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REGIONE LIGURIA, SPESE PAZZE: INDAGATA LA NUORA DI MASTELLA

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

TOCCA A ROBERTA GASCO, PASSATA DALL’UDEUR A FORZA ITALIA..NEL 2005.ERA STATA ELETTA NEL LISTINO DEL PRESIDENTE PD BURLANDO

Era ormai una consuetudine, in Regione: presentare false ricevute fiscali, per pranzi di lavoro inesistenti o fantomatici acquisti di materiale destinato al funzionamento dei gruppi consiliari. Così fan tutti. Lo è sempre stato, così, anche nella passata legislatura.
Tant’è che adesso che la Procura della Repubblica passa al setaccio le spese “pazze” tra il 2005 e il 2010 (prima giunta Burlando), Roberta Gasco finisce nel registro degli indagati.
Chiamata a rispondere di falso e peculato, il cui periodo di prescrizione è di 10 anni.
In futuro potrebbe non essere chiamata in causa per il peculato, che invece ha una estinzione ridotta a 7 anni.
Le spese “pazze” della consigliera di Forza Italia, nella passata legislatira in quota Udeur a capo del Gruppo Misto in Regione, prima sono state vagliate dalla Corte dei Conti, che ha ravvisato delle irregolarità .
In un secondo momento sono state messe sotto l’attenzione del Nucleo di Polizia Tributaria, guidato dal colonnello Carlo Vita.
Gli uomini delle Fiamme Gialle hanno poi accertato che quelle ricevute non corrisponderebbero ad acquisti fatti veramente.
E il nome della Gasco è finito nel fascicolo aperto dal sostituto procuratore Massimo Terrile, che proprio in questi giorni si appresta a chiudere l’indagine ed a notificare l’Acip (avviso di conclusione indagini), con relativo avviso di garanzia a lei ed al suo avvocato.
Roberta Gasco in Mastella, è l’esempio vivente delle contraddizioni politiche della Liguria e di una trasversalità  che di volta in volta ha fatto comodo alla destra o alla sinistra.
Alla giovane avvocatessa che, ancor prima che nuora dell’ex ministro Clemente Mastella era la figlia di un potente rappresentante della Democrazia Cristiana della riviera di ponente savonese, l’ingresso in Regione con tanto di tappeto rosso glielo spalanca nel 2005 l’allora neo presidente Claudio Burlando.
La necessità  di sorreggere la giunta lo spinge a cercare alleanze politicamente traballanti con l’Udeur, di cui la Gasco è una fresca iscritta.
Così la Roberta da Loano arriva in via Fieschi grazie al listino, sì insomma la lista dei paracadutati.
Senonchè, quando il vento scompiglia la coalizione nazionale anche la Gasco si muove.
La riconoscenza in politica è un ostacolo, e così in un batter d’occhio alle Regionali del 2010 ecco che nel nuovo Consiglio la Gasco c’è ancora, però con una casacca appena diversa: quella di Forza Italia. E infatti è anche la coordinatrice provinciale di Savona del Pdl.
Ora il suo nome va ad aggiungersi al nutrito elenco di consiglieri incappati nell’imbarazzante vicenda delle spese “pazze”.
Soldi che sarebbero dovuti servire per le finalità  istituzionali dei gruppi consiliari o per il funzionamento dei partiti, e che invece sono stati impiegati a scopi personali. O ancora peggio, mai spesi, ma di cui si sono avuti i rimborsi.
In particolare, nel filone frutto degli accertamenti della Procura della Corte dei Conti, l’ufficio guidato dal procuratore regionale Ermete Bogetti ha controllato le spese del triennio 2008-2010 non ancora in prescrizione, mentre i pm del penale si sono concentrati sulle legislature successive.
La giustizia contabile, oltre alla “messa in mora” nei confronti di 37 consiglieri e alla contestazione di 850mila euro relativi a spese irregolari del 2008, ha rilevato anche illeciti penali, trasmettendo gli atti alla Procura presso il Tribunale.
Prima della Gasco era stata la volta di Lorenzo Castè, l’ex consigliere regionale eletto nel 2005 in Rifondazione Comunista e poi passato al gruppo Udeur-Sinistra indipendente.
Per Castè le indagini si sono già  chiuse e l’accusa è di peculato. Tra il 2008 e il 2010 il compagno di Vernazza avrebbe chiesto rimborsi con ricevute false per un importo di oltre 147 mila euro in spese di ristorazione, 13 mila euro per giornali e riviste, oltre 56 mila euro per spese di rappresentanza; e 8 mila euro per vini, prodotti dall’azienda di cui è titolare la moglie.
Intanto, sono in dirittura d’arrivo le altre due inchieste sulle spese “pazze”.
La prima, con i due filoni che da una parte (pm Nicola Piacente) vedono indagati 5 consiglieri di Italia dei Valori (tutti hanno lasciato il partito): Maruska Piredda, Nicolò Scialfa, Marylin Fusco e Stefano Quaini (dimessosi da consigliere); l’altro, in mano al pmFrancesco Pinto, ha nel mirino l’Udc di Rosario Monteleone e Marco Limoncini; poi Franco Rocca, Alessio Saso e Luigi Morgillo (Pdl), Raffaella Della Bianca (ex Pdl passata al Gruppo misto) e Aldo Siri (Lista Biasotti).

