Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
I SINDACATI DEGLI AGENTI: “DA DENUNCIA, RINUNCI ALL’IMMUNITA'”… MA IL CORAGGIOSO PADAGNO NON RINUNCIA NEANCHE ALLA SCORTA
I sindacati di Polizia insorgono contro Matteo Salvini che, dal palco di Ponte di Legno, indossando
la maglietta della Polstato, a Ferragosto, parla dello stato della Sicurezza del Paese.
E incita la platea leghista con frasi dal sapore vagamente golpista, del tipo “quando arriveremo al governo, polizia e carabinieri avranno mano libera per ripulire le nostre città “.
Ma le sue esternazioni suscitano un coro di proteste da parte dei sindacati nazionali di Polizia.
Romano, Siulp: “Da denuncia, rinunci all’immunità “.
Felice Romano, segretario del Siulp, il primo sindacato italiano, chiede a Salvini che rinunci all’immunità parlamentare, visto che indossare la divisa della Polizia è reato. “Il fatto che sia un parlamentare – attacca Romano – non può autorizzarlo a indossare impunemente la nostra divisa. Ci sono delle regole che vanno rispettate da tutti, anche da lui. È bene che si faccia chiarezza una volta per tutti su questo tema. Conosciamo tutti la goliardia di Salvini e sicuramente questa uscita è una delle tante che fa per catturare il consenso e parlare alla pancia degli italiani scontenti dalla crisi, dalle difficoltà economiche. Ma lui pone un problema su cui il governo deve riflettere: l’Ue non sta affrontando nel modo giusto la questione-immigrazione. E il problema di tipo sociale e politico che ne consegue corre il rischio (anche per il fomentare in questo modo di alcuni esponenti di partiti) di diventare una bomba a orologeria che graverà sull’ordine pubblico, contrapponendo generazioni e soprattutto le etnie”.
“Che gli italiani siano tranquilli – ha concluso Romano – la polizia così come carabinieri e le altre forze dell’ordine agiranno sempre e solo nel rispetto delle leggi che il Parlamento ci dà . E dei principi della Costituzione su cui abbiamo giurato lealtà . Poi, se il Parlamento fa leggi strane, il problema è a monte: come si forma il Parlamento, non come agiscono le forze polizia”.
Tiani, Siap: “Salvini pensi ai tagli alla Sicurezza fatti da Maroni”.
“Ogni poliziotto o carabiniere in cabina elettorale – dichiara Giuseppe Tiani, segretario del Siap – si esprime liberamente premiando o meno la coalizione o i partiti a cui ritiene di dare fiducia. Per questo non è accettabile che un politico come Salvini possa continuare a permettersi d’indossare la divisa della Polizia di Stato promettendo che se dovesse andare al Governo utilizzerà poliziotti o carabinieri per una sorta di delirante demagogica e pericolosa ‘pulizia etnica’.
Corre l’obbligo di ricordare a Salvini che l’ultimo governo di cui la Lega ha fatto parte è quello dei tagli lineari a tutte le Forze di Polizia i cui effetti nefasti paghiamo ancora oggi nonostante l’emergenza sul fronte dell’immigrazione e del terrorismo.
Quanto accaduto ieri a Ponte di Legno è un atto gravissimo perchè si tenta di manipolare sul piano politico il ruolo delle Forze di polizia che sono terze e rispondono solo agli interessi dello Stato e delle politiche di Governo legittimate dalle procedure democratiche. Si tratta dell’ennesimo atto provocatorio davanti al quale i poliziotti prendono le dovute e doverose distanze”.
Tissone, Silp: “Inaccettabile”.
“Salvini – dichiara Daniele Tissone, segretario generale Silp- sale, nuovamente, sul palco con la maglietta della polizia addosso: è nuovamente inaccettabile. Come lo sono le sue frasi. Ma Salvini si rende conto oppure no di quello che dice? Polizia e forze dell’ordine stanno dalla parte dei cittadini e delle leggi, tra mille difficoltà ma, sempre e comunque, al servizio della democrazia e dello stato di diritto.
I poliziotti respingono al mittente l’appello di Salvini che, ancora una volta, ha perso un’occasione per tacere soprattutto se ripensiamo a quando il suo partito era al governo e ai tagli miliardari alla sicurezza che produssero i suoi amici di partito (il riferimento è all’ex ministro dell’Interno Roberto Maroni, ndr). Penso che, stavolta, abbia passato il segno”.
La Spina, Anfp: “Giù le mani dalla divisa”.
