Destra di Popolo.net

AI PROFUGHI DI CAPALBIO FACCIAMO LUCIDARE I NOSTRI COLLIER

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

HA RAGIONE CHICCO TESTA: POTREMMO ANCHE FARGLI ASCIUGARE GLI SCOGLI O LUCIDARE GLI AGHI DI PINO

Ha ragione Chicco (Testa): bisogna trovare immantinente un lavoro per quei 50 profughi in arrivo a Capalbio. A Capalbio, signora mia, persino qui ce li mandano!
Neri e cenciosi, con quegli occhi che ti guardano e provano a farti sentire in colpa solo perchè te al collo hai un doppio filo di perle, mica coltivate eh, e loro due collanine di osso di chissà  che bestia.
No, no, ha ragione il Chicco. Troviamogli un lavoro, poverini, così almeno non se ne stanno a ciondolare tutto il giorno.
Del resto si ha sempre bisogno di qualcuno che faccia qualcosa di utile tipo: lucidare a una a una le perle del famoso doppio filo. E noi si è anche generose, signora mia, e un bel 10 centesimi a perla glielo si garantisce.
Che non hanno mica bisogno di tanto, già  gli si paga tutto noi. Giusto qualche spiccio per bersi una spuma al cedro o comperarsi le sigarette.
Li si possono anche impiegare, quelli più robusti e resistenti (signora mia ma ha visto che spalle che hanno?) per asciugare gli scogli e passare il brillantante sugli aghi di pino della pineta, che fan così tristezza tutti opacizzati dal salmastro.
Ecco e già  gli abbiamo trovato tre occupazioni oneste e lodevoli.
S’è anche sentito che alla signora della terza villa a sinistra s’è ammalata la filippina, povera cara, ora non sa come fare; che una non è che può passare quei pochi giorni di ferie che ha a spazzare il portico, no?
Bene mandiamogliene un paio anche a lei, non saranno urbanissimi, ma pazienza, noi si è persone tolleranti. E poi gli si fa del bene, gli si dà  un lavoro.
Chi è, pure che sosteneva che l’ozio è il padre dei vizi?
Chicco dice anche che se ce ne sono alcuni che hanno particolari abilità , magari sono esperti nella caccia al leone (l’anno scorso s’è fatto un safari in Kenya e dovevi vedere che ganzo che era la nostra guida) si devono fare avanti senza timore: tra un po’ si apre la stagione della caccia al cinghiale.
Se poi ce n’è qualche altro che corre svelto (ma l’hai visto quel Bolt lì ieri sera?
Ah dici che è jamaicano e non africano? Vabbè ma insomma i geni si sa son sempre quelli) può venire comodo per fare le consegne a domicilio a impatto ambientale zero.
Visto? È questione di un attimo trovare un impiego per 50 profughi e impedire loro di gingillarsi nel rimpianto della loro casa, dei loro affetti.
È un attimo distrarli dall’opulenza a doppio filo (di perle e di cashmere) dalla quale sono oggi, e saranno sempre esclusi, per sfortuna di nascita.
Gli diamo un lavoro, possibilmente lontano dagli occhi nostri, e ci mettiamo la coscienza in pace
Sì, ha proprio ragione Chicco.
Noi siamo favorevoli all’accoglienza a patto che non squilibri la nostra routine quotidiana di vacanzieri del posto più esclusivo (che ci rimane sennò? una volta c’erano le Eolie, ma ora se non stai attento quando ti fai un giro in barca ti imbatti in un barcone) d’Italia.
Perchè noi non siamo razzisti, signora mia, e chi mai potrebbe accusarci di questo? Siamo solo molto stanchi dopo un anno così.
Non si può davvero tollerare che anche nei pochi mesi estivi nei quali ci possiamo finalmente rilassare siamo costrette a fare i conti con l’antiestetica realtà  della miseria. Che colpa ne abbiamo noi se quelli lì non sanno far altro che farsi la guerra? Va bene, arrivano qui, mica vogliamo rispedirli là  da dove sono arrivati, ma che si integrino e si rendano utili alla comunità .
Abbiamo fili di perle e di cashmere da tenere in ordine, aghi di pino da far brillare e scogli da asciugare.
Una volta avevamo anche un giaguaro da smacchiare. A proposito che fine ha fatto quel giaguaro che è un pezzo che non si vede? Bah, sarà  in Costa Smeralda con la sua bandana.
Signora mia, sa che ho avuto un’idea? E se glieli mandiamo a lui questi profughi?
Sì sì mandiamoglieli là  in Costa Smeralda che tanto ci vanno pure gli arabi e insomma tra loro si capiscono.
Beh, signora mia, adesso vado e, mi raccomando, porti tanti cari saluti a Chicco (Testa), che è sempre stato uomo di rara umanità .