Marco Preve
(da “La Repubblica“)

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BOLOGNA E LIVORNO: COMPAGNI ADDIO

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

IL PD AZZERATO DA RENZI… EMILIA E TOSCANA PERDONO ISCRITTI

Cambiano gli uomini, cambia la geografia e i colori.
Quando si diceva delle città  rosse: oggi sono di un color pastello non più identificabile, uccise dalla loro storia. Livorno e Bologna sono due casi diversi, ma emblematici di quella curva che porta a crescere la popolarità  di Matteo Renzi e a crollare quella del partito.
In tempi recentissimi Livorno aveva ancora un compagno segretario. Lo chiamavano così.
Fatti a pezzi i numeri, le falci e i martelli che i portuali si facevano montare dall’orefice e portavano al collo come qualcosa da esibire, il nome compagno ha resistito oltre misura. Compagne e compagni addio.
Oggi Livorno, dopo la batosta presa alle elezioni comunali vinte dal candidato del Movimento 5 stelle, Filippo Nogarin, non ha più un partito.
Il Pd, nei suoi vertici, è stato completamente azzerato e dio fatto commissariato dalla segreteria regionale. Non c’è un segretario, l’ordinaria amministrazione non è più di potere, dunque non merita di essere seguita.
Le sezioni erano già  barcollanti da tempo, oggi sono semivuote. Anche i nostalgici se ne vergognano.
Prima erano circoli. Nella sezione di Antignano, quartiere che mescolava piccoli arricchiti e inquilini di case popolari, il circolo funzionava come punto di ritrovo.
Se non altro organizzavano cene e partite a carte.
L’ultimo compagno segretario degno di cotanto nome è stato Raldo Ferretti, professione barbiere. Quando è morto lui la sezione ha iniziato a perdere i pezzi
Non meglio è andata a quella centrale.
Era in piazza della Repubblica, voleva dire il potere. Oggi in quelle stanze c’è lo studio di un fisioterapista.
Una metamorfosi che ha portato all’intero azzeramento. Testa china e andare avanti.
Segno di cattiva amministrazione, anche: l’ultimo sindaco del Pd, Alessandro Cosimi, non ha brillato per dinamismo.
Se lo chiedete ai livornesi ve lo racconteranno in altri termini, molto più feroci.
Eppure in quella città  il Partito comunista era nato. E non fu assolutamente un caso che la scissione si consumò lì, al vecchio teatro San Marco: Livorno non era rossa, era comunista più di ogni altra città .
Anche negli anni di massima espansione, anche quando i portuali guadagnavano quanto gli ingegneri e lavoravano la metà . Altri tempi. Oggi ansima.
Nogarin si è trovato a governare le briciole rimaste dal passato.
Ci mette del suo, fino a oggi ha chiacchierato molto e risolto poco, ma non ha nessun tipo di opposizione.
Il Pd a fare l’opposizione della città  che si erano tramandati di padre in figlio non si sporca. Ricostruire vorrebbe dire scavare nuove fondamenta e lo sconforto della sconfitta è ancora lontano.
La situazione non va meglio a Bologna.
Il loro Nogarin c’è già  stato, si chiamava Giorgio Guazzaloca, ma i risultati delle primarie per il governo della Regione non sono confortanti.
Sono andati a votare l’86 per cento in meno delle passate consultazioni. E, come dice il professor Romano Prodi, questo non promette nulla di buono.
Tanto è che il vincitore assoluto, Stefano Bonaccini, consapevole di aver incassato una vittoria alla buona, ha chiesto aiuto allo sfidante, Roberto Balzani. “Anche lui deve aiutarmi adesso, altrimenti gli astenuti saranno più della metà  degli aventi diritto al voto”.
Piacerebbe sapere per colpa di chi, visto che Bologna era Bologna, rossa e papale, accogliente e godereccia, ferita, ma capace di rialzarsi. Passato remoto.
Oggi il partito in provincia è in mano a Raffaele Donini, uno della generazione post comunista. Non ha battuto ciglio di fronte alla mancanza della sua gente.
Alla Bolognina, la sezione storica dove il partito smise di essere comunista, la frattura si era già  consumata quando Prodi venne tradito sulle scale del Quirinale.
La loro storia finì già  lì, il segretario si dimise, il resto è stata una resa al renzismo dilagante. Consapevoli tutti che il partito avrebbe decretato la propria fine.
“Accettammo di perdere il comunismo, faremo a meno anche di questa cosa strana che si chiama Pd”, dicono.
“Ce l’aspettavamo. Quando il Pd nacque i valori erano già  renziani prima che Renzi spegnesse le candeline: la sinistra era già  morta”.

Emiliano Liuzzi
(da “il Fatto Quotidiano“)

