Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
DURANTE I FESTEGGIAMENTI DI SANTA BARBARA A PATERNO’ SI FERMANO SOTTO LE FINESTRE DI UN PLURIPREGIUDICATO PER OMAGGIARE IL CAPOFAMIGLIA… INTERVIENE SUBITO IL QUESTORE E BLOCCA IL CORTEO
Col sottofondo della musica del Padrino, si sono inchinati sotto la casa del boss con un lieve – ma chiaro – ondeggiamento di quei catafalchi dorati e barocchi, tra una folla che cantava litanie e osservava.
E non è sfuggito ai molti testimoni l’omaggio plateale sotto le finestre di un pluripregiudicato legato al clan dei Santapaola, ora in carcere, e anche al figlio del capoclan, lui presente alla processione in carne ed ossa.
E’ successo a Paternò, in provincia di Catania, durante la tradizionale, caotica e affollatissima processione della patrona Santa Barbara: tre giorni di festeggiamenti continuati che culminano con la sfilate delle cosiddette “varette”, possenti cerei in legno intagliato raffiguranti scene della vita e del martirio della Santa, e portate in spalla dai rappresentanti delle varie corporazioni della città .
Ieri però tra catafalchi addobbati e dorati, due distinti gruppi di “fedeli” si sono fermati sotto le finestre di casa di un mafioso di peso e incarcerato.
E quei gruppi di devoti, uno che sfilava in rappresentanza degli ortofrutticoli mentre l’altro, ancora più simbolico, a nome dei dipendenti comunali di Paternò, lì sotto sono andati a mostrarsi e a “dichiararsi”.
Le voce dell’inchino è corsa rapida e, su segnalazione dei carabinieri, è intervenuto il questore di Catania, Marcello Cardona, che ha imposto l’immediato allontanamento dei due gruppi dell’omaggio al boss, decretando per loro il divieto di proseguire la manifestazione, e anche quelle dei giorni successivi, per questioni di pubblica sicurezza.
In particolare, si legge nel rapporto delle forze dell’ordine, nel corso della festività religiosa di Paternò che include il giro per le vie del paese dei cerei votivi che rappresentano le varie categorie di lavoratori e professionisti, i carabinieri hanno constatato che ieri, in due diversi orari, alle 12.55 e alle 13.20, i portatori di due catafalchi si sono fermati dinanzi all’abitazione della famiglia di un noto pluripregiudicato, attualmente detenuto per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Gli stessi portatori, si legge nel rapporto, hanno eseguito a turno il classico “dondolamento” effettuando movimenti simulatori di un inchino riverenziale dinanzi al figlio del detenuto dal quale, riportano ancora i resoconti ufficiali, si congedavano con il rituale bacio finale.
Il questore Cardone, lo stesso che sequestrò nei mesi scorsi i manifesti con gli auguri al bimbo con la scoppola e la scritta ‘cosa nostra’, ha ritenuto che “tale episodio indichi una chiara manifestazione della forza intimidatrice, tipica del potere mafioso, dando luogo ad una condotta pregiudizievole per il mantenimento dell’ordine e della sicurezza pubblica nell’ambito della festività in corso”.
Ed è intervenuto con un provvedimento d’urgenza.
(da “La Repubblica“)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
LE LACRIME DEI PENSIONATI CHE HANNO VISTO I RISPARMI DI UNA VITA ANDARE IN FUMO
«Ho perso ventimila euro, ma questo è un furto», affretta il passo nervoso Giovanni, 75 anni,
pensionato.
Sbucano dalle macchine parcheggiate nella piazza di Vitolini, frazione di Vinci, nell’empolese, quando lo sportello di Banca Etruria apre i battenti, ore 8,20.
In sei o sette, con dei foglietti bianchi in mano e gli occhi cerchiati di chi la notte non dorme tranquillo. O non dorme affatto.
L’altro giorno erano di più e qualcuno ha pure preso a calci la sede della filiale della banca che qui ha distribuito come fossero pane, azioni e obbligazioni subordinate. Roba che adesso è carta straccia e lascia nella disperazione la gente: a Vitolini come a Ferrara, Chieti, Grosseto, Ancona, Macerata e in tante altre parti d’Italia gelate dagli effetti collaterali del decreto “Salva- banche”.
Le certezze sui risparmi, in questo paese toscano di 730 abitanti, zona collinare di oliveti e cacciatori, davanti al Montalbano, sono franate la domenica del 22 novembre. Da queste parti c’è una sola banca da generazioni – ed è Banca Etruria appunto -, quasi tutti sono clienti lì o hanno un parente che ha messo i soldi lì.