Deborah Dirani
(da “Huffingtonpost”)

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EQUITA’, WELFARE E KEYNES: LA RICETTA DELLA SVEZIA DOVE SOLO IL 2% E’ DIVENTATO PIU’ POVERO

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

IL MODELLO SCANDINAVO COME ANTIDOTO ALLA CRISI ECONOMICA

Paradiso svedese, inferno italiano.
Il Rapporto del McKinsey Global Institute sull’impoverimento generazionale esalta il modello scandinavo come antidoto alla regressione del tenore di vita che affligge le economie più avanzate.
E mette il nostro paese all’indice, il peggiore di tutto l’Occidente per la performance economica misurata nell’arco di un decennio.
“Ad una estremità  c’è l’Italia dove i redditi sono rimasti fermi o sono diminuiti per la quasi totalità  della popolazione. Al polo opposto c’è la Svezia dove solo il 2% della popolazione ha avuto i propri redditi bloccati o ridotti”.
Così si legge nella recente indagine intitolata “Poorer than their parents? A new perspective on income inequality” (Più poveri dei genitori? Una nuova prospettiva sull’ineguaglianza dei redditi).
Questa citazione si riferisce peraltro ai “redditi di mercato”, cioè prima di calcolare l’impatto degli ammortizzatori sociali, delle tasse, di tutte le politiche pubbliche sui bilanci delle famiglie.
Quel che interessa ancora di più, è il risultato finale in tasca ai cittadini, sono i “redditi disponibili”: quelli che rimangono dopo l’intervento del fisco e l’eventuale aiuto del Welfare.
Ebbene, alla fine il divario tra Svezia e Italia si accentua ancora di più.
Il ristagno o impoverimento decennale passa dal 97% fino a quasi il 100% degli italiani. Mentre per gli svedesi si scende dal 20% al 2% della popolazione “bloccata o impoverita”.
Eppure tutti i paesi esaminati nell’indagine (Nordamerica ed Europa occidentale) hanno subito lo stesso shock esterno: dopo la crisi finanziaria globale del 2008 il Pil si è ridotto in tutte le economie senza eccezione.
Il Rapporto McKinsey è molto dettagliato su ciò che fa la differenza tra i due estremi di Italia e Svezia.
Il modello svedese si fonda su una serie di ricette originali. A cominciare dai rapporti di forze sociali. “Il 68% dei lavoratori svedesi sono sindacalizzati”, un record in tutto l’Occidente.
Questo li ha resi capaci di spostare in loro favore la distribuzione nazionale del reddito, la ripartizione della “torta” fra profitti e salari.
È un tema centrale, perchè nell’insieme dell’Occidente questo è un periodo dominato da una dinamica del tutto opposta: “I profitti delle imprese sono saliti ai livelli record dagli ultimi tre decenni, +30% rispetto al 1980”.
Torna in primo piano la battaglia distributiva, che era stata al centro dell’attenzione negli anni Settanta, poi fu contrastata dal liberismo che dava la priorità  alla crescita. Da Ronald Reagan e Margaret Thatcher in poi, si è imposto il dogma secondo cui non conta la diseguaglianza tra i ricchi e il resto della società , perchè “quando sale la marea alza tutti i battelli, grandi e piccoli”.
Più di trent’anni dopo, lo studioso delle diseguaglianze Thomas Piketty sconfigge il padre del neoliberismo Milton Friedman.
Un eccesso di diseguaglianze contribuisce alla “stagnazione secolare”, bloccando la crescita.
Lo stesso Rapporto McKinsey è generoso di riconoscimenti verso Piketty: a conferma che ormai l’attenzione alle diseguaglianze è trasversale, non è un tema “ideologico”. (La società  McKinsey, nota soprattutto per le consulenze d’impresa, non ha fama di essere un think tank radicale).
Il modello Svezia, così come lo illustra questa indagine, contiene vari altri ingredienti che si riconducono all’importanza dell’intervento pubblico.
Sono state messe in opera “normative per proteggere i salari”. Dopo la crisi finanziaria globale il governo svedese “ha operato d’intesa con i sindacati per raggiungere accordi di riduzione temporanea degli orari di lavoro, in alternativa ai licenziamenti, in modo da mantenere alti livelli di occupazione”.
Sono state “aumentate le assunzioni con contratti a tempo determinato nei servizi pubblici”, sempre al fine di contrastare l’aumento della disoccupazione.
“Sono stati ridotti gli oneri sociali e il cuneo fiscale per le imprese. Sono stati offerti incentivi fiscali per le assunzioni di giovani e disoccupati di lungo periodo”.
Qui va precisato che, almeno in parte, l’Italia ha cambiato il suo mix di ricette in tempi recenti, ma questo non appare nel Rapporto McKinsey che si fonda prevalentemente su dati dal 2005 al 2014.
Le lezioni dalla Svezia comunque non mancano; insieme con le difficoltà  ad esportarle da Stoccolma a Roma.
Da una parte il “paradiso svedese” è la conferma della bontà  delle ricette keynesiane: in una recessione o in una prolungata stagnazione, lo Stato è l’unico ad avere la capacità  di rianimare un’economia esangue.
La Svezia ha più autonomia nel decidere politiche di bilancio neo-keynesiane, in quanto non fa parte dell’Eurozona e quindi non è sottoposta alle stesse rigidità  (rifiutò di entrare nell’euro con il referendum del 2003).
La Svezia parte anche da una situazione di bilancio molto più florida della nostra: il suo debito pubblico era inferiore al 40% del Pil prima della grande crisi, è aumentato da allora, ma rimane ben inferiore ai livelli italiani. Ha un’evasione fiscale tra le più basse del mondo; e una spesa pubblica notoriamente efficiente, poco viziata da clientelismi e sprechi.
Un modello davvero, in tutti i sensi.