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DIECI SENATORI DI ALFANO PRONTI A LASCIARE L’NCD

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

SILVIO: «COSàŒ DECIDO IO SE IL GOVERNO VA AVANTI»

az Dieci senatori disposti a tutto. Pronti a lasciare il Nuovo centrodestra per costruire a Palazzo Madama un nuovo gruppo e decidere le sorti del governo.
Già  lo chiamano, un po’ per gioco, “la squadra dei Sudisti”. Il progetto, in realtà , è promosso da Denis Verdini.
È lui, unico depositario della linea politica del Cavaliere, a muovere le pedine. Ed è stato sempre lui, mercoledì in un lungo incontro, a proporre riservatamente ai transfughi il piano. Dettagli inclusi.
D’altra parte, come ricorda spesso l’ex coordinatore azzurro, «Renzi è buono e caro, ma con lui è sempre meglio far parlare i numeri… ».
Non si tratta di favorire nuovi ingressi in Forza Italia, farebbero troppo clamore. L’idea, piuttosto è di manovrare dietro lo quinte una pattuglia capace di condizionare il futuro della legislatura. Indebolendo, allo stesso tempo, un concorrente come Alfano.
Il corteggiamento è iniziato alcune settimane fa. Prima una telefonata del Cavaliere, poi il pressing quotidiano di Verdini. Fino all’incontro nella sede del partito.
Solo Angelino Alfano, adesso, può frenare una dolorosa emorragia.
Tutti, o quasi, sono meridionali. Alfaniani delusi, irritati con il ministro dell’Interno e convinti di dover tornare al primo amore.
C’è l’ex sottosegretario Antonio Gentile e i suoi colleghi calabresi Bilardi e Aiello.
E ancora, Guido Viceconte e Antonio D’Alì. Forse Michele Cassano, probabilmente un senatore campano.
Il bacino potenziale, ragionano in queste ore, è addirittura di tredici senatori. Anche se qualcuno, alla fine, è destinato a sfilarsi. Su una panchina di Montecitorio, Gentile scherza con alcuni colleghi: «Noi abbiamo un solo problema: stavolta Berlusconi ci vuole per davvero…».
La partita, inevitabilmente, si incrocia con le imminenti Regionali.
Il Nuovo centrodestra fatica a siglare intese, i dirigenti locali scalpitano.
Per favorire la diaspora, Berlusconi ha ridotto ulteriormente i margini di trattativa con il partito di Alfano: «Nessuna alleanza — ha sentenziato durante la riunione di FI — è possibile con dei traditori ».
Sul territorio, allora, gli alfaniani si muovono in libertà . A partire dalla Calabria, dove proprio Gentile potrebbe presentare una lista civica e magari addirittura sostenere il candidato renziano, in aperta opposizione al compagno di partito Giuseppe Scopelliti.
Sullo sfondo, naturalmente, resta il rebus della legge elettorale.
È questa, in realtà , la molla che spinge Arcore ad accelerare nell’operazione dei “sudisti”.
Le modifiche all’Italicum hanno creato nelle ultime settimane non pochi attriti con Renzi. Berlusconi preferirebbe il proporzionale puro del Consultellum, ma è disposto ad accettare anche un altro modello. Confessato incautamente proprio ieri, durante l’infuocato comitato di Presidenza. «Stiamo trattando per cambiare l’Italicum e introdurre il premio alla lista e non più alla coalizione».
L’obiettivo è cancellare coalizioni precostituite, soffocare le piccole forze e consentire a Forza Italia di far pesare un bottino elettorale — anche esiguo — a urne chiuse.
Che molto si giochi proprio sulla legge elettorale è apparso chiaro sempre ieri durante il summit degli azzurri, nel corso di un durissimo scontro tra Verdini e Capezzone. «Voi sostenete Renzi invece di fare opposizione — ha attaccato l’ex radicale — ma così perdiamo consensi e aiutiamo solo il premier». Infuriato, il ras toscano ha replicato in modo spietato: «Stai ragionando con il cuore, invece che con il cervello, se ce l’hai… Renzi è utile per avere una legge elettorale che vada bene anche a noi. Altrimenti, se continuate così, andremo a votare con il Mattarellum: ve ne assumete voi la responsabilità ! E io vi appendo a un albero… ».
Ecco, è proprio per influenzare il premier sulla riforma che nasce il progetto azzurro dei “Sudisti”.
È un terreno scivolosissimo, per questo Verdini lavora ai fianchi — ma con discrezione — il Nuovo centrodestra.
Avvertito del pericolo, Angelino Alfano ha innalzato il livello di guardia. Il ministro dell’Interno sa che la tenaglia Pd-FI rischia di stringersi pericolosamente, per questo mette in campo ogni sforzo per contrastare l’assedio berlusconiano.
Nel frattempo, recapita a Renzi un messaggio chiaro : «Noi siamo leali, ma così non si va avanti. Tocca a te frenare le manovre di Verdini».

Tommaso Ciriaco
(da “La Repubblica“)

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LA GRANDE FUGA DEGLI ISCRITTI AL PD