«L’ho saputo dalla televisione del decreto salva banche, ma ho pensato: mi hanno detto di non preoccuparmi, all’Etruria mi conoscono da tanto, sanno che non amo gli investimenti a rischio» racconta Primo Falsetti, pensionato, 76 anni accompagnato dalla moglie.
E invece. «Io ho fatto per tutta la vita il meccanico, mi fido di quello che mi dicono le persone allo sportello. Sbaglio?» chiede Fiorenzo Bruni che ci ha rimesso 20mila euro in bond subordinati.
Sapevate che un maggior interesse corrispondeva anche a un maggior rischio?
«Massì, però ci rassicuravano, dicevano che c’erano le coperture fino a 100mila euro per chi aveva il conto corrente. E poi chi legge tutti quei fogli del profilo di rischio? Chi li capisce? Li firmi perchè ti fidi» dice Fiorenzo.
Sul muro fra la banca e la Posta qualcuno ha attaccato un foglio su cui si legge: «A tutti i truffati da Banca Etruria: anche se i vostri risparmi sono stati azzerati, non arrendetevi perchè non siete soli. Uniamoci con coraggio perchè questo furto non resti impunito». Segue numero di telefono e l’annuncio di un pullman diretto a Montecitorio.
«Ho perso tutto» racconta Roberta Gaini, 50 anni, impiegata, vive con la mamma e due figli e non riesce a trattenere le lacrime: «La nostra banchina ci ha tradito, l’avevano fondata i nostri nonni era una cooperativa di paese ai primi del ‘900. Quando si sentivano voci di commissariamento dell’Etruria, sono andata allo sportello e mi hanno detto che non c’era da preoccuparsi. Sono tornata dopo il decreto e l’addetta mi è venuta incontro con un foglio dove i numeri del mio investimento erano evidenziati in giallo: signora è tutto azzerato. Mi sono sentita mancare: ma come, ma cosa? 60mila euro miei, 20 della mia mamma, 10 di mia sorella. Non mi fido più di nessuno: che Paese è questo che fa pagare il conto a noi?».
Roberta come altri non si arrende: «Andremo per vie legali, alla Federconsumatori, andremo davanti a Montecitorio, tutti devono sapere questo inganno».
In paese molti tengono la porta chiusa, persiane sbarrate, occhi incollati a terra: «Poverini, si vergognano, si sentono in colpa per esserci cascati – suggerisce una signora -. Vada in quella casa bianca lì, c’è una che ha perso parecchi soldi». Campanello che squilla, rumori all’interno, la porta resta chiusa.
Il paese è sotto shock, ne parlano a mezza voce al bar “I’ circolo”, tra un caffè e una fetta di torta o all’alimentari, l’unico rimasto aperto perchè a Vitolini non c’è più un’edicola, una ferramenta, una pasticceria.
Molte case sono in vendita, chi lavora scende a Empoli. In paese restano i pensionati, prede facili facili.
«Meno male che io coi risparmi ho comprato la macchina – si consola Giuseppe, 82 anni – mia moglie li ha messi nelle obbligazioni e non ha più niente».
Laura Montanari
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
L’ISTITUTO NON HA I MEZZI PER RIMBORSARE I SOCI
Mai un consiglio d’amministrazione di Veneto Banca era durato tanto. E sì che nell’ultimo anno e mezzo a Montebelluna ne sono successe di tutti i colori: dalle ispezioni delle autorità di vigilanza sono emersi i conti taroccati della gestione di Vincenzo Consoli; la procura della Repubblica ha avviato un’inchiesta penale tutt’ora in corso; sotto l’egida degli ispettori della Bce è stata effettuata una radicale pulizia dei bilanci che ha portato a svalutazioni, accantonamenti e perdite miliardarie; il valore delle azioni è stato tagliato del 25% provocando la rabbia dei piccoli azionisti intervenuti all’assemblea del 18 aprile scorso; è stata avviata la trasformazione in spa e in seguito verrà varato un nuovo aumento di capitale (il secondo in due anni) e avviato l’iter per la quotazione in Borsa.
Nessuno di questi drammatici avvenimenti, però, è stato così sofferto come la decisione che il consiglio ha dovuto assumere il 2 dicembre: stabilire il prezzo di recesso per i soci che non intendono aderire alla trasformazione da banca cooperativa a società per azioni.
Detto così sembra poco, in realtà occorre ricordare che Veneto Banca — pur essendo uno dei maggiori istituti di credito italiani — non è quotata in Borsa e che da anni i soci sono impossibilitati a vendere le loro azioni perchè ovviamente nessuno le vuole acquistare, tantomeno ai prezzi di fantascienza proposti dal consiglio d’amministrazione e ratificati di anno in anno dalle assemblee degli azionisti.