(da “La Repubblica”)

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LA BREXIT SI ALLONTANA SEMPRE DI PIU’: BERLINO E LONDRA TRATTANO SUL 2019

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

A LONDRA MANCANO ANCORA I NEGOZIATORI

Era il 24 giugno. Doveva essere l’alba del Regno Unito indipendente, e invece niente. Prima di partire per le vacanze nella libera Svizzera Theresa May annunciava la richiesta di uscita dall’Unione europea «all’inizio del 2017», e invece niente.
Fonti citate dalla Stampa e dal Times raccontano una verità  diversa.
La richiesta formale di uscita potrebbe partire a maggio, o dopo le elezioni politiche tedesche, e per questo la Gran Bretagna potrebbe rimanere membro a tutti gli effetti dell’Unione almeno fino a Natale del 2019.
A gestire le complicate conseguenze della Brexit non sono pronti nè il governo di Londra, nè quello francese, nè tantomeno quello tedesco.
A Parigi si vota in primavera, a Berlino in autunno, ma prima di allora Angela Merkel ha due test elettorali importanti, nella capitale e nel Lander più grande di Germania, in Nordreno Vestfalia.
La destra populista non ne vuol sapere di pagare il conto dell’uscita di Londra (undici virgola tre miliardi di contributi al bilancio comunitario) e così nel faccia a faccia di metà  luglio la Merkel ha chiesto alla collega di prendersi tutto il tempo necessario.
La leader tedesca vuole che a gestire la trattativa sia il pletorico Consiglio europeo a 27, e non il negoziatore scelto dalla Commissione, Michel Barnier. Del resto come si fa a chiedere l’uscita dall’Unione mentre le Borse di Londra e Francoforte annunciano le nozze fra gli squilli di tromba?
«C’è un’enorme differenza fra uscire dall’Unione e mantenere le nostre relazioni con l’Europa», diceva in luglio il neoministro degli Esteri Boris Johnson. La politica londinese sembra contagiata dall’arte tutta italiana della retorica e del traccheggio.
Nel governo May ci sono due ministri impegnati a gestire le conseguenze del referendum. David Davis è segretario alla Brexit, e deve assumere cinquecento collaboratori: per ora ne ha meno della metà .
A Liam Fox, il ministro per il Commercio internazionale, servono mille esperti: il Times racconta che ne ha trovati un centinaio.
Si dice che un buon leader politico dovrebbe avere un piano anche in caso di sconfitta, Wolfgang Schaeuble osserva sarcastico che i sostenitori della Brexit non avevano un piano nemmeno per gestire la vittoria.
Per spostare più in là  il momento delle decisioni ci sono ottimi argomenti. La Gran Bretagna deve anzitutto decidere quando presentare la domanda di uscita, e la Merkel ha detto che la scelta spetta a Londra nei tempi che riterrà  opportuni.
Poi il Consiglio europeo dovrà  discutere le «linee guida» della trattativa. Fatto questo scatteranno i negoziati veri e propri – sempre con il Consiglio – il quale dovrà  approvare l’accordo con una maggioranza qualificata di venti Paesi pari al 65 per cento della popolazione.
Se e quando ci sarà  l’accordo, il Parlamento europeo dovrà  ratificare. Non è detto che ciò avvenga in due anni: il Consiglio (stavolta all’unanimità ) potrà  concedere una proroga. Due anni servirono alla Groenlandia per gestire il suo divorzio, e l’unico serio argomento di discussione era la pesca.
«Avevamo sentito dire dalla signora May “Brexit is Brexit”», dice con disappunto il sottosegretario agli Affari europei Sandro Gozi. Vista da Roma l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione non è drammatica come per Berlino.
Anzi, la speranza era di poterci guadagnare qualcosa, come lo spostamento a Milano dell’Autorità  bancaria europea o di qualche banca d’affari. «L’ipotesi di rinviare di un anno la richiesta inglese è una pessima notizia, fonte di grandi incertezze».
Difficile immaginare che Matteo Renzi possa farne una questione di principio, di qui all’autunno ha ben altri problemi. Ma se i primi sponsor del traccheggio inglese sono Berlino e Parigi, è probabile che faccia di necessità  virtù e tratti il suo sostegno.