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

EFFETTO RENZI: PD SENZA BASE, SOLO 100.000 TESSERE, IN UN ANNO PERSI 400.000 ISCRITTI

Nel Pd è sparita la base. Gli iscritti, i militanti, quelli che si facevano autografare la tessera plastificata dal segretario e dai dirigenti alle feste dell’Unità .
Gli elettori ci sono, tantissimi, fino a raggiungere la cifra record del 40,8 per cento delle Europee. Le tessere non più.
L’allarme è scattato dopo il flop di affluenza alle primarie dell’Emilia Romagna, la storica regione rossa: solo 58 mila elettori ai gazebo.
Ma il dato non ha sorpreso chi conosce i numeri segreti del Nazareno: siamo sotto quota 100 mila iscritti in tutta Italia, 5 volte meno del 2013 quando i tesserati erano 539.354.
Nei corridoi, forse per colpa del panico, si diffondono voci ancora più catastrofiche. Qualcuno parla infatti di 60 mila iscritti. Significherebbe che poco più di un militante su 10 ha rinnovato la sua fede nel Partito democratico.
Come dire: la spina dorsale del Pd non esiste più.
Il quadro, regione per regione, presenta alcuni buchi neri assoluti.
Il tesseramento non è praticamente partito in Sicilia, Basilicata, Molise, Sardegna, Puglia.
E mancano solo tre mesi alla fine dell’anno. In Campania idem.
Nel 2013 Napoli e le altre province contavano 70 mila iscritti. Oggi le tessere, raccontano, si possono calcolare nell’ordine delle centinaia, nemmeno migliaia. Qualcuna nel capoluogo, qualcun’altra a Salerno dove l’attivismo dell’eterno sindaco Vincenzo De Luca mette una pezza. Fine.
I circoli sono tristemente deserti anche nei quartieri delle percentuali bulgare per Valenzi e Bassolino: Ponticelli, Barra, San Giovanni.
Era molto affollata invece la Fonderia delle idee, un’iniziativa organizzata lo scorso week end dall’eurodeputata Pina Picierno per lanciare la sua candidatura alla regione. Però in quella sede non compariva un solo simbolo del Pd. Neanche piccolo piccolo.
La mutazione genetica del partito nasce così.
Ci si apre alla società , ma i circoli (7200 in Italia, 89 all’estero) languono e la militanza scompare.
Un modello che a destra conoscono bene, dalla discesa in campo di Berlusconi.
Ma che per l’altra parte rappresenta ancora uno choc. La “base” è stata la storia e la memoria della sinistra, come raccontò l’indimenticabile documentario di Nanni Moretti La Cosa ( 1990). Adesso non più.
È l’altra faccia dell’effetto Renzi. Il leader carismatico, attivissimo, presente su tutti i media compresi i social, capace di traghettare i democratici al record del 41 per cento ha come contraltare la debolezza della struttura.
La ditta ha molti clienti ma un solo poliforme trascinatore. E le tessere crollano.
A Torino e provincia gli iscritti erano 10 mila lo scorso anno, oggi sono appena 3000. A Venezia partecipavano all’attività  delle sezioni 5500 persone nel 2013, scese a 2000 nel 2014.
In Umbria si è passati da 14 mila tesserati a poco meno della metà , anche se le stime sono molto provvisorie.
Se tutto va bene, dicono a Perugia, si toccherà  il traguardo dei 10 mila prima di dicembre, il 40 per cento. Soffrono anche i luoghi dello zoccolo duro, dove la sinistra non perdeva mai iscritti.
Altri tempi, certo. E la crisi delle “vocazioni” a sinistra non è una novità  dell’ultimo anno. In fondo, il partito liquido è un’idea di Walter Veltroni datata 2007, ormai 7 anni fa.
Ma il dato di 100 mila fa lo stesso impressione. Matteo Renzi ha un modello di partito completamente diverso dal passato.
La Fonderia delle idee non è altro che l’epigono meridionale della Leopolda, l’appuntamento dei renziani a Firenze, anche quello rigorosamente svuotato dalle simbologie del Pd.
Anche quest’anno il premier risponderà  alla manifestazione dei sindacati sull’articolo 18 dalla Leopolda anzichè da una barbosa conferenza sul lavoro targata Partito democratico.
L’identificazione presidente del Consiglio-segretario porta poi il primo a oscurare il secondo.
Il capo temporaneo accentra su di sè attenzioni e responsabilità  mentre la macchina partitica passa decisamente in secondo piano.
Se il crollo degli iscritti non è voluto, è dunque messo nel conto, sviluppo naturale di un’idea diversa della rappresentanza politica, forse più al passo della storia.
Semmai gli oppositori osservano: «Non c’è più il partito, ma c’è la disciplina di partito». Oppure: «Se chi vuole discutere è sempre un gufo o un rosicone, i circoli si svuotano».
I renziani obiettano: «Ma le urne sono piene» e lo testimoniano gli 11 milioni e 200 mila voti delle Europee.
Le primarie in Emilia, il tonfo del tesseramento sono però i sintomi di un problema, che coinvolge identità  e ruolo del Pd, dei partiti in generale.
Tanto più quando la crisi della militanza si accompagna alla progressiva morte del finanziamento pubblico.
Il Pd riceverà  nel 2014 12,8 milioni. Nel 2011 erano 60.
Le casse quindi sono in sofferenza. Ieri il tesoriere Francesco Bonifazi ha spedito una mail a tutti i parlamentari settentrionali. Oggetto: “Cena del Nord”.
Ognuno deve portare 5 imprenditori, che pagheranno 1000 euro a testa, a un evento in programma a novembre. Dove la star ovviamente sarà  Renzi.
Obiettivo: raccogliere 1 milione. Si chiama fundraising, il modello sono gli Usa, Obama.
La rottamazione è anche di sistema, non solo delle persone.

