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AL FANUK, LA SENTINELLA E GLI INFEDELI

Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile

DOVE BASTA IMPEDIRE LEGGI SUI DIRITTI GAY PER POTER DIRE CHE SONO FUORILEGGE

Il ministro degli interni Al Fanuk ha diramato una circolare ai prefetti per dichiarare fuorilegge i registri in cui i sindaci recepiscono i matrimoni tra persone dello stesso sesso celebrati nel campo degli infedeli, cioè all’estero.
Apprezziamo la moderazione del suo intervento, specie se paragonata ai comportamenti dell’Isis, che sull’annosa vicenda la pensa non troppo diversamente da lui.
Se proprio si vuole trovargli un difetto, Al Fanuk pecca di eccessiva pedanteria nel definire fuorilegge il tentativo di riconoscere uno straccio di diritti alle coppie gay.
E’ infatti del tutto evidente che i diritti civili in Italia siano fuorilegge, dal momento che il Parlamento si ostina a non fare alcuna legge per regolarli, nel timore di offendere la sensibilità  dei sessuofobi che si intrattengono con le baby-squillo e di quei settori influenti del Vaticano che fanno capo all’erede riconosciuto dei Borgia, il cardinal Giuliano Ferrara.
Il partito di Al Fanuk, finora delle dimensioni di un taxi, potrebbe allargare la carrozzeria fino a ricomprendere l’esercito sterminato delle «sentinelle in piedi» che in questi giorni allietano le piazze delle nostre città  con la loro campagna a favore della famiglia tradizionale composta da marito, moglie e un paio di amanti.
Qualche lettore è rimasto stupito che il ministro si sia dedicato a un’attività  per lui così inusuale come quella di scrivere.
Lo incoraggiamo a desistere. Non sia mai che, per sbaglio, gli scappi di suggerire al suo presidente del Consiglio con delega alle pari opportunità  una legge sui diritti civili che illuda gli italiani di vivere davvero in Occidente nel ventunesimo secolo.

Massimo Gramellini
(da “La Stampa“)

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FARSA RENZIANA: SI VOTA UN TESTO DOVE NON C’E’ L’ART.18. IL GOVERNO IMBARAZZATO: “MA LO HA DETTO RENZI A VOCE”

Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile

CIVATI: “TESTO VAGO, NON SI PARLA DELL’ART.18, E’ A   RISCHIO INCOSTITUZIONALITA'”…   PER PAURA DI VOTI CONTRARI IL GOVERNO FA VOTARE UNA DELEGA SUL NULLA

Il Jobs act alla prova dell’Aula. Il voto di fiducia al Senato è previsto in serata. Si voterà  il maxi-emendamento che riguarda tra le altre cose gli incentivi ai contratti a tempo indeterminato.
Ma nel testo non si cita mai l’articolo 18:   il governo sottolinea imbarazzato che è l’argomento al centro del voto.
Palazzo Chigi è ambiguo: “Si vota una delega che attribuisce al Governo il dovere di superare l’attuale sistema e il presidente del Consiglio ha indicato con chiarezza la direzione”.
Forza Italia ha fatto sapere che voterà  contro.
“Che la delega sul lavoro riguardi l’articolo 18 è implicito, lo si è spiegato per mesi ovunque, persino nelle sedi di partito” affermano fonti di Palazzo Chigi. “Chi vota la fiducia al testo vota la fiducia al presidente del Consiglio e al Governo, che sostengono la necessità  di riformare l’intero mercato del lavoro, come è esplicitato nella delega”.
Politichese puro.
Un’ambiguità  a parole che evidenzia il deputato Pippo Civati. “Ma se la delega non cita l’articolo 18″, scrive il parlamentare della minoranza Pd sul suo blog, “come farà  il governo a ‘decretare’ sull’art. 18? Prima di presentare emendamenti (che non emendano granchè) e di mettere la fiducia su una legge delega vaga e imprecisa, varrebbe la pena di rileggersi l’articolo 76 della Costituzione (e magari anche l’articolo 77). La furbizia di non mettere in delega alcun riferimento all’articolo 18 per ottenere la fiducia comporta una banale conseguenza. Che in base a questa delega il governo non potrà  legittimamente modificare l’articolo 18. E, se lo farà , chiunque potrà  ricorrere alla Corte costituzionale e avere ragione, come dimostra una vasta giurisprudenza in questo senso. Ma tanto non è importante essere, importante è sembrare”.
Ma non solo Civati. I critici della minoranza dem sono più di uno.
“Se nel maxiemendamento”, ha detto il senatore Corradino Mineo, “non ci fosse alcuna modifica di sostanza, potrei anche dimettermi dal Senato o andare al gruppo misto. Deciderò all’ultimo momento, considerando anche cosa faranno le correnti di Bersani e D’Alema”.