“Più volte – è la reazione di Lorena La Spina, leader dell’Anfp, il sindacato dei funzionari – siamo stati costretti a dire “giù le mani dalla nostra divisa”, a chi la utilizza strumentalmente per coinvolgere le Forze dell’ordine in un gioco politico che non appartiene loro.
E ancor più grave che indossando la nostra maglia ci si senta autorizzati ad invocare addirittura una ‘pulizia etnica’, che ci riporta indietro ad una delle pagine più oscure e dolorose della storia del nostro Paese.
La Polizia di Stato appartiene solo ai cittadini ed alle Istituzioni democratiche, al cui servizio essa opera, nel rigoroso rispetto delle leggi e delle garanzie costituzionali. Questo dovrebbe essere ormai chiaro a tutti, in particolare proprio a chi riveste importanti funzioni di rappresentanza nel mondo politico”.
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
“SPORCHI, TRISTI E STRACCIONI”: COSI’ I GIORNALI DELL’EPOCA DEFINIVANO GLI IMMIGRATI PIEMONTESI E TOSCANI IMPIEGATI A COTTIMO IN CAMARGUE… FINO A QUANDO, IL 17 AGOSTO 1893, AL GRIDO DI “MORTE AGLI ITALIANI CHE RUBANO LAVORO”, UNA FOLLA DI FRANCESI NE UCCISERO DIECI E NE FERIRONO CENTINAIA
Sodol Colombini stringe tra le mani il cappello di panama mentre guarda il sole infrangersi nell’acqua che circonda le piramidi di sale: non riesce a mandarlo via, quel sale, nemmeno dopo essere andato in pensione.
Una vita passata nella Camargue, la sua, tra sabbia e paludi, a seguire tutta la filiera della lavorazione dell’oro bianco di Aigues-Mortes.
Intervallata da dodici anni, dal 1977 al 1987, in cui è stato sindaco della sua città , sempre dalla parte dei colleghi operai, compagni di mille lotte sindacali.
È proprio agli inizi della sua esperienza da primo cittadino che Sodol, figlio a sua volta di operai antifascisti di chiara origine italiana, scopre che le mura della sua città nascondono un segreto, di quelli che «si sussurrano a bassa voce, per non farsi sentire dai bambini».
Quando il circolo anziani della cittadina provenzale gli chiede il patrocinio su un convegno sugli eventi, Colombini scopre che a Aigues-Mortes, nel 1893, era stato perpetuato un pogrom, un massacro xenofobo, per qualcuno addirittura “il peggiore della storia della Francia contemporanea”.
Tra il 16 e il 17 agosto del 1893, al grido di “Viva l’anarchia”, i nonni dei suoi concittadini si erano organizzati e avevano deliberatamente deciso di uccidere gli operai italiani stagionali assunti nelle saline, rei di rubare il lavoro e di accettare le condizioni penalizzanti dei padroni.
Fu durante gli anni di Colombini sindaco che una delle pagine più brutte della storia operaia europea emerse dall’oblio, grazie a una serie di ricerche condotte da storici italiani e francesi.
Un lavoro non facile, visto che gli ultimi testimoni dell’eccidio erano morti negli anni ’50 e con loro il ricordo della strage, sconosciuta anche agli immigrati italiani di seconda e terza generazione, come lo stesso Colombini.
Eppure a fine Ottocento i fatti di Aigues-Mortes avevano aperto una profondissima crisi diplomatica tra Francia e Italia; Edoardo Scarfoglio sul Mattino aveva invocato una guerra ai francesi e nella penisola le voci sul massacro avevano condotto a manifestazioni di massa a Genova, Milano, Roma e a Napoli, dove migliaia di insorti si erano scontrati con i bersaglieri.
Poi, complici le due guerre mondiali e una nuova ondata migratoria dall’Italia, il silenzio.
Secondo l’economista e filosofo Serge Latouche, padre della teoria sulla decrescita felice e profondo conoscitore dei processi di occidentalizzazione del secolo scorso, i governi ebbero tutto l’interesse, ad un certo punto, a insabbiare una vicenda pruriginosa di questo genere.
«Abbiamo preferito, noi francesi e voi italiani, riscrivere una storia alternativa fatta di amicizia e fratellanza, un modo per condividere lo ‘sfruttamento’ verso il resto del mondo».
LA PSICOSI DELL’INVASIONE
Come si arrivò, tra il 16 e il 17 agosto 1893, all’uccisione di dieci italiani (di cui nove identificati) oltre a un numero sproporzionato di feriti e a un controesodo di centinaia di operai e famiglie italiane?