Goffredo De Marchis
(da “La Repubblica“)

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COME SEI VECCHIA SINISTRA RADICALE

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

IL MONDO E’ CAMBIATO, LORO RESTANO IMMUTABILI NEL TEMPO: LA CAMORRA NON E’ UNA RISPOSTA ALLA MISERIA

La Bce si riunisce a Napoli e innesca solite proteste.
Che si facciano questi incontri in città  tanto complesse resterà  per me sempre motivo di stupore.
Scelte che hanno il sapore della sfida più che dell’opportunità  per un territorio martoriato, anche perchè è raro che lascino segni, tracce da seguire, percorsi.
Tuttavia manifestare è salutare se serve a mappare le contraddizioni, a mostrare quanto il sistema economico stia creando infelicità . E manifestare non solo è legittimo, ma necessario se serve a far conoscere i meccanismi di potere e chiedere allo stesso potere di ascoltare e provare a sperimentare strade diverse
Quello che mi sconvolge, invece, è vedere sigle e volti eterni della estrema sinistra napoletana che nei giorni che hanno preceduto la riunione del direttivo della Bce, esibivano lo stesso logo del No Global Forum del 2001.
In 13 anni i dirigenti della Bce sono cambiati, il mondo è completamente mutato anche nelle sue iniquità , ma chi protesta, i loro metodi, i loro slogan, no.
Già  li sento declamare: la rivoluzione non invecchia. Forse è vero, ma voi sì. E male, anche. Quei volti li conosco perchè da ragazzino ascoltavo le loro parole, perchè credevo mi aiutassero a capire, credevo che anche grazie a loro la mia coscienza civile e politica sarebbe maturata.
Presto ho capito che non è la protesta cieca a mostrare una strada, che lì si disimpara solo.
La sinistra radicale napoletana, tra le più immobili e reazionarie del panorama politico europeo, sconta la miopia di aver sempre interpretato la camorra come una sorta di resistenza antiborghese, come una risposta alla miseria.
In questo modo, portavano e portano avanti una sorta di connivenza ideologica che andava oltre, e probabilmente intendeva giustificare il quotidiano rifornirsi di tutte le droghe possibili, come il collaboratore di giustizia Maurizio Prestieri ha raccontato: «A Napoli i ragazzini di estrema sinistra compravano fumo, coca, eroina, acidi e noi con quei soldi pagavamo le campagne elettorali della destra».
E poi il cortocircuito di molti di questi capipopolo, mantenuti dalle famiglie e combattenti in strada. Li guardavo e mi dicevo: non diventerò mai come loro.
Dietro le categorie di “venduto”, “commerciale” o “borghese” c’era semplicemente il livore verso chi riusciva a vivere del proprio lavoro.
Ma al di là  di questi miei ricordi personali, l’invito ai ragazzi, quelli che ancora non si riconoscono nei fallimenti di questi ridondanti agit-prop, è di guardare il documentario “Everyday Rebellion”, un documentario preziosissimo dei Riahi Brothers.
Un modo per vaccinarsi contro queste vecchissime sigle e vecchissime facce.
È il racconto delle “rivoluzioni in corso” in Spagna, Egitto, Siria, Iran, Russia, Turchia, Usa degli attivisti pacifisti che hanno innescato i grandi movimenti degli ultimi anni.
Un documentario che mostra come questi movimenti vadano oltre le miopie ideologiche e raccolgano diversi modi di pensare uniti in una consapevolezza: così non si può andare avanti.
La crisi economica e i regimi stanno distruggendo le possibilità  di felicità , il lavoro, la serenità . E ci si unisce molteplici in nome di rivendicazioni comuni, non animati dall’odio o dalle teorie del complotto.
Queste le parole con cui inizia “Everyday Rebellion”: «Siamo persone normali e comuni. Siamo come te: gente che ha famiglia e amici, gente che lavora duro ogni giorno per vivere, gente che si sveglia ogni mattina per studiare, lavorare o cercare lavoro. Alcuni si considerano più progressisti, altri più conservatori. Alcuni credenti, altri no. Ma tutti siamo preoccupati e indignati per il panorama politico, economico e sociale. Siamo anonimi, ma senza di noi nulla di questo sarebbe cominciato. Perchè siamo noi che muoviamo il mondo. È tempo di metterci in cammino e costruire insieme una società  migliore».
Al cospetto di tutto questo, risultano patetiche le solite sigle di gruppi musicali, dei centri sociali della Napoli estremista e sconfitta dalle sue stesse analisi fallaci, dalle sue stesse superficiali connivenze, dalla inutile furbizia per arrivare a trovare una nuova impossibile giovinezza irrorata dai fumi di calumet che purtroppo non sono neanche di pace.

Roberto Saviano

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“VATTENE, FIGLIO DI UN VECCHIO DC”. “TU NON CACCI NESSUNO”: BERLUSCONI PERDE LA TESTA E INSULTA UN MORTO

