Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
SOLO RITOCCHINI DOPO ESSERE STATA SOMMERSA DA CRITICHE INTERNE AL MOVIMENTO: DA 120.000 A 90.000 EURO… CONTINUA IL CAOS NEL MOVIMENTO CON DELIBERE IRREGOLARI RITIRATE
Trentamila euro in meno l’anno per Salvatore Romeo, capo della segretaria di Virginia Raggi, e tra i dieci e i quindici mila in meno per Andrea Mazzillo, coordinatore dello staff della sindaca di Roma.
A tanto ammonterebbero i tagli agli stipendi dei due collaboratori scelti dal primo cittadino di Roma e finiti nella bufera perchè accusati, sia fuori sia dentro il Movimento 5 Stelle, di avere retribuzioni troppo alte rispetto allo stile pentastellato. Ovvero 120mila euro il primo e 90mila il secondo.
I ritocchi al ribasso saranno definiti durante la prossima Giunta capitolina fissata per il 24 agosto.
Intanto Virginia Raggi, che era rientrata a Roma dalla Toscana per la riunione della Giunta di giovedì, adesso è andata in montagna per gli ultimi tre giorni di vacanza e tornerà in Campidoglio lunedì quando inizierà a studiare le nuove delibere con quel “surplus” di attenzione che le è stato chiesto in particolare dall’assessore al Bilancio, Marcello Minella, uomo chiave nella squadra capitolina.
Proprio perchè in alcune delibere finora firmate sono state rilevate delle irregolarità . Tra queste ci sono quelle di Salvatore Romeo e Andrea Mazzillo che non riportavano l’ammontare della loro retribuzione.
E nel caso del capo della segretaria, a cui è stato triplicato lo stipendio, è stata conferita una retribuzione più alta, cioè da dirigente di terza fascia, rispetto a quella che in realtà gli spetta per legge da funzionario del Comune.
Una promozione che ha messo in fibrillazione i vertici del Movimento 5 Stelle e lo stesso Beppe Grillo in contatto costante con Palazzo Senatorio e con il mini direttorio romano.
Nella villa in Sardegna del leader pentastellato c’è stata anche una cena con Paola Taverna e Stefano Vignaroli, due parlamentari molti attivi sul fronte romano.
Anche la nomina di Mazzillo è stata mal digerita dagli attivisti.
Su di lui pesa il peccato originale di aver militato nel Pd di Ostia, finito poi nella bufera per Mafia Capitale.
Novità anche per Raffaele Marra, il vice capo di gabinetto la cui nomina è stata contestata perchè già collaboratore di Gianni Alemanno.
Da oltre un mese dal Campidoglio fanno sapere che la delibera sarebbe stata revocata per destinare Marra a un altro incarico, ma nei fatti ancora non è successo.
Anche perchè l’incarico che la sindaca aveva in mente per lui in un primo momento avrebbe creato una nuova spaccatura nel Movimento 5 Stelle.
L’idea era quella di nominare Marra capo della sicurezza del Campidoglio tanto che aveva già preso contatti con il capo dei vigili di Roma, Diego Porta.
Adesso si apprende però che questa nomina è saltata. Anche in questo caso i vertici 5Stelle si sarebbe messi di traverso.
(da “Hufffingtonpost”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
L’OPPOSIZIONE: “QUANDO I ROMANI TORNERANNO DALLE FERIE SARA’ IL CAOS”
Il 20 agosto è praticamente arrivato. È la data indicata da Ama, la società che si occupa dei rifiuti della Capitale, come dead line per una città più pulita.
Il capogruppo del M5S in Campidoglio Paolo Ferrara esulta: “L’obiettivo mi sembra raggiunto, la città appare veramente più pulita. Io vengo da Ostia dove ad esempio la situazione è tornata alla normalità “.
Molto più cauto il vicesindaco Daniele Frongia, che in un’intervista al Fatto Quotidiano ricorda: “Dov’è Roma pulita alla vigilia del 20 agosto? Quella sparata a dir la verità non l’ha fatta Virginia Raggi, ma Daniele Fortini, ex presidente Ama. Siamo ancora ben lontani dalla normalità . In ogni caso il nostro pressing sull’azienda ha cominciato a dare risultati”.