Aigues-Mortes a fine Ottocento è una città povera e dall’economia sonnolenta.
Si anima solo ad agosto durante la raccolta del sale quando vengono assunti 1500 stagionali dalla Compagnie des Salins du Midi.
Oltre ai locali ci sono i trimards, lavoratori senza fissa dimora, spesso pregiudicati e circa 600 italiani, per lo più piemontesi e toscani, quasi sempre ingaggiati tramite caporali che operano oltre confine.
Il clima è teso, del resto nel paese si vive la psicosi dell’invasione.
La stampa francese ripete strenuamente che la manodopera italiana “toglie il pane dalla bocca” e alla paura di perdere posti di lavoro e spazio nell’economia nazionale si aggiungono ritratti razzisti degli italiani che “sono sporchi, tristi, straccioni, e formano intere tribù che emigrano verso il Nord, dove le campagne sono ben coltivate, dove si mangia, si beve, si è felici” (La Patrie, 3 agosto 1896).
I giornali parlano di un’invasione silenziosa e della minaccia che la patria venga “sommersa” (L’invasion pacifique de la France par les ètrangers, Marchal-Lafontaine).
L’atmosfera nelle saline non è diversa dal quadro dipinto dai giornali. C’è nervosismo, italiani e francesi non si integrano, le quasi 90 mila tonnellate di sale devono essere portate via in breve tempo per evitare che arrivi la pioggia e le sciolga.
I ritmi sono massacranti e la retribuzione a cottimo premia gli operai italiani, più robusti e abituati ai lavori duri. È un’estate torrida, si dorme in baracche insalubri, con il rischio di contrarre la malaria e con poca disponibilità di acqua potabile.
I FATTI
Secondo gli storici potrebbe essere proprio l’acqua uno dei futili motivi che hanno portato alla caccia all’italiano. Il giorno prima del massacri, durante una pausa dal lavoro, un torinese avrebbe lavato il suo fazzoletto pieno di sale nella tinozza contenente l’acqua dolce. La reazione dei francesi sarebbe stata violenta, il torinese avrebbe quindi ferito con un coltello uno degli aggressori.
Si susseguono scontri e ripicche tra italiani e francesi, gira voce che ci sono morti (falso), interviene il magistrato e riporta la calma.
Ma è solo momentanea, in città il passaparola è iniziato, c’è la convinzione che gli italiani abbiano ucciso dei francesi. L’eccitazione non è più controllabile, c’è voglia di impartire una lezione ai “maledetti italiani”.
I trimards che non hanno trovato lavoro e altri cittadini scendono per le strade. “Viva l’anarchia! Morte agli Italiani”, riecheggia tra i vicoli del centro di Aigues-Mortes. Trimards e cittadini, circa cinquecento, muniti di randelli seguono il pubblico banditore, che annuncia la “caccia all’orso”.
Gli italiani cercano rifugio dove possono, persino nella questura e nelle carceri cittadine. Si contraddistinguono dei “giusti”, che salvano molti degli assaliti da morte certa. Come il parroco Mauger, che accoglie gli italiani nella sua abitazione privata, o la signora Fontaine, proprietaria di una panetteria, che fa barricare gli assaliti nel suo negozio e con loro resiste eroicamente all’assedio e ai tentativi d’incendio per oltre 27 ore.
Al mattino la situazione degenera. I rivoltosi si dirigono vero le saline Peccais, dove è maggiore la concentrazione degli stagionali stranieri.
Il capitano della gendarmeria si impegna pubblicamente per l’espulsione degli italiani. L’obiettivo è quello di scortarli fino alla stazione locale e mandarli via con il primo treno. Ma la scorta delle forze armate fallisce e il massacro ha inizio.
Un sopravvissuto racconterà : «Tutta questa gente si è avventata contro di noi e ci gettava pietre. Ho anche sentito parecchie fucilate (…) la folla ci ha travolto. Siamo fuggiti da ogni lato; ci inseguivano come fossimo un gregge di pecore; io sono stato buttato nel canale con alcuni compagni. I francesi si erano piazzati dall’altro lato del canale, tra le vigne, e quando tentavamo di uscire, le pietre ci cadevano in testa come neve»
TUTTI ASSOLTI
L’esercito, chiamato all’alba dal prefetto, non arriva prima delle sei di pomeriggio del 17 agosto. Perchè questo ritardo? È difficile dirlo, sappiamo però che è funzionale all’insabbiamento delle responsabilità .