Alessandro Barbera
(da “la Stampa”)

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QUELLA NAPOLI “SENZA LUCE” TRA MONNEZZA E VEDETTE DELLA MALAVITA

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

A FERRAGOSTO IN GIRO PER LA CITTA’

E’ Ferragosto. Fa caldo…
Per motivi di lavoro ti ritrovi a girare per le vie della città , dal centro alle periferie. Passano gli anni, ma le scene sono sempre le stesse.
Nel centro storico e sul lungomare, tanta gente e diversi eventi. La gente si guarda intorno e si gode quei lavori di riqualificazione urbana deliberati, in buon parte, dalla “maggioranza Jervolino”, ma ulimati nell’ultimo quinquennio (non tutti, per la verità : per alcuni di essi la chiusura dei relativi cantieri richiederà  ancora molto tempo)…
Poi, ti sposti. Transiti per via Foria, piazza Garibaldi, Via Arenaccia, Via Miano, Scampia, fino alla rotonda di Arzano. Là , la storia è totalmente diversa.
L’area nord della città  resta satura di “monnezza”. “Brucia”. Brucia anche oggi. Strade deserte e zone variamente desertificate. Mi verrebbe quasi da dire, zone abbandonate finanche da “nostro Signore”, ma scriverei una sciocchezza.
Già , perchè, in certe zone, per andare da una parte all’altra, nella sequela di incroci che sei costretto a superare, frotte di motocilci ti tagliano sistematicamente la strada; “buttano l’occhio”; vogliono capire se sei uno sbirro.
Sono le vedette della malavita, quelle che controllano il territorio. Quelle che danno una triste sostanza ai racconti televisi, alla cronaca e finanche alle fiction.
Non indossano nessuna casacca, ma di chi si tratti lo percepisci chiaramente.
Ti prende la rabbia. Un senso di vuoto ti pervade.
Ma a chi lo vai a raccontare? A quelli che si ostinano a non voler vedere?
Te ne ritorni a casa. Mestamente. Vuoi dedicare un po di tempo a te stesso.
Dove manca l’azione della politica c’è, inevitabilmente, quella della criminalità , sia “esogenza” che “endogena”.
Il 15 agosto l’ho sempre detestato: è il giorno in cui l’assenza delle Istituzioni, soprattutto in certe zone, puoi arrivare a toccarla con mano.
Scene di una Napoli da serie B, triste, dove le brave persone sono contrette a convivere con “brutta gente” e dove è tutto scuro, finanche il sole…
Domani, comunque, sarà  tutto passato.
I resoconti giornalistici ci racconteranno un’altra storia: quella che fa comodo “a pochi” ed è incurante “dei tanti”.
Alcuni continueranno a chiamarla “rivoluzione”. Io preferisco chiamarla per quella che è: una grande menzogna detta con tantissima, drammatica fantasia.
Ho aperto la finestra. Un venticello fresco mi sfiora il viso.
Quasi, quasi, sembra una carezza.
Spero che arrivi a tutti…