Al miglioramento della situazione rispetto alla crisi dello scorso mese hanno contribuito vari fattori.
Da un lato c’è l’esodo dei romani, partiti in massa per le vacanze (se ne stimano 550 mila in meno in città rispetto alla media e 50 mila in meno rispetto all’estate 2015), dall’altro ha avuto i suoi effetti il piano Ama.
Dal 25 luglio a oggi, sono state smaltite e trattate 7 mila tonnellate di rifiuti indifferenziati: le fosse degli impianti di Trattamento meccanico biologico (Tmb) di Rocca Cencia e Salario sono state “totalmente svuotate”, si apprende da fonti del Campidoglio.
E questo ha permesso dopo un anno e mezzo di stop, l’avvio dell’attività di manutenzione degli impianti. Quindi non ci saranno più fermi straordinari e la massima operatività degli impianti partirà da metà settembre.
Questa è la fotografia scattata dal Campidoglio della situazione dei rifiuti di Roma. Ma dal Pd ribatte Stefano Pedica: “È facile dire che la città è pulita nella settimana di Ferragosto quando i romani sono in vacanza. Peccato che settembre è alle porte e il M5s si ritroverà catapultato nella realtà “.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
SIAMO 32° SU 41 PAESI PER PRESTAZIONI DI WELFARE: “LARGA FASCIA DI POPOLAZIONE IMPOVERITA NON COPERTA”
Misure insufficienti a sostegno della famiglia, con benefit che “non compensano i costi sostenuti per crescere i figli” e asili nido “disponibili su scala limitata e in modo policy performancemolto variabile a seconda delle regioni”.
Risultato, inevitabilmente, una “limitata partecipazione delle donne al mercato del lavoro“.
E ancora: politiche troppo deboli per affrontare il problema dell’inclusione sociale e della povertà , “particolarmente serio per le famiglie giovani, specialmente nei casi in cui solo degli adulti è occupato”.
Pensioni in molti casi “estremamente basse”, nell’ambito di un sistema che rischia di diventare insostenibile considerato “l’elevato tasso di disoccupazione giovanile“. Inoltre, la corruzione “continua a essere un fattore chiave che mina la qualità della pubblica amministrazione.
Le distorsioni che produce nei servizi pubblici e nell’economia ostacolano la modernizzazione. Il governo deve fare di più per risolvere questo problema”.
E’ il quadro relativo all’Italia delineato dal rapporto 2016 sulle Performance delle politiche e capacità di governance nell’Ocse e nella Ue della Fondazione Bertelsmann, i cui contenuti sono stati anticipati in parte da La Stampa.
“Per ampie fasce di popolazione impoverita nessuna protezione sociale”
La classifica sulle “performance delle politiche”, che aggrega i dati su sviluppo economico, protezione ambientale e, appunto, politiche sociali, vede la Penisola piazzarsi agli ultimi posti: 32esima sui 41 Paesi Ocse considerati.
Nelle tre dimensioni il punteggio raggiunto dall’Italia è rispettivamente di 5,4, 5,1 e 5,5, per una media di 5,3 contro i 5,98 punti della Slovenia, i 5,8 della Polonia, i 5,5 della Slovacchia.
Davanti a noi anche Spagna, Malta e Portogallo, mentre sul podio ci sono i “soliti” Paesi nordici: Svezia, Danimarca e Norvegia.
Gli Stati Uniti sono 26esimi, dietro la Germania (sesta), la Francia (18esima) e il Regno Unito (nono). Fanalino di coda la Grecia.
Il report ad hoc dedicato all’Italia evidenzia tutte le debolezze di un sistema di protezione sociale che “non copre una larga parte di popolazione recentemente impoverita“.
Benefit e detrazioni per gli individui a basso reddito “dovrebbero avere funzioni redistributive, ma hanno cessato di operare in questa direzione” a causa di “aumento delle aliquote e erosione dei benefit a causa dell’inflazione e prevalenza dell’evasione fiscale in alcune fasce di popolazione.
Per di più, gli effetti redistributivi non raggiungono quella parte che guadagna meno del reddito minimo tassabile (i cosiddetti incapienti, ndr). Una politica efficace di riduzione della povertà richiede strumenti più estesi ed efficienti”.