Lo scrittore Enzo Barnabà (il massacro degli Italiani, Infinito Edizioni) , che sin dagli anni ’70 ha studiato approfonditamente i documenti ufficiali e le testimonianze dell’epoca, non ha dubbi: all’Italia bastava un capro espiatorio, facilmente individuato nella figura del sindaco.
«Il governo italiano chiese la sua testa, e i francesi gliela consegnarono senza problemi. I veri responsabili, come il prefetto o il generale che non ha dato l’ordine di intervenire, la fecero franca, non interessò a nessuno fare un’inchiesta che appurasse le vere colpe».
Le stampe di entrambi i paesi strumentalizzarono a loro piacimento il massacro e il processo, che assunse inevitabilmente una dimensione politica e si concluse con l’assoluzione di tutti i 17 imputati che erano stati rinviati a giudizio.
Come se non bastasse, il governo francese pretese che nel calcolo degli indennizzi alle famiglie delle vittime venisse considerato il principio di reciprocità , dal momento che gli italiani erano scesi in piazza attaccando i palazzi francesi delle grandi città della penisola.
Il danno per la morte dei lavoratori fu equiparato a quello di qualche vetrina distrutta. La reazione italiana? «Una certa Italia si lavò le mani. Crispi cavalcò l’ondata nazionalistica che scosse il paese appena giunsero le prime notizie, poi una volta giunto al potere, lasciò perdere», spiega Barnabà .
UN MASSACRO “DI SINISTRA
Fa un certo effetto sapere che l’eccidio di Aigues-Mortes avvenne ad appena tre giorni di distanza dalla conclusione dei lavori del Congresso di Zurigo della Seconda internazionale socialista, per giunta perpetuato inneggiando l’anarchia e i suoi eroi. «Amara e feroce ironia», la definì il filosofo marxista Antonio Labriola.
Secondo la stampa conservatrice di allora, “il massacro smentì le chiacchiere internazionaliste”. «Eppure quella era una vera sinistra, con un vero progetto internazionale, al contrario di oggi», spiega Serge Latouche.
«Tuttavia faceva i conti con una grande contraddizione che a distanza di oltre un secolo non è riuscita a risolvere: la concorrenza tra i lavoratori di diversi paesi. Anzi, con la globalizzazione è dieci volte più forte. Se dieci italiani sono morti a Aigues-Mortes, quanti sono i migranti uccisi oggi dallo sfruttamento del lavoro?». Secondo Barnabà «l’eccidio di Aigues-Mortes ci ricorda come l’integrazione dell’immigrazione italiana nel tessuto sociale francese, contrariamente all’immagine che spesso ne ha, sia stata tutt’altro che indolore e come la xenofobia che ha colpito le successive ondate migratorie non sia nata dal nulla».
Nel frattempo Aigues-Mortes è diventata una tappa importante degli itinerari turistici provenzali e un trenino accompagna cinque volte al giorno i visitatori nei suggestivi sentieri che attraversano le acque rosa delle saline.
Proprio dove circa 120 anni fa un piccolo numero di gendarmi in preda al panico non riusciva a proteggere i lavoratori italiani da piogge di sassi e proiettili.
Ma i turisti non lo sanno. Per questo, anche da pensionato, Sodol Colombini continua il suo impegno civile per i diritti dei lavoratori delle saline e per ripristinare la memoria storica del massacro: a breve una targa commemorativa verrà posta nei pressi dell’ex panificio Fontaine.
Sarà il primo segno tangibile del ricordo di quei due giorni di follia di massa.
Di cui si continua a non voler parlare. Ce lo fanno capire chiaramente gli addetti del museo cittadino.
Quale “massacre des Italiens”?
Joshua Evangelista
(da “L’Espresso”)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
LA TRILATERAL CON IL SINDACO RENZIANO DI BERGAMO E IL BRACCIO DESTRO DI MARINA BERLUSCONI
Beppe Grillo ha trascorso il suo Ferragosto in un panfilo a Porto Cervo in compagnia del
renzianissimo Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, e Ernesto Mauri, potente Ad del Gruppo Mondadori
Ne parla Dagospia:
Beppino ha scelto un 15 d’agosto ultra-godereccio e si è attovagliato a bordo di un enorme panfilo ormeggiato davanti alla sua adorata Porto Cervo.
Se d’inverno non rinuncia alle nuotate con la sua gagliarda moglie nel mare keniota, l’estate grillina è solo in Costa Smeralda.
L’anno scorso si faceva intervistare dal ‘Financial Times’ all’hotel Cala di Volpe, quest’anno ha preferito trastullarsi a colpi di “Vacchi dance” e champagne di prima scelta su uno yacht di circa 42 metri denominato ”Aldebaran”.