Salvatore Castello
Right BLU – La Destra Liberale

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RIFIUTI, IL CASO ROMA E IL CONFRONTO CON LE CAPITALI ESTERE

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

ECCO COME LE METROPOLI AFFRONTANO LO SMALTIMENTO E IL RICICLO DALLA SPAZZATURA

PARIGI, LA META’ DEL SERVIZIO AI PRIVATI, LA DIFFERENZIATA E’ IN RITARDO
A Parigi inizierà , sperimentalmente, solo alla fine di quest’anno o all’inizio del prossimo e in due arrondissement la raccolta differenziata dell’«umido», da trasformare in biogas o destinare al compostaggio.
Eppure i resti di cucina rappresentano un buon terzo dei 270 chili di pattume che, in media, ogni francese accumula ogni anno.
La Francia è più indietro dell’Italia nella selezione degli scarti organici, ma Parigi dispone di quattro grossi centri, nei suoi dintorni, per lo smaltimento.
Il Comune si occupa della raccolta in dieci arrondissement, mentre per gli altri dieci il servizio è appaltato ad aziende private.
Circa l’80 per cento dei rifiuti viene incenerito, per ricavarne energia, il 16 per cento è materiale riciclabile, il 4 per cento finisce sotterrato.
Syctom, l’agenzia metropolitana per i rifiuti domestici, serve 5 milioni e 777 mila abitanti della regione parigina, con una dozzina di stabilimenti: tre inceneritori, sei centri di raccolta differenziata, due discariche, mentre è in costruzione un’installazione che dovrebbe assorbire (dal 2019) 45 mila tonnellate di rifiuti. Il più importante, in àŽle-de-France, è il Centro di Ivry-Paris XIII.

LONDRA: LA PRODUZIONE E’ IN CALO, IL MODELLO E’ UN ECOPAR
I rifiuti a Londra sono gestiti a livello comunale dalle 32 boroughs. La raccolta differenziata è attiva in tutta la città .
La percentuale di rifiuti riciclabili varia da zona a zona : dal 17% a Newham al 55,4% a Bexley. Il totale per la città  è del 31,1%, in calo rispetto all’anno scorso del 2,3%.
La media nazionale è del 46%. Negli ultimi dieci anni la quantità  di rifiuti generati dalle singole abitazioni è diminuita da 1117 kg a 887 kg l’anno.
La gestione dei rifiuti costa all’amministrazione 600 milioni di sterline l’anno.
Nelle discariche – localizzate fuori Londra, dove i rifiuti arrivano in treno – finisce il 25% dei rifiuti, tassato dal governo a 85 sterline a tonnellata.
L’obiettivo del sindaco Sadiq Khan è di eliminare l’uso delle discariche entro il 2030. Inceneritori ecologici smaltiscono la maggioranza dei rifiuti non riciclabili.
Degno di nota l’EcoPark del Brent, nel nord della città , che gestisce 800.000 tonnellate di rifiuti l’anno. «Tutto è riutilizzabile» è il motto.
L’energia prodotta dall’inceneritore genera elettricità  per 70.000 abitazioni – le emissioni sono filtrate e pulite – mentre dai rifiuti biologici vengono ricavate nove tonnellate di concime, usate nei parchi e nei giardini comunali.