Emergenza Neet e lotta all’evasione ancora insufficiente
Nuove politiche concepite per questi nuovi poveri “hanno iniziato a essere discusse”, concede il rapporto, “ma non sono ancora operative“.
E deve ancora essere affrontato il problema della “ampia quota di giovani che non studiano e non lavorano (i cosiddetti Neet, ndr), in particolare nel sud Italia”. In generale, sottolinea l’introduzione, “per proteggere il Paese da choc esterni e assicurare la sostenibilità fiscale sarà necessario un approccio più bilanciato tra il consolidamento fiscale dei precedenti governi e le politiche espansive di quello di Renzi” e “è necessaria ulteriore modernizzazione e liberalizzazione dell’economia, mentre le recenti politiche familiari, sociali e industriali stanno iniziando solo ora a far sentire i propri effetti sulla crescita”.
Uno dei problemi principali “è che il sistema provoca significative distorsioni a beneficio dei contribuenti infedeli”. Nonostante le misure varate dal governo, “serve una riforma più incisiva per aumentare l’equità orizzontale, ridurre gli ostacoli alla competitività e facilitare gli investimenti diretti esteri”.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
RIDIMENSIONATO DAL RECENTE RIMPASTO DELLO STAFF E COMPROMESSO DAI RAPPORTI CON L’EX PRESIDENTE UCRAINO
Passo indietro di Paul Manafort, capo della campagna elettorale del candidato repubblicano alle presidenziali statunitensi, Donald Trump.
Secondo quanto riportano i media americani, Manafort ha presentato le dimissioni.
Il ruolo di Manafort era stato già ridimensionato negli scorsi giorni nell’ambito di un nuovo ‘rimpasto’, messo in campo da Trump, che ha coinvolto lo staff che sta lavorando per lui nella corsa alla Casa Bianca.
Manafort era finito nella bufera quattro giorni fa per una consulenza in nero: tra il 2007 e il 2012 avrebbe ricevuto 12,7 milioni di dollari in contanti dal partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych.
Secondo quanto riportato dal New York Times, nei documenti segreti resi noti dall’Ufficio nazionale anti-corruzione dell’Ucraina ci sarebbe una specie di libro mastro, scritto a mano, dove tra i destinatari dei pagamenti figurerebbe anche quello di Manafort.
Il direttore della campagna elettorale di Trump non ha commentato la notizia, mentre il suo avvocato ha negato che Manafort abbia ricevuto pagamenti in contanti di questo tipo.
“Stamattina Paul Manafort mi ha presentato le sue dimissioni e io le ho accettate”, riferisce il candidato repubblicano alle elezioni presidenziali Usa dell’8 novembre. Trump ha ringraziato Manafort per il “gran lavoro” realizzato durante le primarie e la convention Gop.
Secondo alcune fonti, Manafort avrebbe motivato la decisione del suo passo indietro con la necessità di non costituire una distrazione nella corsa del tycoon per la presidenza degli Stati Uniti.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
SE SI PARLA DI “INDUMENTI CHE OSTENTANO APPARTENENZA RELIGIOSA” LA REGOLA DOVREBBE VALERE PER TUTTI
Ha ragione Angelino Alfano! Ed è detto tutto…
Perchè nella disfida sul burkini, fra il ministro degli interni italiano e il premier francese Manuel Valls, non c’è proprio partita: a sembrare un uomo di Stato, stavolta, è proprio l’Angelino nazionale.
Richiesto di commentare i provvedimenti di alcuni sindaci che vietavano il burkini sulle spiagge — provvedimenti motivati con ragioni d’ordine pubblico accettate da un tribunale amministrativo, ma con un ricorso pendente davanti al Consiglio di Stato francese — Valls ha invocato il valore repubblicano della laicitè: il burkini è discriminatorio contro le donne.
Alfano, più terra-terra, ha ribattuto che, se si parla di ordine pubblico, allora è più pericoloso vietarlo che ammetterlo.
Quella del velo islamico, in Francia, è una vecchia questione, che ha sempre diviso le mie due anime laica e liberale.