Il panfilo in questione prende il nome da una stella appartenente alla costellazione del Toro e non appartiene a un armatore anonimo.
E’ di proprietà di Enrico De Marco, re incontrastato della similpelle e tra gli industriali italiani più conosciuti al mondo.
Ad accogliere sulla discreta barca Beppe Mao e consorte c’era la bombastica e cotonatissima Alessandra, moglie di Enrico e dama prezzemolona dei salotti meneghini.
Tra un’ostrica, un fresco mojito e un’atmosfera molto allegra, la compagnia si è dimenata nelle danze.
E Beppe, tra un colpo d’anca e un carpaccio di pesce spada si è intrattenuto a lungo con altri due ospiti blasonati: Giorgio Gori, renzianissimo sindaco di Bergamo, e nientemeno che Ernesto Mauri, potente Ad del Gruppo Mondadori, nonchè braccio destro di Marina Berlusconi e fedelissimo di patron Silvio.
Una “trilateral” in pieno stile Prima Repubblica che ha destato in quei pochi ospiti ancora lucidi non poche curiosità .
Si mormora che il bizzarro trio abbia naturalmente parlato di politica e i temi più gettonati sembra siano stati l’inesorabile declino di Pittibimbo e il Referendum prossimo venturo.
Chissà se Beppe Mao abbia detto ad Ernestino Mauri di portare i suoi personali auguri alla Cainana per il suo 50° compleanno?
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
E SE CHIEDESSE CONSIGLIO AGLI ECOLOGISTI EUROPEI CHE SONO I PIU’ AVANTI DI TUTTI?
Credo che nei momenti di emergenza debba scattare la solidarietaÌ€ tra comuni e tra regioni. Perchè sul trasferimento della monnezza romana, senza il concorso di tutti, non si evita il tour mondiale della spazzatura sui vecchi e nuovi media, e noi italiani abbiamo già ampiamente dato con le emergenze di Napoli o della Sicilia e oggi della stessa Capitale che fa notizia per le carenze impressionanti e croniche di un servizio fondamentale.
Detto questo, il buon giorno ai romani purtroppo si è visto dal mattino, e questa giunta Raggi sta offrendo prove di avvitamento sulle ambiguità , sembra destinata a navigare a vista e a slittare su ogni buccia di banana che si troverà tra i piedi.
Roma è una grande questione nazionale, è fondamentale per il paese che sia ben governata.
Quel che colpisce finora è invece l’inconsistenza della sfida di governo grillina. Con due terzi del consiglio comunale, i nuovi continuano a cincischiare e faticano ancora a convincersi di dover governare la più grande città italiana.
Continuano a fare (giustamente) solo le pulci alle classi dirigenti che li hanno preceduti nell’Aula dedicata a Giulio Cesare, ma riuscendo solo a dare l’idea della tristissima continuità con il declino delle amministrazioni capitoline degli ultimi anni. Non c’è traccia di uno scatto di governo cittadino, nè di una suggestione, di un progetto, di una visione.
La vittoria sicuramente è stata più grande di loro, ma la sindaca, a differenza della sua collega di Torino, appare già tramortita.
Più che da strappi e rottamazioni di un repulisti generale di cui c’era e c’è urgente bisogno, sembra travolta più che dai problemi e dalle loro soluzioni da un groviglio di tutori e controllori, prigioniera di faide e guerriglie interne al confuso mondo pentastellato, colpita dall’insinuazione continua sull’intreccio con il passato prossimo e remoto.
Lo stesso rimpiazzo con donne e uomini come da manuale Cencelli a 5 stelle (che sostituisce ormai con la finta democrazia del curricula quel che un tempo si chiamava mercato delle vacche), finora non indica e non pratica un nuovo corso.
Diamole tempo, dicono i suoi. Certo, ma il punto politico è che Raggi aveva promesso ai romani di tutto, di più e anche subito.
Nel lungo giro elettorale esternava in continuazione facendo immaginare che schioccando le sue dita arrivassero le soluzioni (funivia urbana compresa).
Non ha alle spalle gli errori commessi e i fallimenti conseguiti ma semmai un senso di superiorità sempre ostentato.
Nel consiglio comunale straordinario sui rifiuti si è fatta in quattro ma solo attaccando e coprendo le sue nomine controverse e rinviando proposte ger gestire l’emergenza, finendo così nel lungo elenco dei soliti vizi capitali.
Ha continuando a coprire l’assessore Muraro con l’armamentario difensivo classico da partitino clientelare della prima repubblica.