BERLINO: NELLA CITTA’ DELLE DISCARICHE SI RICAVANO ENERGIA E PELLET
Non sono solo i numeri della raccolta differenziata, a fare di Berlino una delle città  più efficienti nella gestione dei rifiuti.
Certo, si parte da lì: nel 2015 l’azienda locale, Bsr, ha raccolto, in un territorio con 3,5 milioni di abitanti, 1,2 milioni di tonnellate di spazzatura, di cui 358 mila tra vetro, carta, plastica e « organico».
Ma il punto nodale è la «seconda vita» dei rifiuti. «Le discariche sono chiuse dal 2005», spiega al Corriere Thomas Klockner, portavoce di Bsr, «ma nulla che non sia stato trattato viene spedito fuori Berlino». Anzi.
Oltre metà  dei rifiuti indifferenziati sono inviati al termovalorizzatore di Ruhleben: 61 mila famiglie ne traggono elettricità , e 35 mila riscaldamento. Altre 300 mila tonnellate vanno in due impianti di stabilizzazione fisico-meccanica, da cui escono dei pellet venduti poi a cementifici e centrali termoelettriche.
Dal 2013, poi, è cambiata la gestione della frazione organica: da una prima fase di fermentazione si ricava il biogas che alimenta 150 camion della raccolta dei rifiuti, evitando il consumo di 2,5 milioni di litri di diesel. Quel che resta è usato come concime o compostato. L’obiettivo «rifiuti zero» è ormai a un passo.

MADRID: TUTTO E’ GESTITO “IN CASA”. IL 20% NEL MAXI-INCENERITORE
La capitale spagnola è in anticipo sugli obbiettivi di trattamento dei rifiuti decisi dall’Ue per il 2020.
Ogni madrileno produce 1,2 chili di spazzatura al giorno per un totale annuo cittadino di 1.400.000 tonnellate. Eppure Madrid non invia neanche un grammo di spazzatura fuori provincia.
Gli impianti di smaltimento e riciclaggio sono mezza dozzina, tutti gestiti da privati in convenzione con il Comune per periodi che vanno dai 20 ai 25 anni. I più rilevanti sono l’inceneritore di Valdemingà³mez (18 miliardi di investimento per trattare il 20% del totale dei rifiuti) e la discarica de Las Dehesas (2mila tonnellate al giorno, circa il 30% del totale).
Entrambi gli impianti dividono e trattano in modo diverso i rifiuti a seconda che siano plastici, metallici o organici. In più l’inceneritore produce e vende elettricità , la discarica fertilizzante per agricoltura.
Risolto così con soddisfazione delle forze politiche il problema smaltimento, resta la fase di raccolta a far discutere. Manuela Carmena, la nuova sindaca targata Podemos, aveva promesso in campagna elettorale di cancellare i contratti con le imprese private. Una volta eletta, però, Carmena ha fatto marcia indietro per non mettere a rischio 1.900 posti di lavoro.

(da “il Corriere della Sera”)

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BERLUSCONI, L’ADDIO AL “MODELLO PELE'”