Il laico ammette che sì, velo e burkini sono strumenti di sopraffazione maschile. Il liberale però ribatte che, a decidere cosa sia sopraffatorio e cosa no, dovrebbero essere le dirette interessate: o vogliamo essere paternalisti in difesa delle donne?
A far prevalere l’anima liberale, inoltre, contribuisce il mio mestiere di giurista: come si fa a dire che il burkini turba l’ordine pubblico?
In questi giorni sto scrivendo un libro proprio sui temi della sicurezza, ma andando a fare un bagno, ieri, ho incontrato in spiaggia due signore indiane in sari, il loro abito tradizionale: anche quello turba la sicurezza?
Non sarei neppure intervenuto sul tema, tanto la posizione liberale mi pare fondata, se proprio l’incontro con le signore indiane non mi avesse suggerito un argomento decisivo, da ko, contro il divieto del burkini.
Divieti del genere, per non diventare discriminatori, devono essere formulati in regole generali e astratte: l’ordinanza del sindaco di Cannes, infatti, vietava d’indossare sulle spiagge — non il burkini, ma — “indumenti che ostentino un’appartenenza religiosa”. Bene: ma così si finisce per vietare non solo il sari alle indiane, ma anche il saio alle suore che accompagnano in spiaggia i bambini delle colonie. Pensateci.
Perchè il saio delle suore va bene, mentre il burkini delle musulmane no?
Mauro Barberis
docente di diritto – Univ. di Trieste
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
COMMERCIALISTA 33ENNE, EMANUELE HA AVUTO UNA RICCA CONSULENZA DAL COLOSSO COOPERATIVO EMILIANO
Emanuele Boschi, 33 anni, commercialista, ha ricevuto una ricca consulenza dalla CCC, il Consorzio Cooperative Costruzioni di Bologna.
I dettagli della consulenza però restano per il momento top secret.
Secondo quanto riporta il Fatto, il fratello della Boschi da un lato si occuperà della due diligence sulle attività della CCC, dall’altro lato seguirà , affiancato da altri quattro professionisti, le problematiche fiscali e tutte le operazioni che hanno dato vita al nuovo Consorzio Integra che sarà composto da 116 soci industriali (tra i quali le maggiori realtà della Legacoop, come Cmc e Camst).
La Ccc in questo momento attraversa una profonda crisi.
Di fatto Integra nasce dall’idea del presidente Vincenzo Onorato con l’aiuto di tre soci che sono anche i finanziatori.
Tra questi spicca Coopfond, fondo mutualistico di Legacoop alla cui guida c’è Mauro Lusetti.
L’obiettivo dichiarato è quello di salvare tutti gli utili della Ccc. E a questa nuova avventura parteciperà anche Emanuele Boschi con un compenso probabile, come detto, di 150 mila euro.
(da agenzie)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
LO STUDIO DE “L’AMERICA ECONOMIC REVIEW” CALCOLA GLI EFFETTI DELLA LEGALIZZAZIONE PARZIALE NEGLI USA… UNA PROIEZIONE SUL NOSTRO PAESE
“Due grammi d’erba, per favore”. “Uhm, è un po’ di più: che faccio, dotto’, lascio?”. “Ma sì, mi farò uno spinello di più”.
Il giorno in cui, dal tabaccaio, si svolgerà questa conversazione è lontano e, forse, non arriverà mai. Ma, dal 25 luglio, la legalizzazione della marijuana è, ufficialmente, materia di discussione nel Parlamento italiano. In Uruguay, è già legale.
Gli Stati Uniti procedono a tentoni, uno stato dopo l’altro, nella stessa direzione. Magistrati e poliziotti non vedono l’ora, convinti che prosciugherebbe il brodo di coltura di molta criminalità organizzata. Ma la discussione sullo spinello libero, che i baby boomers lasciano in eredità a figli e nipoti, gira in tondo intorno a tre domande. Legalizzare significa aumentare l’uso?
Ci sarebbe un boom fra gli adolescenti? Con gli incassi delle tasse si potrebbe limare l’Irpef? Le risposte sono: sì, sì, un po’.
I consumatori di spinelli, aumenterebbero del 50 per cento: dove ce n’erano due ce ne sarebbero tre.