Ha colpito duro l’Ama e il “ras” delle discariche Cerroni ma suscitandi l’imbarazzo massimo del suo assessore ai rifiuti che non può certo resettare le responsabilità del passato.
Se “Ama dormiva”, come dice Raggi, Muraro russava. E la solita sindrome del complotto, ormai un riflesso pavloviano dei grillini, non basta più a giustificare i ritardi e le omissioni. Per dare l’idea del caos e delli scarso senso della realtà , è bastato vedere la Raggi passare nel suo intervento privo di dati tecnici e soluzioni possibili da “adesso Roma è più pulita” all’allarme sul “rischio sanitario dietro l’angolo”.
Che fare da settembre? Proposte concrete?
Mah, c’è un impegno straordinario chiesto ai dipendenti Ama, ci sarà un altro “tavolo” da aprire con la Regione, per il resto è un arriverci Roma a dicembre.
Intanto la pulizia in città è quella che vediamo tutti, l’export della monnezza romana procede alla grande con l’85% affidato alla gestione primitiva della raccolta in forma indifferenziata e avviata in modo caotico in molti impianti di selezione tra Roma e il resto del Lazio, da cui oggi proseguono verso discariche e termovalorizzatori nel Nord dell’Italia e in altri Paesi europei.
E’ stata e resta l’unica soluzione dopo la chiusura della discarica di Malagrotta.
Servirebbe un bagno di umiltà e concretezza anche per affrontare un mare di questioni aperte (da Atac al piano di rientro), servirebbe la capacità di saper prendere oggi non a dicembre decisioni insieme ad altre istituzioni e al governo per mettere davvero la parola fine ad un sistema di raccolta e trattamento dei rifiuti indegno di una moderna capitale europea, fragilissimo e costosissimo per i romani.
Se vuole riorganizzare la filiera industriale, Raggi può chiedere consigli utili anche agli ecologisti europei che sono i più realisti e hard di tutti, gli spiegheranno come si progettano, si realizzano e si gestiscono gli impianti moderni che servono, termovalorizzatori compresi, senza seminare allarmi, evitando il rinvio delle responsabilità che dura da troppi anni.
E’ Roma il vero termometro dei grillini, è qui che si misura la capacità del Movimento 5 Stelle di uscire fuori dai blog, dagli slogan e dai no a tutto.
Erasmo D’Angelis
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
IL SINDACO DI PARMA: “DOVEVA USCIRE IL GIORNO DOPO E POI LA SETTIMANA DOPO…”
“Saranno le ferie e il caldo, ma del regolamento che doveva uscire il giorno dopo, e poi la settimana
dopo, se ne hanno tracce? ”
Lo ha twittato il sindaco di Parma, Federico Pizzarotti, sospeso lo scorso maggio dal M5S dopo la vicenda dell’avviso di garanzia ‘taciuto’ sul caso del teatro Regio, e ancora in attesa di ‘verdetto’.
Il riferimento è alle procedure di modifica del Non-Statuto e del Regolamento, dopo la sentenza del tribunale di Napoli che ha disposto il reintegro di 20 militanti espulsi.
Un mese fa Pizzarotti aveva scritto una mail a Beppe Grillo, garante e giudice di ultima istanza sulla sua sospensione, chiedendo di pronunciarsi.
Nei giorni scorsi 11 consiglieri comunali hanno comunicato la loro autosospensione, con una lettera a Grillo e ai vertici M5S, in solidarietà con il sindaco di Parma.
(da “Huffingtonpost”)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
“INACCETTABILE E PROVOCATORIO”… LA DIVISA USATA DA UN ISTIGATORE: PERCHE’ NESSUNO E’ INTERVENUTO?
Giù le mani dalla divisa.
La polizia insorge contro Matteo Salvini, che durante il comizio di Ferragosto a Ponte di Legno, in provincia di Brescia, ha deciso di indossare la camicia della Ps, come aveva già fatto l’anno scorso.
Il segretario del sindacato di polizia Siap di Genova, Roberto Traverso, ha usato parole dure nei confronti del segretario federale della Lega Nord: “Ogni poliziotto o carabiniere in cabina elettorale si esprime liberamente premiando o meno la politica a cui ritiene di dare fiducia. Per questo non è accettabile che un politico come Salvini possa continuare a permettersi d’indossare spocchiosamente la divisa della Polizia di Stato promettendo che una volta al potere utilizzerà poliziotti o carabinieri per una sorta di delirante demagogica e pericolosa ‘pulizia etnica’”.