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TOGLIATTI, TROIKA, RESPONSABILITA’: ECCO GLI ALIBI DELLA MINORANZA PD PER GIUSTIFICARE LA RESA A RENZI

Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile

DOVE LA BATTAGLIA SUCCESSIVA E’ SEMPRE QUELLA DETERMINANTE

Alfredo D’Attorre, uno dei duri che in direzione ha votato convintamente contro la proposta di Renzi, scomoda i classici: “Ho appena comprato una ristampa dei discorsi di Togliatti, un volume su “la guerra di posizione in Italia”. Ecco…”.
Ecco, cosa c’entra Togliatti col fatto che voterete la fiducia?
“Non sì può mica aprire una crisi di governo mandando per aria il paese. Quella di Civati è una guerra di movimento, che non porta da nessuna parte. Noi, invece, abbiamo ottenuto che il jobs act migliorasse. Ora passa al Senato, alla Camera chiederemo altri miglioramenti perchè le condizioni ci sono visto che Ncd non è determinante e che Sacconi qui non è presidente di Commissione. La guerra di posizione, appunto…”.
Pochi metri più in là  c’è Pippo Civati, il movimentista. Entra e esce dal cortile, fuma come un turco, tra una telefonata e l’altra si ferma: “La verità  è che Renzi rimarrà  qua per i prossimi vent’anni grazie al contributo di quelli che lo odiano. Ora votano tutto. Potevano almeno dire: non votiamo la fiducia per costringere Renzi a un confronto sul testo. O no?”.
Transatlantico, è il giorno della grande resa della minoranza Pd sul jobs act. La resa, atto secondo. La minoranza Pd una settimana fa uscì in frantumi dalla direzione del Pd.
Ora in Parlamento si piega al decisionismo renziano.
I “civatiani” usciranno dall’Aula, non partecipando al voto. Forse. Sono cinque, sei. Alcuni già  travagliati: “Aspetto il testo – dice Lucrezia Ricchiuti, senatrice civatiana – mi auguro di constatare passi in avanti per poter confermare la fiducia al governo”.
Ricapitolando: almeno sulla carta, nessun contrario all’interno del Pd. È mattino presto quando Pier Luigi Bersani, il grande accusatore del premier sul metodo Boffo, consegna ai suoi le nuove regole di ingaggio in vista del voto di domani al Senato: “La fiducia è una forzatura ma, mi raccomando, lealtà  al governo. Con questa riforma si perde un’occasione, ma ci vuole responsabilità ”.
Già , “responsabilità ”. Perchè votare contro, spiega l’ex segretario del Pd, significherebbe aprire una crisi al buio, dagli esiti imprevedibili, si rischia l’esercizio provvisorio, insomma c’è il famoso bene del paese.
I ragionamenti politicisti vanno oltre il contenuto del jobs act.
Perchè il famoso “testo” della riforma che uscirà  dalla penna del ministro Poletti e dei tecnici di palazzo Chigi, a metà  pomeriggio, ancora non c’è.
Quindi ancora non si sa quali punti cari agli ex comunisti sono stati accolti nell’emendamento con cui il governo modificherà  la delega base.
Il testo è il fantasma che si aggira per il Transatlantico. Mentre il voto di fiducia al governo è reale: “La fiducia — dice il barricadiero Stefano Fassina — non è mai stata in discussione. Ora aspettiamo il testo e vediamo”.
Già , il testo. Dalla crisi al buio alla fiducia al buio. Gianni Cuperlo appare tranquillo: “La fiducia non è in discussione. Ma non si profila mica una delega in bianco. Alla Camera ci sarà  una discussione per migliorare il testo”.
È la guerra di posizione. O semplicemente una resa. In fondo, Matteo Orfini, cresciuto alla scuola tattica di D’Alema, l’ha letti subito i rapporti di forza.
Scusi Orfini, c’è una resa totale di Bersani&Co? “Francamente, non l’ho capito sin dall’inizio. Quando metti troppo in alto l’asticella…”.
I maligni sussurrano che le battaglie della vecchia guardia assomigliano alla “rivoluzione” della canzone di Giorgio Gaber: oggi no, domani forse, dopodomani sicuramente.
Oggi c’è la fiducia, domani – in questo caso — ci sarà  la legge di stabilità . Dove non c’è un euro per la crescita.
E, di fatto, nemmeno per gli ammortizzatori sociali: “E’ lì — spiega un bersaniano di rango — che si vedrà  il bluff di Renzi. Perchè sull’articolo 18 alla fine si arriverà  a un testo confuso in cui ognuno dirà  che ha vinto. Ma la delega è a costo zero, non avrà  effetti. A quel punto Renzi è a un bivio: o scrive la legge di stabilità  che vuole la Merkel oppure assume la linea della Francia di sforamento e punta al voto”.
Un bivio, l’ennesimo, anche per i fautori della guerra di posizione.