Per frenare l’uso fra i minorenni della marijuana legale bisognerebbe quadruplicare il prezzo. E una stima verosimile dei risparmi va dai 2 ai 3 miliardi di euro, come privatizzare ogni anno le Poste.
Sono i risultati a cui arriva il primo tentativo di applicare un modello econometrico alla legalizzazione degli spinelli.
Lo studio è uscito in questi giorni su una rivista seriosa e autorevole, la American Economic Review. Titolo: “Marijuana on Main Street” (marijuana all’angolo). Autrici: una economista australiana, Liana Jacobi, e una tedesca, Michelle Sovinsky.
Nel proliferare di equazioni e derivate, il punto chiave – e la novità , rispetto alle tante simulazioni già in giro – è lo sforzo di calcolare l’impatto dell’accessibilità della marijuana sulle dimensioni del mercato.
Ovvero: se è legale e facile da trovare, quanta gente in più la fumerebbe?
Il 50 per cento in più, dicono Jacobi e Sovinsky, estrapolando da dati e sondaggi, soprattutto australiani.
Negli Usa, dove, in base ad un sondaggio appena realizzato dalla Gallup, il 13 per cento degli adulti dichiarano di usare marijuana, si passerebbe al 20 per cento. I fumatori, più o meno regolari, di spinelli, su 240 milioni di adulti over 18 diventerebbero una cinquantina di milioni.
In Italia, dove a dichiarare di utilizzare marijuana è appena meno del 10 per cento, si arriverebbe al 15 per cento: su una popolazione oltre i 14 anni di 50 milioni di persone, un po’ più di 7 milioni di candidati.
Ma fissare questi dati in una istantanea rischia di falsare l’immagine.
L’esperienza dice che il ricorso allo spinello diminuisce con l’età . Se il baby boomer lo fuma solo a Capodanno e a Ferragosto, quando si ritrova con vecchi amici, è probabile che suo nipote ci dia dentro molto di più.
Jacobi e Sovinsky calcolano che per scoraggiare davvero un adolescente, il prezzo dovrebbe quadruplicare: per l’Italia sarebbe circa 40 euro al grammo.
Il problema è che un aumento di queste dimensioni lascerebbe nuovamente spazio al mercato nero come oggi.
Applicare, invece, una tassa del 25 per cento sull’attuale prezzo di mercato, secondo l’American Economic Review, avrebbe qualche effetto, ma limitato: scoraggerebbe un minorenne potenziale fumatore su tre (quasi sempre le ragazze, indicano i sondaggi). Ma quanti adolescenti fumerebbero spinelli?
Oggi, secondo i dati di Jacobi e Sovinsky, sono uno su quattro. Diventerebbero, con la legalizzazione, uno su tre.
Lo studio parla di una tassa del 25 per cento, perchè questa è l’aliquota che si applica in America, ad esempio, in Colorado.
Su questa base, le autrici ipotizzano, nel caso di una legalizzazione estesa a tutti gli Usa e con l’ampliarsi fino al 50 per cento della platea dei consumatori, incassi fiscali da un minimo di 4 ad un massimo di 12 miliardi di dollari.
Il calcolo è più difficile per l’Italia, dove le tasse su alcool e tabacco arrivano al 75 per cento: un simile ricarico ridarebbe spazio agli acquisti clandestini.
Mentre solo il 25 per cento in più potrebbe convincere i consumatori che l’acquisto sicuro e legale sia, alla fine, più conveniente.
Applicando gli stessi parametri che Jacobi e Sovinsky utilizzano per gli Usa, l’introito per il fisco italiano (con una tassa limitata al 25 per cento) oscillerebbe da mezzo miliardo di euro a un massimo di un miliardo e mezzo.
È però un calcolo da contabile dell’Agenzia delle entrate, per l’Italia come per gli Usa. L’effetto più profondo di una legalizzazione delle droghe leggere, come ripetono esperti, magistrati e poliziotti, è sulla criminalità e sul sistema giudiziario.
In America, secondo l’Fbi, nel 2014 sono state arrestate 620 mila persone per possesso di marijuana. In Italia, ci sono attualmente in carcere oltre 18 mila persone per reati di droga. In pratica, un terzo delle sovraffollate carceri italiane è occupato da persone legate allo spaccio (la detenzione per le droghe leggere è stata decriminalizzata). E metà del mercato degli stupefacenti, in Italia, è quello della marijuana.
