MONITO A VUOTO, LE CAMERE AZZOPPANO ANCORA LA CONSULTA
ANCORA UNA FUMATA NERA PER L’ELEZIONE DEI DUE GIUDICI COSTITUZIONALI … CON BRUNO FUORI GIOCO, SI INABISSANO I CANDIDATI DEL NAZARENO
“Adesso vengono a prenderci con i corazzieri”. Montecitorio, sedicesima fumata nera per l’elezione dei giudici della Consulta.
Non passa nè il nuovo candidato di Forza Italia, Caramazza (l’ex avvocato generale dello Stato che — tra le altre cose — ha firmato il ricorso per distruggere le intercettazioni tra Napolitano e Mancino), che prende solo 450 voti, nè Luciano Violante (il nome voluto dal Colle), fermo a 511.
Come stupirsi che il Presidente sia ogni giorno che passa più arrabbiato?
E anche in parte sfiduciato: lui “monita”, esorta, interviene. E il Parlamento, niente. Va per fatti suoi.
Sono settimane che Re Giorgio fa presente a tutti quelli con cui parla che nella votazione dei giudici di Consulta e Csm bisogna procedere spediti. Niente da fare: prossima seduta comune aggiornata a tra una settimana.
Tra franchi tiratori di Forza Italia e Pd e in generale scarso interesse del Parlamento c’è chi si chiede se i due saranno eletti mai.
Sempre più paradossale la posizione di Violante: tra il blocco degli azzurri e il fuoco amico, proprio non riesce a passare.
Lui non si ritira e Renzi non ci pensa proprio a mettere bocca: non è interessato nè a difenderlo, nè a sostituirlo. La partita non è di quelle che lo appassionano e l’ex presidente della Camera è lì perchè l’ha voluto il Colle e per non fare un dispetto (ulteriore) alle minoranze dem.
Ma andando avanti così rischia di finire non bruciato, ma bollito. E magari tanto meglio per il premier, che potrà scegliere una figura a lui gradita, scaricando la colpa degli insuccessi sul gruppo parlamentare e sulla sua gestione.
Un piccolo avvertimento a Roberto Speranza a non tirare troppo la corda in generale, che non fa mai male.
Il quale Speranza ieri sera ha fatto sapere che Violante è confermato.
Napolitano, dunque, è parecchio buio. Anche perchè il 9 novembre potrebbe nominare i due giudici che gli spettano: difficile però scegliere uno bocciato più volte dal Parlamento.
Come Violante, appunto.
Ancora più cupo per i pasticci sul Csm, dove è stata eletta Teresa Bene, che non aveva i requisiti. Bomba scoppiata proprio mentre il Capo dello Stato spronava: “Il tempo che ha richiesto l’elezione dei nuovi membri del Csm va rapidamente recuperato”.
E allora? Il tentativo è quello di tirarsi fuori, di ribadire che sui lavori del Parlamento il Presidente della Repubblica poco può influire.
Sarà , ma lui ce la mette tutta e i parlamentari dalla loro non si risparmiano gli sgambetti . Nonostante la standing ovation tributatagli durante il discorso della sua rielezione, proprio mentre lui ne denunciava le incapacità (“non autoassolvetevi”) e ricordava l’impegno a fare le riforme.
È passato un anno e mezzo, e a quella reazione entusiasta non sono seguiti fatti esattamente consequenziali.
L’accorato appello a favore dell’amnistia che Napolitano fece ormai un anno fa non è stato raccolto dal Parlamento, grazie anche a Renzi, che allora si scagliò contro il Colle.
Ma il Presidente è un uomo di mondo: e quando si rese conto che il suo “pupillo” Enrico Letta non riusciva a governare, diede il via libera al rottamatore di professione.
Sette mesi e mezzo dopo le perplessità su quest’avventura non si contano. Al Quirinale hanno dovuto riscrivere i decreti, arrivati in forma di brogliacci e fare i conti con annunci mirabolanti e difficoltà crescenti.
Come dimenticare le vere e proprie consultazioni fatte in occasione del voto sulla riforma costituzionale a Palazzo Madama, con bacchettate al Presidente del Senato Grasso annesse e arrivo della colonna dei ribelli direttamente alle porte?
La storia più recente, poi, parla chiaro: Napolitano si è lasciato andare a un monito sulla necessità della riforma del lavoro (“Ci vuole più coraggio, basta conservatorismi”) .
E ha ricevuto Renzi il giorno della direzione del Pd, offrendogli collaborazione e consigli. Risultato? Botte da orbi nel Pd e liti reiterate per tutta la settimana, in attesa del voto al Senato. Che al Quirinale aspettano con ansia, ma neanche troppo: sanno bene che i veri provvedimenti si avranno solo nei decreti delegati. Prima, difficile valutarli.
Per il resto, si osservano le gesta del giovane Matteo con scetticismo: sicuro, per esempio, che si possa permettere l’atteggiamento spavaldo che ha assunto in Europa?
E cosa riuscirà davvero a fare per l’economia?
E così alla rabbia si sostituisce la stanchezza: una chiave ci sarebbe (forse) per dare un corso diverso alle cose. Ovvero le urne.
Ma Re Giorgio non ne vuole sapere di sciogliere la legislatura e di gestire ancora una volta tutto quel che ne consegue: in casi estremi preferisce dimettersi. Addio moniti.
E in bocca al lupo ai possibili candidati: l’esempio di Violante docet.
Wanda Marra
(da “Il Fatto Quotidiano”)
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