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

VOLGARITA’ DI BERLUSCONI CONTRO FITTO… E VERDINI RIESCE A LITIGARE CON CAPEZZONE

«Presidente, voglio solo discutere ma continui a interrompermi. E sono ancora alla premessa…».
Gli occhi di Silvio Berlusconi fulminano Raffaele Fitto. Il capo si sente preso in giro. «Ora basta — urla devi smetterla!». Vorrebbe zittirlo.
Nel parlamentino azzurro cala il gelo, a molti torna in mente la cacciata di Fini.
Con un balzo felino l’ex premier abbandona lo scranno della Presidenza e si para di fronte al banco del dissidente. «Vai via, oppure convoco i probiviri e ti faccio cacciare. Vai a fare il parroco a Lecce. Tu sei figlio di un vecchio democristiano, qui non c’è spazio per certe cose».
È troppo, soprattutto per chi ha perso il padre in un drammatico incidente stradale. Eppure non reagisce di pancia.
E mentre l’ex premier lascia la sala infuriato, le sue parole lo raggiungono taglienti: «Tu non cacci nessuno, vedrai…».
Forza Italia esplode sotto gli occhi atterriti dei membri silenti del comitato di presidenza.
Nulla, all’inizio, lascia presagire la tempesta. La relazione corre via veloce. Si vota. «Prima — è sempre Fitto a interrompere il solito canovaccio del leader — sarebbe meglio discuterne».
Non secondo Berlusconi, però, che taglia corto: «Bene, relazione approvata con 2 voti contrari su 36».
L’altro dissidente è Daniele Capezzone, che inizia a litigare platealmente con Verdini. Poco dopo tocca a Fitto. Contesta la linea filogovernativa, reclama primarie e democrazia interna. E scatena l’ira funesta del Capo.
«Perchè non prendi i tuoi trecentomila voti e vai via — grida Berlusconi — E perchè continui a spaccare il partito sulle agenzie?».
È un confronto drammatico: «A differenza dei signor sì che ti circondano, ti dico le cose in faccia. Non puoi paragonarmi a Fini. Pensa piuttosto a chi ti ha mandato a fanc… nottetempo. Pensa ad Alfano, che per restare con il sedere imbullonato a una poltrona ti ha abbandonato».
Il Presidente non ci vede più. Si accalora, avvicinandosi pericolosamente al big meridionale. «Sono io che decido chi mandare in tv. Io ti faccio cacciare».
Tocca a Saverio Romano interrompere l’escalation, anche se tutti sanno che è troppo tardi. «Forse non c’è più il clima per proseguire, è meglio…».
Berlusconi è già  lontano, Fitto è circondato dallo stato maggiore. In molti provano a mediare. Nulla di fatto, però.
E poco dopo, ragionando con i suoi, non fa sconti: «Non può cacciarmi. Che colpa ho, di volere fare opposizione a Renzi?».
Quel passaggio sul padre segna comunque un punto di non ritorno: «Avevo diciotto anni quando l’ho perso, quelle parole erano indegne. In quel momento ho retto a fatica, volevo saltare oltre il banco perchè mi ha ferito umanamente».
Consapevole di aver esagerato, almeno su questo punto, il Cavaliere a sera prova a rimediare con l’Ansa: «Ho detto con franchezza a Fitto quello che penso. Con questo spirito mi sono riferito alla sua appartenenza alla tradizione dc, non per mancare di rispetto a lui e ai familiari».
E adesso? Fitto, forte di una pattuglia di diciotto senatori, non sembra disposto ad arretrare.
«Inizia una bella battaglia. Dentro FI, naturalmente». Berlusconi vorrebbe liberarsene, ma alcune colombe lo frenano.
«E ora — allarga le braccia Francesco Paolo Sisto — come ne usciamo?».

(da “La Repubblica”)

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MONITO A VUOTO, LE CAMERE AZZOPPANO ANCORA LA CONSULTA

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

ANCORA UNA FUMATA NERA PER L’ELEZIONE DEI DUE GIUDICI COSTITUZIONALI … CON BRUNO FUORI GIOCO, SI INABISSANO I CANDIDATI DEL NAZARENO