Traverso fa riferimento a un passaggio dell’intervento di Salvini, quando l’esponente leghista afferma: “ll primo provvedimento che prenderemo quando arriveremo al governo, a costo zero, è di riportare loro rispetto: polizia e carabinieri avranno mano libera di ripulire le nostre città “.
Per il sindacato di polizia “quello accaduto ieri è un atto gravissimo al quale purtroppo il Salvini ci sta abituando dopo la prima vergognosa messa in scena alla quale abbiamo assistito durante un inquietante comizio di un sindacato di polizia autonomo. Si tratta dell’ennesimo atto provocatorio davanti al quale i poliziotti prendono le dovute e doverose distanze”.
Ma chi gestiva l’ordine pubblico a Ponte di Legno perchè non è intervenuto di fronte a un reato? Che provvedimenti ha preso il capo della Polizia di fronte a una palese omissione di atti d’ufficio? Cosa aspetta Alfano a rimuovere i responsabili e la magistratura ad aprire un fascicolo?
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
RACHELE BRUNI DEDICA LA SUA MEDAGLIA ALLA COMPAGNA: “TROPPA IPOCRISIA, IO VIVO SERENA”
Una medaglia contro i pregiudizi nei confronti dell’omosessualità . ![](https://s3.postimg.org/85yqc1lhv/diletta.jpg)
Quella d’argento di Rachele Bruni nella 10km del nuoto di fondo alle Olimpiadi di Rio.
Una dedica speciale, quella che l’atleta toscana ha fatto alla sua Diletta. “Ho dedicato il mio argento anche a Diletta: non ho mai fatto coming out, ma non mi sono neanche mai preoccupata dei pregiudizi. Io vivo la mia vita con naturalezza”, ha spiegato Bruni, che è la prima medagliata ai Giochi olimpici a dichiarare – anche senza dirlo direttamente – la propria omosessualità .
Una dedica, quella di Rachele Bruni, che arriva con naturalezza. “Dite che ci vuole coraggio? Non lo so, so solo che mi è venuto naturale pensare alla mia Diletta. E non ai pregiudizi della gente”, ha raccontato appena arrivata a Casa Italia.
“Indubbiamente ci sono persone che hanno ancora dei pregiudizi, ma io vivo serena e tranquilla senza pensare a questo: vivo per me stessa, per la mia passione per il nuoto e per le persone che mi vogliono bene”, ha aggiunto.
La madre di Rachele, Bruna, appoggia la scelta della figlia. “Per un genitore – ha detto – l’importante è la felicità di un figlio, qualsiasi strada penda. Alle volte, l’ipocrisia è un’arma per proteggersi, sei costretto a non dire. Ma noi abbiamo sempre amato tutti e tre i nostri figli”.
Lei, Diletta, la destinataria della dedica speciale di Rachele, ha seguito la gara di fondo dalla spiaggia di Copacabana e ha poi partecipato alla festa a Casa Italia.
“Cosa ha detto di strano Rachele? Solo che era per me, senza aggiungere altro: è questo che mi piace di lei, lei è diretta, spontanea, naturale”, ha detto Diletta.
(da “Huffingtonpost”)
argomento: Diritti civili | Commenta »
Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
SOLITA ISTIGAZIONE A DELINQUERE, SOLITO SILENZIO DELLA MAGISTRATURA… INDOSSARE LA DIVISA DELLA POLIZIA E’ REATO PER I COMUNI MORTALI, PER SALVINI NO
Sgomberare gli alberghi coi migranti: Eccolo qua il Salvini in versione ferragostana, che – se possibile – sposta la Lega più a sedicente destra del solito.
La playlist che anticipa l’intervista-comizio a Ponte di Legno è tutta un programma: il tormentone dell’estate “Andiamo a comandare” che non tiene conto del tracollo elettorale dei padagni (-5% in pochi mesi)
Salvini sale sul palco con la maglietta della polizia addosso, reato per i comuni mortali ma non per chi puo’ da tempo contare su “protezioni” dall’alto.
Poi inizia a sproloquiare: “Quando saremo al governo polizia e carabinieri avranno mano libera per ripulire le città “.
Non si capisce se ha scambiato le forze dell’ordine per operatori ecologici o se auspica rastrellamenti da regime militare coreano a lui caro.
Poi il solito armamentario sugli italiani “oppressi dai clandestini”.
Chi la pensa diversamente è un “italiano smidollato”.: detto da uno che è scappato a gambe levate davanti a 4 ragazzotti dei centri sociali fa quasi sorridere.