Il problema di fissare un prezzo di recesso non è tanto e non è solo quello di dare un valore, ancora una volta virtuale, a una banca i cui attivi e il cui patrimonio sono stati drasticamente ridimensionati, ma è soprattutto quello di spiegare ai migliaia di azionisti che premono per vendere pur di rientrare in possesso di almeno una parte del capitale investito, che quel prezzo — per quanto basso — non potrà mai essere pagato.
E’ questo l’effetto della legge varata dal governo Renzi che obbliga le dieci maggiori banche popolari italiane a trasformarsi in spa: la Banca d’Italia infatti può limitare il diritto di recesso dei soci, “anche in deroga a norme di legge”, se ciò è necessario per evitare una riduzione del capitale sociale al di sotto dei requisiti patrimoniali stabiliti dalla vigilanza.
Veneto Banca, così come la Popolare di Vicenza, sono già ampiamente al di sotto di quei requisiti e dunque è fatto divieto alle due banche di liquidare con mezzi propri i soci che intendessero avvalersi del diritto (soppresso ad libitum) di recesso.
Ciò detto, si capisce meglio come mai il consiglio di amministrazione convocato per le 10 del mattino del 2 dicembre si sia sciolto solo dopo le 23.
Il contenuto del comunicato è da shock: ai fini del recesso le azioni sono state valutate 7,3 euro contro i 30,50 euro fissati dall’assemblea di aprile, vale a dire il 76% in meno.
Tenendo conto del fatto che il prezzo di 30,50 euro rappresentava già un taglio di oltre il 22% rispetto ai 39,50 euro degli anni precedenti, la perdita per i soci si aggira intorno all’81,5%.
Un’enormità , ma non è detto che sia finita perchè bisognerà vedere come la Borsa valuterà l’istituto di Montebelluna, che peraltro deve varare una nuova ricapitalizzazione da un miliardo di euro.
Per molte persone che nella banca avevano creduto investendo i risparmi di una vita si sta consumando un vero dramma, ma — al di là delle dichiarazioni di rito — verranno con ogni probabilità lasciati soli da quella politica che in modo bipartisan aveva pubblicamente sostenuto Consoli negli anni passati.
Quella stessa politica che, a crisi conclamata e alla vigilia delle elezioni regionali in Veneto, si era ben guardata dal presentarsi all’assemblea di aprile, la prima assise dei soci che ha visto la presenza di un imponente dispositivo di sicurezza.
All’epoca le contestazioni — fortunatamente solo verbali — ci furono, ma cosa potrà accadere di qui al 19 dicembre a fronte di azionisti che vedono svalutare il loro capitale dell’81,5% e che non possono nemmeno ottenere quel poco perchè per loro, in nome della “stabilità ”, anche il diritto è stato sospeso?
A parte sperare che la legge che impone la trasformazione delle banche popolari in spa venga giudicata incostituzionale, a questi risparmiatori resta poco altro, tanto più che la ricapitalizzazione di Veneto Banca è ormai imminente e se non vogliono o non possono investire altri soldi nella banca, le loro quote si svaluteranno ulteriormente.
Certo si tratta dell’ennesimo formidabile colpo assestato al pubblico risparmio, dopo il gigantesco write-off (circa 2 miliardi di euro) ai danni di azionisti e obbligazionisti di Banca delle Marche, Popolare Etruria, CariFerrara e CariChieti.
E non si tratterà certo dell’ultimo: a stretto giro si arriverà al redde rationem anche sulla Popolare di Vicenza.
Tutto ciò rischia di avere conseguenze molto più durature e molto più pesanti sulle famiglie e sull’economia italiana della crescita da zero virgola inferiore alle previsioni registrata dal Pil quest’anno.
Nel corso di questa lunga e sofferta giornata, il consiglio d’amministrazione di Veneto Banca ha anche cooptato il professor Beniamino Quintieri e ha nominato alla vicepresidenza dell’istituto la consigliera Cristina Rossello.
Scelte ampiamente preannunciate nei giorni scorsi. In particolare, la nomina dell’avvocato Rossello è stata giustificata con “l’attenzione riservata da Veneto Banca alla valorizzazione delle competenze e della componente femminile in seno agli organi amministrativi e manageriali dell’istituto”.
La vicepresidente è consigliere d’amministrazione dal 2014 e ricopriva già la carica di presidente del Comitato controllo interno e rischi, di presidente del Comitato nomine e di membro del Comitato strategico.