Gli economisti che se ne sono occupati (Piero David, Ferdinando Ofria, Jeffrey Miron, Katherine Waldock) stimano che il risparmio che una legalizzazione degli spinelli porterebbe per polizia e carceri vada da 1,5 a 2 miliardi.
In tutto, insomma, spinello libero, se guardiamo ai risparmi, può valere, per l’Italia, fino a 3 miliardi di euro l’anno.
(da “La Repubblica”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
IL MAGISTRATO ANTICAMORRA CHE HA CATTURATO ZAGARIA: “UN NORMALE IMPRENDITORE NON SI METTEREBBE NEL RAMO DELLE DROGHE LEGGERE, IL SETTORE RESTEREBBE IN MANO A CRIMINALI”
Dopo lo stop di Nicola Gratteri, c’è un’altra voce fuori dal coro dei consensi della magistratura antimafia alla liberalizzazione delle droghe leggere
È quella di Catello Maresca, 42enne pm di punta della Dda di Napoli, l’autore della cattura del boss superlatitante Michele Zagaria e di una polemica non priva di strascichi su Libera e il suo monopolio di fatto nella gestione dei beni confiscati.
Maresca nuota controcorrente rispetto alle aperture della Direzione Antimafia di Franco Roberti e al (prudente) sostegno del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone.
Maresca è stato allievo di Roberti e da Cantone ha ereditato la scrivania e le indagini sul clan dei Casalesi. Nutre grandissima stima verso i colleghi oggi a capo dei due uffici nazionali. Ma esperienze di lavoro simili hanno prodotto opinioni diverse.
Dottor Maresca, i favorevoli alla liberalizzazione della cannabis sostengono che così si contribuirà a indebolire le mafie e si ridurranno i problemi di salute dei giovani consumatori, evitando quegli interventi chimici che portano alla dipendenza. Lei che ne pensa?
“Ero e resto fondamentalmente contrario. Le ragioni del sì non mi convincono. Prima di tutto perchè ritengo auspicabile una legislazione armonica a livello comunitario per evitare un fastidioso turismo della droga di cui il nostro Paese non credo davvero abbia bisogno. Ma il motivo fondamentale è che non credo alla possibilità di sottrarre davvero la vendita delle droghe leggere alla criminalità organizzata. Non siamo ancora pronti”.
Il disegno di legge sulla liberalizzazione prevede che l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli potrà autorizzare soggetti privati a coltivare cannabis e venderla in locali dedicati, sul modello dei coffee-shop olandesi, assicurando la tracciabilità della produzione e sanzioni contro chi la viola. Secondo lei questo sistema può reggere anche da noi
“In un paese ideale potrebbe funzionare. Ma siamo in Italia e dobbiamo misurarci con la nostra realtà e le nostre esperienze. Lo abbiamo visto nei settori del gioco e delle scommesse, il mio ufficio ha fatto arrestare centinaia di persone che operavano in questi affari grazie a collusioni con la camorra, guadagnando contemporaneamente dalle scommesse ‘legali’ e da quelle clandestine”.
Un imprenditore può ragionevolmente investire nelle opportunità che si apriranno con la liberalizzazione delle droghe?
“Da pm dell’anticamorra, conosco bene certe dinamiche e so che in certi territori non esiste la libera concorrenza. Un imprenditore per bene non credo si metterebbe nel ramo delle droghe leggere e, come per il gioco e le scommesse, anche la gestione di questo settore finirebbe appannaggio di criminali senza scrupoli che continueranno ad approvvigionarsi di ‘erba’ dagli stessi canali finora utilizzati, magari per offrire droga a un prezzo più basso rispetto a quella ‘ufficiale e autorizzata’, come accade con il contrabbando di sigarette. Si offrirebbe così una veste legale ad un traffico che è destinato a restare nelle mani delle mafie”.
Però almeno, come per le scommesse, lo Stato ci guadagnerebbe un po’ di quattrini. Non trova?