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

CON PARISI SQUADRA DI 5-6 PERSONE… NON PIU’ TOP PLAYER MA ALLENATORE… SPAZIO A TOTI E AGLI ALTRI, MA CON ALTRI COMPITI

Il dibattito estivo che infiamma il suo partito non lo appassiona, anzi.
Nella calma di Villa Certosa Silvio Berlusconi pensa a riposarsi, riprendere le forze, godersi gli affetti familiari, con occhio attento a quello che si muove attorno alle sue aziende più che alla politica.
Ma con i fedelissimi che gli filtrano i rapporti con il mondo esterno – Letta, Ghedini, l’amico Confalonieri, Valentini, Giacomoni –, con gli amici più intimi, con qualche azzurro che riesce a intercettarlo, Berlusconi ha tracciato la linea sulla quale intende muoversi nelle prossime settimane.
E l’idea che si sta facendo di quello che dovrà  essere il nuovo corso del centrodestra.
Il punto di partenza dei suoi ragionamenti è un dato di fatto: nè in Forza Italia nè nel centrodestra potrà  mai più esserci un nuovo Berlusconi, un top player – dicono i suoi – «alla Pelè» che domina la scena, vince praticamente da solo le partite, rappresenta con la sua stessa immagine un’intera politica.
Oggi – a meno di colpi di scena che possano arrivare dalla Corte europea di Strasburgo con un’eventuale sentenza sulla legge Severino – Berlusconi è incandidabile.
Ma il suo ruolo – ne è convinto – non può limitarsi a quello di padre nobile. Piuttosto, l’ex premier – ormai non più presidente, almeno del suo Milan – si vede come «un allenatore», che dà  gli schemi vincenti alla squadra, che mette in campo nei ruoli giusti i migliori giocatori che ha. Questo servirà  per competere davvero
Se poi ad indossare la fascia di capitano della squadra sarà  Stefano Parisi lo si capirà  nei prossimi mesi.
All’ex candidato sindaco di Milano, è una certezza, il leader azzurro ha oggi affidato un mandato pieno: recuperare «i milioni di voti che abbiamo perduto» rivolgendosi a quel mondo che guarda ormai con diffidenza ai politici di professione.
Un uomo come Parisi – apparentemente esterno alla politica, capace di mettere assieme l’intera coalizione a Milano e ottenere un buon risultato – gli è sembrato la persona più adatta per «allargare il nostro consenso» anche a quella società  civile che «ci ha voltato le spalle».
E l’unico che, non essendo nemmeno iscritto a FI, non avrebbe scatenato una guerra tra correnti se fosse stato nominato ad un alto incarico.
Ora, per Berlusconi, Parisi dovrà  dimostrare il suo valore. Poi si vedrà .
Ma – è il messaggio che manda l’ex premier ai suoi per rassicurarli, e che qualcuno come Brunetta pare aver già  colto («Se tiene unita FI ben venga, ma non sia strumento dei poteri forti») – non si muoverà  da solo.
Servirà  «una squadra di almeno 5-6 persone» con lui, facce nuove e non solo, che incarnino visivamente il nuovo progetto di FI.
Secondo i suoi, insomma, serviranno «da Parisi a Toti», non ci sono veti.
«Non voglio rottamare nessuno – ripete l’ex premier – ma è chiaro che chi fa politica da tanti anni dovrà  avere un ruolo diverso ormai».
Svecchiare, rinnovare, aprirsi sono le parole d’ordine, con l’obiettivo di tornare ad essere una forza del 20% perchè «se rimaniamo a questi numeri, che ci facciamo in Parlamento con 50 deputati? Non conteremmo nulla».
E perchè, se FI tornerà  ad essere dominante nella coalizione, la leadership sarà  espressa dagli azzurri e non ci sarebbe nemmeno bisogno di ricorrere a primarie che continuano a non piacergli e che (di coalizione) potrebbero diventare una necessità  solo se i partiti del centrodestra restassero di pari forza.
In questo quadro, si capisce come Berlusconi condivida pienamente il tentativo di Parisi di dare un’immagine «rassicurante» di FI: il No al referendum deve restare fermo, ma la proposta di Costituente va benissimo perchè «non possiamo apparire come quelli che dicono solo no».
E ben venga la convention che Parisi terrà  settembre, che nasce e dovrà  rimanere come un evento dal quale la politica resta fuori, proprio perchè servirà  per aprirsi a nuovi mondi.
C’è però un dubbio che pervade gli azzurri: Parisi non sarà  tentato di giocare in proprio, superando il berlusconismo, sfruttando FI come un trampolino per farsi un suo movimento, che secondo alcuni ha già  un nome, «L’altra Italia»?
Berlusconi – giurano – non se ne preoccupa: senza di lui, ne è convinto, non si va lontano, e il caso Passera insegna.

Paola Di Caro
(da “Il Corriere della Sera”)

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INTERVISTA A MARINO: “RAGGI, UNA DELUSIONE: STANNO TORNANDO I POTERI FORTI E I SALOTTI”

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

“LE PROMESSE SONO SMENTITE DAI COMPORTAMENTI, NESSUNA DISCONTINUITA’ CON IL PASSATO”