Una donna forte, insomma, come testimonia la sua lunga carriera professionale che l’ha portata a ricoprire incarichi di grande prestigio, compreso quello di segretario del Patto di sindacato di Mediobanca, incarico che ha ricoperto per ben 15 anni. Indimenticabile il ruolo da protagonista che ha svolto nella vicenda del “papello” firmato dall’amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel e da lei custodito in cassaforte (senza comunicarlo alla Consob) a suggello dell’accordo con cui Nagel si impegnava a riconoscere ai Ligresti 45 milioni più altri benefici per l’uscita dal gruppo Fonsai.
Ancora più indimenticabili le parole pronunciate dall’avvocato Rossello al cospetto del pm Luigi Orsi: dopo aver tentato inutilmente di appellarsi al segreto professionale e a fronte del pubblico ministero che le intima di “rispondere e dire la verità , e non nascondere nulla di ciò che sa perchè altrimenti commette un reato”.
“Di reticenza?” si informa l’avvocato. “Diciamo di false dichiarazioni al pubblico ministero”, le spiega Orsi ricordando che si tratta di un reato che è punito da 1 a 5 anni, “non so se Lei fa le valutazioni sulla base di quanto grave sia il reato…”.
Insomma, per la vicepresidenza Veneto Banca ha scelto un’ottima professionista, ma non esattamente una campionessa in fatto di trasparenza.
E a giudicare dalla complessità della situazione, dagli interessi confliggenti, dai danni causati a migliaia di famiglie, da un’inchiesta penale che sembra procedere straordinariamente a rilento, dio solo sa quanto ci sarebbe invece bisogno di trasparenza a Montebelluna e dintorni.
Paolo Fior
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
L’ORO NERO DELLO STATO ISLAMICO FA GOLA A MOLITI PAESI… ECCO I NOMI DI UN BUSINESS DA 500 MILIONI
A nessuno fa schifo il petrolio del Califfo. 
Dunque finisce in Turchia, in Kurdistan, a Damasco e molto più lontano perchè a volte è mescolato a quello legittimo.
E questo spiega come porti allo Stato Islamico circa 500 milioni di dollari all’anno. Una fetta di quel miliardo di dollari che rappresenta il budget del sedicente Stato Islamico.
Le accuse del Cremlino sulle tre rotte usate dall’Isis per far arrivare il greggio in Turchia sottolineano con clamore e foto aspetti già emersi.
Solo che stavolta Mosca personalizza la situazione, coinvolgendo i familiari del presidente turco Erdogan, dal figlio Bilal al genero. Un network che ha incrociato il grande business, con connessioni importanti, all’arte di arrangiarsi di coloro che vivono un’esistenza precaria.
Oltre un anno fa sono emersi dettagli su quanto avveniva a Ezmerin, villaggio siriano, al confine turco.
Sotto la frontiera e i campi passavano centinaia di tubature gestite dai contrabbandieri locali.
Dozzine di camion provenienti dal Califfato scaricavano il greggio che arrivava all’interno di case ed edifici a Hacipasa, Turchia, dove erano in attesa altri mezzi. Tutto gestito al cellulare e senza la minima preoccupazione delle autorità .
Tutti sanno, tutti fanno. Anche perchè l’ottanta per cento della popolazione della zona è coinvolto. Il caso di Ezmerin era emblematico, ma non era certo l’unico.
Con il passare del tempo i trafficanti hanno aumentato il numero delle cisterne dirette verso il territorio controllato da Ankara.
I serpentoni dei camion erano ben visibili dall’alto: infatti sono stati colpiti dai russi, ma anche dagli americani, come hanno documentato video diffusi di recente.
Il Pentagono, che pure oggi difende l’alleato turco, dovrebbe avere molto materiale sull’argomento. In maggio gli americani avrebbero intercettato documenti relativi proprio ai legami tra Isis e Paesi vicini.
Gli oppositori del presidente Erdogan hanno rilanciato i sospetti chiamando in causa Bilal.
Sposato, due figli, 34 anni, laurea ed esperienza di lavoro negli Usa, Bilal possiede numerose società . Tra queste ve ne sono alcune che importerebbero l’oro nero via Kurdistan iracheno, per poi piazzarlo sul mercato asiatico (ma anche in Israele).
Punti d’appoggio il terminale turco di Ceyhan, sponde a Malta, tante petroliere e relazioni importanti. Un intreccio che, stando ai russi, farebbe gli interessi della famiglia del Sultano.
La Turchia, oltre a smentire ogni responsabilità , può appendersi all’alibi di non essere la sola.
Il 25 novembre il Tesoro americano ha adottato sanzioni contro George Haswani e Kirsan Ilyumzhinov.
Il primo è un intermediario molto vicino al regime siriano.
Il secondo è un imprenditore russo, ex presidente della Repubblica di Kalmikya nonchè della Federazione mondiale degli scacchi.