Salvini continua: “Propongo a tutti gli amministratori della Lega, andiamoci a riprendere un albergo in ogni regione e lo restituiamo agli italiani”.
Come non si sa: forse assaltandoli come fanno i nazisti in Germania? In quel caso saremmo d’accordo sul mano libera alle forze dell’ordine con facoltà di sparare a vista agli aggressori omicidi.
E per quanto riguarda gli albergatori, “vadano pure in fallimento”. Alla faccia della tutela del lavoro degli italiani.
Le “zecche”, i lavavetri, i mendicanti, gli immigrati in fila all’ospedale: sono i mali principale della società : “Prendiamo un bel furgone, li carichiamo lì e li molliamo in mezzo al bosco a 200 chilometri”.
La base leghista che riempie il palazzetto dello sport è in visibilio.
Alla fine Salvini chiama sul palco tutti i ragazzini under 18, a un bambino di otto anni chiede: “Cosa hai capito dalla serata?”. Lui: “Che la mia mamma mi vuole bene”.
Il delirio dell’odio viene sconfitto dalla voce dell’amore, che fregatura.
Buona grappa a tutti.
(da agenzie)
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Agosto 16th, 2016 Riccardo Fucile
“CON INVESTIMENTI MAGGIORI POTREMMO ESSERE IL VOLANO DELLA RIPRESA, ALTRIMENTI CONDANNATI A UN INESORABILE DECLINO”
Quali sono le migliori università del mondo? ![](https://s3.postimg.org/rta52sn83/UNI.jpg)
La risposta è semplice perchè tra le prime dieci ci sono quelle di cui avete sempre sentito parlare. Harvard, Stanford, Berkeley, Cambridge, MIT, Princeton, Oxford, Caltech, Columbia, Chicago.
Secondo Academic Ranking of World Universities 2016 (Arwu) la prima università italiana, La Sapienza di Roma, si posiziona in testa agli atenei italiani alla 163esima posizione con un punteggio totale di 19.23, unica università italiana nel range 151-200 insieme con l’Università di Padova in 183esima posizione con un punteggio di 18,19.
Sono i risultati della classifica pubblicata dalla Jiao Tong University di Shanghai, che prende in esame le 500 università migliori nel mondo.
Seguono nel range 201-300 il Politecnico di Milano e le università di Bologna, Firenze, Statale di Milano e Pisa.
Gli indicatori presi in esame dall’Arwu sono rigorosi e comprendono premi Nobel e riconoscimenti accademici ricevuti, qualità della ricerca (paper pubblicati e ricercatori più citati) e le performance rispetto al numero degli iscritti.
In particolare sono sei i parametri su cui si basa la classifica: premi internazionali di ex studenti (10%) o di ricercatori della singola Università (20%), le citazioni di pubblicazioni scientifiche in Thomson-Reuters (20%), le pubblicazioni “Nature&Science” (20%), le pubblicazioni tecnologico-sociali (20%).
Questi parametri sono poi correlati con lo staff accademico, dando un ulteriore parametro di produttività pro-capite (10%).
“La Sapienza conferma e consolida il suo prestigio di grande ateneo europeo, di respiro mondiale, collocandosi al primo posto tra le università italiane e tra le prime a livello europeo ed internazionale”, commenta il rettore Eugenio Gaudio. “A ben guardare — prosegue — il risultato è tutto sommato abbastanza positivo anche per il sistema universitario italiano che, anche se non è rappresentato nelle prime 100 posizioni monopolizzate dalle ricche università anglosassoni, vede circa un 1/3 degli atenei del Paese (19 su 60) nelle prime 500 posizioni su 1200 università censite e su 17.000 stimate nel mondo”.
“Questo significa — spiega il rettore dell’ateneo — che il rendimento delle nostre università pubbliche è mediamente elevato, a fronte di un cronico e drammatico sottofinanziamento da parte dello Stato, che vi destina lo 0,42% del Pil (Francia e Germania vi destinano più del doppio) e il basso numero di addetti alla ricerca, oggi meno della metà di quello degli altri Paesi occidentali. In questo quadro emerge l’ottima performance della Sapienza legata alle eccellenze dell’attività di ricerca, alla ricchezza multidisciplinare del nostro ateneo e alla sua secolare tradizione culturale e formativa. Con un maggior investimento del Paese nella ricerca e sui nostri giovani migliori — conclude Gaudio — il sistema potrebbe decollare ed essere il volano della ripresa e dello sviluppo del Paese, altrimenti è destinato a un lento ma inesorabile declino“.
(da “il Fatto Quotidiano”)
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