“Adesso vengono a prenderci con i corazzieri”. Montecitorio, sedicesima fumata nera per l’elezione dei giudici della Consulta.
Non passa nè il nuovo candidato di Forza Italia, Caramazza (l’ex avvocato generale dello Stato che — tra le altre cose — ha firmato il ricorso per distruggere le intercettazioni tra Napolitano e Mancino), che prende solo 450 voti, nè Luciano Violante (il nome voluto dal Colle), fermo a 511.
Come stupirsi che il Presidente sia ogni giorno che passa più arrabbiato?
E anche in parte sfiduciato: lui “monita”, esorta, interviene. E il Parlamento, niente. Va per fatti suoi.
Sono settimane che Re Giorgio fa presente a tutti quelli con cui parla che nella votazione dei giudici di Consulta e Csm bisogna procedere spediti. Niente da fare: prossima seduta comune aggiornata a tra una settimana.
Tra franchi tiratori di Forza Italia e Pd e in generale scarso interesse del Parlamento c’è chi si chiede se i due saranno eletti mai.
Sempre più paradossale la posizione di Violante: tra il blocco degli azzurri e il fuoco amico, proprio non riesce a passare.
Lui non si ritira e Renzi non ci pensa proprio a mettere bocca: non è interessato nè a difenderlo, nè a sostituirlo. La partita non è di quelle che lo appassionano e l’ex presidente della Camera è lì perchè l’ha voluto il Colle e per non fare un dispetto (ulteriore) alle minoranze dem.
Ma andando avanti così rischia di finire non bruciato, ma bollito. E magari tanto meglio per il premier, che potrà  scegliere una figura a lui gradita, scaricando la colpa degli insuccessi sul gruppo parlamentare e sulla sua gestione.
Un piccolo avvertimento a Roberto Speranza a non tirare troppo la corda in generale, che non fa mai male.
Il quale Speranza ieri sera ha fatto sapere che Violante è confermato.
Napolitano, dunque, è parecchio buio. Anche perchè il 9 novembre potrebbe nominare i due giudici che gli spettano: difficile però scegliere uno bocciato più volte dal Parlamento.
Come Violante, appunto.
Ancora più cupo per i pasticci sul Csm, dove è stata eletta Teresa Bene, che non aveva i requisiti. Bomba scoppiata proprio mentre il Capo dello Stato spronava: “Il tempo che ha richiesto l’elezione dei nuovi membri del Csm va rapidamente recuperato”.
E allora? Il tentativo è quello di tirarsi fuori, di ribadire che sui lavori del Parlamento il Presidente della Repubblica poco può influire.
Sarà , ma lui ce la mette tutta e i parlamentari dalla loro non si risparmiano gli sgambetti . Nonostante la standing ovation tributatagli durante il discorso della sua rielezione, proprio mentre lui ne denunciava le incapacità  (“non autoassolvetevi”) e ricordava l’impegno a fare le riforme.
È passato un anno e mezzo, e a quella reazione entusiasta non sono seguiti fatti esattamente consequenziali.
L’accorato appello a favore dell’amnistia che Napolitano fece ormai un anno fa non è stato raccolto dal Parlamento, grazie anche a Renzi, che allora si scagliò contro il Colle.
Ma il Presidente è un uomo di mondo: e quando si rese conto che il suo “pupillo” Enrico Letta non riusciva a governare, diede il via libera al rottamatore di professione.
Sette mesi e mezzo dopo le perplessità  su quest’avventura non si contano. Al Quirinale hanno dovuto riscrivere i decreti, arrivati in forma di brogliacci e fare i conti con annunci mirabolanti e difficoltà  crescenti.
Come dimenticare le vere e proprie consultazioni fatte in occasione del voto sulla riforma costituzionale a Palazzo Madama, con bacchettate al Presidente del Senato Grasso annesse e arrivo della colonna dei ribelli direttamente alle porte?
La storia più recente, poi, parla chiaro: Napolitano si è lasciato andare a un monito sulla necessità  della riforma del lavoro (“Ci vuole più coraggio, basta conservatorismi”) .
E ha ricevuto Renzi il giorno della direzione del Pd, offrendogli collaborazione e consigli. Risultato? Botte da orbi nel Pd e liti reiterate per tutta la settimana, in attesa del voto al Senato. Che al Quirinale aspettano con ansia, ma neanche troppo: sanno bene che i veri provvedimenti si avranno solo nei decreti delegati. Prima, difficile valutarli.
Per il resto, si osservano le gesta del giovane Matteo con scetticismo: sicuro, per esempio, che si possa permettere l’atteggiamento spavaldo che ha assunto in Europa?
E cosa riuscirà  davvero a fare per l’economia?
E così alla rabbia si sostituisce la stanchezza: una chiave ci sarebbe (forse) per dare un corso diverso alle cose. Ovvero le urne.
Ma Re Giorgio non ne vuole sapere di sciogliere la legislatura e di gestire ancora una volta tutto quel che ne consegue: in casi estremi preferisce dimettersi. Addio moniti.
E in bocca al lupo ai possibili candidati: l’esempio di Violante docet.

Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)

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IL CORTEO ANTI-BANCHIERI SFILA TRA CORI E APPLAUSI

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

NO BCE E TUTTI ALLA REGGIA: NAPOLI PROTESTA IN MODO CIVILE

Il corteo era iniziato con la gente affacciata ai balconi che applaudiva.
Quattromila persone in piazza, no global, disoccupati, precari, studenti, operai Fiat. Molti con la maschera di Pulcinella in viso.
Ma quando la manifestazione No Bce è arrivata alle porte della Reggia di Capodimonte, con entrambe le vie d’accesso all’area del vertice internazionale sbarrate dalle forze dell’ordine in assetto anti-sommossa, si è temuto davvero che una protesta fino a quel momento pacifica potesse degenerare
Un gruppo di attivisti ha indossato caschi e si è coperto il volto, mentre altri aprivano un corridoio per lasciar passare una scala sulla quale è salito Mario Avoletto, 43 anni, storico esponente della sinistra di lotta napoletana, che è riuscito a scavalcare il muro che circonda la Reggia.
La polizia ha risposto con gli idranti e lanciando quattro lacrimogeni.
Avoletto è stato bloccato e condotto in Questura. Il cuore del corteo, come sotto shock, si è disperso, mentre Capodimonte veniva spazzata da un fortissimo scroscio di pioggia.
Un momento di forte tensione, rimasto però l’unico di una giornata che pure era stata annunciata come ad altissimo rischio.
Merito, sottolinea il questore di Napoli, Guido Marino, dei mille uomini schierati sul campo, «che hanno tenuto un comportamento esemplare», ma anche, rimarca Marino, «degli organizzatori della manifestazione che hanno agito con buon senso. Quando hanno visto che l’idea della scala era infruttuosa, sono riusciti a dissuadere molti dall’avere atteggiamenti aggressivi. Si temevano il coprifuoco e saccheggi, non è accaduto niente di tutto questo», sottolinea il questore.
Solo le vetrine di un’agenzia del Banco di Napoli imbrattate e lancio di uova e due petardi all’indirizzo della struttura che ospita il Tribunale per i minorenni
Così il corteo ha ripreso la sua marcia, dirigendosi nel cuore della città , attraversando il popolare rione Sanità  e via Duomo.
Fra i manifestanti, anche un gruppo di donne con una bandiera insanguinata dell’Ucraina, in segno di protesta contro gli aiuti al governo di Kiev.
«Qui non ci sono Black Bloc — hanno gridato — ma solo cassintegrati, lavoratori che hanno perso le garanzie e la dignità , studenti costretti a lavorare in nero per mantenersi ».
Il presidente della Bce, Mario Draghi, commenta: «Capisco i motivi della protesta. C’è un rapporto con la debolezza dell’economia di questo Paese. C’è la convinzione che la Bce sia all’origine o colpevole della situazione. Ma dobbiamo riflettere: come si stava 2-3 anni fa quando la finanza era al collasso? », si chiede Draghi.
Il corteo si scioglie quando, in piazza Bovio, Avoletto scende dalla questura dopo essere stato identificato.
I manifestanti lo salutano con i fuochi d’artificio. «Se lo rifarei? Certo che sì».