Proprio Haswani avrebbe favorito relazioni economiche con gli avversari. Damasco importa energia dall’Isis e in cambio, oltre al denaro, offre consulenza tecnica per gli impianti e benzina di qualità . Non certo per amicizia ma per necessità .
Come per altre attività , anche sul petrolio lo Stato Islamico impone tasse e pedaggi. Pochi i rischi, alti gli introiti.
Il racket imbratta molti, fa emergere delle complicità imbarazzanti, mette in difficoltà un Paese dell’Alleanza atlantica come la Turchia ma diventa scandalo quando fa comodo.
Contorni ambigui di una crisi dove non ci sono santi.
Guido Olimpio
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
DAL PRIMO GENNAIO ENTRA IN VIGORE IL NUOVO SISTEMA DI CALCOLO: SCONTO A CHI CONSUMA DI PIU’, IN REALTA’ UN FAVORE AI GRANDI PRODUTTORI
Dal primo gennaio, entrano in vigore le nuove bollette dell’elettricità . Cambia, in particolare, il sistema di calcolo della tariffa per oltre 30 milioni di famiglie, secondo il nuovo principio per cui chi più consuma – rispetto al passato – meno spende.
Questo significa che per la maggior parte degli utenti – circa i tre quarti – si andrà incontro a un aumento dei costi, perchè da prossimo mese non saranno più premiati i consumi più bassi.
Per l’Autorità dell’Energia, che ha studiato il nuovo meccanismo – si tratta si un passaggio non solo obbligato (perchè previsto da una direttiva dell’Unione Europea) ma anche necessario dal punto di vista “storico”: far pagare di meno i consumi più bassi è stata una politica nata negli anni Settanta, nel tentativo di limitare le spese per l’acquisto di materia prima per produrre energia.
Per ambientalisti e associazioni dei consumatori si tratta, invece, di un “favore” ai grandi produttori di energia, in crisi per il calo dei consumi e lo sviluppo delle rinnovabili a spese dei clienti: per tre famiglie su quattro (come si vede dalle stesse tabelle dell’Autorità per l’Energia) si andrà incontro a un aumento delle bollette.
Ma cosa cambia per il portafoglio del consumatore?
Secondo le tabelle, si va da una maggiore spesa fino a 78 euro all’anno, iva e tasse incluse, fino a risparmi per 46 euro, sempre all’anno e sempre iva e tasse comprese. Secondo l’Autorità , il provvedimento sana le “storture” che si erano create negli ultimi anni, visto che una parte delle famiglie italiane (magari più numerose ma non necessariamente con redditi più alti) ha pagato l’energia anche per le famiglie con consumi ridotti, magari perchè composte da uno o due persone, ma non necessariamente più povere.
Sempre econdo l’Authority d’ora in poi tutti pagheranno un prezzo più “equo”, con un meccanismo che andrà gradualmente a regime nell’arco dei prossimi tre anni.
Per consumatori e ambientalisti, invece, si tratterebbe di un favore fatto ai grandi produttori di energia elettrica che in questo momento sono in crisi e hanno le centrali (a gas e a carbone) che funzionano poche ore al giorno, a causa del calo dei consumi e dell’effetto rinnovabili, le quali coprono quasi il 40% del fabbisogno del paese.
Questo perchè i nuovi meccanismi penalizzerebbero i bassi consumi, mentre i vantaggi passerrebbero dalla parte di chi consuma di più. Inoltre, un diverso calcolo degli oneri di sistema sarebbe penalizzante nei confronti delle rinnovabili e dell’energia autoprodotta.
Luca Pagni
(da “La Repubblica”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
ASSEMBLEA AD ALTA TENSIONE, POI IL COMPROMESSO VOLUTO DA BERLUSCONI…E “IL MATTINALE” TORNA AL LEADER
Alle tre del pomeriggio, quando si è aperta l’attesissima assemblea dei deputati, Renato Brunetta
si è presentato come un capogruppo in cerca di consensi per rimanere al suo posto: ha promesso ai suoi avversari interni più collegialità nella gestione del gruppo, ha messo a disposizione di Berlusconi la guida del «Mattinale» – organo online fin qui da lui egemonizzato personalmente -, ha assicurato che tutti avranno peso, e ascolto.
Alle quattro e mezza, quando la riunione si è interrotta per le votazioni in Aula, Brunetta era un presidente a rischio: Elio Vito infatti aveva chiesto davanti al gruppo che d’ora in poi tutto fosse «votato», ogni scelta e decisione, e soprattutto che si tornasse a votare per ogni posizione di vertice nel gruppo, a partire da quella del capogruppo per un ricambio di «metà legislatura».
