AL CAPO DELLO STAFF DI TRUMP OLTRE 12 MILIONI DAI FILORUSSI
IL NEW YORK TIMES PUBBLICA I COMPENSI PER CONSULENZE VERSATI DAL PARTITO DELL’EX PRESIDENTE UCRAINO A PAUL MANAFORT
Quello delle ‘relazioni pericolose’ fra Donald Trump e la Russia resta un tema caldo campagna per le elezioni presidenziali americane.
Oggi il New York Times ha aggiunto benzina sul fuoco delle polemiche, svelando che Paul Manafort, il capo dello staff per la campagna del candidato repubblicano, ha ricevuto in qualità di consulente 12,7 milioni di dollari (circa 11,4 milioni di euro) dal partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovych.
I compensi sarebbero stati pagati dal 2007 al 2012 e sono probabilmente relativi alle prestazioni di Manafort quale consulente per l’organizzazione delle campagne elettorali, la creazione e l’organizzazione della macchina del consenso nel partito dell’ex presidente.
Un tipo di lavoro, almeno in apparenza, molto simile a quello che Manafort ha svolto nella sua carriera per i candidati repubblicani alla Casa Bianca, da Gerald Ford a Reagan, da Bush senjor a Bob Dole fino all’oggi e a Trump.
Il Nyt scrive che la cifra è contenuta in alcuni nuovi documenti segreti resi pubblici dal neo costituito Ufficio nazionale anti-corruzione ucraino.
I legami e il passato di Manafort in Ucraina non sono una novità , ma è la prima volta che emerge l’ammontare dei compensi ricevuti per i suoi servizi.
E, alla luce della notizia, la campagna di Hillary Clinton – scrive l’agenzia di stampa Ap – ha già criticato Manafort per i suoi legami con la Russia e con interessi filo-Cremlino.
Da parte sua, il New York Times non manca di ricordare i commenti positivi di Trump sul presidente russo, Vladimir Putin e l’annessione della Crimea, così come i presunti attacchi di hacker russi contro email di democratici.
La pubblicazione dell’articolo aggiungerà argomenti al rancore di Trump che in tutti gli ultimi discorsi pubblici ha attaccato spessissimo i media americani, accusandoli di omettere nei loro resoconti ogni riferimento ai suoi programmi e alle dimensioni delle folle presenti ai suoi comizi e di parlare invece solo delle polemiche e degli aspetti di colore.
Tesissimi i rapporti proprio con il New York Times al quale il candidato del Gop ha persino minacciato di ritirare l’accredito per tutta la campagna elettorale: “Non corro contro Hillary – ha dichiarato due giorni fa – , corro contro la stampa corrotta”.
(da “La Repubblica“)
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