a Service tax (servizi più rifiuti) ci farà  risparmiare, in media, “solo” 54 euro.

Valentina Conte
(da “La Repubblica“)

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IL CONDONO DEL GOVERNO ALLE LOBBY DELL’AZZARDO

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

L’ESECUTIVO A CACCIA DI RISORSE OFFRE AI COLOSSI DELLE SLOT MACHINE UNO SCONTO DI 2 MILIARDI PER CHIUDERE IL CONTENZIOSO CON LO STATO

Da due miliardi e mezzo a 600 milioni di euro.
È il regalo che il governo Letta ha offerto alle società  di slot machine multate dalla Corte dei conti.
Nel decreto che cancella l’Imu sulla prima casa viene affrontato anche il problema relativo ai dieci signori delle slot condannati a febbraio scorso a pagare penali per 2,5 miliardi per i loro disservizi del periodo 2004-2006.
Una maxi multa richiesta dai giudici contabili, anche se nettamente inferiore a quella che avrebbe voluto portare a casa la Procura, cioè 98 miliardi di euro.
Ora lo sconto potrà  essere ancora più alto: entro il 15 novembre le società  potranno sanare la propria posizione, pagando soltanto il 25 per cento della multa inflitta dai giudici contabili.
In questo modo potrebbero entrare nelle casse dello Stato circa 600 milioni di euro in totale.
à‰ questa una buona notizia anche per la società  Bplus, la ex Atlantis Group of Companies, una società  originaria delle Antille Olandesi che era gestita dal catanese Francesco Corallo, il re delle slot machine, vicino al mondo di Alleanza nazionale.
La Bplus è tra le società  condannate a pagare la multa della Corte dei conti e potrà  sanare la propria posizione pagando circa 211 milioni di euro invece che rischiare di doverne versare 845.
Il proprietario non è più Francesco Corallo: dopo le vicende giudiziarie che lo hanno coinvolto, la Prefettura di Roma ha avallato il trasferimento della proprietà  a un blind trust inglese per la gestione di Bplus, fino al 30 maggio 2014, data entro cui la società  dovrà  essere venduta.
La Bplus Trust ha già  ricevuto dall’azionista Corallo il 100 per cento delle azioni.
Ora bisogna capire chi sarà  il prossimo acquirente.
Intanto lo scorso 5 agosto l’ex patron della Bplus è atterrato a Ciampino dopo 14 mesi di latitanza.
Su di lui pende l’ordinanza dei custodia cautelare emessa nel 2012 dalla Procura di Milano, nell’inchiesta sui presunti finanziamenti concessi dalla Banca popolare di Milano quando alla guida c’era Massimo Ponzellini.
Secondo l’accusa la banca avrebbe emesso un finanziamento di 148 milioni di euro alla società  Atlantis/BpPlus per comprare nuove slot in cambio di una presunta mazzetta da oltre 1 milione di euro girata all’ex presidente di Bpm, oltre di una presunta promessa di 3,5 milioni di sterline.
Ed è proprio durante le perquisizioni nell’ambito dell’indagini su Bplus, che la Guardia di finanza, a novembre del 2011, ha scoperto quei legami tra Corallo e il parlamentare Pdl Amedeo Labocetta.
La Bplus non è l’unica beneficiaria del provvedimento del governo.
Cirsa Italia potrà  chiudere il contenzioso con la Corte dei conti pagando 30 milioni, la Sisal Slot altri 61,2 milioni, Gtech 25 milioni, Gmatica 37,5 milioni, Codere 28,7 milioni, HBG 50 milioni, Gamenet 58,7 milioni, Cogetech 63,7 milioni e Snai 52,5 milioni.

Valeria Pacelli
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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LA CGIA DI MESTRE: “CON AUMENTO IVA SARANNO PENALIZZATE LE FAMIGLIE MENO ABBIENTI”

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

“PESERA’ SULLE RETRIBUZIONI PIU’ BASSE E DETERMINERA’ UN’ULTERIORE CONTRAZIONE DEI CONSUMI”

A prescindere dai problemi interni al Pdl, è sull’esecutivo delle larghe intese nel suo complesso che si abbattono nuove critiche e altrettante polemiche.
In tal senso, infatti, mentre Dario Franceschini parla di un “governo che ha fatto molte cose di sinistra”, la Cgia di Mestre prefigura l’esatto contrario per quanto riguarda la questione dell’imposta sul valore aggiunto.
“Con l’aumento dell’Iva le famiglie meno abbienti saranno quelle più penalizzate” sostiene il centro studi, secondo cui, pur se all’apparenza saranno i ricchi a pagare di più, l’eventuale aumento dell’imposta Iva peserà  maggiormente sulle retribuzioni più basse e meno su quelle più elevate”.
A parità  di reddito, inoltre, i nuclei famigliari più numerosi subiranno gli aggravi maggiori.
“Bisogna assolutamente trovare la copertura per evitare questo aumento — esordisce Giuseppe Bortolussi segretario della Cgia di Mestre — Nel 2012 la propensione al risparmio è scesa ai minimi storici. Se dal primo ottobre l’aliquota ordinaria del 21% salirà  di un punto, subiremo un’ulteriore contrazione dei consumi che peggiorerà  ulteriormente il quadro economico generale. E’ vero che l’incremento dell’Iva costa 4,2 miliardi di euro all’anno, ma questi soldi vanno assolutamente trovati per non fiaccare la disponibilità  economica delle famiglie e per non penalizzare ulteriormente la domanda interna”.

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FINANCIAL TIMES: “IMU, VINCE BERLUSCONI, PERDE L’ITALIA”

Agosto 30th, 2013 Riccardo Fucile

“IL GOVERNO ORA SI RITROVERA’ CON UN BUCO DI TRE MILIARDI METTENDO IN PERICOLO IL PIANO DI RISANAMENTO PER PORTARE IL DEFICIT SOTTO IL 3% DEL PIL”

Enrico Letta è costretto a incassare le critiche che arrivano dalla stampa estera. Durissime, infatti, le parole usate dal Financial Times per descrivere l’abolizione dell’Imu sulla prima casa: ”Non è un buon affare” recita l’editoriale del quotidiano britannico, secondo cui “l’Italia ne esce perdente con la vittoria di Berlusconi” sull’Imu.
“Col compromesso con il Pdl di Berlusconi, la fragile coalizione di governo ha schivato un’altra minaccia, ma l’accordo segna anche il trionfo di obiettivi politici di breve termine sugli interessi di lungo termine dell’Italia” spiega il giornale della City, secondo cui che le elezioni anticipate sono ora “improbabili”.
Tuttavia, a sentire il Financial Times, “la stabilità  politica ha un prezzo alto” da pagare e spiega che “ora il governo si ritrova con un buco di almeno 3 miliardi di euro ed ha messo in pericolo il piano per portare il deficit di bilancio sotto il 3%” del Pil”. Morale della favola?
Il quotidiano londinese non ha dubbi: “Il Cavaliere, come al solito, ha giocato in modo intelligente la partita politica. Ma mentre egli può rivendicare la vittoria contro i rivali, l’Italia ancora una volta ne esce sconfitta“.

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