Una mossa che molti già alla vigilia hanno visto – se non come «ispirata» -, almeno come tollerata da Berlusconi, che praticamente ha lasciato che i malumori e i maldipancia fossero gestiti fra i diretti interessati.
Così, visto che verso Brunetta da tempo cresce l’insofferenza di una nutrita pattuglia di deputati, è montata la suspence in attesa della ripresa della riunione di gruppo in serata.
Ma, almeno per ora, chi si aspettava i fuochi d’artificio è rimasto deluso.
Anche per quello che, raccontano, sarebbe stato alla fine il suggerimento dell’ex premier a vari deputati contattati – «Non dividiamoci, prendiamo tempo magari, ma no a spaccature drammatiche», il senso del suo invito – Brunetta resta al suo posto.
Non si è infatti votato su nulla (se non su una nota unitaria da lui stesso vergata) nè per ora è prevista una conta per il cambio dei vertici.
E però un ridimensionamento del ruolo di Brunetta c’è: dovrà davvero agire con più collegialità , e soprattutto lasciare la guida del Mattinale , che passerà sotto le dirette dipendenze di Berlusconi.
Nella coda della riunione non si sono sollevate voci troppo critiche, anzi i più hanno parlato della necessità di «essere uniti» in un momento tanto difficile, sia dal punto di vista politico che della stessa esistenza del gruppo, se è vero che in due anni e mezzo si è passati da un centinaio di deputati alla metà , e il rischio di altre uscite esiste come Berlusconi – che di fatto ha frenato la rivolta – sa benissimo.
Vito, raccontano, ha lasciato la riunione prima della fine senza rinnovare la sua richiesta di voto per il cambiamento dei vertici, ipotesi che Brunetta nel pomeriggio aveva comunque respinto: «Non è previsto dal nostro statuto. I capigruppo sono sempre stati acclamati tutti su proposta di Berlusconi, e alcuni (lo stesso Vito, ndr ) sono rimasti in carica anche per due legislature…».
Insomma la situazione resta congelata. Se Brunetta cambierà modi e metodi si andrà avanti con lui.
Se non desse seguito alle sue promesse invece, i suoi avversari tornerebbero all’assalto (come possibile sostituto si fa il nome anche di Riccardo Occhiuto).
In serata Berlusconi era soddisfatto: « Il gruppo ha dato dimostrazione di volontà partecipativa e unità ».
E Vito ha twittato: «Bene le conclusioni dell’assemblea: condivisione, collegialità , rilancio dell’iniziativa legislativa, ritorno alle origini del Mattinale ».
Paola Di Caro
(da “il Corriere della Sera”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
PUBBLICATA UNA RICERCA CHE HA STABILITO QUAL’E’ LA NAZIONE PIU’ IGIENISTA
Gli olandesi sono i meno propensi a lavarsi le mani con acqua e sapone dopo aver usato la toilet, secondo il rapporto della Gallup International.
Solo la metà degli intervistati dei Paesi Bassi, infatti, ha detto di avere l’abitudine di lavarsi le mani dopo essere stati in bagno, rispetto al 96 per cento di quelli della Bosnia, che è risultata essere la nazione più “pulita”.
Anche l’Italia si piazza tra i meno educati alla pulizia, con solo il 57 per cento degli intervistati che ha dichiarato di lavarsi le mani, così come Spagna e Francia, con poco più del 60 per cento degli intervistati di entrambi i paesi che si dedica approfonditamente all’igiene delle proprie mani.
Una tra le nazioni più pulite è la Gran Bretagna, che arriva al 75% di estimatori dell’igiene, ma non è lo stesso per tutti gli abitanti del Regno Unito.
Al secondo posto della classifica, per soli due punti percentuali, la Moldavia, con il 94%, seguita dal Portogallo, con l’85 per cento
Gli scienziati dell’Università del Michigan affermano che lavarsi le mani aiuta anche a migliorare il morale, ma non solo: “Lavarsi le mani non è solo un modo per lavarsi da un punto di vista fisico e mentale, ma anche un modo per ridurre l’influenza negativa di eventi accaduti nel passato, cancellando le ripercussioni nel presente”.
(da “Huffingtonpost”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
L’ACCUSA E’ DI ABUSO D’UFFICIO: PERQUISIZIONI DELLA GDF NELL’ATENEO E IN ABITAZIONI PRIVATE
Il rettore dell’Università di Brescia, Sergio Pecorelli, è indagato per abuso d’ufficio. La Guardia di
Finanza ha eseguito diverse perquisizioni nella sede dell’Università bresciana negli uffici e nelle abitazioni di alcune “figure apicali” dell’Ateneo, nell’ambito dell’indagine della Procura sull’assunzione in università dell’ex segretaria di Mariastella Gelmini, e collaboratrice del Rettore Pecorelli all’Agenzia italiana del Farmaco (di cui il Rettore è al contempo presidente del Cda), Elisa Gregorini.