Ne siamo sicuri? Non credo neanche all’utilità economica. Anzitutto, almeno all’inizio il consumo di droga sarebbe destinato inevitabilmente ad aumentare. Si moltiplicherebbe il numero di giovani curiosi di provare, e non più inibiti dalle attuali sanzioni e dalla difficoltà di reperire la sostanza stupefacente. L’aumento di persone autorizzate a ‘sballarsi’ comporterebbe problemi di ordine pubblico. Così le entrate auspicate andrebbero rapidamente impiegate per aumentare controlli ed interventi delle forze dell’ordine, così come sarebbe destinata ad aumentare la spesa sanitaria. Senza parlare degli effetti riflessi in termini dei cosiddetti costi sociali”.
Insomma, lei è contrario senza se e senza ma.
“Sono cauto. Molto scettico. Fondamentalmente contrario, l’ho già detto. L’unico punto che trovo interessante è il controllo del processo produttivo per ridurre i danni da dipendenza. Ma verrebbe vanificato dalle importazioni illegali”.
Vincenzo Iurillo
(da “il Fatto Quotidiano”)
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Agosto 19th, 2016 Riccardo Fucile
LUOGO SIMBOLO DELL’ITALIA RADICALCHIC AVREBBE DOVUTO APRIRE LE PORTE…CHE VERGOGNA VEDERE L’INTELLIGENZA ANDARE IN VACANZA E NASCONDERSI
Capalbio non è solo Capalbio. Ci sono luoghi che trascendono ciò che sono, smettono di essere definiti dalle piazze e dagli affreschi, non sono descritti nemmeno dai volti, dai palazzi o dalle scalinate ma diventano simbolo creato dall’immaginazione. Capalbio è uno di questi luoghi.
Non è per la grazia del suo meraviglioso borgo, per la dolcezza della sua costa, o quantomeno non è più solo per la sua bellezza armoniosa che Capalbio campeggia nel nostro immaginario.
Capalbio è la storia delle estati della nostra Repubblica: della prima, della seconda e adesso di questa indecifrabile terza. La piccola Atene – definizione romantica in cui Capalbio con un po’ di civetteria si riconosce – dove nel tempo delle ferie si sono incontrati da sempre intellettuali, dirigenti di partito, imprenditori, giornalisti e artisti progressisti e di sinistra.
Capalbio è divenuta – forse persino suo malgrado – il dolce ritrovo degli intellettuali. Parola che nel tempo della rabbia, che è il nostro tempo, sta subendo sui social network lo stesso destino semantico di “parlamentare” o “consigliere comunale” – per non parlare di “assessore”: troppo spesso sinonimi, per le nuove generazioni, di èlite. E quindi, immancabilmente, di corruzione.
E che cosa ti combina l'”intellighenzia” di Capalbio? Che cosa si fa per spegnere la rabbia e il qualunquismo?
I fatti sono noti. Profughi in fuga dalla guerra o semplici poveri cristi in cerca di un futuro migliore.
Certo, come in ogni emigrazione da qualche parte si nasconderà anche qualche brutto ceffo (non siamo stati noi a regalare agli americani Al Capone e Lucky Luciano?).
Certo, in questi giorni c’è l’allarme per le infiltrazioni jihadiste. Ma qui stiamo parlando di immigrati a cui è stato già riconosciuto appunto lo stato di profughi. A Capalbio, come a tanti altri comuni d’Italia, è stato chiesto di esserci, nel tentativo di arginare l’emergenza. Quindi ospitarne, nel caso, cinquanta.
E che è successo? Capalbio ha fatto le barricate. Sì, il sindaco (per la cronaca, il piddino Luigi Bellumori) sarà anche stato inopportuno, comportandosi come qualsiasi sindaco di un piccolo centro turistico, protestando per la decisione del prefetto: terrorizzato magari che i migranti allontanino le famiglie, che i ristoranti si svuotino, che la spesa turistica diminuisca.
Ma Capalbio non è solo Capalbio: non è un piccolo centro turistico come un altro. E proprio per questo la piccola Atene doveva rispondere diversamente: in nome della sua storia.
Il flusso di migranti, ben poco a dire il vero, avrebbe dovuto essere al centro di una risposta intelligente come i suoi villeggianti.
Di fronte all’emergenza, Capalbio avrebbe dovuto rispondere in tutt’altro modo: focalizzando la sua estate su questo tema, essendo questa terra di dibattiti e incontri.