Dario Del Porto
(
da “La Repubblica”)

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CARA MAZZA

Ottobre 3rd, 2014 Riccardo Fucile

LA GIUSTIZIA AMMINISTRATA IN NOME DI RE GIORGIO

Dieci anni fa suscitò molte polemiche la proposta del ministro della Giustizia Roberto Castelli di sostituire, nei tribunali, la scritta “La legge è uguale per tutti” con un’altra, sempre tratta dalla Costituzione, ma di cui il Guardagingilli leghista equivocava il significato: “La giustizia è amministrata in nome del popolo”.
In realtà , senza volerlo, l’Ingegner Ministro — come lo chiamava Borrelli — aveva ragione: dopo vent’anni di “riforme della giustizia”, quando uno legge in tribunale “La legge è uguale per tutti”, rischia l’attacco di ridarella e il soffocamento.
Ma la formula giusta non è “La giustizia è amministrata in nome del popolo”, bensì “in nome del Re”.
Inteso come Giorgio I e II di Borbone, che fa il bello e il cattivo tempo. Ha persino ottenuto, senza muovere un dito, la condanna di De Magistris per abuso d’ufficio e la sua fulminea sospensione da sindaco (7 giorni per una pena di 15 mesi in primo grado, contro i 4 mesi di Berlusconi per una pena di 4 anni in Cassazione per frode fiscale), dopo che il Csm presieduto da Lui e vicepresieduto da Mancino trasferì prima De Magistris, poi la Forleo che l’aveva difeso, poi i pm salernitani Apicella, Nuzzi e Verasani che indagavano sull’insabbiamento delle inchieste a Catanzaro.
En plein, missione compiuta.
Purtroppo però alcuni villaggi di Asterix si ostinano a resistere alla monarchia assoluta. Tipo il Parlamento e alcuni magistrati di Palermo.
Le Camere seguitano a rifiutarsi di eleggere i giudici costituzionali cari a Napolitano e ai sottostanti Renzi & Berlusconi.
Quindici fumate nere sul participio presente Luciano Violante e sul participio passato Indagato Bruno. Poi un voto a vuoto a colpi di schede bianche.
E ieri l’affossamento della nuova coppia Violante-Caramazza. Francesco Caramazza, chi era costui?
L’ex presidente dell’Avvocatura dello Stato che due anni fa si prestò a firmare l’avvilente conflitto di attribuzioni scatenato da Sua Altezza contro la Procura di Palermo, rea di aver osato ascoltare quattro telefonate fra il Monarca e Mancino sul telefono intercettato di quest’ultimo.
“Le intercettazioni delle conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica”, scrisse il Caramazza riuscendo a restare serio, “ancorchè indirette e occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate”.
Primo caso al mondo di un divieto applicato a un evento occasionale, cioè involontario e casuale.
Come dire: è rigorosamente vietato ai vasi di fiori precipitare dai balconi sul capo dei passanti.
Siccome però il talento va premiato, ora bisogna spedire il Caramazza alla Consulta. Sventuratamente anche il candidato del Colle targato FI, come pure quello targato Pd (Violante, fra l’altro sprovvisto dei requisiti prescritti dalla Costituzione), è stato sonoramente trombato: fumata nera numero 17.
Già  l’idea che i giudici di nomina parlamentare li scelga il Quirinale è curiosa.
Quella poi che si debba continuare a votarli a oltranza, finchè non passano per sfinimento, è addirittura comica.
Specie nel Paese dove nel 2013 bastarono 4 voti a vuoto per bruciare Marini e Prodi, rinunciare a eleggere un nuovo presidente della Repubblica e riesumare quello vecchio.
Poi c’è la grana dei giudici di Palermo, che han fissato per il 28 ottobre l’audizione di Napolitano come testimone sulla trattativa Stato-mafia. Allarme rosso per le domande che gli porranno, ma soprattutto per le risposte che S.A.R. darà  o non darà .
E pure per la richiesta, assolutamente legittima e prevista dalla legge, di alcuni imputati come Riina, Bagarella e Ciancimino jr. di assistere in teleconferenza.
Cioè: se lo Stato manda i carabinieri a trattare con Ciancimino, Riina e Provenzano, va tutto bene: ma se Riina e il figlio di Ciancimino entrano al Quirinale anche solo da un teleschermo, scatta la mobilitazione generale e i corazzieri preparano i cavalli di frisia e i sacchi di sabbia alle finestre.
Mancino invece non ci sarà : ma potrà  sempre telefonare.
Si attende con ansia un nuovo conflitto alla Consulta, o in subordine una riforma della giustizia, che ordini di dare immediatamente alle fiamme il verbale di Sua Maestà ; o, in subordine, di bruciare direttamente i magistrati.

Marco Travaglio
(da “Il Fatto Quotidiano“)

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