Tra gli indagati figurerebbero anche i componenti della commissione giudicatrice d’Ateneo, nominata il 30 ottobre 2014, che ha deciso l’esito del concorso per l’assunzione di una segretaria per l’“internazionalizzazione”, incarico affidato alla dottoressa Gregorini (che non risulta indagata): un contratto biennale da 30mila euro l’anno su cui ha chiesto approfondimenti anche la Procura regionale della Corte dei Conti.
Secondo quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, che nel marzo scorso aveva puntato i riflettori sul caso dell’assuzione di Gregorini, la commissione d’Ateneo era composta dai docenti Riccardo Pietrabissa, Annalisa Zanola e Mariacristina Missale.
Il Rettore dell’Università di Brescia, che pochi giorni fa è stato sospeso dal ruolo di presidente del Cda dell’Aifa per “conflitto di interesse di livello 3” per presunti incarichi in fondazioni che finanziano le industrie farmaceutiche, dovrà ora affrontare anche nuove polemiche interne all’Ateneo.
Le indagini svolte finora — rende noto la Guardia di Finanza — hanno premesso di riscontrare “irregolarità nella procedura di selezione” del concorso che si è svolto nell’ottobre scorso, oltre al fatto che “il candidato prescelto non è stato impiegato per le finalità previste”: Elisa Gregorini, secondo gli investigatori, avrebbe svolto in Università mere funzioni di segretaria del Rettore e non quelle previste dal bando pubblico, che contemplavano lo “sviluppo e il consolidamento di relazioni pubbliche internazionali, al fine di promuovere l’ampliamento geografico e istituzionale degli accordi di collaborazione finalizzati alla nuova mission dell’Ateneo e al suo progetto strategico Health & Wealth”.
La convinzione degli inquirenti è che la procedura che ha portato all’assunzione di Elisa Gregorini sia stata “una selezione preordinata a legittimare giuridicamente l’affidamento dell’incarico a una determinata persona, attraverso la previsione di requisiti ad hoc particolarmente stringenti”.
Elisa Gregorini, laureata in “relazioni pubbliche”, nel 2007 diventa il braccio destro di Mariastella Gelmini, allora coordinatrice regionale lombarda di Forza Italia, poi ministro dell’Istruzione dell’ultimo governo Berlusconi.
Al ministero di viale Trastevere ricopre il ruolo di segretaria particolare del ministro Gelmini fino al 2011 e di membro del Nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Miur.
Dal 2012 Gregorini è consulente dell’Aifa, l’Agenzia governativa del farmaco di cui il Rettore dell’Università di Brescia è Presidente dal 2009.
Andrea Tornago
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Dicembre 3rd, 2015 Riccardo Fucile
PROTESTA DEL CONSAP, SAP, COISP, SAPPE, SAPAF E CONAPO: ECCO IL DOCUMENTO CHE DENUNCIA I TAGLI ALLA SICUREZZA
Le dichiarazioni del premier, qualche giorno fa dal Campidoglio, che il Governo avrebbe investito un miliardo in sicurezza del Paese sono state di grande effetto
Ma facciamo due conti.
Nel bilancio 2016 la dotazione di Polizia e Sicurezza aumenterà complessivamente di 400 milioni di euro, passando da 18,5 miliardi a 18,9 miliardi, mentre per quanto riguarda la difesa c’è stata una diminuzione di 300 milioni, perchè si passa da 13,7 a 13,4 miliardi di euro.
Quindi, complessivamente, tra difesa e sicurezza non c’è nessun miliardo in più, ma una eccedenza di 100 milioni.
A volere essere ancora più pignoli, però, questo miliardo non è un investimento, in senso stretto, ma un risparmio fatto con lo slittamento del taglio dell’Ires.
Che in Italia è al 27,5 e che sarebbe dovuto diminuire già dal 2016.
Stipendio da fame per i poliziotti
Ma vediamo nello specifico come verrà investito questo miliardo.
Bonus di 80 euro/ malus di 130 euro per tagli agli straordinari.
Le forze dell’ordine hanno i contratti bloccati da 6 anni. Inoltre, fino a tutto il 2014 hanno subito anche il blocco del tetto salariale. E quindi chi avanzava di grado, e vedeva aumentate le proprie responsabilità , non aveva al contempo un aumento di stipendio.
Il blocco è stato poi dichiarato illegittimo dalla Corte Costituzionale anche se i soldi degli anni passati non sono stati restituiti, perchè la sentenza non aveva effetto retroattivo.