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IL PD VOTA NO A USO INTERCETTAZIONI DI AZZOLINI E CASSON SI SOSPENDE DAL PARTITO

Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile

IN GIUNTA DELL’IMMUNITA’ IL GRUPPPO PD FA SCUDO IN DIFESA DELL’ESPONENTE NCD… DOPO 9 MESI DI RINVII ORA LA DECISIONE SPETTA ALL’AULA

Il gruppo Pd vota compatto contro l’uso delle intercettazioni di Antonio Azzollini nell’inchiesta su una presunta truffa da 150 milioni e il relatore Felice Casson (Pd) si autosospende per protesta.
Dopo nove mesi di rinvii, la giunta per le immunità  del Senato è arrivata al voto sulla richiesta di autorizzazione all’utilizzo delle conversazioni del presidente della commissione Bilancio del Senato in quota Nuovo centrodestra.
La richiesta era arrivata a gennaio scorso dalla procura di Trani nell’ambito dell’inchiesta sul porto di Molfetta.
I senatori democratici, dopo aver chiesto dieci minuti di sospensione dei lavori, hanno votato contro la proposta di autorizzazione delle intercettazioni avanzata dal relatore Felice Casson.
Dopo la bocciatura, il parlamentare democratico si è immediatamente sospeso dal gruppo. E ora il presidente della giunta Dario Stefano (Sel), dovrà  nominare un nuovo relatore tra quelli che hanno detto “no” alla proposta del relatore.
Numerose le defezioni tra i senatori chiamati ad esprimersi sulla richiesta degli inquirenti. Forza Italia era assente. Elisabetta Maria Casellati è appena stata eletta al Csm, mentre Lucio Malan e Giacomo Caliendo non si sono presentati.
Così, hanno detto no ai magistrati Ncd, Pd e Lega.
Solo il Movimento 5 Stelle e Casson si sono detti a favore. La parola ora spetta all’Aula, dove la giunta si presenterà  con la proposta di dire “no” alla procura di Trani.
La ferita è però in casa del Partito democratico. In queste ore Palazzo Madama è chiamata a votare la fiducia al disegno di legge delega sul lavoro e la minoranza dem continua ad esprimere le sue perplessità .
Lo strappo di Casson, da sempre su posizioni critiche, è l’ennesimo segnale dei rapporti tesi con il presidente del Consiglio e leader del partito.
Se l’Aula confermerà  la posizione della giunta, la Procura di Trani non potrà  utilizzare le intercettazioni del senatore del Nuovo centrodestra ed ex sindaco di Molfetta.
Azzollini è indagato nell’inchiesta sulla presunta maxifrode da 150 milioni per la costruzione del nuovo porto di Molfetta.
Le indagini della procura hanno accertato che per la realizzazione della diga foranea e del nuovo porto commerciale sia stato trasferito in favore del Comune barese, all’epoca dei fatti Azzollini era sindaco, un ingente “fiume di denaro pubblico“: oltre 147 milioni di euro, 82 milioni dei quali ottenuti dall’ente comunale, a fronte di un’opera il cui costo iniziale era previsto in 72 milioni di euro.
Nell’ambito dell’inchiesta, dove sono indagate a vario titolo oltre 60 persone, sono stati arrestati un funzionario e un imprenditore.
Gli indagati — ex amministratori pubblici e imprenditori — sono accusati di associazione per delinquere, truffa ai danni dello Stato, abuso d’ufficio, frode in pubbliche forniture, attentato alla sicurezza dei trasporti marittimi e reati ambientali.
La votazione era attesa da lungo tempo: la Giunta per le Immunità  ha aspettato ben 9 mesi prima di esprimersi sul caso.
La richiesta della Procura di Trani di poter utilizzare le intercettazioni e i tabulati telefonici relativi al presidente della commissione Bilancio di Palazzo Madama era stata trasmessa a Palazzo Madama il 21 gennaio scorso.
Ma in nove mesi, ha sottolineato più volte l’opposizione, non si sarebbe riusciti a decidere per via delle “continue richieste di rinvio, acquisizione di nuovi documenti avanzata da più parti e convocazioni di altri organismi parlamentari proprio negli stessi orari in cui si riunisce la Giunta”.
Un esempio: il primo ottobre la Giunta era stata convocata alle 13.30, ma esponenti del Ncd avrebbero fatto notare che alle 14 si sarebbe riunita la commissione Giustizia e pertanto sarebbe stato meglio un rinvio perchè sarebbe stato a rischio il numero legale.