Il che non avrebbe voluto dire trasformare una legittima vacanza in penitenza.
Nè tanto meno ospitare i migranti nelle proprie case (richiesta subdolamente razzista che si diffonde come un morbo online a chiunque sostenga politiche d’accoglienza “portateli a casa tua”).
Invece, col loro silenzio, gli intellettuali di Capalbio non hanno fatto che fornire munizioni ai soliti fustigatori dei Radical Chic.
Ecco: Radical Chic l’espressione mutuata da Tom Wolfe è una accusa sempreverde al di là di qualsiasi riflessione seria sul caso.
Si sa da dove deriva: ma è bene fare una veloce sintesi. Se potete, rifiondatevi su quel libro di Wolfe, Radical Chic, pubblicato in Italia da Castelvecchi (meraviglioso).
È il reportage di una serata particolare.
A New York. In casa di Leonard Bernstein: il grande direttore d’orchestra nonchè autore di West Side Story. Tra gli ospiti, il regista da Oscar Otto Preminger e i leader dei Black Panthers.
Il libro racconta come la moglie di Bernstein, in una casa lussuosissima, raccogliesse fondi per i combattenti delle Pantere Nere. Wolfe fa capire come in quella casa si respirasse quasi l’eccitazione per qualcosa di esotico, lontano e proibito. Il tutto sapeva di impostura: il gioco puramente intellettuale di chi, da lontano, prende parti che nella vita reale non è costretto a sostenere, di chi insomma nella propria posizione può permettersi di giocare con le idee, senza doverne pagare mai il prezzo.
Questo e molto altro si conserva dunque in quelle pagine e nella definizione di Radical Chic. Ma da allora – era il 1970 – quel titolo viene ormai usato come uno slogan dispregiativo.
Chiunque decida di vivere del proprio lavoro culturale e abbia posizioni progressiste e democratiche diventa “radical chic”. Provare a ragionare su certi temi, provare a cercare la mediazione, subito viene etichettato come furbesco e ipocrita.
Radical Chic oggi è uno slogan qualunquista. Un insulto generico.
Il fatto è che questa volta Capalbio ha risposto esattamente come nelle pagine di Tom Wolfe si muovono gli intellettuali americani alle prese con i “pericolosi” ribelli: attraenti da lontano, disgustosi da vicino.
Ora, i migranti destinati a Capalbio non saranno certo i nuovi Black Panters. E nelle villette sul mare in Toscana non svernano certo i nuovi Bernstein (o i nuovi Preminger).
Ma non ci voleva neppure l’intelligenza di Tom Wolfe per comportarsi con più buonsenso. Non lo sanno, nella piccola Atene, che il disgusto più grande, nella gente, nasce proprio quando si vede il problema migrazione scaricato lontano dalle loro case e quindi piombato nelle periferie?
I loro figli, nelle scuole che frequentano, forse non si imbattono in quelle classi formate per la maggior parte da bambini immigrati.
Le spiagge che frequentano – come la ormai mitica “Ultima spiaggia” – non sono come le spiagge libere e popolari piene di famiglie d’ogni cultura.
Molto più facile – dicono i delusi dalla risposta di Capalbio – parlare di integrazione quando i problemi sono lontani. Non la vivono, i sostenitori dell’integrazione, la difficoltà dell’integrazione.
Ecco perchè da Capalbio ci si sarebbe aspettati una reazione diversa. Avete presente l’immagine dei migranti (video) che entrano nella stazione di Monaco accolti dalla gente? Ricordate il milione di euro raccolti, sempre a Monaco, non dai circoli intellettuali (che pure tanto si sono impegnati e schierati) ma dagli ultras del Bayern?
Certo: Capalbio non è Monaco. Ma tanto più dopo questa brutta storia non è più solo Capalbio. La piccola Atene avrebbe potuto fare la differenza.
Che delusione invece questo silenzio di tutti gli intellettuali – quasi tutti: Asor Rosa è stata una delle pochissime eccezioni.
Che vergogna vedere non “l’intellighenzia” ma l’intelligenza andare in vacanza.
E nascondersi.
Roberto Saviano
(da “La Repubblica”)
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