Piuttosto che l’annuncio di un Bonus, ci saremmo aspettati che il Premier proponesse un nuovo contratto per le forze dell’ordine che andasse oltre i 10 euro mensili che verranno riconosciuti con gli spiccioli stanziati nella legge di stabilità .
Nuovi contratti con gli adeguamenti giusti, anche nell’ottica degli standard europei. Questo bonus non verrà conteggiato ai fini della pensione e siccome non è strutturale sparirà alla mezzanotte del 31 dicembre del 2016, proprio come Cenerentola. Addirittura, ad oggi manca formale conferma del Governo circa la concessione di tale bonus anche ai Vigili del Fuoco!
Straordinari non pagati per 37 milioni di euro
Ma attenzione. Nel frattempo con la stessa mano con cui concede, il Governo toglie 12 milioni di euro dal monte ore straordinari dei Poliziotti: all’incirca 130 euro all’anno meno a poliziotto!
E circa 25 milioni di euro vengono tolti ai Carabinieri.
Questi 80 euro a fronte dei circa 10.000 euro pro capite che abbiamo perso in questi sei anni, e dei due o trecento euro in più al mese che avremmo dovuto avere se i contratti ci fossero stati rinnovati in maniera congrua, ci sembrano comunque un regalino! Ecco perchè protestiamo.
Un nuovo paio di scarpe per combattere il terrorismo
50 milioni per le dotazioni delle forze dell’ordine? In realtà si tratta di 44 milioni di euro, dato che dal bilancio di previsione del 2016 il governo aveva già decurtato, proprio per questa, voce 6 milioni di euro.
Il problema è che si parte da una base penosa: parchi auto funzionanti al 50%; giubbotti antiproiettile scaduti, ponti radio che non funzionano, situazioni logistiche da film horror, divise che mancano,scarpe che mancano.
Questa somma è davvero una inezia, rispetto alle esigenze forti, fortissime, che hanno oggi le forze dell’ordine.
Ma ancor più è esigua la somma, se consideriamo che, così ha dichiarato il Premier, che verrà stanziata a fronte del processo di riorganizzazione in corso delle polizie.
E il governo chiama riorganizzazione la soppressione della Forestale.
Sappiate che la sola militarizzazione del Corpo Forestale dello Stato, che sarà assorbito dai Carabinieri, comporterà dei costi aggiuntivi per complessivi 25 milioni di euro!
Quindi cosa resterebbe di questi, già di per se pochi, 50 milioni iniziali per destinazioni concrete?
Rischiano di restare 19 milioni residui, tolti i 6 decurtati da prima e i 25 della Forestale. Cioè la media di 54 euro ad operatore.
Ecco dunque le dotazioni per la lotta al terrorismo: un paio di scarpe nuove per tutti!
La polizia postale chiude
150 milioni di euro per la lotta Cyber Crime. Ma vorremmo capire perchè nel frattempo decine di sezioni della polizia postale stanno chiudendo, nel nome della spending review.
Presidi territoriali di polizia postale che, fino ad oggi, hanno proceduto alla denuncia di migliaia di persone, rispondendo a migliaia di richieste di aiuto che riguardano soprattutto truffe online, clonazione carte di credito e cyberbulismo.
Combattiamo il Cyber Crime, chiudendo gli uffici della Postale?
Servono investimenti, non bonus elettorali
500 milioni riguardano la Difesa e i militari ma, come detto sopra, il Governo aveva già tagliato 300 nel bilancio a tale voce.
Quindi di fatto, al netto di quanto tolto, si tratta di uno stanziamento reale di 200 milioni di euro che attendiamo di sapere come verrà impiegato.
Anzi, pensiamo già di sapere come lo impiegheranno: per finanziare i trattamenti e le spese di missioni internazionali, anche in vista di un nostro possibile ingresso nello scenario che si paventa contro l’Isis.
Ben venga ogni euro in più investito in sicurezza, ma che sia un investimento strutturale. Basta con i provvedimenti straordinari, vogliamo interventi con strategie per il futuro. Non si può sempre agire per reazione a qualche cosa, in questo caso la paura del terrorismo.
Una riforma seria della sicurezza
La sicurezza in Italia ha bisogno di una immediata e seria riforma, grazie alla quale potremmo ottenere una maggiore efficienza operativa e risparmiare fino a 5 miliardi di euro, ottimizzando risorse che ci sono e vanno solo amministrate con maggiore accortezza.
Bisogna ridisegnare completamente il comparto sicurezza per renderlo moderno, efficiente e senza sprechi. E senza bisogno di ricorrere ai bonus!”
Igor Gelarda
Dirigente Nazionale Consap
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