(da “il Fatto Quotidiano“)

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L’ART. 18 SPARISCE ANCHE DA MAXI EMENDAMENTO SUL QUALE IL GOVERNO CHIEDERA’ LA FIDUCIA

Ottobre 8th, 2014 Riccardo Fucile

IN AULA NE PARLERA’ SOLO POLETTI , TUTTO RINVIATO AI DECRETI ATTUATIVI

Il tema dei licenziamenti e dell’articolo 18 non c’è.
L’emendamento al Jobs Act su cui il governo metterà  nelle prossime ore la fiducia in Senato non raccoglie le indicazioni emerse dalla direzione Pd del 29 settembre sulla possibilità  di reintegro per i lavoratori licenziati illegittimamente per motivi disciplinari. Neppure come principio generale.
Questo tema sarà  affrontato in Aula dal ministro Giuliano Poletti (che dunque non sarà  al vertice Ue sul lavoro a Milano col premier Renzi).
Poletti prenderà  l’impegno a tradurre quel principio nei decreti delegati, e cioè a consentire per legge il reintegro per alcune fattispecie di licenziamenti disciplinati.
Le ipotesi di reintegro saranno dunque chiarite nel dettaglio, ma solo nei decreti.
Il maxi emendamento che i senatori saranno chiamati a votare nel pomeriggio   (che riscrive per intero la legge-delega sul lavoro) conterrà  però delle modifiche rispetto al testo licenziato alcuni giorni fa dalla commissione guidata da Maurizio Sacconi. Modifiche che raccolgono alcuni emendamenti presentati dal Pd, e che non saranno votati per via della fiducia.
In particolare, il nuovo testo conterrà , spiegano fonti di governo, “alcune proposte avanzate dalla minoranza Pd con i 7 emendamenti di Cecilia Guerra e Federico Fornaro e altre modifiche proposte da altri emendamenti firmati dal giovane turco Francesco Verducci”.
Tra i temi affrontati c’è l’impegno di risorse per gli ammortizzatori sociali “fin dalla legge di Stabilità  per il 2015”, richiesta avanzata dalla minoranza Pd.
E ancora, sul tema del demansionamento, c’è una riformulazione che tipizza le condizioni in cui ci può essere una variazione delle mansioni, fatta salva la tutela della professionalità  del lavoratore.
Il demansionamento non potrà  quindi essere utilizzato per attuare riduzioni di salario. C’è anche un rinvio alla contrattazione tra imprese e sindacati per individuare più precisamente gli schemi delle mansioni.
Sui voucher, rispetto al testo della commissione, c’è una specificazione sui “termini di utilizzo” e sui “tetti”, dunque un contenimento.
Il testo della commissione infatti prevedeva di innalzare i tetti attuali (5mila euro annui per ogni lavoratore) senza limiti precisi. Mentre la modifica fa esplicito riferimento ai paletti della legislazione attuale.
Infine, c’è l’indicazione della “prevalenza” del nuovo contratto a tutele crescenti e un più esplicito riferimento alla “riduzione” delle altre forme contrattuali.
Salta dunque l’avverbio “eventualmente” con cui nella prima versione della delega si faceva riferimento alla possibilità  di disboscare la giungla dei contratti atipici.
Sul contratto a tempo indeterminato c’è inoltre un esplicito riferimento a una riduzione dei costi: un modo per renderlo più conveniente per i datori di lavoro, anche rispetto ai contratti a termine che costano di più anche nella legislazione vigente prima del Jobs Act.
Nel complesso si tratterà  di indicazioni ancora generiche, senza numeri certi, a partire dalle risorse da impiegare per gli ammortizzatori nella legge di Stabilità . Indicazioni che, in ogni caso, restringono l’ampiezza di manovra del governo quando dovrà  tradurre questi principi in decreti.
E la restringono nella direzione di porre paletti più rigidi sul tema del demansionamento e dell’utilizzo dei voucher.
Oggi, presumibilmente nella tarda mattina, il ministro Poletti prenderà  l’impegno in Aula sul tema dei licenziamenti discriminatori e disciplinari da regolare nei decreti. Sarà  poi il ministro per i Rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi a illustrare i contenuti del maxiemendamento su cui il governo metterà  la fiducia.
Per questa sera, salvo sorprese, la partita al Senato dovrebbe essere chiusa.

(da “Huffingtonpost”)

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