“Finora ho sentito solo parlare male del passato. Mi auguro abbiano un piano da rivelare nelle prossime ore”.
Intervistato da Repubblica, l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino si dice “molto stupito da questo avvio di sindacatura: molte affermazioni fatte in campagna elettorale sono smentite da comportamenti che, se è vero quanto raccontano i giornali, sono dettati da un sistema correntizio. Lo stesso che io rifiutai e per il quale divenni inviso ai partiti”.
“Io scelsi di circondarmi di persone sulla base di formazione professionale, obiettivi da raggiungere e discontinuità  col passato. Sono rimasto colpito dal fatto che, tra le prime indicazioni dell’assessora Muraro, ci sia stata quella di riaprire l’impianto di Rocca Cencia, di proprietà  di un privato, che fruttava 175 mila euro al giorno alla stessa persona”, sottolinea Marino.
“Questa la chiamo un’esemplare continuità  con i 50 anni trascorsi tra il 1963 e il 2013, quando il sistema dei rifiuti di Roma era organizzato intorno all’idea di una grande buca che ha favorito il privato rispetto al pubblico”.
“A Roma stanno tornando quei salotti e quei poteri forti che in questo momento paiono felici di poter riprendere a gestire in maniera sterile il patrimonio pubblico”, dichiara l’ex sindaco.
“Ai Mercati generali, ad esempio, c’è un buco di ettari abbandonato, affidato dal Comune a un gruppo di imprenditori nel 2006. Non si vede una gru lavorare. Inoltre non vedo un impegno di sostanza sulle povertà “.
“Le piazze della capitale sono piene di venditori abusivi, dopo la mia amministrazione i tavolini si stanno allungando ben oltre i limiti consentiti”, prosegue Marino.
Lo stadio della Roma, su cui la giunta sembra intenzionata a frenare, “porterà  solo nella fase di costruzione tra 5 e 10mila nuovi posti di lavoro e un finanziamento straniero di 1.300 milioni di euro”,
Quanto alle Olimpiadi, “da portavoce dei cittadini, come si definiscono, i 5stelle dovrebbero presentare un piano sostenibile che come il nostro lasci una eredità  utile a Roma e interrogare la città “.

(da “Huffingtonpost“)

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AL CAPO DELLO STAFF DI TRUMP OLTRE 12 MILIONI DAI FILORUSSI

Agosto 15th, 2016 Riccardo Fucile

IL NEW YORK TIMES PUBBLICA I COMPENSI PER CONSULENZE VERSATI DAL PARTITO DELL’EX PRESIDENTE UCRAINO A PAUL MANAFORT

Quello delle ‘relazioni pericolose’ fra Donald Trump e la Russia resta un tema caldo campagna per le elezioni presidenziali americane.
Oggi il New York Times ha aggiunto benzina sul fuoco delle polemiche, svelando che Paul Manafort, il capo dello staff per la campagna del candidato repubblicano, ha ricevuto in qualità  di consulente 12,7 milioni di dollari (circa 11,4 milioni di euro) dal partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych.
I compensi sarebbero stati pagati dal 2007 al 2012 e sono probabilmente relativi alle prestazioni di Manafort quale consulente per l’organizzazione delle campagne elettorali, la creazione e l’organizzazione della macchina del consenso nel partito dell’ex presidente.
Un tipo di lavoro, almeno in apparenza, molto simile a quello che Manafort ha svolto nella sua carriera per i candidati repubblicani alla Casa Bianca, da Gerald Ford a Reagan, da Bush senjor a Bob Dole fino all’oggi e a Trump.
Il Nyt scrive che la cifra è contenuta in alcuni nuovi documenti segreti resi pubblici dal neo costituito Ufficio nazionale anti-corruzione ucraino.
I legami e il passato di Manafort in Ucraina non sono una novità , ma è la prima volta che emerge l’ammontare dei compensi ricevuti per i suoi servizi.
E, alla luce della notizia, la campagna di Hillary Clinton – scrive l’agenzia di stampa Ap – ha già  criticato Manafort per i suoi legami con la Russia e con interessi filo-Cremlino.
Da parte sua, il New York Times non manca di ricordare i commenti positivi di Trump sul presidente russo, Vladimir Putin e l’annessione della Crimea, così come i presunti attacchi di hacker russi contro email di democratici.
La pubblicazione dell’articolo aggiungerà  argomenti al rancore di Trump che in tutti gli ultimi discorsi pubblici ha attaccato spessissimo i media americani, accusandoli di omettere nei loro resoconti ogni riferimento ai suoi programmi e alle dimensioni delle folle presenti ai suoi comizi e di parlare invece solo delle polemiche e degli aspetti di colore.
Tesissimi i rapporti proprio con il New York Times al quale il candidato del Gop ha persino minacciato di ritirare l’accredito per tutta la campagna elettorale: “Non corro contro Hillary – ha dichiarato due giorni fa – , corro contro la stampa corrotta”.

(da “La Repubblica“)

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